Si può desiderare un gol per novanta minuti di fila, centoventi, a volte anche centottanta. La speranza di un parata invece si fa coltivare solo per qualche momento, il tempo di accorgersi che sta partendo un tiro. Non riesce a formarsi un vero e proprio pensiero, succede tutto troppo rapidamente, e quel che emerge dal groviglio che abbiamo in pancia è giusto un istintivo rifiuto di un gol subìto. Per chi tifa Italia, però, negli ultimi 20 anni questa brevissima volontà di resistenza irrazionale ha avuto una forza diversa. Ogni tiro partito verso la nostra porta ci ha dato paura e insieme tepore, quella sensazione speciale di avere Buffon, come una coperta calda distesa sul letto un attimo prima che ci prendesse freddo. Ogni tiro concesso dall’Italia ha ricordato a noi e ai nostri avversari del superuomo paterno che abbiamo avuto tra i pali, e quanto difficile sarebbe stato segnarci. Con Buffon le parate erano rassicuranti per noi, scoraggianti per tutti gli altri. Con Buffon, tirarci in porta, ci dava forza.
Abbiamo scelto 7 delle migliaia di parate fatte da Buffon in azzurro, a testimoniare una piccola parte di quel che è stato Gigi per la nazionale italiana.
vs Paraguay 1998 su Hugo Brizuela
Seconda partita in azzurro, a 20 anni, dopo l’esordio dell’anno prima a Mosca, nello spareggio per andare a Francia ‘98. La deviazione del paraguaiano, da tre metri, forte, alta, in genere è uno di quei gol in cui durante il replay il commentatore dice, tra le altre cose, “incolpevole il portiere” o anche “il portiere qui non poteva farci davvero niente”. Il miracolo per definizione è un fatto che va oltre il prevedibile e le possibilità dell’azione umana, e rappresenta l’ultimo livello di incredibilità di un evento. Per questo la somma di due o più miracoli dà sempre come risultato un miracolo solo. Eppure questa parata sono tre miracoli successivi. Il primo: Buffon è già lì, in tuffo, sincronizzato con quel che sta accadendo. Le sue gambe hanno iniziato a spingere nel momento in cui è partito il pallone e nella direzione in cui il pallone andrà. Il secondo miracolo: dai primi centimetri percorsi dalla sfera, Buffon ne deduce l’intera traiettoria. Lo fa in un tempo così breve che misurarlo non ha senso, perché il cervello umano non è in grado di concepirlo (la differenza tra un centesimo e un millesimo di secondo esiste solo nella teoria e sui nostri strumenti, non nella nostra testa). Terzo miracolo: sulla base di quel calcolo, Buffon riassetta in volo la parte superiore del corpo, così da consentire al suo braccio sinistro di muoversi nella direzione opposta a quella in cui la gravità lo sta tirando e portare la sua mano a essere tesa e forte proprio lì, proprio in quel momento. Tira via il pallone dalla porta come se lo estraesse con un cucchiaio.
vs Germania 2016 su un possibile autogol di Giorgio Chiellini
Un anno e qualche mese fa, Italia-Germania, quarti di finale dell’Europeo, l’ultima partita davvero importante di Buffon con la maglia azzurra. Siamo sotto di un gol e c’è una palla splendida di Özil a pescare da solo Mario Gómez nel cuore della nostra area. Gómez non tira, la stoppa maluccio e decide di coordinarsi per uno strano colpo di tacco a mezz’aria che, da quella distanza, ha comunque ottime possibilità di entrare. Ne ha ancora di più il destro inconsulto di Chiellini, rientrato ad anticipare Gómez anche a costo di calciare da cinque metri verso la porta italiana. Buffon, come contro il Paraguay, è già lì, a gambe piegate e pronte a spingere, ma che invece devono implodere, ripiegarsi ulteriormente per togliere il sostegno al tronco e lasciarlo cadere appena un po’ più in basso, così che il braccio destro, arcuandosi all’indietro, possa mandare quel pallone sopra la traversa con la mano. Servono tre replay per capire cosa è successo, chi ha tirato e come ha risposto Buffon. Servono altri tre replay per convincersi che quel che abbiamo visto è vero. Questa parata è metafisica capacità di essere completamente concentrati su quel che pare stia accadendo e contemporaneamente pronti a reagire all’imponderabile.
vs Bulgaria 2009 vs Stilijan Petrov
Partita di qualificazioni mondiali, una tipologia di evento sportivo che oggi ha preso un altro sapore, ma qui siamo nel 2009, ancora in quel lungo periodo storico in cui guardavamo gli azzurri distrattamente, malcelando il fastidio per chi ci aveva messo in pausa campionato e Champions per adempiere alla formalità di battere 2-0 la Bulgaria. Buffon ha 31 anni, giovanissimo eppure maturo, non è capitano ma è come se lo fosse, la fascia appare sul suo braccio in una realtà aumentata dalla nostra abitudine a vederla lì. Siamo avanti 1-0, gol di Grosso su assist di Pirlo, e i bulgari fino a quel momento non sono mai stati pericolosi. Yankov batte un angolo da destra, noi siamo distratti sul divano, Stilijan Petrov taglia davanti a tutti sul primo palo, Civoli urla, noi riportiamo l’attenzione sullo schermo appena in tempo per vedere la palla che va verso un angolo sguarnito della porta, sbatte su qualcosa e torna indietro, e la porta è ancora vuota. È una traversa? È un palo? No, è Superman. Nel replay vediamo Buffon che, partendo dal centro dell’area piccola, in zona secondo palo, segue a distanza il taglio di Petrov spostandosi rapidamente verso la porta. Si lancia in volo non appena parte il tiro, uscendo dall’ingorgo di uomini dal quale è sbucato anche il pallone, piazza entrambe le sue manone sotto l’incrocio dei pali, esattamente sopra la linea bianca, respinge indietro il pericolo sull’orlo del baratro, poi scompare dentro la sua, la nostra porta, spaventata, ma sana e salva come fosse Lois Lane.
vs Inghilterra 2012 su Ashley Cole
In semifinale ci aspetterebbe la Germania, ma siamo indietro di un rigore nei quarti contro l’Inghilterra, ha sbagliato Montolivo. Il terzo lo tira Andrea Pirlo che, invece di limitarsi a segnare, riesce nel capolavoro di cambiare l’inerzia della sfida, ridicolizzando Joe Hart con uno dei cucchiai più delicati e umilianti che si siano mai visti a quei livelli. Adesso la pressione è sugli inglesi, e non dovrebbe, ma così ha deciso Pirlo. Ashley Young si adegua prendendo la traversa, Nocerino spiazza Hart, Buffon ha di fronte Ashley Cole: se gliela para, abbiamo noi il match point.
I rigori parati da Buffon in azzurro sono spesso coincisi con momenti dolorosi, e quindi in parte rimossi. Coppa del Mondo 2002, ottavi contro la Corea del Sud, sullo 0-0 Buffon para un rigore ad Ahn, che poi ci eliminerà segnando il golden gol. Europeo 2008, seconda partita del girone, a 5’ dalla fine para su Mutu evitandoci la seconda fatale sconfitta. Ci qualifichiamo e ai quarti troviamo la Spagna. Finiamo ai rigori, Buffon para su Güiza, ma perdiamo e la FIGC esonera Donadoni. Poi Spalato, 2015, qualificazioni per gli Europei di Francia: sullo 0-0 Buffon para un rigore a Mandzukic, finirà 1-1. Finiamo ai rigori anche nella semifinale di Euro 2016 contro i tedeschi, dove Buffon para su Thomas Müller, ma usciamo noi ed è la fine dell’Italia di Conte.
Le uniche tre vittorie azzurre in cui Gigi ha parato un rigore sono un’amichevole con la Polonia del 2011, un faticoso 0-2 a Malta sulla strada del mondiale brasiliano, e questo Italia-Inghilterra.
Ashley Cole avvia la rincorsa, esita, rallenta, alza la testa, Buffon è immobile, Cole riporta lo sguardo sul pallone, mette a terra il piede d’appoggio ed è a quel punto che Buffon si piega sulle gambe, mentre legge la postura e le intenzioni di Cole. Sta incrociando il tiro. Buffon intuisce, scende sulla sua sinistra e blocca. Si rialza serissimo col pallone in mano, requisito, indicando qualcuno verso il centro del campo, probabilmente Alino Diamanti, che ha la chance di chiuderla. Buffon lascia a Diamanti il pallone e le istruzioni per segnare: “Apri il sinistro, non incrociare”. Diamanti esegue, Hart va dall’altra parte, l’Italia festeggia, Buffon non troppo: “Non sono uno che fa i salti di gioia perché arriva in semifinale”, dice a fine partita.
vs Georgia 2009 su Vladimer Dvalishvili
Dvalishvili è solo al limite dell’area piccola con tre quarti di porta spalancata. Il cross è buono, non serve neppure imprimere forza al pallone, solo indirizzarlo dove Buffon non può arrivare, uno spazio molto più ristretto di quanto l’attaccante georgiano non creda. Da parte sua, Buffon lascia all’avversario la prima mossa e l’illusione di aver già segnato. Non parte in anticipo, accetta di non avere il controllo, di limitarsi a osservare lo svolgersi delle cose, distaccandosene. Mentre Dvalishvili decide dove mandare la palla, Buffon è fermo. Nel momento del colpo di testa, Buffon è ancora fermo. Si muove solo una volta in possesso di tutte le informazioni a disposizione sulla situazione - direzione della palla, altezza, velocità, rotazione. Dati alla mano, è possibile fare qualcosa? Se sì, la facciamo. Altrimenti, non essendoci una soluzione, questo tiro non è mai stato un problema, semplicemente un gol inevitabile. Buffon è più che goal-keeper, è un goal-manager.
La parata è strepitosa, dà ancora quella sensazione di lastra invisibile davanti alla porta che rimbalza fuori tutto quel che pare debba entrare. E gli avversari non solo non hanno segnato, non sanno neppure perché.
vs Germania 2006 su Lukas Podolski
Germania 2006, l’estate in cui non poteva segnarci nessuno. Non lo sapevamo, allora, lo avremmo realizzato dopo, con la Coppa del Mondo in mano, e quando la palla di Kehl arriva in area a Podolski, al 111°, siamo ancora erroneamente convinti che sia possibile prendere gol. Cannavaro è in leggero ritardo e riesce a coprire solo parte dello specchio al tedesco, che da lì, di sinistro, con lo spazio che gli resta, è davvero pericoloso. Praticamente da fermo, tira una sassata sopra la testa di Buffon, che reagisce a mano aperta e la spinge via lontano, oltre la traversa e fuori dallo schermo.
Esiste sicuramente chi non ha mai visto o non si ricorda di questa parata, e altrettanto certamente c’è chi l’ha vista decine, centinaia di volte. Il suo valore è dato dal contesto nel quale è avvenuta, da quel che c’era in palio, da quello che è successo dopo e dopo ancora. La parata di Buffon su Podolski avviene dentro una partita eccezionalmente aperta, con due squadre sempre più stanche e sfrontate, due porte spalancate, un pugno a testa, guardia bassa e vediamo chi cade. Nell’aria la sensazione terribile ed elettrizzante che chi avesse segnato per primo sarebbe poi andato avanti a fare un gol al minuto. Quello di Podolski è stato l’ultimo di quei pugni, il peggiore: stiamo per cadere, paura, tepore, Buffon, BUFFON!, siamo ancora in piedi, andiamo dall’altra parte, adesso tocca a noi.
vs Francia 2006 su Zinedine Zidane
Più della testata a Materazzi, il vero sgarbo era stato quel rigore a inizio partita. Uno scavetto uscito male ed entrato di troppo poco per poterlo considerare un successo. Un colpo di hubris e fortuna, una coppia che si fa vedere in giro raramente, soprattutto davanti a Buffon. Ed è Buffon a parare l’ultimo tiro della carriera di Zidane, che giocherà solo un altro pallone prima di perdere la testa. È il momento più simbolico dello scontro che ha preceduto l’indimenticabile risultato di quella notte, ed è anche il momento calcistico più alto di quella finale. Zidane riceve centralmente sulla trequarti, tiene a distanza Gattuso, evita l’arrivo di Pirlo e De Rossi, allarga per Sagnol e poi caracolla verso l’area quasi per caso, finché non esce dal campo visivo di Gattuso. A quel punto è libero di accentrarsi e dettare il cross. L’impatto è buono, il tiro parte fortissimo. Buffon la para, sono otto partite che para ogni cosa, certo che la para. Zidane si scompone in un inusuale urlo di frustrazione. Gattuso si guarda in giro con aria sollevata e colpevole. Cannavaro è a terra, scivolato per seguire Trezeguet che, in probabile fuorigioco, sarebbe arrivato prima sulla respinta. Ma non c’è nessuna respinta. La parata è bella, esteticamente bella, e mette la palla sopra la traversa nell’unico modo possibile. “Sono stato bravo perché era la finale di un Mondiale” ha detto Gigi qualche giorno fa. “Se avessimo preso gol lì, forse non saremmo riusciti a ribaltarla”.
Tra l’esordio di Buffon a Mosca e Italia-Svezia sono trascorsi 20 anni e 15 giorni, e tutto questo tempo potrebbe averci fatto dimenticare cosa significa avere tra i pali semplicemente un portiere. Lo scopriremo, le partite e i tornei che aspettano la nazionale hanno ancora molto da rivelare su cos’è stato Buffon. Non solo per le parate. Non solo per la forza che dava alla squadra il solo fatto che ci fosse. Ma per come stava in campo, viveva la partita. Per come si prendeva responsabilità, e col tempo addirittura cura, della nazionale di calcio. Per come, in un certo senso, ci proteggeva oltre il suo ruolo. Per come cantava l’inno: la camera passava gli azzurri in carrellata, uno dopo l’altro, finché arrivava a Gigi e lo trovava a occhi chiusi, con quel vocione nasale, stonato, spesso fuori tempo, profondamente dentro il momento, e non c’era modo di pensare che qualcun altro potesse sentire quella partita più di lui. Lo vedremo cantare ancora, probabilmente in borghese, a bordo campo o sugli spalti di qualche partita futura. Forse lo capiremo in quel momento, che cosa è stato avere Buffon.