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La lista della fine del mondo pt.5
31 dic 2014
È la fine del mondo, è la fine dell’anno, ed è ora di classificarne ogni aspetto. In questa quinta parte della nostra maxilista apocalittico-annuale: Nicola Bozzi sceglie gli stand-up dell'anno, Lorenzo Neri elegge i migliori giocatori non-americani in Nba, Martino Simcik Arese elenca le migliori coreografie dei tifosi di calcio, Matteo Gagliardi confessa i libri che ha sempre fatto finta di leggere ma che ha letto solo nel 2014, e Daniele Manusia costruisce la squadra di calciotto perfetta.
(articolo)
30 min
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Qui trovate la prima parte della lista.

Qui la seconda e qui la terza.

Qui, invece, la quarta.

I migliori spettacoli di stand-up che ho visto nel 2014

di Nicola Bozzi

1. Bill Burr

Bill Burr è uno dei pochi che è andato su Comedians in Cars Getting Coffee e ha messo al suo post Seinfeld, nel senso che per una volta il Gesù Cristo delle sitcom anni '90 ha dovuto lasciar parlare un ospite più di se stesso. Burr è pallido e se lo vedi dal vivo è pure piccolo (pure lui è passato ad Amsterdam quest'anno, pure lui lasciando un cratere di spaccume), ma ha un carisma e una voce che da Let It Go (lo special del 2010 che sta a lui come Shameless sta a Louis CK) è sempre più difficile ignorare. Sicuramente l'ha aiutato apparire in Breaking Bad come uno dei "collaboratori" di Saul Goodman, ma pure lui è uno stand-up professionale che sa scrivere e stare sul palco come pochi altri. Il suo ultimo special è uscito quest'anno per Netflix e si chiama I'm Sorry You Feel That Way. Dentro c'è Burr che conferma sempre più la propria persona comica: un uomo del Massachussetts che cerca di far quadrare i dogmi della mascolinità con un mondo sempre più politically correct e un matrimonio ormai inevitato che detta legge sulla sua vita. Il buon Bill raggiunge vette di oscura lucidità tipo questa, quasi alla Doug Stanhope.

2. Todd Barry

Metto Todd nella lista a prescindere dall'anno, anche se per coincidenza se lo merita. Grazie alle comparsate in Louie e a Comedians in Cars Getting Coffee (l'episodio tra tutti in cui Seinfeld oscura di più l'ospite di turno) l'uomo capace di spremere una punchline per minuti interi sta finalmente diventando una figura pop di cui posso parlare senza far scendere immediatamente il silenzio (in Italia una sua battuta era apparsa già nel 2009 se non erro, in un libro di Luttazzi). Quest'anno complice alla sua ascesa è l'uscita (sul sito dell'amico Louis CK) del suo The Crowd Work Tour, uno special che documenta un esperimento piuttosto singolare: Todd ha fatto due interi tour senza preparare alcun materiale, semplicemente cazzeggiando con il pubblico. Chi ama la sua delivery rilassata, basata su ripetizioni e pause, capisce come questo possa avere particolare senso per lui. La verità è che lo special non fa tanto ridere, ma quest'anno ho avuto la fortuna di vederlo live al Boom Chicago di Amsterdam, con materiale scritto e completamente nuovo, e ha spaccato. Todd Barry è uno stand-up puro, il suo podcast non è lontanamente interessante come quello di Marc Maron o altri comici, ma per sua fortuna continua a fare tour, che è quello che gli riesce meglio.

3. Hannibal Buress

Forse lo conoscete come il comico che ha recentemente sputtanato Bill Cosby in un suo bit, ricordando ai media che hey, il signor Robinson ha ricevuto parecchie accuse di stupro e quindi forse non incarna più il gold standard di maschio afroamericano responsabile. Nemmeno Buress è chissà chi, se non un comico che spacca. Dai tempi dell'Awkward Comedy Show e dell'Eric André Show fa parte di quella generazione di comici afroamericani che per prima cosa vogliono far ridere bene, senza troppe pippe sull'identità. Piaccia o non piaccia, Buress ha un fare e una cadenza piuttosto unici, difficili da spiegare, oltre a un modo tutto suo di apparire rilassato sentendo contemporaneamente il bisogno di spiegare alcuni aspetti delle proprie battute. Guardatevi questo video dalla sua ultima fatica, Hannibal Buress: Live from Chicago.

4. Doug Stanhope

Doug Stanhope è Bill Hicks se il cancro non l'avesse intenerito verso la fine. Quando non scommette su quali celebrity moriranno durante l'anno in corso (sul suo Celebrity Death Pool) Doug è uno dei più prolifici, ma senza tutto l'hype che circonda lo stakanovismo di Louis CK. Decenni di abusi relativamente impuniti hanno portato questo rottame d'uomo allo zenit dell'oscurità, cristallizzata nel suo ultimo special, Beer Hall Putsch. Lo special è del 2013, ma come dicevo lui fa uscire talmente tanta roba che ero rimasto indietro. Insomma, in Beer Hall Putsch c'è un pezzo in cui racconta il modo in cui ha assistito (nel senso che l'ha aiutata) il suicidio della propria madre. Sta alla stand-up come The Act of Killing sta al cinema, quindi ascoltatevelo.

5. Kumail Nanjiani

Anche Beta Male è uscito l'anno scorso, ma Kumail quest'anno era in Silicon Valley quindi è ufficialmente diventato rilevante. A Kumail Nanjiani gli voglio istintivamente bene perchè se guardate la sua stand-up è come se il leggendario "Foreign Man" di Andy Kaufman (il primo personaggio che lo ha reso famoso, quello imbarazzante che poi ti sorprendeva con la sua imitazione accuratissima di Elvis) fosse diventato una persona vera, e venisse dal Pakistan. In questo clip ci trovate la prova che lui è più attaccato alla propria personalità nerd che al background culturale.

6. Maria Bamford

La quota rosa di questa classifica va a uno special già vecchiotto di un paio d'anni, che però ho visto solo quest'anno: The Special Special Special di Maria Bamford. Lei appariva insieme a Zach Galifianakis, Patton Oswalt, Brian Posehn e un paio d'altri in The Comedians of Comedy, una celebrazione della comicità alternativa americana (con centro gravitazionale in California). La Bamford è letteralmente malata di mente e se vi guardate lo special, che ha luogo a casa sua, davanti ai suoi genitori come unica audience, la cosa è evidente.

7. Wyatt Cenac

Questo corrispondente del Daily Show ha uno stile molto pulito e hipster e il suo secondo special, Brooklyn, rispecchia entrambi gli aspetti. Per prima cosa c'è da dire che l'ha diretto lui ed è esteticamente fatto meglio della maggior parte della stand-up che si vede in giro, incluso il promo che gira su YouTube e che linko perchè estratti non ne trovo. Il primo special non mi era piaciuto granchè, ma in questo secondo i temi sono più personali e c'è persino un bit in cui parla di suo padre morto ammazzato, con un lieve fattore Stanhope quindi.

Giocatori NBA non americani a cui bisogna prestare molta attenzione

di Lorenzo Neri

6. Matthew Dellavedova (Cleveland Cavaliers)

Lo vedi entrare in campo che sembra non c’entri niente con il resto della squadra, soprattutto in quella squadra dove ci sono LeBron, Love e Irving, tre giocatori supertalentuosi che sembrano nati per giocare a basket. Dellavedova – con l’accento sulla o – entra, mette in bocca il suo paradenti e inizia a giocare duro, soprattutto in difesa, dove è già riconosciuto come uno dei giocatori più difficili da affrontare. Con poco talento, un fisico e caratteristiche atletiche al di sotto della media della Lega, ma un cervello e un cuore che lo portano a superare questi limiti.

A Cleveland lo amano per la generosità che mostra in campo, i compagni lo adorano per l’etica, coach Blatt lo apprezza per il contributo significativo ogni volta che scende in campo (quando lui è in campo l’efficenza offensiva degli avversari passa da un valore di 106.1 a uno di 101.5).

Insomma... Everybody loves Delly!

5. Rudy Gobert (Utah Jazz)

I lunghi spagnoli, gente del calibro dei due Gasol e Ibaka, probabilmente se lo stanno ancora sognando dopo i quarti di finale degli ultimi Mondiali in cui facevano gli onori di casa. Il lungo francese in quella partita fu tentacolare, sfruttando sempre nel migliore dei modi i suoi 225 centimetri di apertura alare sotto canestro, in un upset (fin dall’inizio del torneo non si parlava d’altro che della finale tra Spagna e Team USA) che verrà ricordato per molto tempo.

Da quel momento si è avuta l’impressione che fossimo davanti a un approccio mentale differente da parte di Gobert, come se fosse pronto per il passo successivo, ed infatti a Salt Lake City c’è chi richiede che gli venga aumentato il minutaggio dopo un inizio di stagione incoraggiante. D’altronde, anche le cifre sono dalla sua, con gli avversari che quando lo trovano a presidiare l’area tirano meno vicino a canestro (dal 33% al 28% delle conclusioni totali) e tirano peggio (dal 64.4% al 56.6%).

Sarà molto interessante seguire il processo di crescita di questo spilungone francese.

4. Donatas Motiejunas (Houston Rockets)

Dopo aver passato due anni ai margini della rotazione dei lunghi dei Rockets, il lituano si è presentato quest’anno in condizioni veramente ottime, come dimostra la maggior fiducia di coach McHale che gli ha raddoppiato il minutaggio medio avuto nelle stagioni precedenti.

Il Motiejunas insicuro, pavido e scostante ha lasciato il campo a un giocatore ben più convincente e deciso in vari aspetti del gioco, in particolar modo migliorando il suo coinvolgimento offensivo mostrando non solo il tiretto con cui si risparmiava molte sportellate vicino a canestro, ma anche un gioco in post diventato un’arma importante per i Rockets, soprattutto quando hanno dovuto fare a meno di Howard.

Con l’arrivo di Josh Smith nel suo ruolo rischia di vedere limitato il suo tempo in campo, ma non renderà sicuramente la scelta facile con ciò che ha fatto vedere in queste prime partite.

3. Dennis Schröder (Atlanta Hawks)

Uno dei segreti della grande stagione degli Hawks passa dall’evoluzione di questo talento tedesco, che nel giro di un anno è passato dall’essere un brutto anatroccolo a livello tattico — per l’incapacità di segnare da fuori ed agire senza palla in mano — a splendido cigno in uno dei sistemi più sottovalutati di tutta la NBA. Artefice di questo cambiamento non può che essere coach Budenholzer, che in un sistema più portato alla circolazione di palla è riuscito a trovare spazio per far giocare Schröder come piace a lui, imitando il suo idolo Rajon Rondo. Questo accorgimento lo ha trasformato, dandogli molta più libertà di azione e una fiducia che non si era mai vista, diventando così uno dei cardini non solo del presente della squadra della Georgia ma anche del futuro, considerando l’età (21 anni) e gli ampi margini di miglioramento.

Intanto si è tolto qualche soddisfazione proprio davanti al suo eroe, Rajon.

2. Steven Adams (Oklahoma City Thunder)

La Nuova Zelanda è una nazione fondata sul rugby e su questo ci sono ben pochi dubbi. Ma cosa succede quando tradizioni e durezza fisica e mentale di questo nobile sport vengono inculcate all’interno di un uomo di 7 piedi con il corpo di marmo e una particolare inclinazione alla pallacanestro? Beh, in questo caso abbiamo Steven Adams.

Il centrone dei Thunder dà l’impressione di essere quel centesimo che da troppo tempo serve alla franchigia per completare quel maledetto dollaro, che in termini cestistici significa arrivare all’anello. Adams è un lungo statuario capace di dare grande difesa e il suo coinvolgimento in attacco è sempre più in evoluzione. Al momento ha soffiato il posto di titolare al sempre criticato Kendrick Perkins, dà nuova linfa alle speranze della squadra e si è fatto un bel po’ di nemici in neanche un anno e mezzo di militanza con il suo gioco duro e sempre al limite del regolamento - ne sanno qualcosa Nick Young, Zach Randolph e Vince Carter – e si candida ad essere uno dei migliori personaggi dei prossimi anni.

1. Giannis Antetokounmpo (Milwaukee Bucks)

O semplicemente Giannis. O semplicemente The Greek Freak, come a lui piace presentarsi. Soprannome azzeccato come pochissimi, il greco di origini nigeriane infatti è una sorta di scherzo ben riuscito da Madre Natura, che in un ragazzo di 2 metri e 10 ha messo coordinazione e agilità degne di una guardia, velocità da ottocentista e falcate da salto triplo. Una combinazione che porta a movimenti mai visti prima come coast-to-coast con soli 2 palleggi o eurostep direttamente dalla linea del tiro da 3 punti. Movimenti mai visti prima per un giocatore mai visto prima, per lui che ha passato l’infanzia a fare il venditore ambulante per le strade dell’acropoli di Atene ed è stato scoperto nella seconda lega greca dal nulla.

Al momento è un personaggio culto in NBA, ma c’è il rischio che in poco tempo si inizi a parlare del perno su cui gira attorno tutta la nuova generazione di talenti.

Le cinque migliori coreografie del 2014

di Martino Simcik

1. L’Al Ahly SC è la terza squadra più titolata al mondo, con una bacheca di ben 130 titoli dal 1907 ad oggi. Dopo la sospensione del campionato durato più di un anno a seguito del coinvolgimento degli Ultras del Cairo nella rivoluzione Egiziana, e la strage di Port Said, i Tifosi dell’Al Ahly, Ultras Ahlawy, hanno celebrato la riapertura dello stadio per la finale della CAF con una coreografia dedicata a loro stessi. Una vera e propria celebrazione del tifo, in cui si vede apparire la scritta “Per i Tifosi” in ben sette lingue diverse. Un messaggio è indirizzato ai sistemi di potere.

2. La cultura del tifo e degli spalti colorati trova le sue origini tra l’Argentina e l’Inghilterra. Lo storico allenatore dell’Inter, Heleno Hereira fu il primo a portare in Italia il concetto del tifo organizzato, tentando di creare una via di mezzo fra gli hooligans, e gli aficionados. Oggi, da anni ormai, la partita più colorata del bel paese è il derby della lanterna fra Genoa e Sampdoria. In questo video ci sono tre settori da segnalare. I tifosi ospiti della squadra blu-cerchiata aprono con “Carica il nemico…fai tua la battaglia”. A cui i tifosi di casa rispondono con il tricolore sopra la scritta “prima squadra d’Italia” e in curva “l’unica squadra di Genoa” che incornicia la bandiera della città. La dimostrazione d’appartenenza messa in atto in questa scena è esemplare del campanilismo italiano che nel calcio diventa forma d’arte.

3. Dopo la prima retrocessione del River Plate, storico rivale del Boca, i tifosi conosciuti come i River Gallinas, hanno accolto la loro squadra nella semi-finale della coppa sud americana con una bolgia delirante. I Millionarios sono stati ricevuti da più di 65 mila tifosi nello stadio El Monumental di Buenos Aires con, bombe-carta, fumogeni, carte colorate, fuochi d’artificio e cori a 360 gradi. Il modo giusto per festeggiare il ritorno di un confronto fra due squadre molto amate dai loro tifosi e rivali, dopo un anno di digiuno.

4. In Turchia le squadre di calcio sono delle istituzioni a cui appartengono scuole, università, e club sociali. L'UltrAslan, l’unico gruppo ufficiale dei tifosi del Galatasaray, ha creato un vero capolavoro per l’arrivo dei tifosi del Borussia Dortmund utilizzando tutti i metodi di tifo a loro disposizione. Lo stemma del club è usato come sottofondo per le immagini degli storici giocatori Gündüz Kılıç, e Metin Oktay, accanto al fondatore Ali Sami Yen. Una coreografia eccezionale che tenta di ricordare ai propri giocatori la storia del club, dimostrando agli ospiti tedeschi, famosi per le loro coreografie, che anche in Turchia ci sanno fare. Questa meravigliosa immagine è accompagnata dal coro “the conquest of paradise”, un riferimento al grande sogno di vincere la Champions League e arrivare ai vertici del calcio europeo.

5. Gli ultras in Danimarca sono molto conosciuti per le loro coreografie elaborate. Spesso i club sostengono le tifoserie e nel maggio scorso, durante l’incontro fra Copenaghen e Brondby, i tifosi del Copenaghen hanno creato una coreografia particolarmente creativa, con un cannone che colpisce lo stadio dei loro rivali. Poi parte un’immagine dello stadio in fiamme, e dopo ancora la scritta “Copenhagen è nostra!”. Questo è un esempio di come ci si possa esprimere sugli spalti non solo con un'immagine ma con una vera e propria performance.

6. La coppa Cascadia è un premio fondato dai tifosi delle tre squadre di quella regione, i Timbers di Portland, i Sounders di Seattle e i White Caps di Vancouver, con la quale si premia la squadra che finisce con più punti negli scontri diretti. Gli Emerald City Supporters (ESC), il gruppo Ultras dei Seattle Sounders, si sta rapidamente affermando come il punto di riferimento per il tifo Nord Americano. Nel derby contro Vancouver la scorsa stagione, i ragazzi del ESC hanno deciso di creare una mappa della loro regione, dimostrando di essere il vero tesoro delle curve della MLS. Questa coreografia entra in classifica per il contesto di un paese che ancora sta imparando il tifo organizzato, e lo fa riferendosi esplicitamente alla cultura locale, non copiando idee dall’Europa. In più, i Sounders giocano in uno stadio di football americano, rendendo l’esecuzione di questa coreografia ancor più difficile.

I libri che per una vita ho finto di aver letto, ma che ho aperto per la prima volta nel 2014

di Matteo Gagliardi

L'idea di un confiteor di fine anno nasce da un gioco che faccio da troppo tempo con il mio amico F. Quando non vado al cinema o sono insieme a una ragazza, i film li vedo quasi sempre a casa sua. Nel salotto di F. quando iniziano gli scrutini della pellicola, al suo elenco di proposte, "Scorsese, Cimino, De Palma, Fellini", il mio controcanto è “già visto, già visto, già visto, già visto”. A forza di menzogne, i film, che iniziamo a vedere all'una di notte, alla fine sono sempre "i college movie dove ci sta la fica": l'unico, giusto vezzo, a quel punto della serata e della vita, di un intellettuale come me che ha "già visto" tutto il cinema impegnato d'autore. Poi però a casa, da solo, mesi dopo, mi vedo per la prima volta quei film-bugie e chiamo F. al telefono: “Non sai che filmone che ho visto ieri. Una dimenticanza clamorosa. Non ti dirò mai il titolo, troppa vergogna!"

I libri, allo stesso modo, si dividono in "libri che ho letto" e in "libri che ho letto, ma tanto tempo fa e non mi fate domande perché non mi ricordo niente". In Italiano sono stato un enfant terrible: fin dai tempi del ginnasio—quando ho imparato a improvvisare, dopo l'estate, su Federigo Tozzi o Fausto Brizzi— sono stato educato alla cazzata. Poi a Lettere, all'Università, mi sono impratichito. Fingevo in scioltezza, talmente scaltro da riuscire a laurearmi alla magistrale di Italianistica senza aver mai dovuto sostenere un esame su Dante.

Fino a oggi, il giorno in cui mi presento spontaneamente alla vostra giustizia. Non scappo più e ho iniziato il mio piano di lettura di tutte le menzogne passate. E mentre sfoglio questi classici-fuori-tempo-massimo realizzo che la cosa che mi manca di più è il non aver potuto condividere con nessuno il mio entusiasmo o la mia delusione, quando c'era l'occasione di farlo. Ora che nessuno mi chiede più cosa penso di Federigo Tozzi o di Fausto Brizzi, io voglio dire la mia. Ecco allora la lista.

Rumore bianco (D. DeLillo)

Il rapporto con questo libro è stato difficile da subito. A casa lo portò mio padre, in un'edizione dei Classici del Novecento da comprarsi esclusivamente in abbinamento a La Repubblica. È rimasto fermo al suo posto, nello stesso scaffale della libreria dedicato alle brutte edizioni, tra Duras e Saramago, dal 2002, con un'orribile sovraccoperta verde clorotica e sulla copertina un'immagine scoraggiante di un frigo aperto.

L'ho preso in mano quando i miei amici hanno smesso di citarlo, dieci anni più tardi. È stato un caso. Stavo rileggendo DFW, che nel suo saggio E Unibus Pluram, Gli scrittori americani e la televisione parlava proprio di DeLillo, riportando una lunga citazione da Rumore Bianco; e così mi sono ricordato del frigorifero lasciato aperto.

Le pagine, mentre le sfogliavo, scrocchiavano come nuove; ma dopo anni di Nabokov, Eggers, Ballard, Barth, Egan, Saunders e Burroughs, la carta di quel capostipite del postmodernismo che è Rumore Bianco in realtà si era soltanto rinsecchita.

Sherlock Holmes (A. C. Doyle)

Ecco un esempio di "libro per l'infanzia non letto, perché non ho avuto un'infanzia". Insieme a Dahl, Doyle è stata una scoperta tarda. Di Sherlock Holmes avevo un'idea talmente definita che non ho mai sentito la necessità di leggerlo. Mi sembrava di sapere già tutto, e non avevo voglia di indagare in profondità il perché di quella mancanza così strana. Grazie al mio analista freudiano ho ripreso in mano i ricordi e quell'edizione gialla ed elefantiaca di Tutti i racconti di Sherlock Holmes. Non sono riuscito a superare il primo, "Uno studio in rosso", ma almeno ho capito quello che mi sono perso.

Il processo (F. Kafka)

Pa-zze-sco! Talmente bello che quando l'ho finito sono andato subito a comprare Il castello.

Il mondo nuovo (A. Huxley)

Ero così impegnato nell'abusare del termine distopico che non ho avuto tempo di leggere Il mondo nuovo. Quando mi sono accorto però di aspettare con ansia il terzo capitolo di Hunger Games mi sono dato una calmata, e in colpa per Huxley mi è sembrato giusto aprire quell'agile libretto che mio fratello aveva comprato anni fa. La lettura è stata la più dura del mio 2014. Mentre annaspavo tra le pagine, mi ripetevo "è degli anni 30, contestualizza e non mollare, contestualizza e non mollare...". Ma quando sei arrivato quasi ai trent'anni l'ultima cosa che vuoi fare è contestualizzare. Così ho provato ad alzarmi alle sei del mattino, per una settimana, con la speranza di togliermelo di mezzo prima di pranzo; ma la sera, quando andavo a dormire, sul comodino, la mano con sfera riflettente di Escher era ancora lì a ghermire i miei sogni e il giorno dopo. Avrei dovuto leggere 1984, a saperlo prima!

La coscienza di Zeno (I. Svevo)

Quando l'ho aperto, poche settimane fa, mi sono accorto che c'era un'orecchia. La piega era alla trentesima pagina, al capitolo "La morte di mio padre".

Un altro io lo aveva aperto anni prima, ma non ricordavo nulla di quel momento. Davvero avevo cominciato a leggerlo? Strano... al liceo la professoressa di Italiano, l'ultimo anno, aveva deciso di fare le interrogazioni programmate per semplificarci le cose; non era necessario studiarlo, io dovevo preparare Pavese. All'università poi nessuno ne sapeva niente, tutti presi da Pasolini e Foscolo e i poeti della resistenza. Tra gli amici pochissimi leggevano roba italiana e nei manuali degli scrittori quasi mai lo si citava come lettura istruttiva o modello di prosa.

Ma rivedendo quel segno a pagina trenta de La coscienza di Zeno, mi è stato d'un tratto tutto chiaro: quell'io che, in un momento oscuro della vita, aveva provato e aveva fallito, aveva anche capito che nessuno gli avrebbe mai chiesto di leggere per davvero i libri. E se avessi dato retta al mondo, avrei potuto benissimo continuare a fingere anch'io.

Gli 8 calciatori del 2014 (aka la mia squadra di calciotto dell'anno)

di Daniele Manusia

L'idea di scegliere la squadra di calciotto dell'anno è dovuta al rifiuto delle convenzioni delle classe top 11, con i giocatori schierati nel classico 4-4-2 e l'illusione di oggettività che ne dovrebbe derivare. Non si scappa dalla soggettività e tanto vale abbracciare la contraddizione di fondo che non permetterà a nessuno di voi di condividere pienamente le mie scelte. Nell'ultimo anno il calciotto ha rappresentato una parte importante della mia vita e credo davvero che sia il formato migliore per fare da ponte tra il calcio vero e quello che il nostro fisico e la nostra tecnica ci permettono (di passaggio: che senso ha giocare a 11 in 3a categoria su campi in terra con gente che non fa 3 passaggi di fila?).

Nello scegliere tra i giocatori migliori del 2014 ho tenuto conto di due cose. Innanzitutto delle caratteristiche richieste dal modulo, in modo che formino una squadra che virtualmente potrebbe scendere in campo. La mia squadra ideale di calciotto deve giocare come la mia squadra reale di calciotto. Quindi, tanto per cominciare, il modulo base è il 4-2-1: due difensori centrali (nella mia numerazione indossano il 5 e il 6), due terzini a tutta fascia (il 2 e il 3), un centrocampista che resti vicino alla difesa (4), un trequartista (8) e una punta (9); più, ovviamente, il portiere (1). Secondo poi, mi sono fatto la domanda che mi farei nella vita reale se avessi il potere di convocarli davvero: con questi ci vorrei giocare tutte le settimane?

Ecco la mia squadra del 2014 (se non siete d'accordo e non vi fa troppo incazzare sarei felice di leggere le vostre squadre preferite del 2014 nei commenti):

1) Tim Howard (Everton e Team Usa)

2) Philip Lahm (Bayern Monaco e Germania)

3) Marcelo (Real Madrid e Brasile)

4) Slippy G (Liverpool e Inghilterra)

5) Billy (Torpignattara)

6) Daley Blind (Ajax, Manchester United e Olanda)

8) Di Maria (Real Madrid, Manchester United e Argentina)

9) Graziano Pellé (Feyenord, Southampton e Italia)

Non avendo scelto i giocatori più forti in assoluto mi rendo conto che in un'ipotetica finale di Champions League del calciotto, da giocare a Tor di Quinto (che è la zona di Roma con più campi) la mia squadra non potrebbe puntare al 60-70% di possesso palla. Pragmaticamente, anzi, sarei per impostare una partita con il baricentro basso, lasciando l'iniziativa agli avversari. In questo caso, il portiere che ci serve non è uno sweeper keeper ma uno che sappia far fronte a una pioggia di palloni. Le 16 parate che quest'estate Tim Howard ha effettuato contro il Belgio, record di una partita di Mondiale, sono già entrate nell'immaginario di un pubblico magari più interessato alle gif (qui se volete c'è un video in cui si capisce di più) o al meme #ThingsTimHowardCouldSave (i miei preferiti sono quello in cui Tim Howard para Bambi sul lago ghiacciato e quello in cui Tim Howard para Miley Cirus a cavallo della sua palla demolitrice) ma rappresentano esattamente quello che io chiederei al mio portiere.

Nessuna di esse è un miracolo, il compito di far tirare gli avversari da una posizione defilata o da fuori spetta alla nostra difesa, il portiere però deve saper resistere a un quantitativo anormale di tiri. Dato che Tim Howard dice i sintomi della sindrome di Tourette si calmano anziché aumentare quando deve parare, il nostro potrebbe essere davvero il matrimonio perfetto.

Come detto, molto dipende dalla difesa. Sopratutto dal difensore a cui sono affidati i compiti di marcatura, quello che dovrà annullare francobollandola la punta avversaria. Nella mia squadra ideale del 2014 questo ruolo spetta a Billy.

Billy l'ho conosciuto in una partita mista trentenni/sessantenni che si gioca tutte le domenica mattina a Torpignattara. Gioca centrale di difesa, ha più di 65 anni ed è impossibile da saltare nell'uno contro uno. Dico sul serio, l'ultima partita contro di lui giocava un ragazzo che non era mai venuto prima, all'inizio della partita sembrava divertito dalla situazione e non protestava sui calci. Forse pensava che in campo aperto lo avrebbe superato facilmente, o che a un certo punto Billy avrebbe mollato la presa, che si sarebbe stancato o ammorbidito, magari che gli avrebbe concesso qualche fallo. Ma niente: non ha toccato palla tutta la partita e gli sono stati concessi solo i falli più plateali. Anche se Billy nello spogliatoio si complimentava con lui perché avevano dato vita a un bel duello, quello ed è andato via scuro in volto. Billy non è sempre scorretto, anzi prova spesso l'anticipo pulito, con i gomiti forse un po' larghi, ma in campo aperto se la palla lo supera e l'avversario prova a girargli intorno lui mette il corpo di traverso e guarda solo le gambe preparandosi all'impatto. Billy non è un vecchio coatto romano, è veneto e vive a Roma da trent'anni per motivi di lavoro, fuori dal campo è persona educata. La scorsa partita a fine primo tempo l'ho visto abbaiare a un cane randagio dietro la rete del campo. Mi dispiace non potervi mostrare qualche azione, ma il miglior difensore che io ho visto giocare nel 2014 è sul serio Billy (altrimenti avrei scelto Manolas, Godin, oppure Mascher-ano).

Vicino a uno come Billy c'è bisogno di un giocatore capace di tappare eventuali buchi sugli inserimenti. Nella mia squadra ideale del 2014 questo ruolo è ricoperto da un giocatore che ha dimostrato di poter fare tutti i ruoli: Daley Blind.

Dopo aver giocato un Mondiale quasi perfetto (e aver dato la palla incredibile per il gol incredibile di Van Persie contro la Spagna) Blind ha compiuto il grande passo dall'Ajax al Manchester United, e nel primo periodo di difficoltà generale ha tenuto lui buona parte del peso della costruzione che Van Gaal aveva in mente. Va anche detto che se a calciotto quasi nessuno gioca con due difensori centrali è perché spesso significa rinunciare in partenza a un uomo in fase offensiva, per cui Blind è libero di salire sulla linea del centrocampo con e senza palla, tanto Billy lo puoi lasciare da solo uno contro uno anche sulle ripartenze. Per completare il triangolo davanti alla porta che dà equilibrio al resto della squadra serve un centrocampista che si prenda parecchie responsabilità e, nel bene o nel male, questo ruolo nel 2014 non è rappresentato da nessuno meglio che da Steven Gerrard, aka Slippy G.

Anche se una parte di me pensa che con il discorsetto precedente al famoso scivolone (quello: “This does not fucking slip”) se lo sia meritato, non posso non provare empatia e struggermi al pensiero di un capitano, una leggenda, punito in maniera così severa e crudele dal karma. Per questo scelgo Slippy G come pietra angolare del centrocampo della mia squadra ideale. Perché scelgo di non schiacciare un uomo sotto il peso di un singolo momento, pensando alla grande annata che aveva avuto prima che un dio cinico e meschino mettesse un'invisibile buccia di banana sul suo cammino; a che grande storia sarebbe stata se a 34 anni avesse vinto la sua prima Premier League con l'unica squadra di cui ha indossato la maglia. Inoltre, il 4-2-1 diminuisce le distanze da coprire e i limiti di dinamismo di Gerrard si vedrebbero meno che nel 4-3-3 di Rodgers.

A questo punto devo pensare alle fasce. Un solo uomo per lato significa che il terzino deve fare entrambe le fasi, oppure che uno dei due faccia meglio l'uno che l'altra. Opto per questa seconda soluzione e comincio scegliendo un terzino intelligente tatticamente che sappia capire quando è il caso di andare e quando restare e a cui si possa anche chiedere di impostare: Philipp Lahm.

Parlando in una sede informale con un giornalista sportivo della carta stampata, quando è uscita la prima lista di candidati al Pallone d'Oro 2014, ho detto che mi sarebbe piaciuto che lo vincesse Lahm, e quello ha risposto: “Ah, così. Alla Cannavaro”. (Nel senso che, secondo lui, volevo che lo vincesse il difensore/capitano della squadra che ha vinto il Mondiale). Per altri Lahm è un calciatore da football hipster, perché Guardiola ha detto che è intelligente, perché tecnico ed elegante. D'altra parte si sa che il calcio giocato bene piace solo ai fighetti. Ma Lahm è un giocatore raro nel contesto di un calcio iper-atletico come quello contemporaneo, che a dispetto di doti atletiche mediocri può giocare più o meno dappertutto e ambire ad essere il migliore al mondo in ogni ruolo. La frattura alla caviglia, dopo l'addio alla Nazionale, ha aggiunto un retrogusto nostalgico al suo 2014.

Dall'altra parte invece ho scelto un terzino quasi solo offensivo come Marcelo, un po' perché lo può coprire Blind, un po' perché altrimenti attacchiamo solo con due giocatori.

Le due immagini del 2014 di Marcelo sono contrastanti: il gol del 3-1 in finale di Champions League e l'autogol che ha cominciato il Mondiale del Brasile davanti al suo pubblico, cattivo presagio di ciò che sarebbe arrivato più tardi. Poche ore dopo l'autogol Marcelo ha perso il nonno che gli ha permesso, sostenendolo economicamente, di diventare un calciatore. A ventisei anni ha vinto tutto quello che a livello di club (nel 2014 ha aggiunto la Champions League e il Mondiale) e anche se probabilmente esagerava Roberto Carlos quando diceva che Marcelo è più tecnico di quanto non lo fosse lui (come se non sarebbe bastato indicarlo come proprio erede) di terzini sinistri migliori in fase offensiva, oggi come oggi, non ce ne sono molti. Il terzino è un ruolo che si è evoluto più lentamente degli altri dopo essersi evoluto più velocemente (giocatori completi come Maldini, Thuram erano avanti di qualche decennio rispetto agli altri) e fuori dal Brasile l'idea di terzino di alto livello è quella di un centometrista programmato per entrare su ogni contrasto come fosse l'ultimo. È sempre più raro che un terzino sappia crossare bene, gente come Azpilicueta è a disagio appena si allontana dalla linea laterale. Marcelo, al contrario, gioca con l'esuberanza di chi sta facendo un piacere ai compagni a giocare a terzino. Non è solo un problema di fase difensiva, Marcelo viene spesso in mezzo al campo come se il fallo laterale fosse un burrone e lui soffrisse di vertigini.

A questo punto restano i due giocatori dichiaratamente offensivi. Il ruolo più delicato nel 4-2-1 è quello del secondo centrocampista, che va pensato come un vero e proprio enganche. Non avrei potuto che scegliere un sudamericano in questo ruolo, e forse più di ogni altro giocatore citato fin qui il 2014 è stato l'anno di Angel Di Maria.

Il numero 8 nel 4-2-1 è il giocatore che prende palla tra le linee e fa girare gli avversari verso la loro porta, creando spazio e/o approfittando degli spazi che ha creato per lui il centravanti (il gol qua sopra è un esempio perfetto). Avrei potuto scegliere James Rodriguez, anche il suo di 2014 non è stato male in fondo, e il fatto che il Real Madrid abbia preferito il colombiano è scandaloso più per il contribuito indiscutibile di Di Maria per portare la Décima a Madrid (non solo sul gol di Bale) che per un confronto tra i due (a chi non sarebbe piaciuto vederli giocare insieme?). In questo caso ho preferito Angel a James perché ho bisogno di un giocatore più a tutto campo, più presente nella manovra di squadra, a costo di vedere un Di Maria ipercinetico, anarchico e istintivo fino all'eccesso. E poi Di Maria non sarebbe meno alieno a Tor di Quinto di quanto non lo sia adesso in Premier League.

Manca la punta e il 2014 è stato un grande anno per gli attaccanti, sopratutto per i veri centravanti abili spalle alla porta e con l'ossessione del gol. Tradizionalmente a calciotto l'attaccante forte vale metà squadra e di solito gli ex giocatori professionisti (anche difensori tipo Aldair) giocano davanti, perché la porta è vicina e possono fare tutto da soli. Questa tradizione però non rende felice nessuno tranne gli attaccanti forti, togliendo complessità umana al calciotto, e io alla felicità della mia squadra ci tengo. Detto questo, non è facile tenere fuori Diego Costa dalla mia squadra ideale. Si divertirebbe molto contro le squadre di pariolini con la macchinetta 50 cc di cilindrata, ma a volte sembra posseduto da qualcosa di demoniaco che potrebbe rendere complicate le relazioni all'interno dello spogliatoio; per cui tutto sommato preferisco la violenza razionale di Graziano Pellé con cui potremmo mangiare la pizza dopo la partita. D'altra parte il suo 2014 è andato alla grande, e non so quante possibilità ci siano che nel 2015 si ripeta ma nella mia squadra ideale finché lotta su ogni palla per sé e per i suoi compagni (mettendo a rischio la salute degli altri ma anche la sua) avrà il posto assicurato.

Ecco invece la squadra di calciotto composta da gente che in un momento o in un altro del 2014 mi ha fatto pensare che non potrei mai farci un torneo insieme.

Formazione 3-3-1: un difensore centrale, due terzini, un playmaker, due ali, una punta. È il modulo usato dalla stragrande maggioranza delle squadre romane, basato sulla filosofia di fondo che per vincere a calcio basta che i giocatori in campo siano individualmente migliori dei loro avversari.

1) Tim Krul (per via della trollata di Van Gaal che lo fa entrare solo per i rigori contro la Costa Rica anche se non è uno specialista).

2) Maicon (sul serio, la sua voce quando chiama palla ai compagni si sente dalla cinquantesima fila dell'Olimpico, sta fermo per minuti interi se la palla sta dall'altra parte poi quando gli arriva fa un'azione coatta, poi fa facce assurde, parla da solo, è spaventoso).

3) Azipilicueta (pensate a Ivanovic e a come, pur essendo atleticamente all'altezza di qualsiasi situazione, sappia onorare il nobile ruolo di terzino. Perché ho tenuto fuori Ivanovic dalla mia squadra ideale?).

4) David Luiz (non solo non ce n'era bisogno, ma chi si crede di essere per legittimare lui il valore di James Rodriguez dopo una sconfitta? Semmai il contrario. E ancora).

5) de Jong (ma che de Jong è un playmaker? Allora perché tocca tutti quei palloni?).

6) Robben (grande annata la sua, ma non potrei mai giocare con uno che gli dai la palla, rientra sul sinistro e tira dovunque si trovi).

7) Un cosplayer di Cristiano Ronaldo (quei ragazzini che prima di entrare in campo si pettinano i capelli all'indietro in diagonale, corrono sulle punte tagliando sempre da sinistra a destra e se gli fai fallo non si incazzano ma arricciano la bocca stizziti come il vero CR7, come se prendere calci da trentenni frustrati fosse il loro lavoro, la loro ambizione).

8) Balotelli (arriva un momento in cui, con tutte le giustificazioni, il valore di un giocatore si stabilizza in alto o in basso. Il 2014 è stato l'anno in cui Balotelli è sembrato davvero un giocatore mediocre).

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