«I raffronti europei sul fronte dei cosiddetti “ricavi da stadio” (vendita dei biglietti, abbonamenti e altre attività commerciali relative alle partite giocate in casa) segnalano una distanza notevole tra i club italiani e quelli spagnoli, inglesi e tedeschi».
- Rapporto Censis
Ciò che in questi anni ha scavato il solco tra il calcio italiano e quello degli altri è ormai così evidente da finire nel rapporto annuale del Censis, quello che quest'anno (ma anche un po' gli altri, soprattutto gli ultimi) dice che famiglie e imprese hanno paura del futuro e che i giovani sono abbandonati e sfiduciati. Dice pure che l'Italia del calcio è indietro, portando conferme tristi di un pallone che non ha visto il futuro mentre le altre erano in corsia di sorpasso e che soprattutto fatica a vederlo anche adesso. Ci prova, a volte. Ma parte così indietro che non è detto che correre a velocità doppia possa servire.
Nella relazione del Censis, nel capitolo “Territorio e reti”, nella pagina (grafico compreso) dedicata alla questione il calcio sembra – da quel punto di osservazione – aver almeno voglia di provarci. «Dopo l’esperienza apripista dello Juventus Stadium, in cui si è riusciti a importare il modello degli stadi inglesi (proprietà dei club, tribune vicine al campo di gioco, elevato livello di comfort e corredo di attività commerciali e di intrattenimento), si parla molto della realizzazione di nuovi stadi per il calcio anche in altre città italiane. La convinzione dei club sembra essere quella che solo stadi di proprietà, più piccoli e confortevoli, gestiti come grandi attrattori del tempo libero, possano garantire quei consistenti ricavi aggiuntivi necessari per il rilancio del settore».
NON SAPER PRODURRE SOLDI
Il punto è proprio questo: il calcio italiano non ha soldi e nemmeno riesce a farne. Il declino è nei numeri: nella classifica dei fatturati, nota come Deloitte Football Money League, la prima italiana si vede dopo otto squadre di altri campionati. La Juve è infatti nona con 272,4 milioni di fatturato nella scorsa stagione. Prima ci sono Real Madrid (518,9), Barcellona (482,6), Bayern Monaco (431,2), Manchester United (423,8), PSG (398,8); Manchester City (316,2), Chelsea (303,4) e Arsenal (284,3). Le altre italiane nella top trenta sono Milan (decimo, 263,5), Inter (quindicesima, 168,8), Roma (diciannovesima, 124,4), Napoli (ventiduesima, 116,4) e Lazio (ventottesima, 106,2).
Juve e Milan insieme superano di poco il Real, ma ciò che impressiona è la fotografia del declino che si può scattare seguendo la successione degli anni: nel 2006 (quindi con i dati della stagione 2004/05), il Real Madrid era sempre primo, ma il Milan era terzo e la Juve quarta, nemmeno troppo lontane, e con Inter e Roma c'erano quattro italiane nelle prime undici. Il salto all'indietro in otto anni è notevole, anche perché mentre la Juve è passata da 229 milioni nel 2005 a a 272 milioni nel 2013 (più 18,8 %) e il Milan da 234 a 263 (più 12,4 %), il Real Madrid ha preso il volo (da 275 a 518, più 88 %).
È impietoso il raffronto di cosa è accaduto dal 2005 al 2013: sedici squadre, delle prime venti, sono rimaste nella “classifica” di Deloitte e se si fa eccezione per il Newcastle, quelle che sono cresciute meno sono le italiane, e nel caso di Roma e Inter addirittura perdendo qualche milione di fatturato.
(squadra, fatturato 2004/05, fatturato 2012/13, variazione percentuale)
1. Manchester City (90,1; 316,2; 250,94%);
2. Barcellona (207,9; 482,6; 132,13%);
3. Bayern Monaco (189,5, 431,2, 127,55%);
4. Schalke 04 (97,4; 198,2; 103,49);
5. Real Madrid (275,7; 518,9; 88,21%);
6. Manchester United (246,4; 423,8; 72%);
7. Arsenal (171,3; 284,3; 65,97%);
8. Tottenham (104,5; 172; 64,59%);
9. Chelsea (220,8; 303,4; 37,41%);
10. Liverpool (181,2; 240,6; 32,78%);
11. Lazio (83,1; 106,2; 27,80%);
12. Juventus (229,4; 272,4; 18,74%);
13. Milan (234; 263,5; 12,61%);
14. Inter (177,2; 168,8; -4,74%);
15. Roma (131,8; 124,4; -5,61%);
16. Newcastle (128,9; 111,9;-13,19%)
I fatturati sono in milioni di euro
LA DIFFERENZA C'È E SI VEDE
Sono gli anni in cui il calcio è cambiato e le italiane sono rimaste a guardare, probabilmente illuse dal Mondiale vinto mentre le altre ripensavano il loro modo di stare nel pallone da protagonisti. O forse, diciamo abbastanza probabilmente, i club di queste parti mostrano la loro incapacità a percepire il cambiamento, preferendo stare comodi ad attendere i soldi dei diritti tv senza pensare che la differenza non poteva essere quella, ma andava cercata altrove.
Ed è la frontiera che l'Italia si è dimenticata di esplorare: i ricavi da match day, botteghino più servizi legati al giorno della partita. Scrive il Censis che «gli incassi della stagione 2012/2013 di squadre come Manchester United (127,3 milioni di euro), Barcellona (117,6 milioni), Real Madrid (119 milioni) o Bayern Monaco (87,1 milioni) sono incomparabili con quelli, assai più modesti, dei maggiori club italiani: Juventus (38 milioni di euro), Milan (26,4 milioni), Roma e Inter (rispettivamente 20,1 e 19,4 milioni)».
(Squadra; Incidenza ricavi match day; ricavi match day in milioni di euro)
1. Arsenal (38%; 108,3);
2. Amburgo (32%, 43,2);
3. Manchester United (30%; 127,3);
4. Tottenham (27%; 46,9);
5. Chelsea (27%, 82,5);
6. Barcellona (24%; 117,6);
7. Real Madrid (23%; 119);
8. Borussia Dortmund (23%; 59,6);
9. Galatasaray (23%; 35,4);
10. Atletico Madrid (23%, 27,5);
11. Liverpool (22%, 52,1);
12. Fenerbahce (22%, 27,7);
13. Schalke 04 (21%; 42,5);
14. Bayern Monaco (20%; 87,1);
15. Roma (16%; 20,1);
16. Manchester City (15%, 46,2);
17. Juventus (14%; 38);
18. PSG (13%; 53,2);
19. Inter (12%; 19,4);
20. Milan (10%; 26,4).
La tabella ricavata dal rapporto Deloitte non dice niente di diverso: le italiane sono in fondo, e soprattutto le inglesi sono in alto, e a voler infierire Roma, Juve, Inter e Milan insieme guadagnano dal match day meno del Manchester United, del Real Madrid, del Barcellona, dell'Arsenal presi singolarmente. Un abisso, che solo la Juve al momento ha possibilità di colmare, proprio per via dello stadio di proprietà, mentre le altre ci stanno provando adesso oppure sono immerse in vuoti tentativi parolai.
La fotografia del Censis è impietosa: «Non si può negare che la situazione dei nostri stadi sia piuttosto arretrata: sono generalmente vecchi e, sebbene su di essi si sia intervenuti all’epoca dei mondiali di Italia ’90, sono rimasti sostanzialmente scomodi e poveri di funzioni complementari. Inoltre sono ancora in larga misura di proprietà delle amministrazioni comunali».
Prima, Dario Righetti, partner Deloitte e responsabile Consumer business, non aveva espresso concetti dissimili: «Senza nuovi stadi l’Italia non riuscirà a stare al passo delle principali leghe e avrà sempre maggiori difficoltà economiche-finanziarie. Certamente in Italia, per realizzare un nuovo stadio, le società devono affrontare maggiori difficoltà rispetto ad altri paesi, quali la burocrazia italiana e le maggiori difficoltà a reperire fonti di finanziamento. Proprio per questo motivo, per avviare con successo un simile progetto, è necessario definire un articolato piano di lavoro che tenga in considerazione l’interesse dei tanti stakeholder coinvolti, che possono essere diversi a seconda della situazione. La realizzazione di un nuovo stadio – l’abbiamo constatato anche in Inghilterra e Germania – è processo molto complesso e va pianificato nei minimi particolari».
GLI STADI VUOTI
Scrive il Censis che «anche per effetto delle dirette televisive di tutti gli eventi calcistici, la maggior parte delle partite si svolge ormai davanti a un pubblico numericamente ridotto: Juventus a parte, che in media riempie lo Stadium al 93%, negli altri casi i tassi di riempimento medi sono spesso piuttosto bassi, tra il 30% e il 60%». Questo è il punto di partenza dei problemi: in Italia si va allo stadio poco, perché costa tanto, perché sono brutti, perché non sono funzionali, perché tutto dura solo novanta minuti. Se provate, da “atei”, ad andare all'Olimpico per vedere una partita della Roma dovete ad esempio sapere che ai tornelli non c'è una coda, ma una processione, che pure entrare è difficile se sei almeno riuscito nell'impresa di comprare un biglietto.
Prendendo un problema per volta, prima i numeri: nella scorsa stagione la media di spettatori negli stadi italiani è stata di 23.282 spettatori, per una percentuale di riempimento del 56,6 %. Per dare l'idea serve fare l'elenco di quelle che precedono: la Bundesliga è al 96 %, la Premier al 95, la Ligue 1 al 70 e la Liga al 68.
I dati forniti dalla società di consulenza brasiliana PluriConsultoria mettono a nudo lo scarso appeal che il nostro pallone ha persino su noi stessi: la Juve ha una percentuale di riempimento del 93 %, ma anche uno stadio volutamente raccolto (infatti la media è di 38.238 spettatori a partita) che infatti non la rende quella con maggior numero di presenze allo stadio, che è l'Inter con 47.075 spettatori (ma il 58 % di riempimento).
Il dato che scava il solco? L'ultima nella classifica della percentuale di riempimento in Inghilterra, il Southampton è all'80,2 %. Queste sono le migliori dieci squadre europee:
(squadra; media spettatori; riempimento stadio)
1. Borussia Dortmund (80.297; 100%)
2. Manchester United (75.207; 99%)
3. Barcellona (72.116; 73%)
4. Real Madrid (71.558; 84%)
5. Bayern Monaco (71.000; 100%)
6. Schalke 04 (61.569; 100%)
7. Arsenal (60.013; 99%)
8. Borussia Mönchen (52.239; 97%)
9. Herta Berlino (51.889; 70%)
10. Amburgo (51.825; 98%)
E queste le italiane
19. Inter (47.075; 58%)
33. Napoli (40.632; 67%)
34. Roma (40.436; 55%)
37. Milan (39.874; 49%)
40. Juventus (38.238; 93%)
59. Fiorentina (32.057; 68%)
60. Lazio (31.905; 44%)
Non va meglio quest'anno: le squadre italiane sono in fondo alla classifica anche nei dati che il Guardian ha raccolto dopo la prima giornata dei primi sei campionati europei: anche dietro l'Olanda. Il primato dei seggiolini vuoti è dato dal 55,8 % come percentuale di riempimento, dietro Francia (69,3%), Spagna (75,4%), Olanda (90%), Germania (93,6%) e Inghilterra (98,4%).
Il debutto del Milan di Inzaghi, dunque con tutta la curiosità per una novità assoluta e per SuperPippo in panchina e con il Milan che magari all'inizio poteva illudere di essere in grado di competere con le primissime, insomma con tutte le buone intenzioni e con la Lazio come avversario che nemmeno è una di quelle squadre senza appeal, è stato seguito da 37mila spettatori in uno stadio da 89mila posti. Nonostante tutto, secondo i dati messi insieme settimana per settimana, il Milan ha la media di presenze più alta: 47.422 spettatori a partita, ma sempre in uno stadio come San Siro, che nel derby contro l'Inter ne conteneva 79.173 (il massimo della stagione in serie A), poco meno del doppio.
In questa prima parte di campionato, quasi a metà percorso, la presenza è lievemente diminuita (55,29 % contro il 56,6 % dello scorso campionato) e avanti a tutte, con percentuali da club europeo (ma sempre con lo stadio costruito per il sold out senza rischi), c'è la Juve, mentre per l'Inter la situazione paradossale è avere la quarta media di spettatori medi e la penultima percentuale di riempimento, meglio solo del Chievo (per il quale, curiosità, i dati degli spettatori sono stime perché non sono stati ancora comunicati alla Lega di serie A).
La classifica aggiornata all'ultima partita (secondo le capienze comunicate dai club e i dati delle presenze della Lega) svela qualche sorpresa e va ovviamente interpretata (perché ad esempio Udinese e Cagliari hanno capienze assai ridotte). Ma eccola.
(squadra; capienza stadio; riempimento stadio; media spettatori)
1. Juventus (41.000; 93,84%; 38.475)
2. Fiorentina (43.147; 74,38%; 32.092)
3. Cagliari (14.827; 74,12%; 10.989)
4. Cesena (23.860; 71,20%; 16.990)
5. Udinese (12.432; 68,43%; 8.507)
6. Atalanta (24.726; 64,70%; 15.997)
7. Sassuolo (21.584; 61,25%; 13.219)
8. Sampdoria (36.348; 58,90%; 21.410)
9. Genoa (36.599; 58,00%; 21.227)
10. Milan (80.018; 57,46%; 45.978)
11. Roma (70.634; 56,20%; 39.698)
12. Parma (21.473; 55,72%; 11.965)
13. Torino (27.958; 55,19%; 15.430)
14. Verona (39.211; 50,19%; 19.680)
15. Empoli (19.847; 49,77%; 9.879)
16. Napoli (60.240; 49,58%; 29.864)
17. Palermo (36.349; 45,53%; 16.550)
18. Lazio (73.000; 43,32%; 31.625)
19. Inter (79.394; 41,69%; 33.096)
20. Chievo (38.402; 24,55%; 9.429)
COME SI CREA UN PUBBLICO TELEVISIVO
L'era dello stadio virtuale in Italia è stata presa un po' troppo sul serio. Alzando i costi dei biglietti, infatti, non si è puntato sul riempimento dello stadio ma più che altro all'incasso più rapido, meno complicato, per essere meno legati al risultato sportivo (che muove masse o meno) e garantirsi anche con un ristretto parco spettatori un guadagno comunque sicuro. Ma non sufficiente, perché nello scegliere tra spalti o casse piene, questo è il modo di non avere né una né l'altra cosa.
Il prezzo più alto del biglietto minimo (nelle occasioni standard, senza ricarichi da grande match) ce l'hanno Juve e Roma, con 25 euro, e sorprende come siano seguite da Empoli (23), Chievo (21) e Sassuolo (20), più del Borussia Dortmund (16,40 per la partita contro l'Augsburg), che però fa il tutto esaurito e 80mila spettatori di media. Solo Udinese, Palermo e Sampdoria offrono almeno una possibilità, con il biglietto minimo che costa dieci euro.
Ma i ricavi da stadio restano in decremento, quindi le strategie non funzionano, visto che il report della Figc già segnalava a inizio anno (dunque facendo riferimento alla stagione 2012/13) come il fatturato da match day fosse crollato in un quinquennio, facendo segnare un 18,9 % in meno. Dice anche, il report, che nonostante la serie A avesse di recentissima inaugurazione lo Juventus Stadium, l'Olimpico di Torino e Is Arenas di Quartu, l'età media degli impianti era di 64 anni. Quindi: in stadi vecchi, a prezzi alti, per vedere (ma questo non lo rilevano i dati) uno spettacolo non sempre all'altezza.
Così l'ultimo rapporto dell'Osservatorio sulle Manifestazioni sportive, citando un'indagine demoscopica fatta dalla Lega di serie A, dà l'esatta misura del calcio diventato non più manifestazione da stadio ma spettacolo televisivo, sempre per lo stesso motivo, che ovviamente non c'è nell'indagine: dalle tv arrivano soldi senza sforzi, fare una politica per il tifoso necessita di progettualità, idee, coraggio, investimenti e tempo. Meglio i soldi subito, anche se da un'altra parte si perde. L'indagine dice che 22 milioni di italiani si dicono tifosi di calcio (il 48,5% della popolazione censita) e che di questi il 98% segue il calcio in televisione. Peggio, però, è che solo uno su tre dichiara di essere andato, nell'ultima stagione, almeno una volta allo stadio.
Lo spettatore televisivo schiaccia quello da stadio nei numeri: 9 milioni circa gli spettatori in serie A per l’intera stagione, 9.200.000 la media di spettatori televisivi per giornata. Scrive l'Osservatorio che «tale situazione giustifica una percezione della sicurezza negli stadi, spesso distorta rispetto alla realtà. La medesima indagine demoscopica dimostra infatti che il 56% delle persone che si dichiarano tifosi di calcio – il 98% dei quali guarda la partita in tv – riferisce che percepisce lo stadio come luogo insicuro. Tale percentuale si riduce al di sotto del 10% se la medesima domanda è posta ai tifosi che frequentano lo stadio».
Chi non va allo stadio dice che è insicuro, chi va allo stadio invece no. Va aggiunta questa percezione, che non è dovuta tanto alle violenze quando alla propaganda che ingigantisce la paura e all'uso continuo a nuove misure di sicurezza che disincentivano chi vuol andare a vedere la partita dal vivo (poi, l'Italia è anche quel paese in cui le trasferte sono vietate sempre più spesso e i biglietti venduti in base alla residenza, andare allo stadio è un percorso a ostacoli già prima che arrivi il giorno della partita).
TUTTI VOGLIONO LO STADIO DI PROPRIETÀ
In Italia tutti parlano di stadi di proprietà, ma nessuno si muove. Gli stadi di proprietà sono tre, ognuno con una diversa interpretazione: la Juve lo ha costruito, nell'area dove prima c'era il Delle Alpi (una delle inutili eredità di Italia '90) dopo aver ottenuto dal Comune la concessione del terreno per 99 anni; il Sassuolo ha invece acquistato il Giglio all'asta fallimentare, anche se di fatto l'impianto è di proprietà della Mapei, azionista al 95 % del Sassuolo ma di fatto non “il Sassuolo”; l'Udinese ha ottenuto il diritto di superficie sull'area in cui sorge il Friuli per 99 anni e effettuerà i lavori di ristrutturazione. E gli altri?
La Roma è la società che si è portata più avanti, ma tutto il progetto è continuamente frenato da una montagna di ostacoli burocratici che sembrano rimandare a mai la realizzazione dello “Stadio della Roma” (cosa che lega il calcio che non riesce a crescere con un paese ostaggio di carte inutili o utili solo a scoraggiare chi investe), mentre il Milan ha da poco parlato in termini concreti del nuovo impianto che vorrà costruire nell'area Fiera. Tutto in ritardo, tutto ancora senza la prima pietra. E altre società si candidano, ma per il momento sono parole e intanto la strategia manca e i ricavi non aumentano.
Mentre la Juve, nei primi anni di Stadium, ha visto aumentare il fatturato da match day in modo esponenziale, passando solo nel primo anno da 11,6 milioni a 31,8 milioni e avendo nell'ultimo campionato giocato (al terzo anno con lo stadio nuovo) 41 milioni di euro di ricavi da stadio, senza ancora aver ceduto i naming rights (il nome dello stadio a uno sponsor), anche se la Sportfive si è aggiudicata (per 75 milioni) il diritto di trovare aziende che vorranno abbinare il marchio all'impianto, senza però che siano concorrenti dei fornitori della Juve né case automobilistiche.
DA 3,5 EURO A 20 EURO
Nell'attesa degli impianti, con l'Italia che ha capito come sempre in ritardo la necessità di aggiornarsi serve comunque un'idea per riportare la gente allo stadio: tutti i numeri sono negativi e lo sbilanciamento dei bilanci sulle entrate dei diritti televisivi rischia di creare un imbuto ancora più stretto dell'attuale facendo scivolare il nostro calcio più in basso di quanto lo sia, perché mancano le idee per risollevare i club e soprattutto i soldi.
Se la media dei dati Deloitte dice che i venti club con il fatturato maggiore ha il 22 % dal matchday e le italiane il 12,5%, è chiaro che qui serve intervenire, visto che comunque i soldi dei diritti tv sono in aumento. Su stadi, vizi e virtù molto dice l'e-book “All'ultimo stadio”, ma i cosiddetti conti della massasia, così semplici da non arrivare su nessun tavolo di club sono nel documento sull'impatto della nuova impiantistica sportiva redatto dal Centro Studi della Figc. A un certo punto spiega i ricavi da stadio in parole tanto semplici da sembrare imbarazzanti: «Attualmente in Italia la spesa media per uno spettatore (biglietto escluso) è pari a 3,5 euro. Tale indicatore in Inghilterra e Germania è in media superiore a 20 euro. È plausibile stimare che l’accesso a una vasta gamma di servizi e la qualità degli stessi, unitamente all’aumento delle presenze negli stadi, potrà favorire un incremento della spesa pro capite di 12-15 euro. L’incremento di fatturato potrebbe variare da 80 a 125 milioni di euro». Il punto è che tutti studiano, ma nessuno poi si applica. E quello che sembra semplice, diventa complicato: senza una nuova politica degli stadi i conti portano a scendere ancora, tra le leghe europee. Pare una ricetta banale: portare tifosi alle partite, rimuovere anche gli ostacoli burocratici (scaricate i costi della sicurezza sulle società? Bene. Allota toglieteci le mille limitazioni) per accedere, offrire servizi maggiori che il solo biglietto a costi elevati, dunque guadagnare di più ma lasciando la libertà di scelta e dando in cambio qualcosa che renda bello essere a una partita al di là del risultato. Capire che il pubblico televisivo resta, ma quello da stadio è da aumentare. Lo fanno quelli che stanno meglio: riempiono gli stadi e fanno soldi. E crescono. Ma il calcio italiano continua a fabbricare solo parole. E piangere come fanno i coccodrilli. Poi arriva il Censis e picchia. Ma è solo la fotografia della nostra incapacità.