Andy Murray chiude il suo straordinario 2016 al numero uno del mondo, e anche se Novak Djokovic nel 2016 ha vinto più titoli dello Slam, il britannico si può ritenere il migliore. Può farlo perché, quando decide di esserlo, lui è il migliore.
Nell’anno più eccezionale del tennis da molto tempo, Djokovic e Murray si sono spartiti a metà la stagione, con Djokovic a dominare i primi sei mesi dell’anno e Murray a vincere praticamente tutto nel tempo restante, US Open a parte. E proprio a New York c’è stato l’equivoco: se Murray non avesse steccato nel suo momento migliore, perdendo nei quarti di finale per 7-5 al quinto contro Kei Nishikori, lo scozzese sarebbe diventato numero 1 ben prima di novembre. Questo passo falso di Murray, però, ha creato un grandissimo motivo di interesse man mano che i tornei finivano con lo stesso vincitore, cioè sempre Murray. Da New York in poi, il britannico non ha perso più nel circuito ATP, vincendo i tornei di Pechino, Shanghai, Vienna, Parigi-Bercy e le ATP Finals. Ha chiuso l’anno con 87 partite giocate, risultando il più presente dei top 10 in campo davanti a Thiem.
Novak Djokovic ha vinto l’ultimo torneo a luglio, conquistando il trentesimo Master 1000 della sua carriera a Toronto. Di lì in poi, non ha vinto più alcun titolo, fallendo la finale degli US Open contro Wawrinka e quella di ieri contro Murray. E quindi la conquista del numero 1 ATP è stata una sorta di percorso in discesa per il britannico, facilitato dall’assenza di Federer e dalla scarsa competitività di Nadal, oltre che di un Djokovic normalizzatosi. E se è vero che la lotta per il numero 1 ha dato un motivo nuovo per seguire la seconda parte della stagione, è altrettanto vero che a Djokovic sarebbe bastato vincere le ATP Finals per ribaltare interamente il verdetto sulla sua stagione. Ma, forse, sarebbe stato un bluff. Sicuramente non sarebbe stato giusto per Murray, perché il suo numero 1 meritava più di un semplice interregno. Così non è stato però, anche se il torneo di Londra sembrava aver offerto una chance troppo generosa a Novak Djokovic. Il sorteggio, anzitutto, con il girone del serbo fin troppo facile (il solo Raonic lo ha impensierito, Thiem e Goffin non pervenuti) e poi la semifinale contro Nishikori, abile a fallire l’ennesimo appuntamento importante della sua carriera. Murray, invece, ha dovuto lottare oltre tre ore per battere Nishikori nel girone ed è stato costretto ad annullare un matchpoint al tiebreak del terzo set per battere uno splendido Raonic.
Le semifinali giocate da Djokovic e Murray.
Si è arrivati così alla finale con la pressione psicologica tutta su Andy Murray, che doveva vincere per rimanere numero 1 al mondo, diventando il primo britannico nella storia a riuscire in questa impresa. Djokovic, per quanto in crisi, si è presentato in finale con uno score di 22 vittorie nelle ultime 23 partite alle Finals, e cioè quattro titoli consecutivi dal 2012. Le premesse per il match dell’anno, quello che per la prima volta nella storia avrebbe assegnato anche il n.1 ATP, sono state però ampiamente disattese. Murray ha dato uno schiaffo a Novak Djokovic, incapace di opporre una singola reazione durante l’ora e mezza della finale.
La partita dell’anno?
Il confronto fra i due è iniziato in sordina. Murray e Djokovic hanno tenuto i primi turni di battuta con autorità, fino a quando Djokovic ha mostrato il primo segnale che qualcosa non tornava, ciccando clamorosamente uno smash sotto per 2 a 3 nel primo set. Il linguaggio del corpo del serbo ha iniziato a tradire una mancanza di fiducia nelle sue possibilità. Al contrario, dall’altra parte del campo, la stanchezza delle dieci ore di torneo fin lì accumulate, di cui quasi quattro il giorno prima, sono sparite nella mente di Murray.
Lo scozzese ha conquistato il break di vantaggio con relativa facilità e ha chiuso il primo set per 6-3, il punteggio più banale e che nel tennis significa praticamente no contest in condizioni normali, figurarsi nella partita dell’anno. La sintassi di gioco è stata piuttosto conservativa: i due hanno scambiato da fondo campo in prevalenza sulle diagonali incrociate, perché nessuno se la sentiva di prendere rischi con i lungolinea. Su queste traiettorie ha prevalso chi era più in fiducia: Andy Murray, quasi sempre per gli errori dell’avversario.
L’accelerazione, il rischio calcolato, che Murray si è preso di dritto sulla palla break decisiva del primo set.
Djokovic è sembrato davvero incapace di prendere il controllo della partita. Mentre eravamo tutti ad aspettare una sua reazione, Murray ha conquistato subito un break, e poi si è portato sul 4 a 1 e servizio. La partita è praticamente finita senza che Novak Djokovic potesse lasciar trasparire una singola emozione, una qualsiasi forma di reazione emotiva. Parole, urla, scatti di rabbia, racchette sfasciate, warning, monologhi, dialoghi con il suo team: niente di questo si è visto in campo.
Altre volte in passato abbiamo visto Djokovic recuperare partite impossibili, spesso dando l’impressione che neanche lui sapesse come ci riusciva. La sfida delle Finals, però, è stato affrontata da Djokovic con una specie di fatalismo, come se fosse già convinto di meritare la sconfitta. Anche perché, dopo aver recuperato uno dei due break di svantaggio, forse per rendere la resa più onorevole, Djokovic non è comunque riuscito a spaventare Murray, nonostante qualche piccolo passaggio a vuoto, come la palla sprecata per il 5 a 1.
Quando un dritto in risposta di Djokovic è finito largo in corridoio per il 6-3 6-4 finale, Murray ha lasciato cadere la racchetta e ha iniziato a chiedersi se davvero non fosse il più forte.
Proviamo a guardare nel futuro
«Non credo che ci sarà un’era Murray». Queste parole, pronunciate in conferenza stampa dal fresco vincitore, rispecchiano il grande rispetto che ha Andy Murray verso i suoi avversari. Andy è consapevole che Djokovic proverà a tornare al vertice, anche se il serbo dovrà difendere tantissimi punti nei primi sei mesi del 2017, oltre ai due Slam. Tornerà a giocare Roger Federer, e tornerà Rafael Nadal. Ci sarà un Juan Martin del Potro ancora più forte e un Milos Raonic ancora più convinto dei suoi mezzi. E ci sarà sempre Stan Wawrinka, un giocatore che ha vinto gli stessi Slam del numero uno del mondo senza aver mai perso una finale di questi tornei, a differenza di Murray.
Il 2016 è stato un anno tennisticamente eccezionale. Il solito Australian Open di Djokovic e il suo primo Roland Garros, finalmente, poi Murray che si è preso la scena vincendo Wimbledon e le Olimpiadi, e poi ancora Wawrinka a sparigliare il banco a New York, fino alla lotta per eleggere il migliore dell’anno. Il tennis si è rinnovato, anche se per ora gli attori protagonisti sono sempre gli stessi. Murray contro Djokovic è una rivalità che non scalda i cuori dei tifosi, perché i due giocano sostanzialmente in maniera simile, che poi altro non è che il modo comune di giocare al tennis oggi. Ma il 2017 promette di essere un anno dove tante cose potrebbero cambiare. A cominciare da Murray che vince il suo primo Australian Open dopo aver perso cinque finali, la prima contro Federer e poi le altre contro Djokovic. A Melbourne si presenterà da numero 1 del tabellone, e sebbene Murray prometta di essere un tiranno democratico, in Australia forse non avrà tanta voglia di concessioni al popolo.