Il Napoli che ha chiuso l’anno al secondo posto in classifica, pur in coabitazione con la Fiorentina di Sousa, è una delle realtà più belle del campionato, soprattutto per quello che ha saputo portare in campo. I successi convincenti raccolti fin qui dalla squadra partenopea non erano per niente scontati, date le premesse in avvio di stagione.
Lo scorso anno il progetto di Rafa Benítez collassò al termine della seconda stagione della reggenza dello spagnolo, principalmente a causa delle tensioni interne: le incomprensioni tra il presidente e l’allenatore, col conseguente mancato rinnovo di contratto del secondo; uno spogliatoio che senza il suo leader carismatico, ovvero Pepe Reina, aveva finito per perdere compattezza e unità di intenti.
A seguito del (ennesimo) ribaltone tecnico e societario operato da De Laurentiis, uno dei meriti del neo DS Giuntoli è stato quello di aver consegnato a Maurizio Sarri il gruppo di lavoro che iniziò con Benítez due anni fa. Intatto nei suoi nomi più importanti e di livello internazionale, ma anche arricchito dagli acquisti di Hysaj e Allan e dal ritorno del figliol prodigo Reina.
L’avvio di questo campionato non può essere comparato con quello che accadde 12 mesi fa, per i motivi elencati e perché la squadra aveva anticipato di molto la preparazione per tentare l’assalto, poi fallito, alla Champions League attraverso il purgatorio dei play-off. Ha molto più senso confrontare il primo periodo di lavoro a Napoli di Sarri col primo periodo di Benítez (per semplicità, verranno identificati come “Sarri I” e “Benitez I” da qui in avanti).
I punti raccolti da “Benitez I” alla fine delle 38 giornate furono 78, per una media punti a partita di 2,05. Le ambizioni di quel Napoli furono frustrate dalla formidabile lotta testa a testa di Roma e Juventus. Quest’anno, in un campionato equilibrato come mai nelle ultime quattro stagioni, ripetere quella prestazione potrebbe valere al Napoli qualcosa più di un terzo posto: come riconosciuto anche da Allegri, la quota scudetto quest’anno sembra essere più bassa degli anni precedenti.
La media punti di 2,06 punti a partita conquistati da “Sarri I” fin qui sono solo in apparenza in linea con la quota obiettivo. Se guardiamo alle sole prime diciassette partite, già “Benítez I” fu in grado di prendere più punti (2,12). Quindi la vera sfida di “Sarri I”, in vista della ripresa del campionato, sarà tenere almeno lo stesso livello di performance avuto fin qui: negli ultimi cinque anni solo il Napoli di Mazzarri, nel 2011/12, riuscì a fare più punti nel girone di ritorno rispetto a quello di andata.
Un punto di miglioramento è facilmente individuabile: questo Napoli deve fare meglio in trasferta. Il San Paolo è ancora inespugnato e il Napoli ha saputo raccogliere in casa 20 dei 24 punti a disposizione. Lontano dalle mura amiche, la media punti del Napoli di oggi è identica a quella del bistrattato “Benítez II” dello scorso anno, pari a 1,67 punti a partita.
Cosa è cambiato in avanti
Due squadre, quella di Benítez e quella di Sarri, che avevano nel desiderio di impostare l’azione partendo da dietro l’unico punto in comune dell’intera fase offensiva. Oltre a questo, i principi e gli obiettivi dei due allenatori divergono completamente.
Era importante, nel 4-2-3-1 di Benítez, che i mediani si facessero trovare smarcati prima possibile, in modo da ricevere il pallone dai due centrali difensivi e provare a girarlo sugli esterni a uno dei due terzini, entrambi molto alti già all’inizio dell’azione. La salita del terzino permetteva all’ala di accentrarsi e restare molto vicino alla punta e agli altri due trequartisti. L’interscambio delle posizioni dei quattro giocatori offensivi davanti alla difesa avversaria era il vero punto forte del gioco di Benítez: il suo Napoli in due stagioni ha segnato una media di 1,93 gol a partita, superiore alla media tenuta attualmente da Sarri di 1,83.
Questo sistema aveva dei punti deboli: il grosso delle responsabilità in impostazione erano a carico dei piedi non raffinati dei due centrali, i quali, se non riuscivano a trovare i mediani in fretta, costringevano i terzini a tornare indietro, spezzando di fatto la squadra in due. Inoltre il dibattito sulle prestazioni di Marek Hamsik in questo contesto e su quale fosse il miglior impiego per lui (da mediano, da trequartista centrale o nessuno dei due) ha tenuto banco per due stagioni.
Una tipica azione d’attacco dell’Empoli/Napoli: il regista riceve dal terzino e serve lo scatto in profondità della seconda punta/ala destra; il trequartista/ala sinistra prende lo spazio creato dal movimento incontro della prima punta.
Anche Sarri era un fautore del 4-2-3-1, prima di ottenere i successi di Empoli con la formula del rombo di centrocampo. La rinuncia al 4-3-1-2 in favore del 4-3-3, coincisa con l’inizio di una serie positiva lunga 16 partite con soli 4 gol incassati, ha permesso a Sarri di schierare i suoi uomini migliori, come Insigne e Callejón, in posizioni di campo a loro più congeniali. Nulla di più, perché i principi tattici cari all’allenatore toscano non sono cambiati.
Il regista davanti alla difesa è il fulcro della manovra: rispetto all’interpretazione che ne danno altri allenatori, per i quali deve abbassarsi per governare la prima impostazione, con Sarri il regista può rimanere alto, grazie all’azione di un terzino che stringe verso il centro a bilanciare l’avanzata del suo omologo sull’altra fascia. Quando ha ricevuto palla oltre la prima linea di pressione, può giocarla su un uomo al di là della seconda linea di avversari o lanciarla direttamente verso gli attaccanti. Il mantra è unico e condiviso da tutti gli undici in campo: cercare sempre un passaggio in avanti, soprattutto per colpire in transizione una squadra dalle linee disordinate.
El Kaddouri parte dalla posizione di ala destra per stringere in mezzo, in posizione di trequartista. Il pallone passa dai suoi piedi e viene girato su Allan e Hamsik, aggirando l’ostacolo delle marcature dei due interni veronesi. Chi diceva che Sarri aveva rinunciato al rombo?
Il rombo è scomparso sulla carta, ma non nel gioco: sia che si sviluppi l’azione sulle fasce o in zona centrale, il Napoli cerca sempre di portare quattro uomini in zona palla. Un lavoro faticoso per gli interpreti, ma fruttuoso per la generazione di quella superiorità numerica che permette di avere la meglio nel palleggio. Un terzino prova sempre ad accompagnare la manovra offensiva, solo quando l’azione si sviluppa troppo velocemente l’ampiezza è data dal movimento ad allargarsi dell’interno di centrocampo. In entrambi i casi al difensore resta l’onere della scelta: stringere in mezzo per seguire il contromovimento dell’ala o restare largo sull’interno? Il Napoli è una squadra contro la quale è complesso difendere, perché attacca contemporaneamente in profondità e in ampiezza.
Due situazioni identiche giocate in maniera differente, in reazione al comportamento della difesa avversaria. In alto, Jorginho gioca su Hamsik mentre Insigne entra nel campo, portando via il terzino dalla fascia; lo scatto di Ghoulam alle spalle del diretto marcatore verrà premiato da Hamsik e porterà l’algerino all’assist vincente. In basso, la rotazione del rombo porta Hamsik a cercare l’ampiezza con Insigne in posizione di mezzala. Il napoletano riceve palla e può girarsi per puntare la difesa, perché il terzino avversario è rimasto largo e il centrale non si è alzato in marcatura per tempo.
Giocare col 4-3-3 e sviluppare il possesso in fascia ha provocato un effetto collaterale importante, ovvero quello di riuscire a isolare la propria ala e il terzino avversario sul lato debole, in un pericoloso uno contro uno attivato da un cambio di gioco (una delle situazioni per le quali Jorginho si è fatto preferire a Valdifiori a inizio stagione).
Difesa di squadra
Nessuna somiglianza tra i sistemi dei due allenatori anche per le contromisure adottate durante la fase difensiva. Tanto era aggressiva in attacco la squadra di Benítez, quanto era accorta nella protezione della propria area di rigore. E non era certo un difetto: quando il Napoli si chiudeva basso in due linee ordinate da quattro uomini era pressoché impenetrabile.
Infatti, uno dei modi per far male a quel Napoli era approfittare di un certo lassismo nei compiti difensivi dei due esterni d’attacco. L’altro modo, quello più frequente e al quale Benítez non ha saputo porre rimedio in due anni, era lo sfruttamento in transizione dello spazio scoperto alle spalle dei terzini: entrambi alti a inizio azione, non erano mai adeguatamente coperti dai due mediani, sempre pigri negli scivolamenti laterali e nelle letture del gioco.
L’eccesso di un approccio mandato a memoria: la linea del Napoli sale altissima anche su un fallo laterale appena battuto. Saponara indovina il buco nella difesa piazzata male e va in porta.
Radicalmente diversa l’idea di difesa allenata da Sarri. La linea dei difensori è per lo più alta, talvolta fino alla linea di centrocampo in alcune situazioni, allo scopo di ridurre lo spazio in gioco agli avversari. Alzare la difesa è anche una mossa per tenere serrate tutte le linee della squadra, accentuando così lo sforzo collettivo alla riconquista del pallone.
L’effetto di questa tattica è l’elevato numero di palloni riconquistati nella metà campo avversaria, un modo per tramutare la fase difensiva in attacchi efficaci. Nessuno in Serie A lavora meglio del Napoli da questo punto di vista. La ricerca della riconquista immediata del pallone, un’aggressione costante mantenendo invariate le distanze tra i reparti, richiede a tutta la squadra un’applicazione mentale e uno sforzo fisico notevoli. Se uno dei due elementi viene a mancare, l’intero sistema diventa immediatamente vulnerabile, com’è accaduto contro il Bologna: Diawara senza pressione può alzare la testa e vedere Destro che scappa in profondità.
Lo sforzo per la riconquista del pallone disorganizza le linee del Napoli. Appena allenta la presa concede a Vecino due possibili linee di passaggio per vie centrali. L’uruguagio sceglie di servire Ilicic, che di prima manda Kalinic in porta, battendo il fuorigioco.
Ventisei anni dopo
Sarri sta costruendo un framework, una struttura rigida fatta di movimenti preordinati, nella quale le stelle della squadra e i giocatori meno talentuosi perseguono gli stessi obiettivi. In una squadra che sembrava indebolita dai conflitti interni, Sarri si è rivelato perfetto per la sua forte idea di collettivo. Si sta rivelando, alla sua prima esperienza in una grande squadra, un abile gestore delle dinamiche dello spogliatoio, non solo un ottimo allenatore di campo.
L’unico punto aperto sembra essere l’utilizzo che l’allenatore toscano fa della sua rosa: il Napoli ha utilizzato fin qui in campionato 18 calciatori, contro i 24 utilizzati dall’Inter, i 23 della Juventus e i 21 della Fiorentina. Anche guardando ai minutaggi concessi ai singoli, si può notare una preferenza di Sarri verso un undici ben determinato. Per fare un esempio, Dries Mertens, il dodicesimo uomo del Napoli per impiego, ha giocato 723 minuti meno dell’undicesimo, Koulibaly: in nessuna altra squadra di testa c’è una differenza così grande.
Tra i più utilizzati ci sono Hysaj e Ghoulam. Quello del terzino è il ruolo più complesso nello scacchiere di Sarri, con compiti che spaziano da quelli di un’ala offensiva a quelli di un terzo centrale di difesa, e né Maggio né Strinic sembrano avere le caratteristiche adeguate. Allo stesso modo, David López è l’unico backup della coppia di interni titolare formata da Allan e Hamsik, anche perché El Kaddouri è stato utilizzato più spesso nel tridente d’attacco.
Le ambizioni della squadra passano quindi da quelle della società, che deve trovare risorse nelle uscite da reinvestire immediatamente. Individuare i giusti profili non è di per sé facile, così come non lo è convincere le altre società a cedere i loro pezzi pregiati a metà stagione. Ma non sembra esserci altra soluzione per questo Napoli, se vuole restare sul treno per i primi tre posti della classifica.