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Il Mondiale dell'Argentina
16 giu 2018
Le polemiche, i problemi tattici, l'enorme pressione su Messi: l'Albiceleste è la favorita meno rodata e più misteriosa della competizione.
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30 aprile 1986: la Nazionale argentina viene sconfitta per 1-0 dalla Norvegia in un’amichevole giocata a Oslo. Persino il Presidente della Repubblica, Raúl Alfonsín, tramite il Sottosegretario Otero, si attiva per rimuovere Bilardo, il director técnico, dalla panchina dell’Albiceleste: Grondona, presidente della Federcalcio argentina, riesce però a salvare l’allenatore.

Nel frattempo Menotti, DT della squadra campione del Mondo 8 anni prima, aveva già espresso la sua netta opinione contraria: «La verità è che a nessuno piace questa squadra». Si riferiva, tra l’altro, all’incredibile volontà di Bilardo di non giocare in Argentina: tra il 30 giugno 1985 (partita di qualificazione contro il Perù) e il 20 giugno 1987, la Selección non ha giocato neppure una partita in casa, anche per timori di contestazioni feroci.

Bilardo era costretto addirittura a evitare la scuola della figlia, che dai professori veniva chiamata esclusivamente per nome, per evitare qualunque tipo di problema. Persino Maradona era criticato continuamente - l’opinione pubblica si stava infatti spaccando tra sostenitori di Passarella e di Maradona per la fascia di capitano.

La paura era il sentimento dominante: per evitare umiliazioni e costruire la fiducia del suo gruppo in vista del Mondiale messicano, Bilardo ordinò alla Federazione di non organizzare partite contro altre Nazionali. L’ultima fu contro Israele, poi solo contro club: Napoli, Grasshopper, Junior Barranquilla e squadre messicane.

32 anni dopo

Oggi la situazione sembra persino peggiore. Il movimento calcistico argentino vive un periodo caotico: dal 2014 la Federazione ha cambiato ben 4 presidenti, con l’onta, addirittura, della nomina della Comisión Normalizadora della Fifa - un sostanziale commissariamento.

Nello stesso lasso di tempo, la gestione tecnica è cambiata altrettante volte: Sabella, Martino, Bauza e alla fine Sampaoli. Ed è proprio la squadra di Sampaoli che, il 27 marzo, ha perso 6-1 contro la Spagna. Così, per evitare altre batoste e ricostruire la fiducia del gruppo, la Federazione ha organizzato tre facili amichevoli pre-Mondiali, contro Nicaragua, Haiti e Israele, ma alla fine è riuscita a giocarne solo una.

La squadra è ancora completamente in costruzione: dopo l’infortunio del portiere Romero praticamente solo Messi e Otamendi sono sicuri della titolarità ai Mondiali e poco di quanto predicato dal nuovo DT sembra essere stato assorbito dai giocatori. Una parte del gruppo, quella storica, è stremata dalla terribile striscia di sconfitte consecutive: tre finali perse in tre anni (Mondiale 2014, Copa America 2015 e ‘16).

Con l’amichevole contro Israele (che era stata riproposta fino al 1998, come partita talismano - evidentemente senza successo), la Federazione aveva provato a connettere questa storia con quella del 1986. Anche questo tentativo, un po’ magico e un po’ cialtrone, è fallito: la partita è stata cancellata, sembra soprattutto per volontà dei giocatori (e sull'onda dei movimenti di boicottaggio a Israele che avevano chiesto all'Argentina di non giocare), e ormai a questa Nazionale è stato tolto anche l’appiglio della superstizione.

La Federazione, con grande sorpresa e clamore nella stampa argentina, ha persino annullato la visita da Papa Francesco, che era pronto alla benedizione; e subito dopo Lanzini, probabile titolare, si è rotto il legamento crociato nel ritiro di Barcellona. A questo si aggiungono le accuse di molestie rivolte a Sampaoli che, seppur provenienti da fonti inaffidabili, turbano ulteriormente l’ambiente. A questa squadra non resta che Messi per evitare il fallimento: l’ultimo gol dell’Argentina in partite ufficiali segnato da un altro giocatore risale addirittura a 19 mesi fa.

Uomini e principi

45 giocatori schierati, 3 allenatori e la partecipazione al Mondiale conquistata all’ultima partita con una tripletta di Messi: il percorso di qualificazione dell’Argentina è già una dichiarazione di caos e una fotografia dell’indeterminatezza della squadra.

Da quando Sampaoli è alla guida tecnica della squadra, la situazione non sembra granché migliorata. Rispetto ai suoi predecessori, Sabella, Martino e Bauza, Sampaoli è soprattutto un allenatore legato ad alcuni principi: squadra compatta verticalmente con linea difensiva sempre alta; aggressione sulla trequarti degli avversari, con transizioni difensive proattive, volte cioè al recupero immediato del pallone; predilezione per un calcio verticale, ma sempre all’interno di un sistema associativo.

Per Sampaoli i moduli cambiano durante una partita, ma i principi restano: il DT vuole che l’Argentina sia quindi proattiva, capace cioè di imporre il proprio contesto tattico all’avversario, con ritmi molto alti.

Questi principi, però, si scontrano con la realtà dei fatti: l’Argentina di Sabella prima, e di Martino e Bauza poi, era in qualche modo una squadra pachidermica nei ritmi, molto abile nelle transizioni offensive, ma che giocava un calcio spesso sotto ritmo cercando di rischiare poco per non disordinare una semplice organizzazione di gioco.

Sampaoli, quindi, ha avuto più o meno un anno a disposizione per provare una vera e propria rivoluzione, il cui esito era però abbastanza scontato: i ritagli di tempo per le Nazionali rendono questi cambiamenti radicali molto difficili. Nella sua precedente esperienza cilena, Sampaoli aveva potuto proseguire e migliorare il lavoro di Marcelo Bielsa (dopo l’interregno di Claudio Borghi) e in quel caso aveva portato quasi alla perfezione un sistema già ben elaborato dal gruppo. In questa Argentina, invece, Sampaoli ha dovuto costruire quasi da zero.

Dopo aver provato un sistema con la difesa a tre per garantirsi un inizio azione limpido, Sampaoli è ritornato al classico 4-4-2 in fase difensiva posizionale che la Selección utilizza ormai da anni - se gli schemi non sono importanti, meglio dare qualche certezza in più alla squadra con i riferimenti tradizionali.

Quello che Sampaoli considera, invece, il suo sistema di riferimento, con e senza pallone, è il 2-3-3-2, per ottenere continue linee di passaggio dietro la linea di pressione rivale e garantirsi l’occupazione sia degli spazi di mezzo che delle fasce.

In questo caso, i due centrali difensivi (probabilmente Otamendi e uno tra Rojo e Fazio) sono deputati ad accorciare il campo, muovendosi in avanti; la successiva linea è costituita dai due terzini (Salvio/Mercado e Tagliafico), che garantiscono ampiezza necessaria anche per l’inizio dell’azione, e il pivote, che ha il compito fondamentale, oltre a gestire il giro palla, di essere l’equilibratore delle due transizioni. In quella posizione l’Argentina può schierare Mascherano o Biglia: il primo con grandi difficoltà nella copertura dello spazio ma grandi qualità di posizionamento difensivo; il secondo con maggiori capacità di distribuzione del gioco soprattutto in transizione e meno capacità di proteggere i centrali.

Sulla trequarti avversaria, la linea di 3 è costituita dal secondo centrocampista centrale, volante de cinco, quello più offensivo - il favorito per il ruolo è Lo Celso - con i due esterni ad attaccare la profondità delle fasce (Di María a sinistra, ma non più Lanzini a destra: al suo posto forse Maxi Meza, oppure Banega, per garantire qualità sulla trequarti, quando recupererà dall’infortunio) e ricercare superiorità posizionale tra le linee avversarie. In particolare, Di María è sempre meno a suo agio come esterno puro sulla linea laterale, e più decisivo dentro il campo, potendo così anche dosare il suo contributo fisico.

In attacco, Messi è libero di trovarsi la posizione migliore, aiutato da Agüero: il "Kun" è considerato il miglior compagno per la sua capacità di muoversi e non concedere riferimenti fissi in avanti, creando così spazio per gli inserimenti.

Higuaín sembra un pesce fuor d’acqua, e nell’ultima amichevole contro Haiti ha fornito una prestazione deludente: solo 11 tocchi di palla in 59 minuti, meno di chiunque altro nell’Albiceleste, anche di chi ha giocato solo un quarto d’ora. Sampaoli vuole attaccanti partecipativi e mobili, ma "El Pipita" sembra sempre schiavo delle pressioni (dal 2016 un solo gol in 13 partite), inferiori solo a quelle di Messi - per gli errori che sono costati cari alla Nazionale nelle varie finali giocate.

Allo stesso modo, Dybala gode di scarsa considerazione per la sua difficoltà a giocare in un contesto associativo: da una parte è considerato troppo anarchico; dall’altra ha la naturale tendenza a occupare le stesse zone di campo di Messi, di cui si condanna a essere sostituto per farlo rifiatare.

Le verità del campo

La rivoluzione è in corso, anche negli uomini (14 giocatori sui 23 convocati sono al primo Mondiale giocato, eppure l’età media dei titolari è molto alta), e in questo momento l’Argentina non è né bielsista, né guardiolista: non a suo agio nell’imporre un contesto aggressivo e iperattivo, non a suo agio nell’imporre una proposta di gioco associativo.

La differenza tra una squadra ben rodata e un gruppo di giocatori ancora un po’ smarriti è apparsa evidente nella sconfitta per 6-1 contro la Spagna nell’amichevole di marzo: l’idea di contendere il possesso alla squadra di Lopetegui non è stata particolarmente brillante. Il gioco posizionale era eccessivamente statico; l’esecuzione dei movimenti per riconquistare il pallone sulla trequarti avversaria ancora precaria; i movimenti della linea difensiva ancora poco coordinati.

I dubbi e la sfortuna di Sampaoli sono talmente grandi che neppure il portiere può dirsi sicuro del suo posto: dopo l’infortunio di Romero, il favorito è Caballero perché più abituato a uno stile associativo, ma è pur sempre la riserva 36enne di Courtois nel Chelsea. Ecco perché non dovrebbe sorprendere l’eventuale presenza di Armani, portiere del River convocato quasi a furor di popolo, dallo stile un po’ grezzo (in particolare per l’abitudine a non bloccare i tiri, ma a respingerli) ma molto abile nel giocare il pallone, anche nel lungo.

Sampaoli comunque non ha lavorato invano: qui l’Argentina riesce a superare la pressione sull’inizio azione e arriva fino all’area spagnola.

Con il pallone, Sampaoli vuole soprattutto movimento e fluidità: le linee di passaggio si possono creare solo se i compagni disposti nelle posizioni più avanzate riescono a scambiarsi di posizione e a occupare tutti i corridoi verticali del campo. Alla sua Nazionale manca però qualità tecnica per poter eseguire al meglio un calcio posizionale: Biglia e Mascherano tendono alla distribuzione conservativa del gioco, sebbene il primo sia più a suo agio nel ruolo di regista.

Con Lo Celso almeno si riesce a ottenere una maggiore capacità associativa, affinché la squadra si ordini con il pallone, rimanendo cioè un blocco corto. Il rischio, però, è che il giocatore del PSG, quando costretto ad abbassarsi davanti alla difesa, prenda decisioni affrettate (come accaduto con il PSG al Bernabéu), assumendosi troppi rischi, soprattutto giocando in verticale. Ma d’altronde, per sbloccare la sua squadra, Sampaoli sarà costretto a rischiare continuamente.

Primi minuti della partita contro il Venezuela, primi problemi con il pallone: Messi è costretto ad abbassarsi fino alla posizione di pivote, mentre Pizarro - il vero regista - non sa cosa fare. L’intera struttura posizionale della squadra è caotica - Dybala dovrebbe scendere nel mezzo spazio per garantire un’opzione di passaggio ma rimane fermo.

Messi contro la realtà

La vera grande questione dell’Argentina in fase di possesso, inutile girarci attorno, è come attivare Messi.

Il problema non è davvero la sua posizione, che durante una partita può e deve variare spesso, ma la difficoltà che incontreranno i suoi compagni nel servirlo sulla trequarti: più faranno fatica a salire con il pallone, più costringeranno Messi ad abbassarsi ed essere meno pericoloso per gli avversari. Finora, neppure Sampaoli è riuscito ad aiutare il numero 10: Messi è quasi costretto a creare gioco, saltando spesso l’uomo, e allontanandosi dall’area avversaria. Più Sampaoli riuscirà ad aiutare Messi, mettendolo in condizioni di giocare semplicemente grandi partite e non di dover compiere miracoli, maggiori saranno le possibilità di avanzare nel torneo.

Alla fine, il vero modo per marcare Messi o ridurne la pericolosità non è stato individuato dagli avversari, ma dalla propria Nazionale: costruirgli intorno un contesto associativo quasi nullo, costringendolo ad abbassarsi continuamente, tirandolo così fuori dalla zona più pericolosa.

Nella rosa dei 23 convocati, infatti, gli unici compagni con cui Messi può associarsi a buon livello sono 4 (a cui va aggiunto il giovane Pavón del Boca): Di María, per la capacità di attaccare lo spazio; Banega, per la visione di gioco e la capacità di trovare linee di passaggio; Agüero, per la sua mobilità; e Lo Celso, per la sua capacità di assistenza sulla trequarti.

Per sostituire l’infortunato Lanzini, che aveva caratteristiche uniche (velocità, dribbling e tiro), è stato chiamato addirittura il centrocampista Enzo Pérez, un lottatore del centrocampo, uno degli 8 giocatori presenti al Mondiale del 2014: una scelta cervellotica, a quanto pare dovuta alle condizioni ancora precarie di Biglia e Banega, e la volontà di avere un profilo più aggressivo e polivalente. Niente da fare per giocatori più associativi come Paredes o Guido Pizarro, o per un esterno tipo Perotti.

«Senza Messi siamo una squadra normale», ha detto Biglia, riassumendo il problema: nonostante gravi carenze di struttura e di qualità, questa Nazionale ha comunque raggiunto tre finali consecutive.

Mai visto prima: Messi che fa una sovrapposizione in fascia e sta correndo quasi fuori dal campo. Nel frattempo Dybala è fermo e non si avvicina al pallone per dettare almeno un passaggio al suo compagno. Secondo Menotti, la vera differenza tra i due Messi è che quello del Barça gioca, mentre quello dell’Albiceleste corre: la dimostrazione è in questa immagine.

Sampaoli ha fatto capire che l’Argentina non ha terzini creatori di gioco e neppure abili ad attaccare (la convocazione di Ansaldi è una mossa disperata, che fa capire l’angoscia del DT): almeno a sinistra la crescita di Tagliafico nell’Ajax ha permesso di avere un terzino più completo, rispetto a Mercado sulla destra, sostanzialmente un centrale adattato.

Per attaccare le fasce, Sampaoli si affida completamente a Di María e a due giocatori del campionato argentino: Meza, il migliore in campo nella sconfitta contro lo Spagna, per la sua velocità sul lungo, capacità di attaccare la profondità e di saper ricevere anche dentro il campo; e Pavón, che ha avuto addirittura l’appoggio pubblico di Messi, per la sua rapidità e abilità di associarsi, e potrebbe entrare spesso a partita in corso.

Il sistema di riconquista del pallone sull’inizio azione: il passaggio laterale di Bonucci per Rugani, lasciato leggermente più libero, innesca la pressione argentina, che è pienamente orientata all’uomo.

Senza pallone, la pressione argentina è orientata all’uomo e si attiva in base ad alcuni inneschi, come il passaggio laterale tra i due centrali avversari, di cui uno viene solitamente lasciato più libero: i giocatori si posizionano in base ai possibili ricevitori dei passaggi.

Contro l’Italia, la pressione alta argentina è sembrata già ben elaborata, ma non si può dire la stessa cosa contro la Spagna: la mancanza di amichevoli serie pre-Mondiale lascia l’Albiceleste in uno strano alone di mistero.

I giocatori riusciranno a utilizzare tutti gli strumenti tattici predisposti da Sampaoli? Sarà una squadra più abile nel giocare il pallone o nel riconquistarlo?

Qui l’Argentina riesce a eseguire lo strumento tattico fondamentale del gioco di posizione: la ricerca del terzo uomo, cioè il giocatore libero. Rojo serve Banega che appoggia su Lo Celso, appunto l’uomo libero di giocare fronte alla porta: trova subito una soluzione corretta, servire il pallone sull’attacco in fascia di Tagliafico. Notare sul lato debole ben due giocatori larghi per garantire l’attacco in ampiezza.

Le convocazioni lasciano pensare che Sampaoli abbia in qualche modo attenuato la sua volontà di proporre un gioco associativo, per proporre una squadra rapida e verticale, abilissima nelle transizioni e molto aggressiva. Anche la scelta di Enzo Pérez potrebbe essere un segnale, al di là delle condizioni fisiche dei suoi compagni di reparto: la compattezza difensiva prima di tutto, e l’attacco in transizione come opzione preferita?

Nelle sue conferenze stampa, Sampaoli non ha fatto altro che ripetere il mantra dell’attaccare sempre: la questione principale è il come. E se il recupero del pallone fosse lo strumento di gioco principale?

Sarebbe davvero incredibile se il gegenpressing diventasse sul serio il più grande playmaker persino nell’Argentina di Messi: considerate le qualità della rosa, sarebbe una scelta estrema ma niente affatto folle. Il problema più grande però è che quasi tutti gli avversari vorranno concedere il pallone all’Albiceleste: è per questo che a Sampaoli servirà alternare più registri.

L’Argentina che arriva alla prima partita del Mondiale, contro l’Islanda, è ancora un laboratorio: può giocare in diversi modi, ma in nessuno si sente pienamente a proprio agio; ha fatto vedere delle buone capacità di sviluppo, ma anche delle potenzialità di disastro. L’Argentina è la favorita meno rodata e la più misteriosa della competizione, e nessuno degli avversari sa davvero cosa aspettarsi.

L’eterna condanna

Circondata dal caos, dalla sfortuna e da un’enorme pressione, che nessun’altra Nazionale è costretta a subire, la sconfitta dell’Argentina può sembrare quasi una inevitabile conseguenza, e così anche la sconfitta di Messi. È possibile che il suo momento sia già passato, in quella finale del Maracanà di 4 anni fa, e che non abbia saputo coglierlo.

Forse chiuderemo questo Mondiale con l’incredibile constatazione che i due più grandi campioni del calcio moderno, e tra i migliori della storia senza alcun dubbio, smetteranno senza aver mai vinto il Mondiale. Il percorso di Messi con la Nazionale argentina potrebbe quindi concludersi con la vittoria di un Mondiale Under-20 e con la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino: è difficile capire quanto un altro insuccesso potrebbe influire sulla sua eredità calcistica, che per noi contemporanei è già immensa ma fra qualche decennio potrebbe sembrare più ridotta.

Messi conduce ben lontano dalla porta: il Perù è raccolto e i suoi compagni sono in netta inferiorità numerica. Nessun movimento in profondità tranne quello dell’esterno destro; uniche linee di passaggio disponibili, all’indietro o cambio di campo piatto. Così è troppo difficile.

Il contesto organizzativo dell’Argentina attuale è di gran lunga peggiore a quello del 1986. Anche dal punto di vista tecnico-tattico c’è differenza con quella squadra, che era comunque molto organizzata, oltre a disporre di Maradona.

Messi è molto più solo, i suoi compagni storici sono sfiduciati, la formazione è in alto mare e c’è un gruppo di giocatori privi di esperienza. Il Mondiale è un torneo breve, in cui è importante che le dinamiche di gruppo funzionino in quel mese, al di là di cosa sia successo prima; e in cui basta avere una struttura di gioco definita e saper maneggiare diversi strumenti tattici per poter competere con gli avversari.

Quella storia di caos e paura, di solitudine e contestazioni, nel 1986 si concluse con un trionfo, con Maradona ad alzare la coppa e il narigón Bilardo infuriato negli spogliatoi (perché la sua squadra aveva subito due gol da calcio d’angolo, che era solito preparare meticolosamente). Nessuno chiederebbe al numero 10 attuale di portare questa squadra alla vittoria, se non ci fosse quel precedente.

Allo stesso tempo, è anche questa l’unica speranza a cui si aggrappano i tifosi argentini: è già successo e può accadere di nuovo, se Sampaoli trasformerà questo gruppo in una squadra solida e riuscirà a trovare un undici equilibrato.

I giocatori hanno bisogno di acquistare fiducia per poter usare tutta la ferramenta tattica del proprio allenatore: per interpretare i principi di Sampaoli, bisogna innanzitutto crederci. Ma al di là di qualunque questione tattica, l’Argentina non potrà vincere questo Mondiale senza un grande Messi, che ci arriva forse nelle migliori condizioni di sempre: moderatamente riposato dopo l’eliminazione del Barça ai quarti di Champions, scarpa d’oro, tripletta nella sfida decisiva per la qualificazione ai Mondiali e nell’ultima amichevole.

È già successo che un uomo si trasformasse in divinità, durante una partita del Mondiale, e quella volta era Maradona contro l’Inghilterra, era il 1986: non è più accaduto, e questa è la condanna di Messi, e forse la sua unica speranza. I tifosi argentini si aggrappano alle famose parole dello storico giornalista Dante Panzeri: che il calcio, e quindi il Mondiale, sia davvero dinamica dell’impensato.

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