Si sente spesso dire che alla fine in campo ci scendono i calciatori. È un vecchio adagio nelle discussioni sul calcio, buono per tutte le stagioni e per tutti i contesti, che nella sua banalità mantiene un fondo di verità.
Alla fine si potrebbe utilizzare anche per la partita di ieri sera tra Milan e Napoli. Un big match vinto quasi per inerzia dalla squadra con il livello tecnico, atletico e mentale più alto in campo. Il Milan non ha nemmeno demeritato e paradossalmente ha giocato a tratti una delle migliori partite della gestione Fonseca, ma alla fine la vittoria della squadra di Conte è stata senza appello. Il Napoli aveva i due giocatori più forti in campo – avrebbe potuto averlo il Milan, ma al momento né Leão né la squadra sanno come sfruttare il suo talento – e certezze più solide, che si sono tradotte in una maggior efficienza quando si è trattato di decidere la partita.
Così, mentre il tiro a rientrare col rimbalzo di Kvara al 43’ dal limite dell’area si è infilato all’angolino basso del secondo pallo, quello di Musah al 17’ si è spento di pochi centimetri a lato, a conclusione di un tentativo di recupero alto eseguito dal Milan, in una serata in cui, per la verità, il pressing dei rossoneri ha funzionato più del solito e ha fruttato delle occasioni da gol.
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Musah è stato un po’ l’immagine del Milan nella partita di ieri sera. Schierato a sorpresa nella coppia di centrocampo al fianco di Fofana – il Milan ha dovuto rinunciare a Reijnders per squalifica – con Loftus-Cheek dirottato sulla trequarti al posto di un Pulisic acciaccato, l’americano in fase offensiva si è fatto trovare nelle posizioni giuste, ha spesso ricevuto in situazioni di potenziale pericolo ma, alla fine, i suoi limiti tecnici gli hanno impedito di tradurre in occasioni o in gol quanto di buono era stato preparato. Musah è stato l’epitome di un Milan che, senza Theo, Reijnders e con un Pulisic a mezzo servizio, si è rivelato troppo povero tecnicamente: come detto, alla fine in campo ci vanno i calciatori e sono le loro esecuzioni a determinare il risultato.
Ad esempio, la freddezza di Lukaku nel gestire l’uno contro uno con Pavlović e nel battere Maignan dopo soli 5’, il Milan non l’aveva. Una rete scaturita, peraltro, dell’inizio aggressivo della squadra di Conte, che nei primi minuti ha pressato alto uomo contro uomo. Gli azzurri si disponevano con un 4-4-2, con Lukaku e Zambo Anguissa che, da punte, si orientavano sui difensori centrali. Se Maignan non si liberava subito del pallone, i due stringevano verso il portiere, chiudendo le linee di passaggio verso i centrali, e a quel punto il portiere francese era costretto a giocare. Dietro Anguissa e Lukaku, i due mediani, McTominay e Gilmour, si occupavano dei pari ruolo rossoneri: McTominay si alzava su Fofana che restava vertice basso, Gilmour prendeva Musah che si alzava da mezzala sinistra. Nel Milan Loftus-Cheek si abbassava da mezzala destra e allora Buongiorno abbandonava la linea difensiva per seguirlo. Morata si abbassava da trequartista e veniva pedinato da Rrahmani. Ai due esterni di centrocampo Politano e Kvaratskhelia spettava seguire i terzini.
Aver segnato subito ha inevitabilmente cambiato le prospettive del match, perché il Napoli si è sentito più forte e ha gestito con serenità la gara. I piedi dei giocatori del Milan, invece, condizionati dall’insicurezza del momento, perdevano sensibilità ogni volta che c’era da eseguire una giocata potenzialmente decisiva.
Col risultato dalla propria parte e col passare dei minuti, il Napoli ha ripiegato in un 5-4-1, come è solito fare in fase difensiva in questo inizio di stagione: Politano si abbassava da quinto di destra (a volte lo faceva addirittura anche Kvara), con Di Lorenzo che diventava terzo centrale, mentre a centrocampo Anguissa diventava esterno destro di centrocampo, con McTominay e Gilmour coppia di mediani.
Il Milan, invece, di norma si diponeva con un 2-3-5. Dietro rimanevano a impostare i due centrali, Fofana e i terzini, che erano soliti stringere sui suoi fianchi. In avanti i cinque giocatori offensivi occupavano tutti i corridoi verticali: Okafor e Chukwueze in ampiezza, Musah nel mezzo spazio destro, Morata in mezzo e Loftus-Cheek nel mezzo spazio sinistro.
Col Napoli che rinunciava al pressing, i giocatori più arretrati del Milan potevano cercare l’imbucata per i compagni tra le linee. I rossoneri, soprattutto con Thiaw, hanno eseguito spesso quel tipo di passaggio. Il problema è che una volta ricevuto tra le linee, nonostante il vantaggio posizionale non hanno saputo ricavare granché.
A volte per la difesa del Napoli è stato facile comprimere gli spazi in avanti perché Morata rimaneva in appoggio, non tagliava in verticale, e quindi al Milan mancava profondità e restava schiacciato.
Nella maggior parte dei casi, però, ad aver sporcato i possessi rossoneri tra le linee è stata la scarsa tecnica nello stretto. Musah e Loftus-Cheek, in particolare, si trovavano spesso a ricevere e con un tocco avrebbero potuto costringere la difesa del Napoli a correre all’indietro. Le loro esecuzioni, però, sono quasi sempre state sporche: il vantaggio teorico di ricevere tra le linee, per il Milan, non si è tradotto in nessun guadagno.
Anche in altre situazioni le giocate del Milan sono state imprecise. Anche il giocatore migliore dei rossoneri, Pulisic, quando ha avuto sul destro la palla del 2-1, su un passaggio a rimorchio nel cuore dell’area, ha sparato in curva.
L’errore più clamoroso, però, è stato senz’altro quello di Musah dopo aver recuperato palla in pressing alto, nel primo tempo. La partita era ancora sull’1-0 e un gol avrebbe potuto cambiare l’inerzia della gara. Una palla recuperata su una traccia in diagonale di Rrahmani per Gilmour, col difensore che aveva forzato la giocata per via della capacità del Milan di comprimere l’azione sulla fascia e negare le linee di passaggio. Musah, accanto allo scozzese, si è fiondato sul pallone ma il suo primo tocco è stato pessimo e va dato anche il merito a Meret, che con una grande uscita è riuscito a sporcare con le gambe un passaggio che avrebbe trovato tutto solo Morata in mezzo all'area con la porta vuota.
È stato un episodio chiave della partita, nato peraltro in maniera non casuale. Il pressing visto contro il Napoli, forse, è il dato più confortante per Fonseca, che ha proposto qualcosa di diverso. Il Milan si disponeva con un 4-1-3-2, con Morata e Loftus-Cheek punte, e Musah che si alzava da trequartista: le tre mezzepunte e i due attaccanti dovevano aggredire difensori e centrocampisti in impostazione, scivolando sul lato palla e prendendo l’uomo più vicino a seconda della scalata. Alle loro spalle c’era il rischio di lasciare solo Fofana in mediana e allora di solito Thiaw si alzava in avanti quando Kvara o McTominay si proponevano tra le linee, staccandosi dalla linea come ancora non avevamo visto fare ai centrali del Milan di Fonseca.
L’altra buona notizia è la prova di Chukwueze. Mentre Okafor e Leão sembrano non sapere mai cosa fare con la palla quando rientrano dalla fascia sul piede forte, il nigeriano ha saputo dare continuità al gioco, migliorando così i possessi del Milan sulla trequarti. Inoltre, ha saputo farsi valere anche nello stretto.
Non è bastato, però, contro un avversario che è stato chirurgico nel colpire nei momenti giusti: all’inizio della partita, cioè, con Lukaku per sbattere il pugno sul tavolo, e a fine primo tempo con Kvara, tagliando le gambe al Milan nel momento in cui stava giocando meglio (e viene da chiedersi se Maignan non avrebbe potuto fare di più su quel tiro: forse la miglior versione del portiere francese lo avrebbe parato).
Dopo una vittoria del genere il Napoli non può che essere ancora più sicuro di se stesso, anche se Conte, appena può, ci tiene a ricorrere al prontuario delle metafore da allenatore navigato parlando di cantiere aperto. Che il Napoli debba ancora crescere, visto l’inizio di un nuovo progetto, è ovvio. Tuttavia, in alcuni dettagli gli azzurri hanno già raggiunto una certa sofisticatezza. Ad esempio il modo in cui impone il pressing alto col 4-4-2 a inizio gara per poi abbassare il baricentro e tornare alla vecchia cara difesa a cinque. O anche la facilità con cui passa dal 4-2-4 (o 4-2-2-2) della fase offensiva al 5-4-1 di quella difensiva, una costante di questo inizio di stagione.
La solidità difensiva è ciò su cui Conte ha lavorato meglio in questi primi mesi a Napoli. Di solito le squadre tendono a essere più leggere all’inizio del campionato, a concedersi qualche azzardo in più. Col Napoli, invece, Conte già a ottobre sembra voler estrarre il massimo da ogni partita, senza rischiare troppo, chiudendosi a difesa della propria trequarti. Sembra una squadra già in missione, che estrae il massimo da risultati con uno scarto minimo, come se si stesse già facendo i conti su come vincere il campionato. Riuscirà a mantenere questa stessa efficienza sul lungo periodo?
Per un Milan ancora in costruzione, invece, una sconfitta contro il Napoli non è necessariamente un dramma, anche perché la prestazione, come detto, non è stata del tutto negativa. Sul risultato, poi, incidono senza dubbio lo stato di forma di Pulisic e le assenze, soprattutto quella di Reijnders visto che Theo non sembra proprio a suo agio in questo nuovo Milan.
Il problema è che i rossoneri sembrano ancora lontani dal risolvere i problemi ricorrenti di questo inizio di stagione. Ad esempio, la gestione delle ricezioni avversarie tra le linee – si può evitare, come ha detto Fonseca, di far staccare i difensori in avanti, ma allora bisogna ripiegare con un’intensità e una compattezza superiori, oppure ricorrere maggiormente al fuorigioco. Più difficile sarà migliorare il livello tecnico dei giocatori di rotazione, invece. Mentre con giocatori come Leão, Theo e Loftus-Cheek, Fonseca dovrà trovare un compromesso tra le sue idee e le loro caratteristiche, per altri questo tipo di lavoro sembra più difficile. Purtroppo o per fortuna la stagione è ancora lunga.