Alla fine degli Us Open a Novak Djokovic potrebbe arrivare l’avviso di sfratto dal trono di numero 1 del ranking mondiale a firma Andy Murray. Si gioca l’ultimo torneo dello Slam infatti, e per una volta Novak Djokovic non è strafavorito. È successo che Andy Murray ha vinto 22 partite consecutivamente a partire dal torneo del Queen’s, una sequenza che gli ha permesso di vincere, oltre a Londra e Wimbledon, le Olimpiadi di Rio 2016 e di arrivare ad un passo dalla vittoria del Master 1000 di Cincinnati, torneo dove è stato sconfitto in finale, forse per stanchezza.
Attualmente Novak Djokovic guida il ranking ATP con 5.535 punti di vantaggio sull’inglese, ma è guardando la Race, specchio più realistico della stagione in corso, che si capisce come questo divario fra i due sia in realtà minore. In questa classifica, che parte da zero il primo gennaio di ogni anno, Djokovic ha 1215 punti di vantaggio su Murray. Il sorpasso nella Race è quindi possibile: se l’inglese vincerà il titolo di New York, che vale 2000 punti, Djokovic dovrà aver conquistato almeno la finale (1200 punti) per conservare il primo posto di questa classifica che a fine anno coincide con il Ranking ATP. Se il serbo si fermasse in semifinale e Murray vincesse il titolo lo scozzese sarebbe avanti, anche se per appena 65 punti.
La sconfitta di Andy Murray contro Marin Cilic in finale a Cincinnati.
Gli Us Open saranno un torneo spartiacque perché, nella parte finale della stagione, il serbo dovrà difendere molti punti. Nel 2015, Djokovic ha vinto i Master 1000 di Shanghai e Parigi-Bercy (2000 punti) oltre alle ATP Finals di Londra (1300, visto che aveva perso, contro Federer che non ci sarà, una partita del Round Robin), per un totale di 3.300 punti. Murray deve difendere la semifinale a Shanghai (360), la finale di Parigy-Bercy (600) e i 200 punti conquistati alle ATP Finals 2015, dove non ha superato il girone di qualificazione. Sono “soltanto” 1160 punti, praticamente un terzo di quelli di Djokovic.
Murray arriva al torneo statunitense in gran forma, con la settimana di riposo dopo la finale di Cincinnati persa contro Cilic. Rispetto al 2015, quando perse al quarto turno giocando contro Kevin Anderson, è difficile pensare che Murray non riesca a capitalizzare il momento migliore della sua carriera. Quest’anno ha raggiunto la finale in tutti i tornei degli Slam, Ivan Lendl è tornato ad allenarlo e a New York avrà la chance di lanciare un segnale fortissimo per imporre una nuova transizione al mondo del tennis. Ma di certo in molti proveranno ad ostacolare questo piano.
A cominciare appunto da Novak Djokovic, l’ex imbattibile. Le sconfitte pesanti rimediate quest’anno dal serbo sono state roboanti: a Montecarlo ha perso al primo turno contro Jiri Vesely, anche se quella sconfitta è stata propedeutica per la vittoria al Roland Garros; a Wimbledon a batterlo è stato Sam Querrey, mediocre tennista americano, e lì forse Djokovic si è sentito appagato dal successo a Parigi, l’unico slam che gli mancava in carriera; alle Olimpiadi ha perso contro un ottimo Del Potro, una sconfitta che ha fatto più rumore che altro e che ha evidenziato una non perfetta forma psicofisica. Djokovic ha poi scelto di non giocare il torneo di Cincinnati, dove un anno fa perse in finale contro Federer.
Qualche crepa nel muro Djokovic quindi c’è, specie per via di qualche acciacco fisico, al polso sinistro e alla spalla destra, evidenziati negli ultimi incontri giocati. C’è però da dire che Djokovic arriva agli US Open addirittura con più titoli vinti rispetto al folgorante 2015: sono ben 7, di cui 2 Slam. L’anno scorso si presentò a New York con 6 vittorie (2 Slam) e 4 finali. Pensare a un Djokovic che vinca il terzo Slam dell’anno rinfrancato dalla pausa e desideroso di rispondere sul campo alle ipotesi sul suo declino non è certo un azzardo.
Djokovic vs Del Potro a Rio: una delle partite più interessanti del 2016.
Gli altri
Se Sparta piange, figuratevi quanto possa ridere Roma. Di Federer sappiamo che ha scelto di non giocare più fino a fine anno ma posta video di allenamenti, dice che in fondo poteva anche tornare prima e insomma nessuno sa cosa stia facendo; Nadal è tornato ma non sembra capace di reggere due settimane al meglio dei cinque set senza accusare infortuni (anche alle Olimpiadi ha avuto problemi fisici); Wawrinka è sempre in attesa di un “clic” che ormai manca da quella finale del Roland Garros del 2015 e chissà se tornerà più, perché la realtà è che da quella partita non ha mai neanche impensierito Djokovic, Federer o Nadal, vincendo una partita alle Finals contro un Murray che tutto voleva tranne che essere a Londra, visto che la settimana successiva doveva giocare la finale, poi vinta, di Coppa Davis.
Allora ecco che gli outsider più pericolosi potrebbero essere Marin Cilic e Milos Raonic. Il primo ha già vinto il torneo americano nel 2014, per quella che è, fin qui, la più grande sorpresa degli ultimi anni nel tennis. Sta giocando bene, ha battuto proprio Murray in finale a Cincinnati e un anno fa raggiunse la semifinale, un traguardo che può tranquillamente raggiungere anche quest’anno. Raonic, che giocherà senza la consulenza di John McEnroe (il quale ha scelto di interrompere il rapporto di collaborazione “per conservare buoni rapporti anche con gli altri giocatori”, visto che commenta il torneo per la tv americana ESPN), ha conquistato a Wimbledon la sua prima finale Slam proprio quest’anno. Sul cemento gioca meglio che su erba, perché è una superficie meno veloce, e quindi è un serio candidato ad arrivare alle fasi finali del torneo, anche se proprio non riesce a trovare un modo per impensierire Murray. Dietro di loro ci sono un Dimitrov che sembra avviato a ritrovarsi, un Tomic che chissà che intenzioni ha e un Kyrgios che ancora prende il tennis per scherzo: tutti e tre non sembrano pronti per arrivare in fondo.
E quindi, Murray può vincere il torneo ponendo le basi per diventare di qui a fine anno il nuovo numero 1 del mondo nel tennis? Sì che può, anche se, magari non più strafavorito, tutto continua a ruotare attorno a Novak Djokovic. Il serbo deve collaborare: ne avrà voglia?