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Non ti devi mai adagiare
21 mag 2014
Una conversazione con Mattia De Sciglio, terzino (destro o sinistro?) rossonero e della Nazionale, giovane campione di costanza e umiltà, uno dei più forti '92 al mondo.
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Tim Small: Ciao Mattia. Come stai? Come va la salute?

Mattia De Sciglio: Bene, grazie. Diciamo che è stato un anno abbastanza sfigato, anche perché tutti i piccoli infortuni che ho avuto sono stati traumatici. Piccoli, ma tanti.

Quanto influisce il piccolo infortunio sul rendimento di un calciatore? Ovvio, non sto parlando di quando dicono, che ne so, "Giuseppe Rossi starà fuori sei mesi". Parlo di quei piccoli fastidi che ti tengono lontano dal campo per molto meno.

È comunque problematico perché magari uno sta fermo anche poco, anche solo due settimane, metti, e poi riprendi, ma per due settimane sei così così, e magari appena ti riprendi poi ti viene fuori un altro problemino, e ti ri-fermi. Non hai mai continuità, e non riesci mai ad arrivare alla forma perfetta.

Mattia De Sciglio in una delle sue migliori prestazioni dell'anno scorso, pre-infortuni, contro la Juventus, quando il Milan vinse 1-0 in casa, e Mattia fu il migliore in campo.

Il concetto di "forma perfetta", per un atleta come te, è molto diverso da quello di una persona normale. Nel senso, c'è un livello di essere "in forma", e poi c'è tutto un altro livello di "in forma". Chiamiamolo "essere in forma per la Serie A". Quando non giochi due settimane lo senti che non sei come dovresti essere?

Sì, assolutamente. Due settimane, magari no, lo senti pochissimo, ma se già si parla di un mese, lo senti eccome.

E cosa succede, sei più lento?

Mah. Non so. Ovviamente, perdi il fiato. Se riprendi subito a giocare una partita da 90 minuti, gli ultimi 20 lo accusi. Non ce la fai.

OK, quello è quel "non ha i 90 minuti nelle gambe" che si sente sempre quando si parla di giocatori un po' fuori forma.

E poi altri fattori, la rapidità, l'esplosività. Se stai fermo qualche settimana ti manca quel millesimo che ti fa partire un attimo prima e ti permette di fare un anticipo, o di arrivare prima sul pallone, o di saltare l'avversario con fluidità.

Io, nel mio piccolo, ho perso un po' di chili, e giocando a calcetto questa cosa l'ho notata tantissimo. Ogni chilo che perdevo guadagnavo esponenzialmente, sul campo. Mi ha fatto pensare a quanto possono influire pochi etti o poche settimane di preparazione di differenza per un atleta professionista.

Beh, certo, influisce tantissimo! Poi, dipende anche dai fisici. Ci sono quelli che hanno dei fisici che permettono di recuperare subito, o almeno a ritmi diversi da altri. Ci sono calciatori che possono stare fermi un mese e dopo una partita sono già in forma. Ci sono calciatori che hanno fisici più massicci e hanno bisogno di più tempo.

Tu sei snello e veloce.

Sì, io recupero abbastanza velocemente il fiato.

Volevo chiederti se preferivi giocare a destra o a sinistra ma è diventata una domanda talmente carica di significato politico, che forse tralascio.

Hahaha. No, no. Vai. Sembrerò banale o scontato ma, come dico sempre, per me è davvero indifferente. Quello del terzino destro è il mio ruolo naturale: quando ho iniziato a fare il terzino ho iniziato lì, il mio piede naturale è il destro. A sinistra ho iniziato a giocarci con continuità l'anno scorso. Ho fatto quasi tutta la stagione a sinistra, e ho avuto modo di migliorare anche il sinistro, e di migliorare anche i movimenti di là.

E anche in Nazionale hai giocato a sinistra.

Esatto. La Nazionale l'ho raggiunta giocando a sinistra.

Quindi non è un ripiego per te.

No, mi sento totalmente a mio agio.

Evidentemente avevi già un buon sinistro.

Sì, direi di sì. Ho avuto la fortuna di avere allenatori, quando ero piccolo, che mi hanno insegnato molto bene la tecnica di base con tutti e due i piedi. Quindi, rispetto anche ad altri miei compagni, il sinistro non mi ha mai causato problemi.

Io sono negato con il sinistro. Anche a scrivere un messaggio con la mano sinistra ci metto il triplo che con la destra. C'è gente che invece ha più naturalezza con i due lati. Ma quanto si può imparare, davvero, basandosi solo sulla pratica?

Hahaha. Non saprei, però tieni a mente che i destri imparano più facilmente a usare il sinistro di quanto non facciano i mancini col destro.

Poi, l'anno scorso, nella rosa del Milan c'era un solo mancino: Constant.

Sì, anche perché Emanuelson, che è ambidestro, ha fatto metà stagione in Inghilterra.

Mattia De Sciglio usa il destro in anticipo contro Dani Alves

Ora invece avete sia Honda che Birsa che sono mancini naturali. Volevo chiederti, quant'è importante il numero di mancini in una squadra competitiva?

Beh, sai, punizioni da sinistra, i corner da sinistra...

Penso a Robben, un grande campione: essenzialmente di destro non gioca.

Infatti, gli esterni d'attacco li invertono apposta, così che si possano accentrare e usare il loro piede naturale.

E tu questa cosa la senti, quando arrivi in fondo, in fascia? A sinistra sei più portato ad accentrare?

Forse sì, ma non molto. Non rientro solo sul destro, non sono un attaccante, e comunque, alla fine, devo crossare. Quindi cerco di alternare un po', visto che comunque arrivo da dietro. E poi con il sinistro mi trovo bene, quindi lo uso per crossare indifferentemente dal destro. Anche perché se no divento troppo prevedibile per l'avversario. Se rientro sempre, dopo dieci minuti mi inquadrano subito. Se invece fai le finte e vai sul fondo una volta, e quella dopo ti accentri, e alterni questa cosa, lasci i difensori più spaesati. È una qualità in più, anche per l'allenatore: se serve, puoi cambiar ruolo, è un vantaggio in più anche per te.

Tu hai mai fatto altri sport, hai mai pensato di fare altro?

Sinceramente, no. Quando ero piccolo, magari all'età di sei, sette anni, quando avevo appena iniziato a giocare a calcio, mia madre mi ha obbligato a fare due anni di nuoto. Mi ha detto che se volevo giocare a calcio, dovevo prima imparare a nuotare. Era importante per lei. E aveva ragione.

Ma tu volevi solo giocare a calcio.

Sì, da subito. Ho voluto far solo quello. Mio padre ha fatto savate, e ora la insegna, e mi piacciono gli sport di combattimento, anzi, devo dire, mi piacciono tutti gli sport. Ma non come il calcio. Fin da quando avevo tre anni avevo sempre il pallone tra i piedi, giocavo sempre con la palla. E poi ho iniziato a giocare a calcio a cinque anni, e non mi sono più fermato.

Io sono abbastanza convinto che quando uno è abbastanza atletico, poi, in un certo senso, potrebbe fare qualsiasi sport. E le differenze le portano le convinzioni. Però nel calcio c'è un livello tecnico-tattico assurdo.

Sì, soprattutto in Italia. Se guardi i campionati esteri, c'è molta più libertà di giocare rispetto a qui. Ce lo dicono anche i nostri compagni che hanno giocato in Spagna o in Inghilterra. Qui è molto più difficile giocare, nel senso che si gioca meno. Gli spazi sono più stretti. In Inghilterra il calcio è più fisico, più veloce, però è più divertente, hai più possibilità di giocare.

Tu hai fatto tutta la trafila, hai iniziato a giocare a cinque, sei anni, e sei arrivato in prima squadra che, in pratica, i tuoi ricordi delle giovanili erano ancora freschissimi. Quando hai imparato a fare il calciatore, da piccolo, già spingevano sulla tattica?

Beh, io sono cresciuto nel Milan, e in società come questa, i risultati contano fin da piccoli. Si aspettano comunque di fare bella figura, di vincere. Non è solo preparazione. Quindi, sì.

De Sciglio stiloso, in bianco e nero.

E quanto, secondo te, crescere nel Milan ti ha preparato a giocare poi nel Milan? È un discorso di cui si parla molto oggi, quello di formare i calciatori fin da piccoli perché imparino subito il "sistema" della squadra maggiore.

Secondo me è fondamentale. Io ho fatto undici anni al Milan, di fila.

C'è stato un momento in cui ti sei reso conto che eri pronto per la professionalità?

Diciamo che già quando sono arrivato in primavera, ho iniziato a pensare che ero a un passo dal poter riuscire a fare quello che avevo sempre sognato fin da piccolo. Ma non ti devi mai adagiare. Pensi così, ma dev'essere uno stimolo in più. Perché comunque dopo la primavera un sacco di ragazzi si perdono. Ma ho iniziato a pensarci concretamente. Anche perché la primavera si allena qui, a Milanello.

Quindi tutt'a un tratto venivi a Milanello, e c'era in giro tipo Ibrahimović.

Esatto. Entrare a sedici anni in un centro così... È stato pazzesco. È iniziata così, li vedi, hai un contatto con loro. Poi, magari, quando erano in pochi, metti che ad esempio c'erano via alcuni giocatori per le Nazionali, capitava che ci chiamassero per unirsi all'allenamento e fare più numero e fare l'allenamento con i giocatori rimasti della prima squadra. E già lì inizi a prendere confidenza con la prima squadra. Poi, due anni fa, ho fatto il ritiro estivo. Eravamo in sette della primavera, e al termine del ritiro Allegri avrebbe scelto due da tenere fissi in prima squadra. Ha scelto me e Valoti, che ora è all'Albinoleffe.

È stato lì che hai fatto il salto definitivo?

Sì, ci allenavamo sempre con la prima squadra, anche se per mantenere il ritmo spesso andavamo a giocare con la primavera. E quell'anno, a settembre, ho esordito in Champions, e poi in Serie A, verso fine stagione.

Mattia De Sciglio contro il Sassuolo.

La piramide del calcio è molto lunga e stretta, ci sono milioni di ragazzini che vorrebbero giocare a calcio, e ogni livello che sali, il numero di ragazzi che ce la fa diminuisce drasticamente. Anche solo arrivare vicini alla Serie A è difficilissimo. Ma anche quell'ultimo gradino, è una netta distinzione, tra quelli che finiscono a giocare in Serie A, e quelli che magari fanno i calciatori di professione ma finiscono in leghe minori, o all'estero, nei campionati più assurdi. E molti, comunque, smettono. Il tuo passaggio da primavera a prima squadra a Nazionale, in due anni... dev'essere stato difficilissimo.

Non è facile. Devi essere bravo, e devi essere concentratissimo. Senza mai pensare di essere già arrivato, perché se no rischi di adagiarti, e di perdere la testa. Devi avere fiducia in te stesso, nelle tue qualità, devi avere rispetto dei tuoi compagni, ma non timore. Sono due cose diverse. Devi entrare in campo senza paura. Anche se davanti hai i campioni che fino a qualche mese prima guardavi in tele. Io ho sempre pensato di essere un buon giocatore, di avere delle qualità importanti che, lavorandoci su, mi avrebbero permesso di poter arrivare dove volevo. L'anno scorso, quando ho iniziato a giocare da titolare, quando sono arrivato in Nazionale, mi sono reso conto finalmente di essere diventato un giocatore importante, ma anche a quel livello, non puoi adagiarti.

Com'è cambiata la tua vita personale?

È successo tutto molto velocemente. La mia vita privata è cambiata, notevolmente. Vivo da solo, ho preso casa in centro a Milano, ma continuo ad alternarmi con casa dei miei. All'inizio era strano quando iniziavano a riconoscermi, e fino all'altro ieri giravo per Milano ed ero un ragazzo normalissimo... cioè, lo sono ancora, normalissimo, solo che prima non mi cagava nessuno. Adesso magari mi fermano. Mi fa piacere, ci ho preso un po' l'abitudine.

E che tipo di tifoso ti ferma? Sono quelli del Milan che vengono a dirti, "Bella Mattia", o sono tifosi dell'Inter che ti insultano?

No, anzi! Ho incontrato tanta gente, anche di altre squadre, e mi hanno tutti fatto i complimenti. Penso sia anche grazie alla Nazionale.

La Nazionale ha il potere magico di unire tutti i tifosi italiani.

Hahaha. Esatto.

Mi piace molto ricordare che le prime volte che ti ho visto giocare, sia nel Milan che in Nazionale, giocavi tranquillo. Rilassato, composto. Ci sono quelli che invece li vedi soffrire sotto il peso di una maglia importante.

Guarda, San Siro sicuramente mette un sacco di soggezione. E anche la Nazionale... La prima convocazione, non ho giocato, ma all'esordio, contro il Brasile, tra l'altro, con il Brasile, penso di aver giocato bene, ma ero... non teso, di più. Anche se tu non lo vedevi magari, io ero tesissimo. Avevo mille pensieri per la testa, e un vuoto perenne dentro lo stomaco.

Mattia De Sciglio in recupero contro, penso, Hulk.

Io sono molto annoiato di come si parla di calcio. O meglio, di come si parla di voi calciatori. Alla fine il tuo è un lavoro, un lavoro che sai fare. Ma il modo in cui si parla di voi e del vostro lavoro è irritante. Non direbbero mai a un dottore "non si è impegnato abbastanza" o "non l'ha voluto abbastanza", perché si dà per scontato che un professionista approcci il suo lavoro in maniera professionale. Mentre con voi, mai. Mi sembra assurdo.

Sì, parlano così solo di noi. Hai ragione. Secondo me questo succede perché la gente, da fuori, vede spesso e volentieri solo i grandi campioni che guadagnano cifre astronomiche per giocare, alla fine, con una palla. E quindi, sì, hanno anche ragione, anche rispetto ad altri sport dove si rischia di più, forse guadagniamo troppo. Ma il calcio non è fatto solo di campioni.

Certo, però che se uno te li offre, cosa fai? Non li prendi? Non mi sembra colpa vostra se guadagnate tanto.

No, certo. Hai ragione. Però sai, se dimentichi i grandi campioni che guadagnano tantissimo, e pensi a tutti quei calciatori al mondo che guadagnano poco, o anche solo decentemente, cambia. Molti non sanno i sacrifici che si devono fare, fin da piccoli, per arrivare a fare questo di mestiere, a qualsiasi livello. Anche perché la nostra carriera dura pochissimo, a 35 anni hai finito. E dopo, cosa fai? I sacrifici sono davvero tanti. Non voglio fare la vittima, è vero che – se ti impegni, e sei anche fortunato e ce la fai, e sono due grossi se – riesci a mettere qualcosa da parte. Ma comunque, che tu lo faccia o meno, quando sei piccolo, comunque non puoi uscire la sera, non puoi stare con gli amici, non puoi rilassarti, devi allenarti sempre, tutti i giorni, e poi comunque devi studiare, e il weekend c'è la partita, quindi il sabato e la domenica li vivi per quello, non esci, fatichi a trovare il tempo di avere anche solo la ragazza. E non puoi fare altri sport, perché rischi di farti male, non puoi, per dire, andare in motorino. Ci sono tante cose che dobbiamo fare per forza, fin da piccoli, sia che poi ce la si faccia o meno.

E poi, è un lavoro.

Esatto. Devi impegnarti. A nessuno piace prendere gol, e nessuno vuole perdere. Magari prendi un gol e ti demoralizzi, ma se sei un professionista ti rialzi e cerchi di farne un altro. In campo è tutto naturale, non pensi. Se ti metti a pensare, sbagli, perdi il tempo della giocata. Bisogna prepararsi bene durante la settimana apposta per evitare queste cose, perché poi in campo deve venirti tutto automatico, naturale. Fino a prima di entrare in campo, pensi, ripensi a quello che devi fare, agli avversari, alle tattiche, ai movimenti. Ma quando scendi in campo, basta. Deve venirti tutto automatico. Non devi farti distrarre da niente, devi solo fare quello che sai già fare. Io, almeno, faccio così. Da quando ho iniziato ho avuto la capacità di estraniarmi del resto e concentrarmi solo sul campo.

Forse è per quello che ad alcuni pesa di più la maglia. E che tu sembri così naturale in campo.

Sì. Conta molto anche la testa.

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