Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
C’è un equivoco di fondo nella costruzione mediatica dell’immagine di Stefano Pioli, che lo stesso tecnico ha smontato nella frase manifesto della sua presentazione ufficiale come nuovo allenatore dell’Inter: «Normalizzatore non è un termine adatto, perché significa “colui che riporta la normalità”. Non credo che l’Inter voglia la normalità, e io sono un allenatore che cerca di fare al meglio il proprio lavoro e di sviluppare al meglio tutto il potenziale che abbiamo a disposizione. Abbiamo un potenziale importante, spero che a fine stagione possiate dire che invece di un normalizzatore possa essere un potenziatore».
Nella catalogazione dei vari candidati alla panchina interista, a Pioli era toccato il ruolo di “normalizzatore”, di scelta più logica perché italiano e con un’esperienza pluriennale in Serie A, il profilo più giusto per allontanarsi da Frank de Boer e dal suo modo di intendere il calcio e riportare l’Inter a giocare in maniera più semplice ed equilibrata, ripartendo innanzitutto dai giocatori e dalle loro caratteristiche prima ancora che da un’idea tattica forte. Insomma, nel compromesso tra uno stile di gioco il più possibile strutturato secondo le proprie idee e le caratteristiche della rosa a disposizione che (quasi) tutti gli allenatori devono accettare, Pioli si posizionava mediaticamente vicino all’estremo più rassicurante per una squadra in crisi di risultati, quello in cui contano innanzitutto i giocatori, costruendo intorno a loro una struttura tattica leggera e prudente per minimizzare i rischi.
Il contrario di un normalizzatore
In questo modo, però, si è stravolto il senso dell’esperienza di Pioli sulla panchina della Lazio, quella più vicina nel tempo e più importante della sua carriera dal punto di vista dei risultati, sulla quale sono state costruite le ipotesi su come giocherà l’Inter. Il profilo emerso nei quasi due anni da allenatore della Lazio è molto lontano dal “normalizzatore”: al contrario, Pioli si è dimostrato un allenatore dalle idee tattiche molto forti, inseguite per tutta la durata del suo incarico, anche in assenza di giocatori chiave (de Vrij in particolare, ma anche Biglia) e con risultati talvolta sopra, talvolta decisamente al di sotto delle aspettative, culminati nell’esonero dopo la sconfitta nel derby a 7 giornate dalla fine dello scorso campionato.
L’ultima partita di Pioli sulla panchina della Lazio.
Al netto dei fisiologici adattamenti all’avversario di turno, Pioli non ha mai cambiato lo stile di gioco della sua Lazio: intenso, verticale e con un’aggressività rara per gli standard della Serie A. Nella stagione in cui ha centrato il terzo posto, la Lazio era la prima squadra in Italia per contrasti (21,1 in media a partita), anticipi (19,8) e falli commessi (17,8), a certificare l’insistenza con cui Pioli aveva trasmesso i princìpi di un calcio aggressivo, fondato sulle transizioni e sul recupero veloce del pallone.
Nei suoi momenti migliori la Lazio era una squadra spettacolare e divertente, capace di fare la differenza alzando il ritmo e l’intensità a livelli difficili da sostenere per chiunque e di combinare perfettamente l’anima più creativa palla al piede (Felipe Anderson e Candreva) con quella più intelligente a leggere lo spazio e a correre senza palla (Parolo e Mauri). I biancocelesti, però, sapevano suonare un solo spartito e quando non sono più riusciti a imporre il loro contesto, la volontà di restare sempre alti e difendere correndo in avanti si è ritorta contro, esponendoli a sconfitte brucianti, che accumulandosi hanno portato al naufragio del progetto tecnico-tattico voluto da Pioli.
Il tecnico parmigiano si è presentato all’Inter promettendo quello stesso stile di gioco («Io e il mio staff vogliamo un calcio aggressivo e intenso. Gli allenamenti andranno in quella direzione»). Non possiamo sapere quale sarà il suo grado di adattamento alla rosa a disposizione (Pioli dovrà per forza di cose cercare un compromesso), quanto sarà veloce il passaggio al modo di giocare che ha in testa, ma le parole pronunciate e la storia personale descrivono un allenatore ben diverso dal “normalizzatore” che dovrebbe riportare l’Inter a giocare in maniera semplice.
Da dove cominciare
Detto questo, è chiaro che l’Inter non sarà una replica della migliore Lazio di Pioli: la ricerca di un compromesso parte dal capitano e miglior giocatore della stagione nerazzurra: Mauro Icardi. L’argentino è un attaccante con caratteristiche piuttosto lontane da quelle di Djordjevic e Klose, specialisti nel fare da sponda e aprire spazi in cui far inserire i centrocampisti e gli esterni offensivi. Vale la pena ricordare che oltre la metà del potenziale offensivo della Lazio nell’anno del terzo posto era racchiuso nei gol di Felipe Anderson, Candreva, Parolo e Mauri (10 a testa i primi tre, 9 per Mauri).
Ora invece Pioli ha in rosa un attaccante che da solo vale più del 60% dei gol attuali della propria squadra (10 su 16): pur dovendo risolvere uno dei problemi più grandi mostrati dall’Inter («Dovremo occupare di più e meglio l’area avversaria»), Pioli dovrà quindi ricalibrare le proprie idee di gioco e costruire una struttura a partire dall’istinto da finalizzatore di Icardi.
Ciò non significa, comunque, che non proverà a sviluppare il gioco senza palla dei centrocampisti più dinamici, João Mário e Brozovic in particolare, ma anche Kondogbia magari, e a sfruttarli in maniera diversa rispetto al recente passato: anche senza arrivare alle vette raggiunte da Parolo e Mauri, l’Inter ha bisogno degli inserimenti dei centrocampisti per aumentare la presenza in area di rigore e non dipendere troppo da Icardi in termini di gol.
Risalita del campo sulla fascia, inserimento di Mauri e gol: un manifesto della Lazio di Pioli.
L’aspetto su cui probabilmente Pioli potrà incidere da subito sono le combinazioni sulle catene laterali, uno dei punti di forza della sua Lazio. Per Candreva e Perisic significherà un’interpretazione meno rigida del loro ruolo rispetto a quanto fatto vedere finora: più coinvolti nella costruzione della manovra e meno portati a isolarsi, in continuo movimento per creare linee di passaggio, anche abbassandosi a ricevere il primo passaggio dai difensori, incrociando le proprie posizioni e giocando più vicini.
Un cambiamento piuttosto importante per due giocatori abituati finora a spartirsi le fasce e a calpestare le rispettive linee laterali senza mai entrare in connessione: dando per scontato l’adattamento di Candreva, che ovviamente può affidarsi al bagaglio d’esperienza accumulato negli anni con Pioli alla Lazio, sarà da verificare invece la disponibilità di Perisic a diventare il Felipe Anderson dell’Inter. Pioli proverà a forzare un cambiamento nel gioco del croato o adotterà un approccio più morbido, assecondandone le caratteristiche?
Da risolvere
Ci sono poi altre due grandi questioni. La prima riguarda il giocatore potenzialmente più determinante e influente nel gioco dell’Inter: Éver Banega. Come deciderà di utilizzarlo Pioli? Alla sua Lazio mancava un giocatore così creativo e questo può spiegare in parte la decisione di spostare il gioco sulle fasce e accentuare le responsabilità degli esterni offensivi. La presenza di Banega convincerà Pioli a orientare su di lui il flusso della manovra interista? Pioli accetterà il rischio di costruire il proprio gioco attorno a Banega, un giocatore tanto eccezionale quanto sfuggente e poco inquadrabile in un ruolo?
La seconda grande questione riguarda la linea difensiva e, più in generale, l’atteggiamento di squadra in fase di non possesso. All’Inter non c’è nessun Lucas Biglia che guidi il pressing e aiuti la squadra a restare alta. Al contrario, non è un mistero che i difensori nerazzurri (con Miranda ambasciatore presso de Boer) si sentano più al sicuro con un atteggiamento più prudente e un baricentro basso, il modo di difendere opposto a quello mostrato dalla Lazio di Pioli. Il nuovo allenatore nerazzurro non ha mai rinunciato all’aggressività e al baricentro alto, anche a costo di esporre i propri difensori a brutte figure. Il bivio più grande della stagione sarà proprio questo: Pioli non rinuncerà alla difesa alta anche all’Inter o si dimostrerà più flessibile?
Subentrare in corsa e dare un’identità tattica chiara alla propria squadra è una missione molto complicata, sulla quale si è già schiantato de Boer. Non possiamo sapere se il fallimento del tecnico olandese consiglierà a Pioli maggiore prudenza nello sviluppo delle sue idee e dei suoi princìpi di gioco, o se al contrario il tecnico parmigiano insisterà da subito sul modo di giocare che ritiene più giusto ed efficace nel raggiungimento dei risultati. Gli ambiti di intervento e le questioni da risolvere sono tante e Pioli, come (quasi) ogni altro allenatore, specie se subentrato, dovrà scendere a compromessi adattandosi alla rosa a disposizione. La cosa sicura è che contrariamente al ruolo che gli era stato cucito, e che molti media grandi o piccoli hanno raccontato, l’Inter non ha scelto un “normalizzatore”, ma un allenatore dalle idee forti che avrà bisogno soprattutto di tranquillità e tempo: due elementi indispensabili dei quali non ha goduto de Boer e che determineranno anche il destino di Pioli sulla panchina nerazzurra.
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