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È tatticamente spiegabile il cambio di rotta del Leicester dall'esonero di Ranieri?
Stefano
Risponde Dario Saltari, autore del bestseller “L’uomo più carino del mondo”
Prima dell’esonero di Ranieri, in tutto il 2017 il Leicester aveva vinto appena due partite (tutte e due in FA Cup, di cui una contro il Derby County prolungatasi fino ai tempi supplementari), segnando in totale 8 gol in 11 partite giocate. Con l’arrivo di Shakespeare, le Foxes hanno vinto quattro partite su quattro (gli avversari sono stati: Liverpool, Hull City, Siviglia e West Ham) segnando in totale undici gol.
Per quanto la tattica sia uno delle architravi su cui poggia questo sport, è un’inversione di tendenza talmente spettacolare che la risposta alla tua domanda, Stefano, non può esaurirsi solamente in termini tattici.
Sarebbe abbastanza semplice rifugiarsi nella constatazione che i risultati siano ritornati a scorrere non appena Shakespeare è tornato nel bunker di quel 4-4-2 compatto e reattivo su cui Ranieri aveva costruito l’epica del Leicester dell’anno scorso. Una constatazione tra l’altro dolorosa per un tecnico che aveva raggiunto la più grande impresa della sua carriera dando poche semplici certezze ai suoi giocatori per poi vederla sbriciolarsi nel vano tentativo di cambiare le cose per salvare la nave che affondava. Ancor più dolorosa, nello specifico, per The Tinkerman, l’uomo che aveva lasciato l’Inghilterra da perdente con la nomea dell’indeciso.
Particolarmente struggenti, in questo senso, le sue dichiarazioni poche settimane prima dell’esonero: «Ho cercato di aiutare i miei giocatori nelle ultime due partite cambiando la nostra formazione. Contro il Chelsea ho giocato con tre difensori, oggi col rombo in mezzo al campo e questo ha confuso i ragazzi. Forse non mi sono spiegato bene con i giocatori, devo farmi capire meglio. Effettivamente si trovavano meglio con i vecchi schieramenti, sapevano meglio come muoversi. Spero di poter rimediare tornando al passato e migliorare».
Ma sarebbe intellettualmente disonesto fare una colpa a Ranieri per aver provato a cambiare le cose nel tentativo di migliorarle: adattarsi (al contesto, ai propri giocatori, agli avversari, alle competizioni) è un’esigenza pressante nel calcio contemporaneo, in cui lo studio dell’avversario è diventato fondamentale per chiunque, e cristallizzarsi in un unico modulo o identità è una trappola a cui nessuno può più cedere. Ancora più pressante al Leicester, che oggi vive nella tentazione irresistibile di guardare alla stagione 2015-16 come un’età dell’oro a cui tornare nei momenti di crisi.
Forse la risposta va cercata più a fondo, nella psicologia collettiva dei giocatori, e nell’immagine che la società e i tifosi vogliono darsi a seguito dell’impresa dell’anno scorso. Durante la partita di ritorno col Siviglia, in cui il Leicester ha clamorosamente ribaltato il 2-1 dell’andata vincendo per 2-0, la regia ha inquadrato uno striscione che recitava: “Grazie Leicester per notti come questa”. Mi ha fatto un po’ strano vedere come i tifosi incastonassero una grande rimonta in Champions League nell’identità di un club che prima dell’anno scorso aveva in bacheca solo un Charity Shield e tre League Cup.
Eppure, rivedendo quella partita, non si può non avere un certo senso di déjà-vu nel vedere Morgan che segna in mezzo all’area con una parte indefinita della gamba come spinto dalla provvidenza, Fuchs che abbatte gli avversari con la sola forza di volontà, Vardy che trapassa le linee avversarie come un dardo infuocato, il Leicester con un’intensità fisica e mentale che sfiora il misticismo.
Per quanto sia stato il primo ad esaltarmi per quella vittoria, sarebbe triste se un gruppo di giocatori riuscisse a trovare le motivazioni solo nel concetto di impresa, che quest’anno si sostanzia nel rimanere in Premier League e nell’andare il più possibile in fondo alla Champions League; se un club, nella sua totalità, decidesse di iniziare fondare la propria identità su “notti come questa”.
Il calcio come interminabile susseguirsi di emozioni, colpi di scena, imprese è un’invenzione pubblicitaria che non esiste nella realtà, nonostante il Leicester negli ultimi tre anni stia cercando di convincerci del contrario. Il calcio si compone per la sua parte principale di noia, mediocrità, assenza di vittorie, periodi di transizione. Persino per club come il Real Madrid è così (per dire: tra la sua nona e la sua decima Champions League sono passati 12 anni, tra la settima e l’ottava 32).
Quest’anno il Leicester potrà anche (nella migliore e più folle delle ipotesi) concludere in maniera ancora più spettacolare dell’anno scorso, magari vincendo la Champions League, ma arriverà il momento in cui per forza di cose dovrà tornare alla normalità. E questo non vuol dire smettere di essere ambiziosi, tornare ad essere un misero club della provincia inglese. Ma ricordarsi che ogni impresa si basa su una lunga serie di piccole vittorie noiose e poco affascinanti, che per arrivare ad alzare una coppa può servire anche adattarsi al Derby County in una dimenticabile sera di febbraio.
Pensare partita per partita è uno dei più abusati luoghi comuni della retorica calcistica. «Ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte», diceva David Foster Wallace.