In questo pezzo sarò costretto a parlare soprattutto del Chelsea e di Mourinho. Non che l'Atletico e Simeone siano in generale meno interessanti, avrebbero tranquillamente potuto segnare un gol nella partita di una settimana fa e lo 0-0 casalingo è un risultato migliore per loro che per i blues, ma quello che è successo all'andata è opera di un uomo solo. Un visionario che non ha a cuore le stesse cose che posso avere a cuore io o tu, lettore, che non solo vuoi goderti bel calcio dal vivo ma vuoi anche leggere belle descrizioni dei meccanismi tattici e delle battaglie tra sistemi.
Per questo, da qui in avanti, mi riferirò a Mourinho (José) come al Grande Manipolatore o, a seconda dei casi, Grande Opportunista. La simpatia e l'antipatia non c'entrano niente, lo si può apprezzare o criticare per motivi esclusivamente calcistici e la capacità manipolatoria (manipola i suoi calciatori, l'ambiente, persino la nostra idea di calcio) e l'opportunismo mi sembrano due caratteristiche, specialmente la seconda, messe in mostra in questa parte finale di stagione. Possiamo esaltarci o deprimerci per quello che queste sue qualità hanno fatto a una delle due semifinali di Champions League 2013-2014 (e alla Premier League), tanto a lui non gliene potrebbe fregar di meno.
Certo, il Chelsea di una settimana fa aveva problemi contingenti (l'assenza di Matic per le coppe Europee, quella importantissima di Hazard, il momento poco brillante di Oscar). Il Grande Manipolatore è al suo primo anno di gestione, continua a ripetere ragionevolmente di non poter vincere né campionato né Champions League e si trovava ad affrontare fuori casa una squadra che se non è al proprio apice stilistico è comunque in un punto molto alto della propria evoluzione. Il Chelsea partiva sfavorito e la formazione era quella di una squadra che se non puntava proprio allo 0-0, come il Grande Manipolatore ha detto dopo la gara, di certo non era andato al Vicente Calderón per imporre il proprio gioco.
Il 4-2-3-1 solito abbandonato per quella partita in favore di un compattissimo 4-1-4-1 (o se preferite 4-5-1... di certo non si poteva chiamare 4-3-3); Schürrle e Oscar in panchina, Obi Mikel a centrocampo insieme a David Luiz e Lampard; sulle fasce davanti ai terzini (che stavolta non si sono mossi dalla linea di Terry e Cahill) Willian e Ramires, bifasici quanto si vuole ma spesso a fare da quinto e sesto difensore seguendo le salite di Filipe Luís e Juanfran.
A ben guardare la formazione scelta dal Grande Opportunista era molto simile a quella con cui il Chelsea con Di Matteo in panchina ha affrontato il Barcellona al ritorno nel 2012: in quel caso i tre centrocampisti centrali erano Lampard, Mikel e Meireles e sugli esterni i due giocatori che avrebbero dovuto trasformare l'azione da difensiva a offensiva erano lo stesso Ramires (decisivo quella sera) e Mata sulla destra. Nel 2012 però l'avversario era il Barcellona di Guardiola (anche se l'ultimo Barcellona di Guardiola): un sistema di gioco eccezionale contro cui prendere misure eccezionali, una squadra che dominava e controllava le partite con il possesso palla nella metà campo avversaria e aveva problemi nella transizione difensiva: giocare in quel modo, anche se non era esattamente il massimo, aveva senso.
La strategia del Grande Opportunista di una settimana fa è, anche senza voler dare giudizi, problematica anzitutto perché l'Atletico non è una squadra che fa possesso palla, né superiore tecnicamente al Chelsea.
Va detto che lo scopo principale era sottrarsi al pressing a centrocampo e alla transizione offensiva che rendono a suo modo l'Atletico Madrid di Simeone una squadra comunque eccezionale, di cui (con un po' di fortuna) ci ricorderemo. E tenere pochissimo la palla tra i piedi (30,7% di possesso finale) in effetti è un ottimo metodo per non farsela rubare a centrocampo dall'Atletico. O da qualsiasi altra squadra. (Non sto dicendo sia facile difendersi per novanta minuti, sopratutto sotto il profilo mentale anzi quello del Chelsea è stato un capolavoro, anche se negativo).
Dall'altra parte, però, la strategia del Chelsea sembrava mirata a evidenziare i limiti in fase di costruzione di fronte a una squadra schierata. E una cosa è distruggere i punti di forza delle squadre avversarie, un'altra esporne quelli deboli senza avere praticamente niente da guadagnare. È vero che “la difesa è il miglior attacco” ma in questo caso sembrava più che “l'attacco dell'Atletico” fosse “la miglior difesa del Chelsea”. Una manipolazione raffinatissima e perversa che ha partorito una partita così brutta che se si potesse tornare indietro, non giocarla, spendere quei novanta minuti in altro modo e darsi appuntamento direttamente a Londra, credo che nessuno obietterebbe.
Addirittura attimi di 7-2-1 a Madrid. In fase difensiva il Chelsea non gioca una zona “pura”, Mikel scalava sui terzini in marcatura o si schiacciava sulla linea difensiva. Sopra si vedono anche i 4 centrocampisti dell'Atletico molto vicini, sulla stessa linea, dietro i 9 del Chelsea, e i terzini molto alti come unico sfogo oltre alla ricerca della punte in area.
Il Grande Opportunista ha messo i suoi calciatori nelle migliori condizioni difensive possibili: dentro la propria area sui cross alti Cahill e Terry sono quasi imbattibili. L'effetto collaterale che ha ottenuto è stato quello di rendere praticamente impossibile qualsiasi tipo di ripartenza, lasciando il collegamento tra Torres e il resto della squadra nelle mani, nei piedi, di Mikel e David Luiz. Il Chelsea non ha rischiato molto ma ha fatto ancora meno: un contropiede nel primo tempo e qualche corsa di David Luiz sono il massimo del gioco che è riuscito ad esprimere in una semifinale di Champions League.
Alla scelta discutibile degli interpreti (sempre considerando che in panchina c'era quanto meno Schürrle, che avrebbe benissimo potuto giocare una partita da semi-terzino in fascia garantendo comunque un'esplosività superiore a quella di Ramires, che a sua volta avrebbe potuto giocare interno) va aggiunto un atteggiamento generale poco intraprendente. Il Chelsea attaccava con pochissimi uomini e subito in verticale, con la difesa che saliva pochissimo allungando la squadra su sessanta metri. Per curare una transizione offensiva al meglio i calciatori dovrebbero posizionarsi in modo funzionale alla fase d'attacco mentre stanno difendendo, in questo caso invece si vedeva come fossero restii a lasciare la posizione di competenza anche una volta recuperata palla.
La mancata interpretazione dello spazio offensivo, con iniziative individuali di giocatori isolati (è significativo che Torres abbia tentato più dribbling di tutti), forse è stata la parte peggiore del Chelsea all'andata. Ovviamente il Grande Opportunista non ha fatto le cose a caso. Veniva dalla sconfitta con il Sunderland che aveva esposto i limiti del Chelsea in fase di creazione e non provare affatto a costruire è un buon metodo per nascondere un difetto del genere. Tutto sommato, riteneva, anche valutando lo stato degli uomini a disposizione al momento di stilare la lista, riteneva che non avrebbe avuto molte altre possibilità con l'Atletico. Questo è sia l'argomento di chi lo difende sia quello che intendo io con "opportunismo".
La verticalità di David Luiz con Ramires e Willian costretti a partire da dietro la linea della palla. I quattro difensori sono strettissimi, Lampard sta camminando e anche Mikel che in teoria è vicino sembra disinteressarsi dell'azione. Che proseguirà con una palla per Torres che sulla fascia destra conquisterà un calcio d'angolo, con un po' di fortuna.
I limiti dell'Atletico sono soprattutto dovuti alla rosa a disposizione di Simeone. Costretto a fare una partita non sua si è trovato in difficoltà fin dall'inizio. Diego e Koke si accentravano spesso lasciando salire i terzini e provando ad ottenere la superiorità sui mediani del Chelsea, ma di fronte a due linee strette ricorrevano spesso al cross (43 tentati, esclusi i calci d'angolo, sono davvero tanti) senza arrivare quasi mai sul fondo. Costa e Garcia qualche pericolo lo hanno creato comunque, ma l'assenza di un gioco tra le linee ha pesato moltissimo. Il “Cholo” Simeone deve aver preferito Raul Garcia a David Villa, entrato solo a 4 minuti dalla fine, proprio per il gioco aereo ma a conti fatti forse sarebbe stato meglio avere un attaccante che scendesse tra le linee.
Quello che non posso perdonare al Grande Manipolatore, pur riconoscendo la genialità del modo in cui ha fatto interpretare al Chelsea il ruolo dell'outsider, è che non si è accontentato di modificare il gioco della propria squadra, ma ha cambiato anche quello della squadra avversaria.
(E aggiungo che anche considerando i soldi spesi, quelli a disposizione e i trofei vinti negli ultimi anni, e confrontandoli con le risorse e la storia recente dell'Atletico Madrid fatico a pensare al Chelsea come la candida Cenerentola di questa semifinale.)
Così, il Chelsea si è ritrovato quasi senza volerlo a pochi punti dalla vetta in Premier League e in semifinale di Champions.
Il Grande Opportunista dà il meglio di sé nelle partite che contano: il Chelsea ha guadagnato 16 punti in campionato contro le prime 4. Il Liverpool non finiva una partita senza segnare dallo scorso novembre, una striscia di 26 gare, prima di perdere 0-2 ad Anfield Road contro il Chelsea e rischiare di perdere il campionato anche vincendo le ultime due partite.
A Liverpool il Grande Opportunista ha riproposto il 4-2-3-1, con il triangolo centrale blues speculare a quello reds (Lampard trequartista a schermare Gerrard, Mikel e Matic su Lucas Leiva e Joe Allen). Una scelta ancora una volta orientata verso la difesa, così come la costante ricerca della testa di Demba Ba, spesso da fallo laterale. Con Schürrle e Salah esterni e Lampard comunque più alto rispetto ai mediani, il Chelsea ha giocato anche un discreto primo tempo, salendo a seconda del momento fino nella metà campo del Liverpool (e il 6-0 con l'Arsenal è un esempio di quanto di bello può fare il Chelsea con il pressing e con quel tipo di trequartisti a disposizione).
Dopo lo scivolone di Gerrard e il gol del vantaggio, per tutto il secondo tempo, si è visto nuovamente un Chelsea quasi del tutto disinteressato alla fase propositiva del gioco. E la vera ironia non è tanto quella del capitano che offre la cena ai compagni e poi gli fa perdere il campionato, quanto piuttosto quella della squadra che costruisce il gioco con la difesa alta e del playmaker che perde palla da ultimo uomo contro una squadra che la aspetta a ridosso dell'area.
In questo senso anche l'errore di Gerrard sembra partorito dalla mente del Grande Manipolatore.
Il Chelsea nel primo tempo contro il Liverpool, con Lampard più alto anche se con compiti difensivi, riusciva a contrastare più efficacemente il gioco avversario e a salire con la palla tra i piedi.
Nel secondo tempo il Chelsea si è abbassato molto delegando la fase offensiva all'iniziativa e alla corsa dei singoli.
Un atteggiamento del genere (unito alle perdite di tempo, alle dichiarazioni umili sui propri obiettivi) è sembrato ipocrita ai detrattori del Grande Manipolatore, che a metà marzo aveva accusato il West Ham di Sam Allardyce di aver giocato un calcio «da diciannovesimo secolo» (dopo aver perso 1-0 fuori casa) e che dopo aver perso in casa con il Sunderland si era congratulato sarcasticamente con l'allenatore Poyet e con Mike Dean (l'arbitro della gara). Brendan Rodgers, che una decina di anni fa ha lavorato con il Grande Manipolatore proprio al Chelsea, ha commentato la sconfitta dicendo che «non è difficile allenare 10 giocatori a difendere dentro la propria area. […] A me piace che la mia squadra prenda l'iniziativa durante una partita e che i calciatori siano liberi di esprimersi». Rodgers ha aggiunto che con il suo stile, opposto a quello del Chelsea, spera di ottenere risultati con il tempo e con il lavoro.
Insomma, quello del Grande Opportunista è uno stile che porta risultati immediati ma lascia dubbi sul medio-lungo termine. Abramovich ha speso molti soldi sul mercato per acquistare giocatori creativi e se c'è un progetto non è certo quello di giocare in 10 dentro l'area. Anche se dubito che qualcuno sia scontento dei risultati ottenuti fin qui e non escludo che il Grande Manipolatore adotti uno stile diverso negli anni a venire, quando considererà la sua squadra più matura.
CONCLUSIONI
In teoria non c'è motivo di pensare che il Chelsea affronterà la gara di ritorno con un atteggiamento diverso da quello dell'andata o da quello di Liverpool. Anzi, semmai potrebbe cambiare quello dell'Atletico. Potremmo vedere due squadre lanciarsi la palla da una metà all'altra del campo, ognuna schierata a ridosso della propria area di rigore, aspettando il fischio finale.
Il Grande Opportunista, però, dovrà fare a meno di Mikel e Lampard (oltre che, forse, a Terry e Cech) e al loro posto sarà costretto a inserire giocatori con maggiore qualità e spirito d'iniziativa, come Oscar, o Schürrle, il rientrante Hazard. Quindi magari vedremo qualcosa di meglio dell'andata e il Chelsea potrà, perché no, cercare anche qualcosa di più dello 0-0. Mi aspetto anche un Atletico con più coraggio, vendicativo, e che potrebbe guadagnare molto dal rientro a tempo pieno di Arda Turan (capace di muoversi tra le linee e creare superiorità saltando l'avversario) e da un'eventuale decisione di mettere in campo David Villa dall'inizio. Continuo a vedere favorito l'Atletico a cui in fondo basta non perdere.
Pensando al Grande Opportunista di queste ultime settimane mi sono tornate in mente le parole di Gianni Brera dopo il famoso Italia-Germania 4-3, quando dopo aver festeggiato la vittoria ha aggiunto: «Sono difensivista convinto ma questo non è calcio: è miseria pedatoria». Per compensare ho riletto dei passi del libro L'Alieno Mourinho e sono capitato su quello in cui, parlando dell'ossessione di Mourinho per la vittoria, Sandro Modeo dice che rappresenta «una forma indiretta di immortalità: non solo il desiderio di essere ricordati da chi ci sopravviverà, ma di cancellare in vita lo stesso orizzonte della morte».
In ogni caso il risultato finale nel calcio non è tutto.