Nelle ultime 6 stagioni una sola squadra italiana è riuscita a passare i preliminari di Champions League, il Milan dell’ultimo Allegri: le altre hanno perso contro due tedesche, un'inglese, una spagnola e una portoghese. Nella storia di questi spareggi estivi, la Serie A ha la peggior percentuale di passaggi del turno tra le 5 migliori leghe, solo il 71%, dietro persino alla Ligue 1 e a distanza siderale da Premier e Liga (rispettivamente 88% e 87%).
C’è qualcosa di endemico nell’incapacità delle nostre squadre di affrontare partite decisive ad agosto: spesso si è parlato del ritardo atletico rispetto agli altri campionati, che iniziano quasi sempre prima del nostro; oppure di incapacità di programmazione, con squadre ancora indefinite in attesa dei colpi dell’ultimo momento. Forse è anche la difficoltà di giocarsi praticamente l’intera stagione alla prima partita ufficiale, impresa vicina per concentrazione solo a un colloquio di lavoro, in cui il margine d’errore è minimo e il lavoro di anni si giudica in poche ore.
Tra le difficoltà da schivare per la Roma c'era però anche una "tradizione" portoghese: il Porto nelle ultime 15 stagioni ha giocato quasi sempre la Champions League. Nelle uniche due occasioni in cui è stato assente, ha vinto la Coppa Uefa e poi l’Europa League. Un curriculum da grande squadra europea, senza dubbio.
La tradizione è importante in questa sfida perché l’avversario vi ricorre in modo significativo: dopo tre stagioni deludenti, sia nella Primeira Liga che in Europa, il nuovo allenatore del Porto, Nuno Espírito Santo, si è subito aggrappato ai valori tradizionali della squadra e della società, invocando la “Mística do Porto”, un complesso di idee, comportamenti e valori che i giocatori dovrebbero seguire fideisticamente per arrivare alla vittoria. Ma il calcio è composto in realtà da tanti piccoli eventi materiali che dipendono molto più spesso da altrettanto piccole cose terrene, magari preparate durante la settimana di allenamenti: Nuno è un grande retorico, ma per fortuna non un eccellente tattico.
Vertigine verticale
Spalletti, anche se sapeva come approfittare delle deficienze del tecnico avversario, ha dovuto comunque affidarsi ad una squadra non ancora rodata alla perfezione, con il giovane portiere brasiliano Alisson (alla sua prima partita in assoluto in Europa) e i due nuovi acquisti in difesa, Juan Jesus e Vermaelen, subito in campo. Per intenderci, il primo allenamento di Vermaelen è dell'8 agosto, praticamente una settimana fa.
La Roma si schiera con un teorico 4-3-3, con Florenzi terzino destro e Juan Jesus a sinistra, Dzeko al centro dell’attacco affiancato da Salah sulla destra e Perotti libero di muoversi nella mezza posizione a sinistra, per creare il collegamento con il centrocampo. Anche Nainggolan occupa una posizione ibrida, spesso tra le linee, sia per ricevere palla che per schermare Danilo.
I giallorossi si muovono quindi tra vari moduli a seconda del triangolo di centrocampo: a volte Strootman e De Rossi formano un doble pivote davanti alla difesa, a volte Strootman e Nainggolan si alzano a formare una linea da 4 più avanzata con Salah e Perotti.
Il 4-2-3-1 senza palla della Roma, con Dzeko sul centrale meno abile tecnicamente, Nainggolan a schermare Danilo e Strootman che sale sull’altro centrocampista in appoggio.
Nuno, invece, propone un cambio rispetto alla vittoria nell’esordio in campionato: al posto del “tecatito” Corona c’è Adrián López, ala con meno velocità di base e di esecuzione ma buon dribbling ed intelligenza tattica.
Il Porto è schierato teoricamente con un 4-2-3-1, ma si capisce subito come le posizioni dei giocatori siano diverse rispetto al solito: il capitano Herrera finisce sulla fascia destra, lasciando il centro del campo a Danilo e André André; alto a sinistra ci dovrebbe essere l’ala brasiliana Otavio, che però si fa trovare quasi sempre in zona centrale; Adrián è vicinissimo al centravanti André Silva, anche se appena più indietro. Alla fine il modulo di Nuno si può riassumere in un 4-3-3 in fase offensiva e in un 4-4-1-1 senza palla, il cui obiettivo è chiudere ogni via centrale e non farsi prendere in inferiorità dalle catene di fascia romaniste.
Le due linee da 4 del Porto, e già si vedono dei problemi: Nainggolan libero tra le linee e un potenziale 3 vs 3.
Sul campo, il piano del Porto naufraga immediatamente: la Roma si muove con grande fluidità, sia a seconda della fase di gioco che delle necessità. La prima mezzora è un vero manifesto programmatico di Spalletti per questa nuova stagione: la squadra è aggressiva e alta puntando alla riconquista immediata; in fase di possesso uno dei terzini è molto alto sul campo, quasi sulla linea degli attaccanti; si va in verticale appena si può, altrimenti la soluzione ideale è fatta di triangolazioni veloci dall’esterno verso il centro, con le due ali a convergere in mezzo al campo e Dzeko ad allungare la difesa avversaria. Sulla linea di attacco ci sono quasi sempre 4 giocatori, grazie a Nainggolan o al terzino che si aggiungono.
Va da sé che non tutto riesce bene, sia perché è la prima partita ufficiale, sia per l’assenza di sincronia con i 3 nuovi innesti, ma la Roma soffre pochissimo e in gran parte per errori propri, come un disimpegno sbagliato di Alisson (prestazione non sicurissima la sua: 15 passaggi errati, alcuni molto rischiosi; poca convinzione sulle palle alte; una respinta centrale su un tiro debole). La squadra di Spalletti crea molto ma non riesce a segnare, e sembra proprio che tutto ricominci da dove era finito, dalla doppia sconfitta negli ottavi di Champions contro il Real con incredibili palle gol divorate.
40' di controllo
L’approccio alla partita della Roma funziona bene sia senza che con il pallone. La ricezione di Danilo è schermata da Nainggolan, con Dzeko a disturbare l’inizio azione di Felipe, il meno dotato tecnicamente dei due centrali; Strootman è pronto ad alzarsi su André André ed Herrera è relegato sulla destra. Quando perde il pallone, inoltre, la Roma prova sempre a riconquistarlo in zone alte, creando delle nuvole di pressing sul portatore: niente gegenpressing, ma un tentativo di controllo della partita con la densità. Per raggiungere questo obiettivo, ovviamente, la linea difensiva deve seguire il movimento della squadra e non aver paura a difendere in avanti.
Tutti nella metà campo avversaria, anche Manolas e Vermaelen: così il Porto non riesce a gestire il possesso.
Nella costruzione bassa, i giallorossi a volte sembrano macchinosi ma più spesso riescono ad eludere la pressione avversaria, grazie al contemporaneo abbassamento di due centrocampisti, alla posizione dei due terzini, sempre alti e pronti alla ricezione, e al terzo centrocampista che approfitta dello svuotamento del campo per proporre una ricezione centrale (mentre le ali si allargano per creare grandi spaziature nella difesa avversaria). Si riescono così ad occupare tutti i corridoi di campo e ad occupare molte linee, senza appiattirsi troppo: un passo avanti rispetto a quanto visto nella passata stagione.
Pressione del Porto ormai elusa, con 4 giocatori che riescono a schermare solo il centro: ma la Roma ha tutti i corridoi di passaggio presidiati e De Rossi riesce a servire Florenzi libero di avanzare.
Per colpire il sistema difensivo portoghese, Spalletti individua dei corridoi verticali, sfruttando alcuni problemi degli avversari: l’incredibile difficoltà di Danilo Pereira nel controllare lo spazio alle sue spalle, dove scorazzano Nainggolan, Perotti e Salah; e le ampie spaziature tra i due centrali, con Marcano in difficoltà a coprire la profondità. Dopo 13 minuti la Roma ha già avuto 3 occasioni con Salah e una colossale con Dzeko su papera di Casillas. Ma nessun gol.
Il miglior attacco della passata Serie A non sembra avere la necessaria lucidità per concretizzare un dominio quasi assoluto, e questo è un problema: senza lo sfortunato autogol di Felipe su calcio d’angolo, la Roma avrebbe chiuso la prima mezzora senza segnare, permettendo addirittura a Casillas di riscattarsi con 3 parate consecutive, ma sempre grazie a tiri poco precisi.
Con due tocchi di prima in verticale la Roma lancia Dzeko verso la porta: il bosniaco si fa riprendere in velocità e poi Casillas si impappina.
Spesso, per creare difficoltà al Porto, i giallorossi attaccano contemporaneamente in ampiezza e in profondità: ma mentre nel secondo caso il movimento è affidato a Dzeko, sulle fasce ci sono Juan Jesus e Florenzi (alternativamente) ad aggiungersi alla linea d’attacco.
Juan Jesus sulla linea degli attaccanti, una minaccia più tattica che altro...
Ai molti strumenti tattici funzionanti si affiancano però anche degli errori, inevitabili in questa fase iniziale ma su cui bisognerà lavorare. In particolare, i movimenti della linea difensiva sembrano a volte poco sincronizzati: non solo tra i singoli, ma anche con il resto della squadra. La linea a volte scappa precipitosamente all’indietro, creando un pericoloso buco tra le linee, che De Rossi e Strootman non riescono a coprire. I due centrocampisti giallorossi hanno fornito una grande prova in fase difensiva, con 5 palloni intercettati il primo e 7 contrasti vinti il secondo, ma anche un’idea complessiva di scarso dinamismo, contro un Porto niente affatto veloce e aggressivo. Nel caso dell’olandese può essere una normale fase nel percorso di recupero verso la continuità agonistica: la sua partita è stata buona, anche grazie alla sua capacità di saper attivare immediatamente le transizioni.
La voragine tra De Rossi e Strootman su una palla lunga, potenzialmente letale per una fase difensiva improntata all'aggressività.
La Roma a volte è sembrata addirittura troppo verticale, come se mancasse una pausa: dopo l’addio di Pjanic, c’è un solo creatore di gioco offensivo, Perotti, che infatti è stato costretto persino a provare la salida lavolpiana in alcune situazioni. Ciò nonostante, il pallone è stato quasi solo della Roma nel primo tempo (62% di possesso), con il Porto che non riusciva a uscire dalla propria metà campo.
Errori e chiusure
Dopo il gol del vantaggio, la Roma ha rimesso in partita il Porto restituendogli il regalo: al 27' Vermaelen ha ricevuto un cartellino giallo per un fallo inutile a centrocampo e poco dopo, al 41’, si è fatto attirare dal movimento verso il pallone di André Silva, che invece poi ha attaccato la profondità: fallo scomposto appena fuori l’area, doppia ammonizione ed espulsione. Il centrale belga ha mostrato tutte le sue qualità con la palla (in 41 minuti ha effettuato più passaggi di Manolas in 90 minuti), ma anche una preoccupante insicurezza nell’interpretare normali situazioni difensive, come quella dell’espulsione e qualche anticipo azzardato.
L'errore nella lettura di Vermaelen, che porterà alla sua espulsione.
A quel punto Spalletti ha inserito Emerson Palmieri da terzino sinistro e spostato Juan Jesus al centro: ad uscire è stato Perotti, e da quel momento si è spenta la luce per la Roma. Nel secondo tempo il Porto ha alzato il baricentro e iniziato a controllare il pallone, ma sempre cercando una difficile ricezione tra le linee di Otavio, Adrián ed Herrera, oppure provando una scolastica circolazione perimetrale, tanto per dimostrare che con l’uomo in più stavano provando ad allargare le maglie della Roma. La squadra di Nuno non è riuscita a concretizzare il dominio, ma solo a bloccare ogni velleità di contropiede della Roma, schierata con un 4-3-2 con Salah più vicino a Dzeko, entrambi isolati dal resto della squadra.
I giallorossi, semplicemente, non riuscivano più a mantenere un possesso. La Roma ha sofferto molto ma senza concedere grandi occasioni, rifiatando grazie a Dzeko (il migliore per dribbling riusciti, 3). Difficile dire come sarebbe andata se al posto di Perotti fosse uscito proprio il centravanti bosniaco, che forniva almeno un riferimento chiaro ad una squadra in difficoltà.
La linea a 5 che la Roma ha adottato per resistere all'assedio in superiorità del Porto, chissà se la rivedremo anche in condizioni di gioco normali.
Il pareggio è stata quasi una naturale conseguenza del grande sforzo portoghese, un po’ casuale, dei primi 15 minuti del secondo tempo: su calcio d’angolo un colpo di testa è finito sul braccio di Emerson, che ha stabilito il poco invidiabile record di commettere due volte lo stesso errore in poco meno di 20 minuti (a fine primo tempo il suo intervento era stato considerato non falloso). Rigore realizzato perfettamente da André Silva.
Il Porto, provando a vincere, ha accompagnato la partita verso il pareggio, decidendo di usare la superiorità numerica per lanciare una pioggia di cross in area avversaria (ben 29), pur avendo un solo vero colpitore di testa, quell’André Silva che secondo alcuni potrebbe essere il grande centravanti portoghese del futuro. Per non concedere più neppure una briciola di profondità, Spalletti è finalmente passato alla difesa a tre, che è una specie di messaggio subliminale del mercato della Roma (tre nuovi centrali, un laterale di fascia come Bruno Peres): dentro il corazziere argentino Fazio, Florenzi esterno destro e Emerson esterno sinistro. Una mossa sufficiente a mantenere il pareggio, che a fine partita è evidentemente oro, dopo quasi 60 minuti (recuperi compresi) in 10 uomini alla prima partita ufficiale.
Le sfide di Champions però si misurano sui 180 minuti, e nella prima frazione la Roma ha avuto a disposizione già il colpo del KO, sperperandolo. Così ha rimesso in vita un avversario che, seppur evidentemente povero di idee e organizzazione, ha qualità in varie zone del campo e ha quella strana mistica da Champions, in cui l’importante non è dominare il ring ma colpire quando serve. Il pareggio per 1-1 è un risultato positivo per la Roma ma che lascia pochi margini di manovra. I portoghesi, infatti, potranno contare su tutti i pareggi tranne uno, mentre la Roma potrà passare solo con la vittoria o lo 0-0.
Spalletti ha già mostrato come vuole migliorare la sua squadra e attraverso quale percorso: nella partita di ritorno, però, la Roma non può più permettersi errori, deve dimostrare quella grinta da vincente che, per un motivo o per un altro, sembra sempre mancarle.