Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Nelle mani di Conte
01 mag 2014
Forse è giunto il momento che la Juventus si tolga l’elmetto e indossi la corona.
(articolo)
8 min
Dark mode
(ON)

Nonostante la sconfitta di Lisbona contro il Benfica la Juventus non deve avere paura. Nei turni a eliminazione diretta, da quando esiste la regola dei gol fuori casa, chi ha perso 2-1 all’andata è riuscito a rimontare il risultato nel 50% dei casi (circa). Insomma, non è successo niente di grave. E non uso il dato specifico sulle rimonte della Juve per rispetto dei tifosi bianconeri scaramantici. I numeri servono a sostenere un’impressione netta, emersa nella partita d’andata: che la semifinale tra Benfica e Juventus sia ancora tutta da decidere. È stata una partita a tratti anche molto divertente, alla faccia di chi avrebbe voluto farvi vedere The Voice.

La Juve adesso ha una grande opportunità, giocare una finale europea nel proprio stadio, ma stasera servirà intelligenza e forza per saperla cogliere. Come ha detto Arrigo Sacchi a fine partita, alla Juve non manca proprio niente, ma deve essere più europea.

In fase di riconquista bassa del pallone, per dar vita alla "vertigem vertical" tipica del Benfica, le due ali attaccavano la profondità, dando luogo a un 4-2-4.

AQUILE O CAMALEONTI?

Nella partita d’andata, la squadra di Conte è scesa in campo con l’ormai classico 3-5-2, con Cáceres al posto di Barzagli, Marchisio al posto dell’infortunato Vidal ma soprattutto Vučinić al posto di Llorente. Parto sempre dall’assunto che le scelte degli allenatori siano le più corrette a priori, perché nessuno può conoscere lo stato di forma dei propri giocatori meglio di loro. Certe scelte però rimangono incomprensibili per chi osserva: perché far giocare una semifinale di Europa League al terzo giocatore meno utilizzato dell’intera rosa (622 minuti prima di Lisbona)? E considerate che il secondo, Osvaldo, è arrivato a gennaio, mentre il primo, Storari, è il secondo portiere (mi scuso con Pepe ma il suo è un caso a parte). Il montenegrino ha ripagato Conte con una delle sue classiche prestazioni à la Jep Gambardella, con il solito sotto testo “se mi va ne segno tre, ma oggi non mi va”.

Il Benfica di Jorge Jesus è sceso in campo con un 4-4-2 molto dinamico. In fase offensiva era una specie di 4-2-4, con Sulejmani sulla fascia sinistra e Marković sulla destra, scelte quasi obbligate viste le assenze di Salvio e Gaitán. In attacco, Rodrigo era molto vicino a Cardozo, per sfruttarne le sponde.

IL BENFICA E LA DIFESA ATTIVA

La partita è iniziata subito nel modo sbagliato: l’ottavo gol stagionale del difensore centrale Garay (quarto marcatore assoluto della sua squadra) al secondo minuto di gioco ha permesso agli “encarnados” di giocare in base alle loro migliori caratteristiche. Conte ha perfettamente ragione nel sostenere che i due gol erano evitabili, a partire proprio dal primo. I difensori centrali del Benfica sono entrambi alti 192 centimetri e insieme avevano già segnato ben 12 gol: sui calci piazzati bisognava essere perfetti. Nonostante il vantaggio, il Benfica non ha abbandonato la gara per ritirarsi nella propria metà campo, anzi ha continuato a interpretare l’ottimo copione che Jorge Jesus aveva preparato.

Come d’abitudine, i padroni di casa hanno cominciato la partita attaccando l’avversario con un pressing molto alto, fino all’area di rigore avversaria, per non lasciare linee di impostazione ai tre difensori juventini. Nel frattempo, la difesa saliva quasi a ridosso del centrocampo.

In situazione di pressing alto nella trequarti bianconera, a volte il Benfica sembrava adottare un 4-2-3-1, con Pirlo chiuso tra Pérez e Rodrigo. Cardozo unica punta, insieme ai due esterni offensivi, in pressing sui 3 difensori della Juve.

Così, nei primi 25 minuti la Juventus non è riuscita a creare gioco in nessun modo. Non solo i difensori erano costretti spesso al lancio lungo ma, soprattutto, Pirlo era completamente isolato dal gioco. Jorge Jesus ha preparato un meccanismo perfetto: le linee di passaggio verso il playmaker juventino erano completamente intasate; quando invece riceveva il pallone, non aveva tempo per gestirlo. Tutto ciò è stato possibile grazie all’incessante lavoro di Rodrigo, che si è spesso abbassato in copertura, e alla grande partita di Enzo Pérez, il centrocampista che ha coperto il campo alla perfezione.

Rodrigo si abbassa e copre la linea di passaggio verso Pirlo. Nel frattempo, tutti i possibili passaggi in avanti sono chiusi; Pérez sorveglia Asamoah, che alla fine è costretto al passaggio indietro verso Bonucci. Lancio lungo dalla difesa, e palla al Benfica.

VERTIGINI

Giovedì 24 aprile, tra le altre cose, abbiamo scoperto che i bianconeri soffrono di vertigini.

La Juve, infatti, nel primo tempo non è riuscita ad arginare una delle caratteristiche più celebri del gioco del Benfica: la cosiddetta vertigine verticale, o da velocità. Sembrava un’iperbole, e invece ci è voluto poco per capire che il Benfica va veloce sul serio: dopo dieci minuti Luisão ha sradicato il pallone dai piedi di Tevez appena fuori la propria area di rigore e grazie ad uno splendido contropiede lungo 10 secondi, guidato da Marković, il Benfica ha avuto l’opportunità di raddoppiare con Sulejmani da solo in area di rigore (ma ha spedito fuori il pallone).

Al 40’ i bianconeri hanno sofferto nuovamente di giramenti di testa: il Benfica ancora ha impiegato solo 10 secondi per passare dalla propria trequarti a un tiro nell’area di rigore della Juve. Questa volta Marković ha fatto tutto da solo, puntando Chiellini che non è riuscito a levargli il pallone ma lo ha portato almeno in posizione defilata per dargli un angolo di tiro quasi impossibile.

WHEN IN TROUBLE, GO WINGS

Da quel momento in poi, la Juve si è data una scossa e si è ricordata di essere una grande squadra. Finite le vertigini, insomma.

Uno dei grandi problemi del primo tempo bianconero è stato l’utilizzo degli esterni. Lichtsteiner e Asamoah erano molto preoccupati: dovevano gestire le continue avanzate di Siqueira (un ottimo terzino di spinta) e Pereira. Quando i bianconeri provavano ad attaccare alti, alle loro spalle si creava molto spazio per l’inserimento delle ali del Benfica. Il risultato è che i due esterni per un tempo hanno giocato molto più indietro del solito.

Nel secondo tempo, però, la Juve è tornata in campo sapendo tutto quello di cui c’era bisogno: avanzare la linea di difesa di qualche metro, rimanere compatti, salire sugli esterni, attaccare la linea difensiva del Benfica con inserimenti da dietro. In questo modo è riuscita a dominare la seconda parte, e il gol di Tévez è stata una conseguenza naturale. Il secondo gol del Benfica è nato da un’ottima giocata, sulla quale Pirlo non ha seguito Lima e Bonucci non ha capito in tempo di dover ridurre la distanza da Chiellini.

Il diverso atteggiamento tattico ha messo in evidenza i punti deboli del Benfica, e le numerose occasioni da gol create ci permettono di capire come e perché la Juve può battere gli avversari portoghesi.

Il Benfica sta difendendo in massa, ma non riesce a gestire gli inserimenti da dietro di Pogba e Lichtsteiner. Marchisio incespica mancando il miglior tempo di gioco, ma poi riesce a crossare per lo svizzero che da solo colpisce di testa, sfiorando il gol.

La linea difensiva del Benfica ha sofferto molto la mancanza di punti di riferimento, perché nel frattempo anche Tévez e Vučinić cominciavano ad allargarsi sulle fasce e ad abbassarsi sulla trequarti per creare spazio e chiamare fuori i difensori centrali avversari. E i portoghesi non sono riusciti ad arginare gli inserimenti degli interni di centrocampo, Pogba e Marchisio. Quando provavano a difendere più stretti in zona centrale, sulle fasce salivano i due esterni bianconeri, ormai alti sul campo, creando ugualmente grandi pericoli.

Questo è un aspetto fondamentale anche della partita di stasera: per non mettere di nuovo in sofferenza Lichtsteiner e Asamoah, la Juve deve aiutarli, schierandosi più alta in campo. Con i due esterni più aggressivi, si ottengono due risultati contemporaneamente: si impedisce alle catene di fascia portoghesi di attaccare, ma soprattutto si ottiene la possibilità di crossare (rasoterra, vista l’altezza dei centrali) e di allargare la difesa avversaria. Al Benfica piace difendere con le due linee (difesa e centrocampo) molto vicine. Quando gli esterni attaccano, le possibilità che la difesa alta dei portoghesi debba staccarsi e correre all’indietro sono alte: così si crea spazio tra le linee per gli inserimenti. Praticamente la descrizione del pareggio: da un passaggio di Asamoah, che aveva attaccato la profondità, è nato il gol di Tévez, che fa una cosa magnifica, ma la fa partendo da dietro, così da poter sconfiggere in velocità lo statico Luisão.

Imparare a memoria: il Benfica prova a difendere in zona centrale, ma i due esterni della Juventus sono altissimi. Lichtsteiner corre in campo aperto e riceve il pallone; la difesa avversaria si allarga verso sinistra per contenere il pericolo e lo svizzero crossa rasoterra per l’inserimento centrale di Marchisio, che si farà però anticipare.

Per agevolare questo meccanismo di gioco, la Juve potrebbe provare anche ad attirare fuori posizione i centrali avversari. All’andata l’incomunicabilità (calcistica) tra Tévez e Vučinić ha raggiunto vette da film di Antonioni. Con l’inserimento di Llorente, la Juve potrebbe provare il solito elastico con Tévez: mentre lo spagnolo si abbassa, tirando fuori un centrale difensivo, l’argentino si avvicina e prova ad attaccare lo spazio creato dietro la linea difensiva.

Non è detto che gli inserimenti debbano essere solo dei centrocampisti. Qui Pirlo inventa una palla magica che scavalca la linea difensiva avversaria: Tévez e Vučinić sono pronti ad attaccare la profondità.

CONCLUSIONI

Ci sono momenti in cui bisogna assumersi la responsabilità della leadership, anche se è difficile. È la situazione in cui si trova la Juve di Conte: continua a registrare record in Italia, a dominare quasi tutte le partite, ma ha più difficoltà in Europa. Non perché le manchi qualcosa, anzi.

Il secondo tempo di Lisbona ha dimostrato che i bianconeri, quando vogliono, possono dominare il gioco anche nelle competizioni europee. Ma per farlo, bisogna forse levarsi la maschera della squadra umile (di certo fondamentale per vincere continuamente) e indossare la corona, per comandare in una competizione che, per valori tecnici e stili di gioco, non può e non deve avere altri possibili regnanti.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura