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La vittoria perfetta
08 lug 2014
Dopo la sconfitta nella finale di Wimbledon contro Djokovic, un racconto sull'esperienza di seguire Roger Federer e su come si resta campioni anche non riuscendo più a vincere tutto.
(articolo)
12 min
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La prima volta in cui mi sono posto la questione di chi fosse davvero Roger Federer è stato alla fine del 2007, quando un notiziario di Sky Tg 24 annunciava in coda che la stagione tennistica si concludeva un'altra volta con Federer al comando, per la quarta stagione consecutiva; appena vincitore della Masters Cup di fine anno a Shanghai e con tre titoli del Grande Slam, un tris che gli riusciva per la terza volta, dopo il 2004 e il 2006. Quello che ha attirato la mia attenzione è stato l'aver sentito dire nel servizio TV (senza immagini per altro, solo qualche breve cenno dallo studio) "un'altra volta", a evidenziare quanto fosse eccezionale che Federer avesse replicato quell'impresa quasi unica. Il mio primo pensiero all'epoca è stato verificare l'età del tennista in questione, di cui avevo sentito il nome tante volte pur non avendo mai realmente visto cosa fosse in grado di fare. Avevo smesso di seguire il tennis ormai da tanti anni, dopo che da ragazzino "mi svegliavo la notte per vedere i tornei dall'altra parte del mondo", come ci diciamo molti di noi nati a metà degli anni '70, tutti esperti di quelle annate di tennis, ognuno con il suo atleta-supereroe preferito: Edberg, Becker, McEnroe, e così via.

Volevo conoscere la sua età per capire se avrei ancora avuto la possibilità di vederlo vincere così tanto e in modo così bello, almeno a giudicare da come ne avevo sentito un po' parlare in giro. L'anagrafe diceva 27, e a leggere quel numero che nello sport non vuol dire né giovane né vecchio ho subito pensato che forse era troppo tardi, che avevo mancato l'occasione di vederlo giocare al suo massimo e che di lì a poco avrebbe per forza cominciato a tornare umano e a vincere sempre meno. Ancora non sapevo ad esempio che mi ero perso il suo 2006, una stagione così clamorosa da avere persino una sua voce su Wikipedia: 92 vittorie e solo 5 sconfitte, 12 titoli, tre Slam (più finale anche al Roland Garros, come poi sarà anche nel 2007), 19 set vinti 6-0; una delle annate più grandi di sempre, per molti seconda solo al Grande Slam vinto da Rod Laver nel 1969. Alla fine di quel 2007 citato distrattamente dal Tg Federer aveva già vinto 12 majors: tre Australian Open, cinque Wimbledon e quattro US Open. Mancava solo il Roland Garros, che Rafael Nadal gli ha negato sia nel 2006 che nel 2007 nella più letteraria delle antitesi sportive, uno che domina l'altro sulla terra, i ruoli che si invertono sull'erba.

Mentre continuavo a non seguire il tennis, e Federer, ho perso anche il 2008 della sua mononucleosi, dove è stato stracciato a Parigi da Nadal (anche un 6-0 nel punteggio) e poi si è arrivati anche alla loro terza finale consecutiva a Londra, dopo la terza consecutiva a Parigi: la partita più bella di sempre, dicono in molti, la fine del dominio di Federer, secondo altri, con Nadal che vince 9-7 al quinto, dopo che Federer ha recuperato da due set a zero. Le interruzioni per la pioggia (l'ultima finale di Wimbledon senza l'elegante tetto mobile), finita dopo le nove della sera, a pochi minuti dalla sospensione per oscurità. Qualche settimana dopo Federer ha perso la prima posizione mondiale, cedendola a Nadal dopo 237 settimane consecutive. Per dare un'idea, il record precedente era di Jimmy Connors, con 160 settimane. La finale di Wimbledon del 2008 è stata anche la prima occasione in cui ho cercato di recuperare il tempo perduto, per assistere io stesso all'evento: privo di satellite, ignaro di streaming online facevo refresh sul commento live del sito della BBC, contando sulla vittoria di Federer, e già piccato dal non morire mai di Nadal. Forse non mi piaceva l'idea in sé della detronizzazione, o forse volevo vedere qualcosa in più prima che accadesse.

Nello stesso anno, mentre ero di nuovo lontano dal tennis, Federer vinceva il quinto US open consecutivo battendo Andy Murray in finale, il terzo poco più che ventenne che cominciava a seguirlo da vicino dopo Nadal e dopo Novak Djokovic, che a gennaio aveva vinto l'Australian Open battendolo in Semifinale, addirittura tre set a zero. Tutti e tre di cinque o sei anni più giovani di lui, tutti e tre subito capaci di risultati eccellenti che nessun tennista di oggi alla stessa età sembra in grado di sfiorare. Nel 2009 poi tante lacrime, prima quelle di Melbourne quando perde 6-2 al quinto in finale da Nadal e piange per non essere riuscito a eguagliare il record dei quattordici Slam di Pete Sampras, poi le lacrime di Parigi, quando piange perché vince finalmente il Roland Garros, fa il career Grand Slam (almeno uno di tutti e quattro i major vinti in carriera), e riesce a eguagliare le vittorie di Sampras. Vince anche perché non affronta Nadal, che perde quell'anno l'unica partita della sua carriera al Roland Garros sino a oggi: dieci partecipazioni, nove titoli. Poi a Wimbledon, assente Nadal per infortunio, batte Andy Roddick in una finale infinita, nervosa, quasi persa: riesce a farcela soltanto 16-14 al quinto, togliendo il servizio a Roddick per la prima volta nell'ultimo game della partita. In finale anche a New York a inizio settembre, una partita che dovrebbe essere sua ma che perde contro Juan Martín Del Potro, un altro ventenne arrivato da poco che lo batte 6-2 al quinto, di nuovo come a Melbourne contro Nadal. Lo vedo giocare per la prima volta in assoluto in diretta, su uno streaming poverissimo trovato sul sito Roja Directa. Tra un freeze frame e l'altro intuisco che sta perdendo il tie break del quarto set, che se avesse vinto mi avrebbe permesso di testimoniare a una sua vittoria Slam. Ma invece lo perde male, facendo errori, per 7 a 4. Smetto di vedere la partita, sono convinto che non vincerà. Ancora quattro finali, con due vittorie e due sconfitte all'ultimo set, nell'anno in cui compie 28 anni: un'altra stagione eccezionale, dove torna anche al numero uno, ma anche l'inizio di una mutazione sia del suo tennis che della scena attorno a lui. Federer chiude il 2009 arrivando a 15 titoli Slam vinti in sette anni: quasi cinque anni dopo, subito dopo la finale di Wimbledon di questa domenica persa contro Djokovic, il totale è salito soltanto a 17.

A inizio 2010 un'altra volta mi trovo a fare refresh su una diretta di un sito, questa volta del Guardian, durante la finale dell'Australian Open che Federer vince contro Murray, tra il sarcasmo dell'autore sulla poca determinazione del suo connazionale e l'ennesimo omaggio a Federer, che sembra continuare a marciare a ritmo Slam imperturbabile, arrivato ormai a 16. A ottobre decido finalmente di cominciare a seguire la sua carriera con attenzione, prima che sia troppo tardi e che non giochi più bene o non vinca più nulla. Comincio con la finale del Masters 1000 di Shanghai, dove incontra di nuovo Andy Murray ma perde 6-3 6-2 in poco più di un'ora, giocando davvero male. Eppure nei brevi highlights di Quarti e Semi l'avevo visto dominare gli avversari: ora che me lo trovo finalmente davanti in diretta, sin dal riscaldamento pre-partita, perde miseramente. Il fuso orario asiatico accentua il senso di vuoto della sconfitta: iniziata alle dieci di mattina ora italiana, finita neanche a ora di pranzo, una finale senza storia, senza cornice o atmosfera. In realtà avevo provato a cominciare qualche mese prima, quando avevo letto che Federer era in semifinale all'US Open, contro Novak Djokovic. Non avrei potuto vedere la semi perché ero in viaggio, ma già mi pregustavo la probabile finale contro Nadal. Il giorno dopo leggo il risultato: Federer ha perso 7-5 al quinto, con Djokovic che ha annullato due match point consecutivi colpendo, a detta sua, "con gli occhi chiusi e più forte che potevo". Terribile. Non ho mai visto la clip di quei match point annullati, ma la maglietta azzurra inutilmente signorile di Federer, con un vistoso colletto inamidato impreziosito da orli bianchi, mi è sempre apparsa fuori luogo. Djokovic sulla schiena della sua Sergio Tacchini sfoggiava un enorme drago cinese, per dire. A novembre il primo riscatto della mia appena iniziata vita da spettatore: vado a Londra per le finali ATP di fine anno e vedo Federer giocare dal vivo per la prima volta, questa volta con una maglietta rossa dai migliori auspici. Incontra di nuovo Murray, lo batte così facilmente che non riesco a capire se sia stato merito suo o colpa dello sconfitto. Il tutto fila così liscio che mentre sto per prendere il mio posto in piccionaia un usciere mi propone di scendere giù tra le prime file, presumo a riempire i posti che si vedono nella diretta televisiva. Continuo a seguire il torneo da Roma, dove vedo Federer battere Djokovic e Nadal in Semi e in finale, felice di vederlo finalmente prevalere su chiunque.

Il 2011 è la stagione che decido di seguire tutta, per la prima volta, dove imparo il calendario e scopro l'alternarsi delle stagioni tennistiche, quel famoso inseguire il sole che porta il tour dal cemento dell'emisfero australe a inizio anno, poi sulla terra mediterranea della primavera e l'erba di inizio estate, proseguendo sul cemento americano e chiudendo nei palazzetti nordeuropei e asiatici. L'anno che scelgo è quello in cui Federer non vince neanche uno Slam per la prima volta dal 2003, quello in cui raggiunge una sola finale, un altro Roland Garros perso per l'ennesima volta contro Nadal, quello in cui perde di nuovo 7-5 al quinto contro Djokovic in semifinale all'US Open, sprecando altri due match point, questa volta sul suo servizio, 5-3 e 40-15 nell'ultimo set. La vicenda racconta il punto della carriera di entrambi: Djokovic cancella il primo match point con un colpo rinominato The Shot in tutti i riepiloghi della stagione, una risposta vincente di dritto incrociata che cade sulla linea su una prima di Federer, colpita di nuovo con tutta la forza, senza calcolo. Da lì Federer perde quattro giochi consecutivi e l'incontro, consolidando una collezione di quasi vittorie e di premi della critica che ha caratterizzato tutta la mia esperienza in diretta della sua carriera. Il 2011 è anche l'anno in cui Djokovic è diventato numero uno per la prima volta, l'anno in cui ha vinto i primi 43 incontri della stagione, vincendo sei tornei di seguito e fermandosi soltanto alla Semifinale del Roland Garros, dove ha incontrato proprio Federer. Quella Semifinale è stata la partita più bella che io abbia mai visto in diretta, vinta da Federer in quattro set e in cui tutti e due hanno giocato praticamente alla perfezione, una meraviglia di tecnica, intensità, capovolgimenti di risultato fino alla conclusione negli ultimi minuti di luce disponibile nel tie break del quarto set, dove Federer ha chiuso con un ace e ha esultato alzando un indice al cielo e urlando con l'intensità di chi conclude qualcosa, il che ricordo avermi preoccupato mentre guardavo la scena. Non si dovrebbe esultare troppo fino alla fine del cammino, quelle potrebbero essere energie che si perdono e non tornano più, e così è stato, quando nella finale Federer ha perso contro Nadal con lo stesso identico pattern con cui viene battuto praticamente ogni volta: inizio impeccabile, esitazione in un momento chiave, aumento dell'intensità da parte di Nadal, numero di errori di Federer che sale, sconfitta.

Mentre domenica stavo guardando la finale di Wimbledon tra Federer e Djokovic ho avuto presto l'impressione che Djokovic fosse più forte, che Federer resistesse grazie al servizio e che perdesse molti scambi da fondo. Poi riguardando le statistiche ho scoperto che i due hanno vinto un numero quasi uguale di scambi da fondo dai nove colpi in su, a dimostrazione di una tenuta del campo tecnicamente diversa ma ugualmente solida. Cos'era allora che mi ha sviato nelle impressioni durante la partita? Il fatto che i telecronisti menzionassero l'età di Federer continuamente? Confesso di guardare le sue partite, soprattutto quelle tre su cinque, sempre pronto a cogliere segni di stanchezza, difficoltà, soprattutto alla fine di ogni scambio lungo. Cerco di capire come respira, se suda, se perde lucidità di gioco, e quando domenica ha servito sul 4-5 del quinto e ha perso l'incontro con quattro errori gratuiti ho avuto la netta sensazione di una improvvisa perdita di capacità di creare colpi, una resa psicomotoria causata dal logorio di tutto il gioco prodotto fino a quel momento. È stato perché ha quasi 33 anni o perché le partite si perdono molto spesso in questo modo? Probabilmente non lo saprò mai, perché Federer come lo conosco io è sempre stato un atleta con un'eredità alle spalle e non da costruire negli anni a venire, perché l'ho sempre visto come qualcuno che ha già vinto e non vince più come prima, perché l'unica volta che l'ho visto vincere uno Slam è stato Wimbledon nel 2012. Lì ho avuto la possibilità di vederlo battere Djokovic e Murray uno dopo l'altro, l'ho visto vincere Wimbledon e ritornare numero uno e raggiungere il record di settimane in cima alla classifica, tutto in una sola partita. Ma non è stato l'inizio di una nuova fase, solo il perfezionamento di qualcosa di preparato da molto prima.

La maggior parte della sua carriera per me è stata una sequenza di clip su YouTube, di highlights di partite o video di singoli colpi, la stragrande maggioranza dei quali accaduti prima che cominciassi a seguirlo: il passante smash contro Roddick a Basilea nel 2002, il tweener contro Djokovic nella semifinale dell'US Open del 2009, il passante di rovescio con cui ha salvato un match point contro Nadal nella finale di Wimbledon del 2008. Colpi ricordati come se fossero delle partite o dei trofei, i greatest hits di una rockstar stagionata. La vittoria di Federer per me è stata molto più un database da consultare che una serie di eventi vissuti, e questo rende l'esperienza di vederlo continuare a giocare più bella e più malinconica al tempo stesso: a volte quando vedo un video del 2007 mi sembra che corra di più, che il rovescio sia più fluido e sia anche maggiore l'urgenza con cui prova certi colpi. Eppure se guardiamo la classifica ATP di questa settimana Federer è terzo dietro solo a Nadal e a Djokovic, nuovo numero 1 dopo la vittoria a Wimbledon. Certo che Federer ha la metà dei punti di Nadal, e forse questo è il dato che più racconta cos'è il tennis oggi, e di chi è. Da quando ho deciso di complicare le mie giornate con infinite dirette di partite di tennis ho visto giocare 15 tornei dello Slam: sei li ha vinti Djokovic, cinque li ha vinti Nadal, due Murray, uno Federer, uno Stanislas Wawrinka. Nessuno di loro ha meno di 27 anni, e tutti tranne Wawrinka sono in top ten da almeno sei anni. Nel singolare femminile di Wimbledon di quest'anno la finale è stata giocata da due giocatrici nate dopo il 1990, ed è la prima volta nella storia che succede in una finale di singolare di un major. Forse la ragione per cui si continua a pretendere che Roger Federer sia il campione che è stato è che non c'è ancora nessuno che possa prendersi cura del tennis come ha fatto lui, e in segreto un po' tutti vogliono disperatamente che arrivi qualcun altro come lui, o che almeno gli somigli un po'.

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