La scoperta dello Sceriffo
L’importanza di un asado in Argentina va oltre ogni europea immaginazione, per l’attenzione e la cura che bisogna metterci e per il concetto di tempo che si dilata. In una notte fredda del 1987, nella provincia di Santa Fe, Argentina, l’asado è un omaggio per una delegazione di Rosario, tra cui troviamo due osservatori del Newell’s Old Boys che stanno girando il paese in cerca di giovani talenti. Durante la tavolata, un tale si fa scappare che un ragazzino corpulento segna parecchio nell’Unión y Cultura di Murphy, squadra di una cittadina a circa 300 km dal banchetto, e sta per firmare con il Rosario Central, l’altra squadra di Rosario, i nemici sportivi del Newell’s.
I due osservatori (inizialmente scambiati per autisti del pullman) si guardano negli occhi, e scrivono su un pezzo di carta quel nome. Uno è Jorge Griffa, storico difensore del Newell’s e dell’ Atletico Madrid, l’altro è Marcelo Bielsa.
A fine pasto, quella strana coppia si mette in macchina direzione Murphy, un paesino immerso nel nulla, e all’una di notte (o alle due, c’è incertezza su tutto in queste storie argentine, persino nelle testimonianze degli stessi protagonisti) bussano alla porta di una casa: una coppia apre la porta e li fa entrare. I due osservatori chiedono scusa per i modi e per l’orario, e insistono sui genitori affinché il figlio non firmi per il Rosario Central. El Loco Bielsa d’improvviso chiede di andare in camera per vedere il ragazzo, che però sta dormendo. La madre scopre il figlio sotto il piumone, e Bielsa esclama: “Guarda che aspetto da calciatore!”.
Poco tempo dopo, quel ragazzino che nessuno dei due aveva mai visto giocare, diventa un tesserato del Newell’s. Non è neppure un attaccante, si scopre che aveva solo rimpiazzato un compagno: è un difensore. È Mauricio Roberto Pochettino, sarà lo “Sceriffo di Murphy”.
Quanto è romantico questo video, con i primi minuti dedicati alle scorrettezze di Pochettino da difensore dell’Espanyol: splendida colonna sonora di Ennio Morricone. A ricordarci che si possono fare grandi compilation calcistiche su YouTube.
Allenatore nato
Centro d’allenamento del Newell’s Old Boys, anno 1992, un ragazzo di 20 anni discute con un uomo che ha quasi il doppio dell’età: parlano di calcio, di tattica, di attaccanti. Ad un certo punto, l’uomo chiede al ragazzo di preparare un dossier sul prossimo avversario, il San Lorenzo: vuole un’analisi dettagliata, dalla fisionomia dei giocatori ai movimenti di pressing, dagli schemi su calcio piazzato fino alla sua esperienza personale nelle precedenti partite. Il ragazzo è Mauricio Pochettino e l’uomo è Marcelo Bielsa: sono passati cinque anni da quell’incredibile incontro notturno, e l’adolescente di allora è ormai diventato una colonna della difesa dei leprosos; mentre il suo scopritore è passato da osservatore ad allenatore della prima squadra.
Bielsa ha una stima infinita per Pochettino, vede in lui un leader naturale e un ragazzo molto maturo: pochi giorni dopo quel colloquio, lo "Sceriffo di Murphy" racconta ai suoi compagni come gioca il San Lorenzo. Il Ñuls vince 3-0 e Pochettino può dire di aver ripagato la fiducia del suo mentore. Dopo la vittoria del Torneo Clausura 1992, Bielsa va ad allenare in Messico e Pochettino rimane a Rosario, per poco: nel 1994 va a Barcellona, all’Espanyol. Ne diventa una leggenda: da subito capitano, gioca quasi 300 partite in 10 stagioni e decide di chiudervi la carriera, come straniero con più presenze nella storia del club. Nel frattempo, un intermezzo (3 stagioni e mezza) in Francia con Paris Saint-Germain e Bordeaux: il suo carisma gli permette di diventare capitano anche a Parigi. Con quella faccia a metà tra Dan Aykroyd e Russell Crowe, non si direbbe: sembra un uomo gioviale e tranquillo.
Nell’estate del 1998, El Loco diventa allenatore dell’Espanyol su intercessione proprio di Pochettino. L’avventura dura pochissimo, due mesi, perché a settembre Bielsa viene chiamato dalla Federazione Argentina per guidare la Nazionale. Una fortuna anche per Pochettino, sempre snobbato, e punto fermo invece durante la gestione del suo maestro.
Pochettino abbandona l’Espanyol da allenatore e piange nella conferenza stampa: accadde la stessa cosa quando lasciò il calcio. Nonostante la fama di duro e il carisma che emana, a me sembra un uomo molto sensibile.
La fine è l’inizio
Nel 2006 lo "Sceriffo" dice addio al calcio giocato e non sa bene cosa fare. Si ferma a Barcellona ed inizia a studiare da allenatore: è il 2008, e Pochettino vola per l’ennesima volta dal suo scopritore (che definisce un “secondo padre”) per chiedergli consiglio. Bielsa nel frattempo è il ct del Cile e gli fa capire che il lavoro dell’allenatore è duro e meticoloso: alle richieste dell’allievo risponde con una cassa piena di DVD e il compito di studiare tutti i calci d’angolo delle squadre avversarie. Per ottenere il patentino c’è bisogno di un “tirocinio”, ed è così che Pochettino torna all’Espanyol con una scelta particolare: diventa l’allenatore in seconda della squadra femminile.
Il problema è la squadra maschile che, nella stagione seguente, sembra destinata ad una clamorosa retrocessione: gennaio 2009, l’Espanyol è terzultimo in classifica con 15 punti in 19 partite, a 5 punti dalla quota salvezza. In certi casi si manda via l’allenatore, e i pericos già hanno provveduto: via Márquez, arriva Mané ma dura solo sei giornate. La dirigenza si riunisce e chiama Pochettino: è una mossa disperata, l’ultima cartuccia come afferma El País.
Quale migliore occasione per esordire che un derby di Coppa contro il Barça di Guardiola e Messi, quello che a fine anno vincerà tutto? Finisce 0-0, incredibilmente, è l’inizio della svolta: un mese dopo, i pericos vincono al Camp Nou dopo ben 27 anni grazie alla doppietta di de La Peña, e Pochettino per la stampa diventa l’anti-Guardiola. L’Espanyol, schierato sempre con il 4-2-3-1, conquista ben 32 punti in 19 partite ed arriva addirittura decimo in classifica: un vero e proprio miracolo sportivo.
Nelle successive tre stagioni, il tecnico argentino sfiora sempre il piazzamento per l’Europa League, senza mai riuscirci. La storia finisce come non dovrebbe: a fine novembre 2012 Pochettino e la dirigenza si accordano per una rescissione anticipata del contratto, che sarebbe scaduto a giugno. Lascia l’Espanyol peggio di come l’aveva raccolto: ultimo in classifica, anche se con molte scusanti.
Nel corso di quasi 4 anni di gestione, il budget dell’Espanyol si era dimezzato, e ogni anno venivano ceduti i giocatori migliori (come Callejón). In eredità, Pochettino lascia uno stile di gioco ma anche una grande evoluzione nella gestione del settore giovanile: con lui hanno esordito ben 23 giocatori della cantera, quasi tutti poi ceduti al miglior offerente, anche in Italia (Didac Vilà al Milan e Víctor Ruiz al Napoli, due meteore). È l’eredità culturale del Newell’s, dove il settore giovanile conta più di tutto; è l’insegnamento di Bielsa, che diede fiducia ad un ragazzino paffutello cresciuto in una sperduta cittadina argentina.
“The pressing trap”, la vera cifra stilistica del Southampton di Pochettino. In questo caso, uno dei possibili strumenti per recuperare il pallone: forzare il difensore avversario a passare verso il giocatore di fascia, dove nel frattempo si crea superiorità numerica. La linea laterale, inoltre, riduce del 50% le opzioni di gioco dell’avversario.
Il Manager
Costa meridionale inglese, gennaio 2013: cosa ci fa un argentino nel porto di Southampton? La proprietà dei Saints vuole uno stile di gioco diverso: il tecnico Nigel Adkins, idolo dei tifosi, viene esonerato senza colpe apparenti, e al suo posto arriva Pochettino.
Il Southampton, una neopromossa ambiziosa, aveva un vantaggio di soli 3 punti sulla terzultima: finisce il campionato con una salvezza tranquilla, dopo aver vinto con Manchester City, Chelsea e Liverpool. Inizia la rivoluzione: dominio costante del possesso attraverso il pressing alto, educazione al lavoro in allenamento (non si contano le doppie sedute, e persino le triple), sia tattico che fisico (secondo Osvaldo, con Pochettino lavorava come un “cane”).
Anche i Saints passano immediatamente al 4-2-3-1, leggermente adattato alla realtà britannica: il Southampton diventa la seconda squadra in Premier per numero di giocatori inglesi in campo.
Il centravanti è un vero numero 9, Rickie Lambert, ed è molto più fisico che tecnico: allora "lo Sceriffo" lo trasforma in una macchina da assist, ben 10 nell’ultima stagione. I terzini sono tutti Under-23, dotati di grande forza esplosiva e corsa (da Shaw a Chambers, passando per Clyne); i due difensori centrali, Fonte e Lovren, sono poco mobili ma quasi insuperabili nel gioco aereo, perfetti per i lanci lunghi che gli avversari provano in continuazione a causa del pressing asfissiante sulla trequarti. Sulle fasce ci sono Lallana e Rodriguez a dare energia e tempi per attaccare la profondità.
Nell’ultima stagione, i Saints diventano la squadra con il possesso palla medio più alto dell’intera Premier League, ben il 58%. Allo stesso tempo, però, la loro percentuale di passaggi riusciti è abbastanza bassa: solo l’81,4%. L’anomalia statistica di Pochettino dimostra in realtà che i principi di gioco sono stati assimilati: è semplicemente impossibile mantenere un buon possesso contro i Saints, a causa del loro pressing sulla trequarti (sono terzi, infatti, per numero di tackle). La ricerca immediata della verticalizzazione appena riconquistato il pallone, però, rende i passaggi più rischiosi e abbassa la percentuale di successo: il dominio del possesso palla è ricercato, è voluto, ma non è sterile.
La capacità di Pochettino di lavorare con i giovani lo rende il tecnico perfetto per valorizzare l’Academy del Southampton, considerata la migliore in Inghilterra. Ancora una volta, infatti, l’argentino fa le fortune del suo club: i due giovani terzini (entrambi classe 1995) Shaw e Chambers vengono venduti a Manchester United ed Arsenal per una cifra pari a circa 60 milioni di euro. I Saints sfiorano una storica qualificazione europea, ma raggiungono comunque il miglior risultato di sempre: l’ottavo posto. Ai Mondiali brasiliani ben 3 inglesi vengono convocati da Roy Hodgson (Shaw, Lallana e Lambert) e in totale sono 7 i giocatori che vanno in Brasile. Il Southampton e Pochettino possono farcela da soli: in un capolavoro durato quasi 18 mesi, entrambi hanno ormai raggiunto uno status più elevato ed hanno il rispetto di tutti in Premier League. Prima che la rivoluzione cominci a mangiare i suoi figli, come accadde all’Espanyol, Pochettino abbandona la costa e cambia squadra.
È un periodo d’oro per Harry Kane. In questo momento l’assonanza con l’uragano è non solo fonetica ma anche tangibile: Mou ne sa qualcosa.
No time for losers
Non è una delle mete migliori per una vacanza estiva, ma Seattle a luglio non è male, non fa neppure troppo caldo. Dipende sempre dalle motivazioni: Pochettino, ad esempio, è lì per un’amichevole contro la squadra locale, i Seattle Sounders. Prima della partita, però, gli americani vogliono una conferenza stampa di presentazione, quasi come fosse la Champions League: è un momento speciale per Pochettino. È la sua prima conferenza stampa in inglese, senza il fidato traduttore. Nella precedente esperienza, infatti, si era sempre rifiutato di concedere interviste nella sua seconda lingua. Ma adesso è l’allenatore del Tottenham, la squadra londinese eterna delusa, a cui non riesce mai il passaggio ad uno status più elevato (solo una partecipazione alla Champions nelle ultime 5 stagioni): ha firmato un contratto di 5 anni, in cui si prevede anche l’obbligo di parlare sempre in inglese con i media.
Ancora una volta, il tecnico argentino si adatta al materiale che trova: negli Spurs ad inizio stagione la rosa è troppo ampia, e non c’è spazio per grandi movimenti. L’avvio della stagione è deludente, la rivoluzione di Pochettino questa volta fatica ad attecchire: i tifosi sono scettici, i risultati vanno e vengono, ci sono troppi dubbi di formazione. In difesa, ad inizio campionato gioca addirittura Kaboul - ora accantonato per far posto a Fazio e Dier - più veloce nell’allungo; a centrocampo c’è confusione, non si capisce quali siano i due prescelti tra Stambouli, Dembélé, Capoue e Bentaleb; in attacco, il titolare per più di un mese è addirittura Adebayor.
La trappola del pressing di Pochettino funziona anche contro l’Arsenal: si spinge l’avversario verso la linea laterale per poi attaccarlo con un pressing a nuvola.
Poi la svolta sembra arrivare tra dicembre e gennaio: delle ultime 16 partite (tutte le competizioni), il Tottenham ne vince 10 e ne pareggia 3. Si qualifica per la finale di League Cup, che si giocherà il primo marzo contro il Chelsea di Mourinho, amico di Pochettino dai tempi dell’Espanyol. Amicizia forse incrinata dall’incredibile 5-3 rifilato dagli Spurs al Chelsea, nella partita del primo gennaio 2015, quella della svolta, soprattutto per il centravanti titolare: è un ragazzo di 21 anni cresciuto nell’Academy degli Spurs, e si chiama Harry Kane. A fine partita, al White Hart Lane suonava la canzone “Hurricane” di Bob Dylan, per celebrare la sua doppietta. Nelle ultime 13 partite giocate da titolare ha segnato ben 12 gol, ma soprattutto ha dato un valore aggiunto alla squadra, dimostrandosi perfetto per il calcio di Pochettino: si muove spesso per creare spazi per gli inserimenti delle 3 mezzepunte, attacca la profondità, è il primo difensore sui calci piazzati e rientra spesso in copertura sulle fasce. A tutto questo aggiungete il senso del gol e una grande facilità di tiro, e avrete il nuovo centravanti della nazionale inglese. L’anno scorso, però, guardava le partite dalla tribuna: solo 800 minuti di gioco in tutta la stagione.
Il Tottenham del 2015, anche grazie a lui, ha una fisionomia più chiara: in campo tutti sembrano muoversi seguendo un copione, con movimenti armonici ed organizzati.
In fase di possesso, le ali non vedono l’ora di tagliare verso il centro, sia per delle combinazioni rapide che per creare spazio per gli inserimenti dei terzini. Pochettino è un grande estimatore dell’attacco combinativo: si arriva in porta cioè con combinazioni di passaggi tra giocatori. È per questo che all’epoca dell’Espanyol si parlava di false ali: in entrambe le fasi queste tendono ad essere più dentro il campo che sulle fasce. Per sfruttare al meglio il meccanismo, nel Tottenham giocano due terzini a trazione anteriore: Rose a sinistra e Walker a destra a volte sembrano attaccanti aggiunti.
Il Tottenham ad Anfield Road porta nove uomini nella metà campo avversaria (in basso a sinistra c’è Rose fuori inquadratura), e si vedono nettamente i due esterni dentro al campo: Eriksen a sinistra e Lamela a destra (piedi invertiti per arrivare velocemente al tiro). Sono i due terzini ad occupare le fasce, sfruttando il movimento all’interno delle ali.
Il meccanismo delle false ali è perfetto per giocatori come Eriksen e Lamela, che sono due trequartisti adattati: sulla fascia il loro talento sarebbe in qualche modo sacrificato.
In fase difensiva, quando gli avversari riescono a superare il pressing alto, il Tottenham difende in modo asimmetrico, con l’ala più vicina al pallone che protegge la sua fascia, mentre l’altra si trasforma in punta, con l’obiettivo di far partire immediatamente una transizione offensiva in caso di recupero della palla. L’aspetto negativo è che le squadre di Pochettino si espongono molto ai cambi di gioco: mentre si accorcia il campo verso il pallone, il lato debole è completamente scoperto. In quel caso, il supporto di uno dei centrocampisti è fondamentale, per evitare che il terzino si ritrovi in inferiorità numerica. Inoltre, la linea difensiva così alta si espone sempre ai pericoli di un potenziale contropiede.
Il problema del lato debole nel gioco di Pochettino: in alto c’è uno spazio immenso per Özil, ma anche per l’inserimento di un altro giocatore dell’Arsenal. Questa azione si concluderà proprio con il gol del tedesco, che rimarrà solo per tutto il tempo, a dimostrazione che il Tottenham accorcia troppo nella zona del pallone. La settimana dopo il Liverpool proverà sempre il cambio di gioco.
Come richiesto dal suo allenatore, il Tottenham è una squadra che cerca di fondere le transizioni difensive e offensive, con un pressing altissimo che permette di scatenare verticalizzazioni immediate. Quando serve, però, l’azione inizia dal basso, senza fretta. Mason e Bentaleb si abbassano spesso per aiutare l’impostazione iniziale, ma a volte anche Dembélé, riscoperto nel ruolo di incursore dietro la punta, aiuta nella propria metà campo.
Le ultime prestazioni degli Spurs lasciano ben sperare, nonostante la sconfitta di Liverpool: è vero che il rendimento non è ancora continuo, ma il terzo posto è a soli quattro punti, e la squadra sembra aver acquisito una mentalità vincente. Si cerca la vittoria su ogni campo, tutti sono al servizio del collettivo: il giocatore che corre di più nel Tottenham è Erik Lamela, ben 12,13 km contro il Liverpool e 6 tackle (record della partita), senza però sacrificare la qualità di gioco (3 occasioni da gol create più l’assist perfetto per il gol di Kane).
Ecco perché è impossibile giocare contro le squadre di Pochettino: il pressing sul primo possesso è costante, e si dice che il tecnico argentino insegni ai suoi giocatori ben 30 “pressing triggers”, situazioni cioè in cui la squadra deve reagire automaticamente per riconquistare il pallone. In bocca al lupo, Sakho (che infatti lancerà lungo).
Nella sua prima conferenza stampa da allenatore, all’Espanyol, Pochettino disse di non essere bielsista, e di aver preso qualcosa da tutti gli allenatori che aveva conosciuto. In realtà i principi di gioco sono quelli imparati dal maestro, ma declinati secondo il carattere dello "Sceriffo": carismatico, ambizioso, metodico, ossessivo. Un allenatore che vuole comandare su tutto in società (nell’Espanyol fece licenziare dei dipendenti per presunti complotti) e a cui le società lasciano spazio, per la sua capacità di plasmare il gruppo e di far crescere i giovani. Al Tottenham però non si accontentano delle belle prestazioni e della valorizzazione dei giocatori: in una metodica scalata verso i vertici del calcio europeo, adesso Pochettino deve dimostrare di saper vincere giocando bene. Ancora una volta, cioè, deve dimostrare di sapersi allontanare da Bielsa, per essere meno dogmatico e più vincente del suo secondo padre, e per dare concretezza alle sue ambizioni e a quelle del Tottenham.