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Lo Special One inglese
26 dic 2015
Eddie Howe ha portato il Bournemouth in Premier League con un gioco offensivo che continua a dare frutti.
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I manager inglesi sono una rarità in Premier League: delle venti panchine disponibili otto sono occupate da tecnici britannici, ma tra questi solo quattro sono i protetti di San Giorgio: Steve McClaren e Sam Allardyce sono due capitani di lungo corso che, forse, non hanno più molto da dire al Newcastle e al Sunderland; Alan Pardew forse aspetta l'occasione di un grande club, dopo aver fatto bene al Newcastle e, ora, al Crystal Palace. Il quarto è un ragazzo nato nel 1977, che ha fatto le fortune sue e del piccolo Bournemouth, un club che gioca oggi tra i grandi per la prima volta in 125 anni. E per Eddie Howe, dopo pochi mesi in Premier League, si parla già di prendere il posto di Hodgson sulla panchina della Nazionale maggiore. Per questo vale la pena conoscerlo.

Howe nel 1997 e oggi. Non siate severi ragazzi, eravamo in piena epoca Spice Boy!

Gli inizi

Nato a Amersham, una cittadina situata a nord-ovest di Londra, Howe è stato adottato all’età di 10 anni dalla famiglia del AFC Bournemouth, la società calcistica dell’omonima cittadina costiera nel sud dell’Inghilterra. L’esordio in prima squadra lo fece nel dicembre 1995 come terzino destro, prima di passare a comandare la difesa dal centro. Chi se lo ricorda, racconta di un giocatore consistente, corretto ma indomito. Sfiorò l’accesso ai play-off per la promozione in Premier più volte, collezionando 201 presenze prima di essere ceduto ai rivali del Portsmouth nel 2002, per esigenze di cassa. Ricordando quel periodo in un’intervista, lo sguardo di Howe, prima fisso verso la sua interlocutrice, passa dalle sue scarpe alla camera, come se provasse a trattenere una rabbia sopita.

La sua esperienza al Portsmouth s’interruppe prima di iniziare: dopo 9 minuti della sua prima partita ufficiale Howe subì un gravissimo infortunio al ginocchio che lo tenne fuori per tutta la stagione. E perse ancora un altro anno a causa di una successiva ricaduta. La sua carriera sembrava finita, ciò nonostante i tifosi del Bournemouth organizzarono una colletta, a novembre del 2004, per acquisire il cartellino di Howe e riportarlo a casa. Così, con la casacca dei Cherries, nel frattempo retrocessi e in crisi finanziaria, Howe giocò ancora 70 partite. Howe, però, sentiva di non aver realmente recuperato dall’infortunio e a 29 anni lasciò il calcio giocato per diventare manager della squadra riserve.

Ad inizio 2009, il Bournemouth navigava sul fondo della classifica della League Two e lo stato delle proprie finanze era ulteriormente peggiorato. Howe venne invitato a prendersi la panchina della prima squadra, diventando il più giovane manager della Football League. In una situazione tanto disperata, riuscì a toccare le leve motivazionali giuste: “I giocatori non percepivano lo stipendio, ci dissero che il club era a 15 minuti dal fallimento. Allora chiesi ai ragazzi di pensare ai tifosi, creai una dialettica de ‘i loro interessi davanti ai nostri’. Funzionò”.

Howe raggiunse la salvezza e guadagnò, l’anno successivo, un’insperata promozione in League One. Si lasciò sedurre dal Burnley, appena retrocesso dalla Premier League, e a metà della stagione successiva lasciò il Bournemouth per saltare di categoria. Dopo due piazzamenti a metà classifica, Howe gettò la spugna e trovò il Bournemouth pronto ad accoglierlo di nuovo. La parabola dell'eterno ritorno è terminata con un successo: il Bournemouth è riuscito a tornare in Championship al primo colpo e in Premier League dopo solo altre due stagioni (segnando, tra l'altro, la bellezza di 98 gol nella stagione della promozione).

Gioco da neopromossa?

Il Bournemouth ha scalato la piramide calcistica giocando un calcio offensivo ed è subito saltato all’occhio il fatto che Howe non abbia rinunciato a nessuno dei propri principi tattici, anche quest’anno che si è trovato a sfidare Liverpool o Manchester City. Lui stesso ha dichiarato: “Io non temo le altre squadre, non ho emozioni negative quando entro nello stadio di qualcun altro”. Un atteggiamento che i suoi giocatori sembrano aver mutuato in campo.

Il Bournemouth non è il Leicester, una masnada di ripudiati delle grandi squadre, allenatore compreso, che giocano col coltello tra i denti per sete di vendetta. È invece una struttura ben organizzata, formata da giocatori che hanno esperienze di Football League, alcuni dei quali sono insieme dagli anni della League One. Il 4-1-4-1 che mettono in campo ha un giocatore fondamentale: Andrew Surman, il fulcro del gioco della sua squadra, quel “1” tra le due linee da 4.

Surman, prima di ricevere il pallone, si volta per osservare lo schieramento avversario. Quando può girarsi, mette la palla su una linea di passaggio che né Fernandinho né Yaya Touré possono coprire. Da quella posizione, O’Kane può mandare Murray in porta per il momentaneo 1-2.

Surman si fa dare la palla tra i due centrali difensivi e cerca sempre un passaggio che possa saltare la prima linea di pressing avversario. Quindi di rado esegue una giocata in orizzontale, ricerca invece spesso una linea centrale e verticale. I suoi punti di riferimento sono i due interni di centrocampo, che giocano sfalsati a formare un triangolo scaleno, e la punta. Quando il pallone sale, i due terzini si alzano e le ali, entrambe schierate a piede invertito, entrano nel campo: è così che si viene a formare un offensivissimo 3-4-2-1.

Il Bournemouth porta tanti uomini ad attaccare l’ultimo terzo di campo: alle ali si aggiunge uno degli interni di centrocampo, più spesso Gosling, che ha licenza di spaziare tra le linee ed inserirsi in area di rigore arrivando a rimorchio. Al contempo i terzini continuano nella loro azione, fornendo ampiezza e finendo per allargare le maglie della difesa avversaria.

L’intelligenza tattica di Surman diventa fondamentale in fase di non possesso: nelle zone alte del campo, quando la squadra prova a riconquistare la palla, Surman prende di volta in volta l’uomo lasciato libero a centrocampo dall’interno salito a pressare il portatore di palla avversario. Quando la squadra si abbassa a protezione della propria area, invece, agisce da libero davanti alla difesa, per schermare ogni pericolo dal limite; non di rado, si porta addirittura tra i due centrali a formare una vera e propria linea a cinque.

Da vertice basso del triangolo di centrocampo, Surman vede il compagno uscire dalla linea per prendere l’esterno avversario e immediatamente scala in marcatura nella posizione di terzino destro.

La capacità di far salire il pallone attraverso le zone più congestionate del campo non dipende solo dal mediano. Surman, Gosling e l’altro interno Arter sono capaci di ruotare continuamente di posizione, per liberarsi e ricevere il pallone. Nei movimenti del triangolo centrale, il Bournemouth renderebbe fiero persino Guardiola.

Il manager di riferimento di Howe non è un catalano, ma è comunque iberico: Howe ha seguito da vicino il lavoro di Ernesto Valverde all’Athletic Bilbao, un allenatore che stimava fin dai tempi del suo interregno al Villareal. Non ha disdegnato anche una puntata in Italia, dove ha potuto studiare e apprezzare i metodi in allenamento di Montella e Sarri a Firenze e a Empoli. In questo senso Howe ha dimostrato umiltà e apertura mentale, che oggi lo stanno ripagando.

L’araba fenice

Ancora una volta gli infortuni hanno intralciato la strada di Howe verso il successo, ma l’allenatore è riuscito a superare anche quest’ostacolo. Paradossalmente, l’attuale assetto che ha dato al Bournemouth una serie positiva di 2 pareggi e 3 vittorie, compresi gli scalpi di Chelsea e Manchester United, è figlio dell’infermeria.

Callum Wilson, il centravanti che ha portato il Bournemouth in Premier League, e Max Gradel, l’ivoriano acquistato per una cifra record per il club, saranno fuori ancora a lungo ma King e Stanislas non li stanno facendo rimpiangere.

Il primo è perfettamente inserito nel gioco di Howe e alterna movimenti incontro, per appoggiare il gioco di Surman, a scatti in profondità, per abbassare la linea dei difensori costretti ad inseguirlo. King finisce spesso stanchissimo e in preda ai crampi, sostituito dal veterano Murray, autore del gol partita contro i Blues di Mourinho. Negli spazi creati da King galleggia Stanislas, abilissimo a trasformare l’azione da difensiva a offensiva con la sua velocità e a cercare la porta entrando nel campo sul suo piede destro.

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King elude l’intervento di Hazard con una finta di corpo e lancia il contropiede, il solo Stanislas ha la forza e la velocità per sostenere l’azione del compagno e per andare a concludere.

Howe ha perso per infortunio anche due colonne portanti della sua difesa, il capitano Elphick e il laterale sinistro Mings. I successivi aggiustamenti, in apparenza abborracciati (il terzino destro Francis è scalato in mezzo, con l’inserimento di Smith sulla fascia), sono risultati in una stabilità difensiva invidiabile. Quando le riserve di una squadra sono tutte sulla stessa pagina dei titolari, il merito esclusivo è dell’allenatore: della chiarezza delle sue idee sul calcio, delle sue capacità di comunicatore e del lavoro svolto in settimana.

A questo va aggiunto che Howe si è ritrovato in panchina il portiere che è risultato decisivo nelle ultime tre vittorie con le sue parate: Artur Boruc il giramondo, uno di quei giocatori di cui si perdono le tracce fino a ritrovarlo in campo in una qualsiasi domenica pomeriggio d’autunno.

Prospettive

L’ultima vittoria contro il WBA ha portato il Bournemouth fuori dalle secche della zona retrocessione, ma i prossimi impegni sono proibitivi. L’undici di Howe affronterà oggi il Crystal Palace in casa, poi Arsenal e Leicester in due match consecutivamente in trasferta.

Gli indicatori statistici sono dalla parte del Bournemouth: i Cherries concedono tanti tiri agli avversari quanti ne concede il ben più quotato Arsenal e la loro produzione offensiva è appena inferiore a quella del Crystal Palace, oggi a ridosso delle prime. Non è utopia pensare ad una salvezza tranquilla per Howe e i suoi a questo punto della stagione.

I bookmakers tengono in grande considerazione la candidatura di Howe per la posizione di CT della Nazionale, subito alle spalle di Gary Neville, traghettatore del Valencia fino a fine stagione, e di Alan Pardew, attento però a non bruciarsi la strada verso una grande. Di Howe e del suo gioco moderno e offensivo si parla in chiave Nazionale fin dalla fine della scorsa stagione, quand’era ancora in Championship. La stampa inglese ci ha messo un secondo ad appiccicargli l’etichetta di “English Special One”, complice un tweet di una vecchia gloria come Gary Lineker.

Il calcio di Howe è fresco come la sua faccia e sembra quello che ci vuole ad una Nazionale arenata nel gioco e nelle idee dall’altro “Tinkerman”, Roy Hodgson. Però quello svolto da Howe a Bournemouth è un lavoro certosino, sviluppato in allenamento giorno dopo giorno, un metodo che mal si concilia con le dinamiche interrotte imposte ad un selezionatore. Inoltre non sembra impermeabile alle tensioni, ha dichiarato di preferire Bournemouth ad altre piazze per restare accanto ai suoi affetti e per avere “la tranquillità di girare a piedi in città col cane”. Se persino un allenatore esperto come van Gaal cade lavorato ai fianchi dalla stampa inglese, le perplessità su Howe dal punto di vista della gestione della pressione sono legittime.

Difficile credere al passaggio diretto verso un grande club a fine stagione, a soli 38 anni. Più probabilmente, Howe sfrutterà la vetrina di una buona prima stagione in Premier League per saltare su una piazzola intermedia. Potrebbe essere il Crystal Palace, se Pardew ricevesse a sua volta un'offerta interessante; o una nobile decaduta, come il Newcastle United. L’unicità di Howe nel panorama del calcio inglese è indiscutibile, c’è solo da sperare che le prime difficoltà in una grande piazza non gli facciano ripudiare il suo credo calcistico, come è già accaduto a Brendan Rodgers.

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