Messi ieri
di Alfredo Giacobbe
È difficile comprendere a pieno la grandezza di Lionel Messi, apprezzare del tutto la fortuna di vivere nell’epoca in cui ha vissuto il più grande calciatore di tutti i tempi. Pochi giorni fa Messi ha segnato una tripletta che ha portato l’Argentina al Mondiale di Russia 2018, dopo un percorso di qualificazione a dir poco complicato.
Tutti noi, però, ricordiamo l’iconica esultanza di Messi al Santiago Bernabeu lo scorso 23 aprile: la maglia tesa tra le due mani, per imprimere nella memoria dei nemici il nome e il numero del loro incubo più grande. Quel Clásico, nel girone di ritorno della Liga della scorsa stagione, non è stato decisivo per l’assegnazione del titolo, ma sono stati i novanta minuti che hanno sublimato, forse definitivamente, la grandezza di Messi. Il risvolto meno discusso di quella partita, però, è l’aver sancito ufficialmente la morte del gioco di posizione all’olandese come cardine del sistema tattico del Barça. I due eventi sono tra loro strettamente legati.
Quella notte Luis Enrique congedò gli ideali con i quali la squadra catalana ha cresciuto per decenni i suoi giocatori per arrivare al risultato affidandosi solo ed esclusivamente al talento di Messi. E l’azzardo funzionò: dalle scelte di formazione alle consegne in campo, tutto fu subordinato a Messi e alla sua ispirazione. Il Barcellona interruppe la spirale di risultati negativi, agganciò il Real in testa alla classifica e si convinse di aver riaperto il campionato.
Una delle esultanze più iconiche di Messi, successiva al gol del 2-3 realizzato al Bernabeu (Foto di Oscar del Pozo / Stringer).
Passata la sbornia, però, i nodi sono venuti presto al pettine: poco dopo quella partita, Luis Enrique fu costretto a stravolgere il suo sistema di gioco ancora una volta. Non un’operazione insolita per Lucho, che ha messo di continuo in discussione schemi e uomini nei suoi 3 anni al Barça. Ogni nuovo accorgimento aveva come unico scopo quello di massimizzare l'influenza di Messi sulla partita.
Facciamo ancora un passo indietro. All’inizio del suo triennio alla guida dei blaugrana, Luis Enrique sperimentò il 4-3-1-2 per un’intera estate. L'obiettivo era creare una connessione virtuosa tra i suoi uomini migliori: Messi, deus ex machina, alle spalle dei finalizzatori Neymar e Suarez. L’allenatore si rese conto di quanto fosse prevedibile la sua squadra - di fatto bastava chiudere il centro del campo per rendere gli spazi di manovra angusti, invivibili persino per quei tre fenomeni. La soluzione più immediata fu paradossalmente quella di allontanare Messi dalla porta, riportarlo sulla fascia destra per permettergli di mettere in mostra le sue doti di regista. Il ponte che Messi riusciva a creare con Neymar da una fascia all’altra costituì la fortuna del Barça di quegli anni.
Poi il Barça salutò Xavi e Luis Enrique portò queste idea ancora più alle sue estreme conseguenze, svuotando il centrocampo dei suoi compiti di cucitura del gioco. Il pallone avanzava sulla trequarti grazie alle connessioni tra Messi e Dani Alves, e grazie al solo dieci argentino per arrivare in porta. In tutti gli altri casi, se alla squadra non riusciva la risalita del campo per vie centrali, allora la palla doveva arrivare il prima possibile in avanti, a tre dei migliori attaccanti del mondo. Messi ha iniziato a stringere la sua posizione, all’inizio solo dopo aver ricevuto la palla sulla fascia; poi spingendosi al centro fin dall’inizio del possesso. Rakitic ne è diventato l’alter ego, sviluppando con l’argentino una simbiosi naturale: se Messi abbandonava l’ala destra, Rakitic si allargava sulla fascia per dare ampiezza; se Messi scendeva a reclamare il pallone, Rakitic andava ad affiancarsi a Suarez.
Queste soluzioni hanno funzionato fino a quando la struttura di squadra non si è indebolita troppo. Nel suo 4-3-3 il Barça era fragile, specie se attaccato con folate continue in ripartenza. Troppo compassato Rakitic nelle scalate in fascia, a formare una seconda linea da 4; troppo solo Busquets nel coprire un fronte ampissimo ad ogni cambio di possesso. Via libera dunque al 3-4-3 col centrocampo a diamante ispirato da Cruyff. In questo contesto Messi è stato messo al centro di tutto, vicino alle mezzali e con Busquets nel vertice opposto di questo rombo. Con ben tre riferimenti davanti a sé - Neymar, Suarez e Rafinha - che moltiplicano le linee di passaggio da disegnare. L’esperimento ha regalato al Barça una seconda, anche se effimera, giovinezza: con Messi più decisivo che mai, e con una tattica difensiva tanto semplice quanto efficace, basata sull'idea di perdere il possesso solo in zone molto avanzate, costringendo così gli avversari a dover risalire una enorme quantità di campo.
All'interno di questi continui mutamenti tattici le capacità realizzative di Messi sono rimaste invariate: 1,02 gol a partita nel 2014/15, 0,84 gol a partita nel 2015/16 (nonostante un grave infortunio), 1,04 gol a partita nel 2016/17. Di seguito cercheremo di capire attraverso le statistiche come Messi ha mantenuto una tale produzione offensiva, quali zone ha ricercato con più frequenza e quali gli sono risultate più redditizie. Un esercizio necessario per noi osservatori, anche se non potrà mai cogliere del tutto la genialità del suo talento: in fondo la verità la conosce soltanto lui.
La performance di Messi
di Erdi Myftaraga
Ho analizzato tutti i tentativi al tiro di Messi col Barcellona, cercando di cogliere le differenze tra una stagione e l’altra, con un attenzione particolare alle ultime tre stagioni complete. La prossima immagine mette a confronto le posizioni di tutti i tiri di Messi in queste stagioni.
I tiri presi da Messi nella Liga dal 2014/15 al 2016/17 (da sinistra a destra). Ad un grandezza maggiore del pallino corrisponde un valore di Expected Goal più alto.
Ad un primo sguardo, le mappe sembrano molto simili e identificare un pattern in ciascuna non è facile. Ad uno sguardo più attento però si nota come la distribuzione al tiro di Messi del 2014/15 è più stretta rispetto alle altre due stagioni. Sembra anche che la percentuale di tiri effettuati all’interno dell’area di rigore sia anche più alta nella prima delle tre stagioni prese in analisi. Sintetizzando, sembrerebbe che nelle ultime due annate Messi abbia effettuato tiri da distanza maggiore e, anche per questo, più difficili da convertire (date le basse probabilità di realizzazione calcolate con gli xG). Per avere una conferma delle mie ipotesi, ho quindi costruito una "curva di distribuzione".
Le 3 curve di distribuzione della distanza di tiro di Messi nelle tre stagioni in esame: sull’asse orizzontale la distanza dalla porta in metri, su quello verticale la percentuale cumulativa di tiri tentati.
Queste curve sono una rappresentazione visuale di come i tentativi di un giocatore sono distribuiti a seconda della distanza dalla porta. Le linee spostate più in alto e più a sinistra nel grafico indicano una produzione offensiva più a corto raggio; al contrario le curve che tendono all’angolo basso a destra indicano una tendenza a tirare più frequentemente dalla distanza. Nella stagione 2014/15 Messi si è effettivamente avvicinato alla porta, mentre le due stagioni successive sono molto simili tra loro (le loro curve si sovrappongono e hanno andamenti simili). Certe differenze diventano più evidenti se restringiamo il campo della nostra analisi.
Le curve di distribuzione per i tiri fino ad una distanza massima dalla porta di 10 metri.
La penetrazione del tiro di Messi è di gran lunga migliore nella stagione 2014/15, quella in cui il Barcellona ha vinto tutto. La distanza al tiro è uno dei fattori che influenza di più la qualità di una conclusione, misurata in termini di Expected Goals.
La prestazione delle ultime stagioni di Messi secondo gli Expected Goals.
Il grafico a sinistra mostra l’andamento medio della pericolosità al tiro di Messi. Il valore xG medio per ogni tiro effettuato da Messi è peggiorato nel corso degli anni: si è partiti da un valore di 0,174 xG per tiro del 2014/15 allo 0,137 del 2016/17. Il cambiamento è significativo e sta ad indicare che lui e il Barcellona hanno difficoltà a creare buone occasioni da gol. Per questo, probabilmente, Messi è per forza di cose portato a tentare tiri più difficili. La grandezza di Messi, in questo senso, sta nel mantenere inalterato nonostante ciò il volume delle sue marcature anno dopo anno. Come mostra la parte destra del grafico, Messi nell’ultima stagione è stato costretto a superarsi, andando oltre qualsiasi aspettativa e segnando 37 gol da 26,4 xG.
Messi futuro
di Alfredo Giacobbe
Alla luce di quanto detto, quale futuro aspetta Messi, a 30 anni compiuti, ma soprattutto alla sua tredicesima stagione al Barcellona, e alle soglie di quello che presumibilmente sarà il suo ultimo Mondiale?
È una domanda interessante da porsi alla luce dell’evoluzione sperimentata dalla sua nemesi Cristiano Ronaldo. Il portoghese del Real Madrid è più anziano di due anni e sta cambiando il suo gioco in reazione ai segnali che il suo corpo gli sta restituendo. CR7 per quasi tutta la carriera è stato un attaccante che partiva da posizioni larghe nella trequarti offensiva per poi accentrarsi. Eccessivo in tutto, soprattutto nei tentativi al tiro: il volume di gioco che Ronaldo produceva era enorme e necessario per tenere alto il numero di gol.
CR7 ora sta via via accentrando la sua posizione, una trasformazione evidente nell’ultima stagione ma iniziata già da qualche tempo. Cristiano agisce da prima punta mobile, annullando quasi del tutto i rientri difensivi, riducendo gli scatti all’essenziale e tentando meno dribbling e conclusioni. Ha razionalizzato il suo gioco, insomma, ribaltando il tavolo con un’efficacia mai avuta prima. Si potrebbe ipotizzare che, per rendere ancora più longeva e prolifica la sua carriera, Ronaldo debba avvicinarsi ancora di più alla porta, giocando le ultime stagioni da vero e proprio attaccante d’area: fortissimo di testa e spietatamente opportunista. È possibile prevedere un’evoluzione simile per Leo Messi?
In queste prime uscite del nuovo Barça di Ernesto Valverde abbiamo assistito ad un tentativo di restaurazione del gioco di posizione, perpetrato attraverso il ritorno al 4-3-3. Insieme al 4-3-3, però, sono tornati anche i problemi in transizione negativa, nonostante i palliativi adottati da Valverde (terzini più stretti e più bassi, oltre all’ormai solito sacrificio in fascia di Rakitic).
L’infortunio di Dembelé ha poi costretto Valverde a virare verso il 4-4-2. In entrambi i casi l’habitat naturale di Messi non è variato: la posizione centrale tra le linee è la sua riserva di caccia, la “tasca” compresa tra i due centrali difensivi e le due mezzali. Messi, d'altra parte, ama partire da posizioni profonde a centrocampo, battere il marcatore diretto e usare i compagni come sponde per arrivare al tiro in corsa da posizioni centrali. Il suo talento trova pieno compimento in questi movimenti ed è quindi difficile immaginare che vi possa rinunciare.
Messi quest'anno attacca l’area di rigore partendo da posizioni ancora più profonde (la shot location di quest’anno ne dà conferma), ma la sua magia sembra potersi ripetere per sempre. Anche se il rapporto tra xG e tiri si è contratto ancora, confermando la tendenza delle ultime stagioni, la capacità di Messi di convertire in rete le occasioni che si crea è ai migliori livelli della sua carriera. Messi ha segnato 10 reti (più 1 rigore) da 7,1 xG: attualmente, in Europa, solo Pierre-Emerick Aubameyang ha ricavato un valore superiore di xG dai suoi tiri (8,3), con la differenza però che l’attaccante del Borussia Dortmund ha segnato 2 gol in meno (al netto sempre dei 2 rigori segnati).
La cosa interessante nei prossimi anni sarà vedere come Messi reagirà al logorio fisico degli ultimi anni della sua carriera, che forse faranno venire meno due degli innumerevoli punti di forza del suo gioco - la capacità di girarsi in un fazzoletto dopo aver ricevuto il pallone spalle alla porta e l'accelerazione. Forse dovrà rassegnarsi ad avvicinarsi alla porta, e trasformarsi come Cristiano Ronaldo in una prima punta. Oppure potremmo assistere ad una evoluzione all’indietro: Messi che si trasforma in una mezzala destra di possesso, con un gusto raffinato per l’assist e con la possibilità di far male ancora da fuori area o da palla inattiva. Forse è una prospettiva azzardata, poco realistica rispetto alle sue capacità realizzative sovrannaturali. Ma qualunque espediente che servisse ad allungargli la carriera, a farci apprezzare il suo talento anche solo per qualche anno in più, sarebbe alla fine ben accetto.