Per riflesso condizionato, quando si entra in una stanza dove la luce non si accende subito, viene da pensare che la lampadina sia rimasta fulminata e vada sostituita. Per questo si va a recuperare quella nuova dallo sgabuzzino, ma può capitare che riaprendo la porta della camera si trovi tutto acceso. Questa è la posizione in cui gli Washington Wizards, tornando nella sala del loro quintetto base, hanno visto illuminarsi Otto Porter in questa stagione. Perché è innegabile che Ernie Grunfeld, il GM della squadra, l’abbia selezionato alla terza chiamata assoluta del Draft del lontano 2013 sperando di avere subito quello che Porter è diventato solamente oggi dopo un lungo percorso.
A lenta diffusione
Quando manca la corrente, il ripristino della luce non è immediato. Prima di entrare nella green room, Porter era considerato uno dei giocatori più pronti del Draft 2013. A suscitare forte interesse negli scout NBA erano stati i 31 punti nella partita del 23 febbraio 2013 contro Syracuse: era il suo anno da sophomore e a colpire gli addetti non era tanto l’ondata offensiva, ma il modo in cui Otto serviva i compagni, si faceva trovare dagli stessi e si muoveva in campo riuscendo quasi a mimetizzarsi. Porter usciva dalla lente della difesa nonostante fosse la prima opzione in attacco, viaggiando a 16.5 punti di media al secondo anno.
«Qualunque cosa gli verrà chiesta, sarà capace di farla». Le parole sono del suo coach a Georgetown, John Thompson, dopo che Otto si era dichiarato eleggibile al Draft e al termine di una stagione in cui gli Hoyas avevano rivitalizzato la loro reputazione finendo 5° nel ranking della Associated Press quando a inizio anno non era nemmeno in classifica. In seguito erano arrivati al torneo NCAA con il seed numero 2 della Big East, perdendo poi al primo turno contro Florida Gulf Coast. Ad intrigare gli scout era anche la vasta gamma di abilità tecniche, che ricordano la bancarella di un arrotino per la varietà di utilizzo: unendo i puntini, veniva fuori la sagoma del “3” ideale nell’era dello small ball, un’ala capace di andare al ferro e tirare da tre, competente in difesa su 2/3 ruoli e dinamica a rimbalzo grazie a lunghezza e fluidità di movimento. Sulla carta, per Washington, il tassello mancante per formare un’alternativa sul perimetro e un catalizzatore degli interessi difensivi che la forza di gravità di John Wall generava.
Oltre a non essere immediato, durante un calo di tensione, il ripristino della luce non è prevedibile— come l’infortunio al tendine del ginocchio che ha rinviato il suo debutto in NBA di 19 partite. Nella partita di esordio gioca 14 minuti, prende tre tiri sbagliandoli tutti, finisce con zero punti, due rimbalzi e un assist. Coach Randy Wittman è insicuro su parecchi fronti e uno di questi è capire cosa fare di questo rookie: sotto pressione dopo due stagioni a dir poco desolanti, seppellisce Porter nelle profondità della panchina dietro a Trevor Ariza e Martell Webster. Nella stagione da rookie, Porter gioca solamente 319 minuti, in 37 partite.
Al secondo anno Wittman lo impiega leggermente sotto i 20 minuti di media, anche se proiettato sui 36 di gioco di un titolare Porter registra 11.2 punti, 5.6 rimbalzi, 1.6 assist e una rubata. E non sono nemmeno queste cifre il segnale più incoraggiante: i veri lampi li fa vedere nelle dieci gare di playoff grazie allo spostamento nel ruolo di 4, con il punto esclamativo in gara-3 nella serie contro gli Hawks (poi persa 4-2), con Wall — fuori causa per un infortunio alla mano — che balzava come una molla dalla sedia per ogni canestro di “Otto-matic”.
Porter chiude con 17 punti, mostrando il ricco repertorio di entrate in cui sguscia in mezzo a tre avversari grazie al fisico filiforme, la capacità di nascondersi sulla linea di fondo eludendo la difesa e un dinamismo a rimbalzo non comune per un esterno.
Nella scorsa stagione ha fatto un ulteriore miglioramento, ritoccando tanto i minuti (30 a partita) e i punti (passati da 6 a 11 di media), consolidando una dimensione anche da dietro la linea del tiro da tre. Ma mentre Giannis Antetokounmpo emergeva come la point guard più lunga mai vista su questo pianeta e C.J. McCollum a co-playmaker e co-realizzatore vicino a Damian Lillard, la crescita di Porter confrontata con quella dei grandi nomi della sua classe di rookie sembrava ancora ferma ad uno stadio embrionale. Il suo terzo anno è stata un’altalena tra perfomance come quelle del 12 dicembre (27 punti con 3/4 dall’arco) contro i Dallas Mavericks e del 25 febbraio contro i Cleveland Cavaliers (21 punti di cui 15 nel terzo quarto), a partite in cui risultava così anonimo che non era quasi più riconoscibile come lo stesso giocatore capace di nascondersi sul perimetro o muoversi d’astuzia senza palla, trovando canestri che all’apparenza sembrano di semplice finalizzazione.
Nelle partite in cui spariva, quello che mancava non era tanto la precisione al tiro, quanto la fiducia. Ai primi errori, iniziava a esitare rinunciando ai tiri successivi. La gestione di Wittman — che ha praticamente interrotto l’esperimento di Porter da 4 provato durante i playoff del 2015, soluzione ideale per portare fuori il lungo avversario e creare problemi di accoppiamento con giocatori meno dinamici e reattivi sul perimetro —, non ha fatto che rallentare un percorso di crescita che solo al termine della regular season stava vedendo i suoi frutti.
Click
La cosa curiosa prima dell’incontro del 9 novembre tra Wizards e Celtics (primo atto di una delle rivalità più accese di quest’anno) è che Porter non aveva ancora segnato una tripla in regular season: veniva da 0/10 al tiro da fuori e alla quarta partita stagionale, il commentatore Phil Chenier già lo metteva nel discorso di una ipotetica trade per ricevere in cambio un Vero Tiratore.
Otto, invece di spegnersi là in angolo sullo sfondo, si accende come un macchinario di Henry Ford e con la stessa metodicità comincia a segnare da fuori. A metà primo quarto è a 4/4 da tre, favorendo un parziale di 18-2 Washington.
Porter fa perdere le sue tracce alla difesa, che non si accorge più di lui mentre taglia centralmente da un lato all’altro perché conosce i tempi di spaziatura per avere un tiro buono, muovendosi senza palla e adeguandosi come un perfetto ingranaggio a incastro.
Da quel parziale gli Wizards ipotecano un vantaggio che manterranno più o meno invariato nel corso di tutto il match, vinto poi 118-93. Porter firma il suo massimo in carriera per punti (34) e rimbalzi (14), ma non sono solo i numeri a stupire. Si scopre un’arma tattica quasi dimenticata: Otto da 4 vicino a Markieff Morris o Marcin Gortat.
L’anno scorso il 4 “nominale” era Jared Dudley, che aggiungeva potenza di fuoco da fuori, ma non aveva i mezzi atletici di Otto. Proprio nella gara contro i Celtics è emerso un lato usato solo marginalmente fino a quel momento: Porter a rimbalzo offensivo ha spazzato via tutto, perché se Smart, Brown e Bradley sono esterni sottodimensionati per lui, Amir Johnson e Jerebko non hanno la sua apertura alare e non sono altrettanto agili in situazioni dinamiche.
Il taglia fuori di Smart non può sortire alcun effetto: tra lui e Porter passano 20 centimetri di altezza e Otto si limita a seguire la traiettoria del pallone per poi catturarlo.
La gara contro Boston è stata da spartiacque anche per gli Wizards: con il 29.3% da tre, arrivavano a quella partita come ultima squadra per precisione al tiro da fuori. Nelle successive 42 gare il mondo si capovolge: in questo arco temporale non solo hanno migliorato la percentuale del tiro da tre, arrivata al 37.9% (6° nella NBA), ma anche l’attacco in senso più ampio. Prima era stagnante, orientato al gioco interno e 20° nella lega con 101.4 di offensive rating (punti segnati su 100 possessi); ora è fluido e allarga il campo per iniezione Wall, diventando il 10° in NBA con 107.7 di rating offensivo.
Per certi versi Porter ha subito lo stesso influsso: a inizio stagione la maggior parte dei suoi tiri realizzati provenivano da tagli backdoor, slalom fino al ferro e qualche schiacciata a rimbalzo offensivo, tanto è vero che prima del match contro i Celtics il 30% delle conclusioni erano da meno di un metro dal ferro. Sul perimetro si è sintonizzato su una frequenza radio pulita, che gli ha consentito di alzare l’efficienza a un livello che non aveva mai visto.
Attualmente è il migliore tiratore da 3 della lega con il 45.1% dall’arco. Scendendo in profondità, due dati fanno strofinare ancora di più gli occhi: Porter è 13° per percentuale reale con il 64.3% e 5° per percentuale effettiva con il 63%. Sono due statistiche avanzate che aggiustano in due sensi diversi la performance al tiro: na prima incorpora la percentuale ai liberi nel calcolo finale, l’idea dietro la seconda invece è che i tiri da tre valgano il 50% in più rispetto ai tiri dal campo.
La cosa che fa girare di più la testa è che sia migliorato in maniera così esponenziale senza aver cambiato la sua orribile meccanica di tiro: l’angolo dei piedi è identico, il lungo caricamento che concede tutto il tempo ai difensori di uscire in aiuto è lo stesso; persino la mano sinistra che effettua una leggera carezza alla palla come se tenesse in bracco un bambino, e si stacca dal pallone solo un istante prima che esca dai polpastrelli dell’altra mano, non cambia.
Non è soltanto una questione di tecnica sbagliata (piedi troppo ravvicinati, pallone che viene raccolto da sotto la pancia, niente gomito ad angolo retto, poca compattezza): Porter continua a non avere un movimento riproducibile. Ogni conclusione è sempre diversa. Lo era l’anno scorso, lo è quest’anno. Per quanto sia giusto rimanere sbalorditi dalla casualità in cui a volte un giocatore può svilupparsi, ci sono due matrici che hanno reso possibile i progressi di Porter: da una parte, la fiducia maturata dall’avere un maggiore numero di possessi nelle sue zone preferite di tiro; dall’altra, il suo rilascio: se si scomponesse il tiro di Porter in tanti fotogrammi, prendendo gli ultimi si vedrebbe che non c’entrano nulla con i primi. Il polso si spezza perfettamente, la mano si piega in maniera fluida, come succede per i tutti i grandi tiratori. Nel tiro, molto spesso, importa come si inizia e come si finisce: quello che succede nel mezzo è importante, ma non decisivo.
Prima dell’All-Star Game dell’anno scorso, Porter stava tirando con il 31.5% da tre su 289 tentativi in carriera. Dopo quella pausa, sta tirando con il 44.9% su 294 tentativi. Solo 6 volte è andato sopra i 20 punti nelle sue prime 155 gare; nelle ultime 75 ha scollinato quota 20 già 15 volte.
I progressi di Porter hanno del miracoloso, Scott Brooks — subentrato quest’anno sulla panchina degli Wizards a Wittman — dopo una recente vittoria contro i Knicks ha detto: «Ci ha dato più margine in attacco. Lo sviluppo di Otto in un tiratore letale era ciò che ci aspettavamo e su cui anche lui contava».
Se questa impennata statistica potrebbe non essere sostenibile ancora lungo, è anche vero che l’origine di gran parte dei tiri non contestati di Porter arriva dalla forza gravitazionale che generano i raddoppi su Wall. Quando entra in area, le attenzioni delle difese si spostano tutte su di lui come un faro su un fuggitivo. Se ci sono giochi a due in cui Wall si trova coinvolto come portatore di palla, l’uomo in marcatura individuale sul bloccante si stacca e si precipita in contenimento su Wall. In misura minore (ma nemmeno troppo), ricorda il modo in cui Westbrook catalizza gli interessi della seconda linea difensiva.
Qui Melo non insegue Markieff Morris nel pick and pop ma attende Wall a centro area, mentre Justin Holiday — che dovrebbe curare Porter — è troppo sbilanciato in gomito. Otto ha metri e tempo per mettersi a posto e segnare la tripla in angolo. Questo è il tipo di possesso in cui la difesa distoglie il pensiero da Otto, nonostante continui a rappresentare un pericolo in attacco.
Ma è senza Beal in campo che Porter ha un calo vistoso al tiro. Con Beal e Wall sul parquet, Porter tira con il 57% dal campo e il 48% da tre, mentre con Beal fuori, la precisione scende al 48% dal campo e al 33% da tre. Questo mostra come poter disporre di un Beal sano è parte del motivo per cui gli Wizards sono tornati ai piani alti della Eastern Conference ma soprattutto il motivo per cui Otto è diventato così efficiente da tagliante, tirando in queste situazioni con una frequenza pari quasi all’80%. Porter non sa creare per sé in modo consistente, ma quando il motore del back court si muove a pieni giri, i difensori tendono a perdere lo sguardo su di lui.
«Non avete ancora capito che è un tiratore?»: ha chiesto Kelly Oubre stupito in un’intervista del Washington Post: «È uno dei più forti tiratori della lega ma le squadre non se ne rendono conto: continueremo a segnare e arriveranno sempre più vittorie, che è l’unica cosa che conta».
Lo stesso Porter ha affermato che vicino a Wall e Beal si tratta solo di collocarsi nel posto e al momento giusto: «Loro arrivano continuamente nel pitturato, cercando di far collassare la difesa lì. Il mio compito consiste nel spostarmi fuori e quando i difensori realizzano dove sono, è già troppo tardi. John è in grado di penetrale e vedere dov’è la difesa e dove tutti stanno collassando su di lui o su Gortat mentre rolla dentro. Io devo solo riposizionarmi».
Nella partita più bella dell’anno, gli Wizards hanno mostrato come costruiscono i loro tiri migliori: entrata di Wall, scarico fuori per Beal, extra-pass radiocomandato per Porter in angolo che non deve nemmeno ragionare e si alza in Otto-matic.
Contro i Cavs ha segnato 27 punti tirando con il 71.3% da 3, ma il suo gioco non finisce qui. Sa infilarsi negli spazi brevi e talvolta crea per gli altri, come questo passaggio schiacciato sulla linea di fondo per servire Markieff Morris.
Quando si va a considerare il suo apporto difensivo, è facile notare che le sue qualità non sono quelle di un giocatore che rimane incollato al suo uomo e lavora instancabilmente per cercare di azzerarlo. Non è un mastino à-la-Tony Allen per intenderci, ma sa rallentare l’avversario che tiene in marcatura individuale e agevola il lungo a venire in aiuto per congelare una penetrazione. Esattamente quello che serve per “sbloccare” i quintetti difensivi in grado di cambiare su tutti i blocchi — la strutturazione che sostanzialmente chiude ogni partita di playoff.
Qui smorza l’esplosività di Avery Bradley in entrata e con la collaborazione di Gortat fa arrivare un raddoppio intelligente che intrappola la guardia dei Celtics forzandolo a perdere il pallone.
Poi le leve infinite gli consentono di essere parecchio fastidioso sulle linee di passaggio perimetrali, dove interferisce con un ottimo lavoro di disturbo sulla circolazione di palla.
Non ferma mai le braccia, come se si trovasse a dover intercettare il pallone su una rimessa. Sui portatori di palla non particolarmente esplosivi come Delly si rivela un favoloso disturbatore. L’aiuto e recupero per Gortat su Henson fotografa la sua essenza di collaboratore difensivo più che di stopper in uno-contro-uno
Una nuova lampadina?
Ora l’impianto elettrico è stabile e Otto, da giocatore sacrificabile, è diventato uno dei migliori contratti in NBA. Giunto al suo ultimo anno di rookie contract, avrete difficoltà a trovare un’ala così efficiente a 5.8 milioni di dollari: in estate però sarà restricted free agent e, salvo eventuali cali o infortuni, il suo valore di mercato resterà molto alto.
Così alto che due dirigenti NBA, parlando di recente con Zach Lowe, hanno ipotizzato che Otto Porter potrebbe ottenere il massimo salariale. Se la notizia sconvolge al primo impatto, i casi di Harrison Barnes (94 milioni per quattro anni dal contratto fresco firmato in estate con i Mavs) e Nicolas Batum (quinquennale a 120 milioni con Charlotte) insegnano che non sarebbe la prima volta che un’ala versatile dalle caratteristiche simili a Otto riesca a siglare un max contract.
Dargli il massimo non farebbe entrare gli Wizards in luxury tax, ma porterebbe la squadra molto vicina a questa soglia: se gli Wizards dovessero decidere di estendere il contratto di Porter per la prossima stagione, già solo lui, Wall, Beal, Gortat e Ian Mahinmi peserebbero per 93 milioni. Senza contare gli altri 25 milioni approssimativi di contratti già garantiti del resto della squadra.
Il punto è che anche scambiandolo prima della deadline del 23 febbraio questa mossa non darebbe a Washington flessibilità salariale in estate. Per averla, dovrebbero cestinare l’idea di firmare sul lungo termine Porter e continuare a tenere abbastanza spazio fino al 2018 per firmare l’estensione del contratto di Wall prima che diventi free agent, o cercare nuovi innesti via trade.
Con un salary cap proiettato a 102 milioni di dollari per la prossima stagione, gli Wizards potranno aggiungere giocatori solo tramite eccezioni salariali e scelte al Draft. Ha senso smantellare un core con cui dal 4 dicembre si è costruito il 3° miglior record NBA (30-12) proprio nel momento dell’ascesa di Otto? La lampadina si può sempre smontare se non ha abbastanza autonomia. Però la squadra della capitale non si trovava nella condizione di poter vincere la Southeast Division dal 1979. E anche la striscia di 17 vittorie in casa nonché il quintetto con il terzo miglior Net Rating della lega (dietro solo a Warriors e Clippers) segnalano una rete illuminata come le strade di Las Vegas. Di fatto, con un record di 36-24, sono la terza forza ad est a poche gare di distanza dai Celtics. E a mettere più hype, è arrivata anche la dichiarazione profetica del loro uomo-franchigia, John Wall.
Ci sono però tre zone su cui la luce riflette in maniera preoccupante. Una è il front court: Gortat compirà a breve 33 anni e sta giocando più di 34 minuti a partita, mentre nelle ultime due stagioni il suo minutaggio era intorno ai 30 minuti: tutti i chilometri extra percorsi si sommano e in un reparto lunghi che dalla panchina vede come massimo rappresentate Ian Mahinmi e Jason Smith, anche una storta alla caviglia diventa un rischio. L’altra area nella penombra è la panchina: Oubre è stato spaziale in certi frangenti difensivi e ha messo tiri in momenti caldi, inoltre sta iniziando a fare movimenti positivi nella forbice di talento che va da Caboclo a Durant per "esseri umani non tanto umani", ma nel complesso è ancora grezzo come la calce; Smith e Trey Burke (che quando si ricorda di avere un solido tiro in sospensione fa queste cose) sono lontani dall’essere affidabili; Satoransky dà respiro a John Wall e Mahinmi — che la scorsa stagione ai Pacers proteggeva bene il ferro ed era nella direzione per diventare quel lungo spigoloso e intimidatore d’area stile Festus Ezeli — è rientrato solo ora nelle rotazioni.
Mai come in questa stagione il quintetto titolare sta avendo un sovradosaggio. Wall, Beal, Porter, Morris e Gortat hanno condiviso insieme 885 minuti in campo. A tal proposito, la presa di Bojan Bogdanovic va in questa direzione: può giocare da 2 e da 3 nel quintetto piccolo con Porter da 4, è un tiratore più affidabile di Oubre, può sostituire sia Beal che Porter e in un ipotetico quintetto piccolo, gli Wizards avrebbero quattro giocatori pericolosi da fuori.
La terza zona d’ombra è il GM Ernie Grunfeld. È ironico come il suo posto sia stato salvato grazie alla stagione di Porter e dal fatto che Wall e Beal siano rimasti sani finora. Non ci sono così tanti GM in NBA che hanno avuto e bruciato le chances di costruire qualcosa di buono come ha fatto Grunfeld. Questa è la sua 15° stagione da President of Basketball Operations e non è mai riuscito a formare una squadra che fosse in grado di vincere due turni consecutivi di playoff o totalizzasse almeno 50 vittorie in regular season. La genesi di questi nuovi Big Three e le vittorie hanno mascherato alcuni dei danni commessi da Grunfeld, tra i quali si annoverano il modo in cui ha sostanzialmente bloccato la squadra per i prossimi anni nel cap e la scelta di insistere su Randy Wittman come capo allenatore fin troppo a lungo. La presenza di Brooks quest’anno ha mostrato il tipo di influenza che può avere su giocatori come Porter e Oubre: in un universo parallelo, con un miglior GM, non è difficile pensare agli Wizards come a una contender con titolari più progrediti e una panchina servibile.
Tornando con i piedi per terra, Porter è come un messaggio: non ha mai solo una faccia positiva. La notizia buona è che sta avendo la sua migliore stagione di sempre in una delle migliori stagioni di sempre degli Wizards — e, se non fosse per l’annata senza senso di Giannis, sarebbe un candidato legittimo per il premio di Giocatore Più Migliorato. Quella cattiva è che la finestra di tempo della sua maturazione potrebbe non coincidere con quella dei risultati.
Il voltaggio di Otto Porter è al suo picco: blindarlo per i prossimi anni terrà aperte le due finestre nello stesso momento?