
Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.
Al fischio d’inizio ieri, Genoa e Roma presentavano diverse somiglianze praticamente impronosticabili ad inizio campionato. Entrambe le squadre si schieravano con una difesa a tre: il Genoa con Izzo, Burdisso e Muñoz; la Roma con Juan Jesus, Fazio e Rüdiger. Entrambe le squadre si disponevano in campo in maniera asimmetrica a sinistra: il Genoa con un 3-5-2 sbilanciato dalla parte di Ocampos, che agiva da ala di fatto; la Roma con un 3-4-2-1 che si inclinava nella zona di Perotti e si riequilibrava in 4-2-3-1 solo quando Bruno Peres avanzava sulla trequarti. Entrambe le squadre facevano della fisicità e dell’intensità i loro principali punti di forza.
A fine agosto, in pochi avrebbero potuto pensare che Genoa e Roma sarebbero state tanto simili, a inizio gennaio. Per più ragioni.
La fisicità
Il fatto che le due squadre abbiano giocato su un livello di intensità simile è stato sorprendente. Se il Genoa è notoriamente una delle squadre più intense del campionato, la Roma ha invece sofferto per quasi tutta la prima parte di stagione i ritmi alti, il gegenpressing e la riconquista delle seconde palle. Difetti che hanno causato sconfitte clamorose, come quella con l’Atalanta, quando la Roma venne divorata nel secondo tempo dagli uomini di Gasperini.
Per questo motivo, si temeva potesse soffrire anche l’intensità del Genoa di Juric, che d’altra parte di Gasperini è il primo degli allievi. E invece, con un atteggiamento fin dai primi secondi molto battagliero ("cazzutissimo" per dirla con Spalletti), la Roma è sorprendentemente riuscita a vincere il duello fisico praticamente in tutte le zone del campo, sia a livello individuale che collettivo.
Simeone è scomparso nell’uno contro due di Juan Jesus e Fazio (22 respinte e 4 duelli aerei vinti: ennesima prestazione eccellente), Laxalt e Lazovic sono stati sovrastati da Peres e Emerson, Cofie è stato annullato da Nainggolan, e Dzeko è riuscito a destreggiarsi tra Muñoz e Burdisso senza troppe difficoltà. Ma è soprattutto a centrocampo dove la bilancia si è spostata dalla parte della Roma: il ritorno ad alti livelli di Strootman (5 contrasti vinti per lui, solo Cofie e Muñoz hanno fatto meglio) e la pesantissima assenza di Rincon nelle file rossoblù hanno portato la squadra di Spalletti a vincere definitivamente il duello fisico nel rettangolo verde.
Al Genoa sono rimaste poche briciole: l’aggressività di Izzo, che ha isolato Perotti rendendolo quasi inoffensivo, e l’esplosività di Ocampos, che ha ripetutamente messo in difficoltà Rüdiger nell’uno contro uno.
Le marcature a uomo
Scomporre il match in una serie di duelli individuali, d’altra parte, è l’abitudine per il Genoa di Juric, che fa delle marcature a uomo a tutto campo uno dei suoi punti fermi. Proprio le marcature senza palla sono state il bivio da cui la partita delle due squadre ha iniziato a prendere strade differenti.
Il Genoa marca a uomo a tutto campo ma, contro le squadre con un’unica punta, si riserva di mettere l’attaccante avversario in inferiorità numerica contro due centrali: in questo caso Dzeko contro Burdisso e Muñoz. Se da una parte questa mossa permette di controllare più facilmente il potenziale offensivo avversario, dall’altra però comporta anche tutta una serie di effetti collaterali meno piacevoli.
Innanzitutto, avere la superiorità numerica nei confronti della punta avversaria significa automaticamente che la propria punta è in inferiorità numerica nei confronti della difesa avversaria, se anche l’altra squadra si schiera con una difesa a tre. Nel caso specifico, questo significava che uno tra Fazio e Juan Jesus era costantemente privo di marcature, libero di avanzare fino alla trequarti avversaria senza opposizioni.

Con l’avanzamento di un centrale fino alla trequarti, il Genoa era costretto a una scelta dolorosa: lasciarlo arrivare in area oppure abbandonare temporaneamente le marcature a uomo per impedirglielo, provocando però un effetto domino che liberava un giocatore della Roma in fase offensiva.

Questo dilemma ha provocato a volte effetti stranianti, come Fazio e Juan Jesus che hanno avuto un paio di possibilità di tirare dal limite dell’area partendo palla al piede dalla propria linea di difesa.
Ma soprattutto Juan Jesus è stato costantemente libero di recapitare il pallone in maniera pulita sulla trequarti avversaria, premiando il movimento a venire incontro di Dzeko o Perotti, che andava a occupare il mezzo spazio.

L’altro inconveniente delle marcature a uomo è che necessitano di una concentrazione estrema per essere mantenute. Ninkovic e Rigoni si sono costantemente persi Strootman e Nainggolan alle proprie spalle, e anche Izzo ha sporcato la sua partita impeccabile perdendosi un taglio in area di Perotti che poteva rendere il passivo ancora più pesante.
Ieri la fluidità della Roma ha mandato molte volte in tilt i giocatori del Genoa, che non avevano punti di riferimento fissi per mantenerle in maniera efficace. Nella posizione di regista, ad esempio, si alternavano De Rossi e Strootman, con l’altro che si posizionava tra le linee; oppure in quella di ala destra si alternavano Bruno Peres e Nainggolan che, trascinandosi dietro Cofie, apriva una voragine tra la difesa il centrocampo del Genoa (proprio da un cross di Nainggolan dalla destra è nato il clamoroso palo di Dzeko).
La Roma senza palla adottava invece un approccio più complesso, fatto sia di marcature a uomo che a zona. Cosa che le permetteva anche di pressare il primo possesso genoano nonostante l’inferiorità numerica. Se la palla arrivava a Muñoz, ad esempio, su di lui saliva Nainggolan staccandosi dalla marcatura a uomo di Cofie, che era preso in consegna da De Rossi o più raramente Strootman.

Allo stesso modo, se uno tra Ninkovic e Rigoni riusciva a prendere palla in maniera pulita alle spalle del centrocampo giallorosso, su di lui saliva Juan Jesus, con il due contro uno nei confronti di Simeone che si ricreava con l’avvicinamento di Rüdiger a Fazio, e l’abbassamento di Bruno Peres a terzino di una difesa a quattro.

La costruzione
Queste differenze nell’approccio senza il pallone hanno finito per incidere anche nella gestione del possesso delle due squadre. Il Genoa ha sofferto molto il pressing alto della Roma e si è ritrovato quasi sempre a dover lanciare lungo direttamente dalla difesa per la testa di Simeone, che veniva però sovrastato dal dominio aereo di Fazio, o a forzare la verticalizzazione per tentare poi di riconquistare palla nella trequarti avversaria. Su questo ha pesato anche l’atteggiamento pigro di Ninkovic senza il pallone, che quasi mai riusciva a dare una linea di passaggio libera verso la trequarti quando la palla scivolava sull’esterno.
Solo le rarissime volte in cui la squadra di Spalletti non ha isolato Cofie, il Genoa è riuscito a portare la propria squadra organicamente nella metà campo difensiva della Roma. Per il resto si è dovuta accontentare dei cross dalla trequarti, o da sinistra, dove le sovrapposizioni in verticale di Ocampos e Laxalt hanno messo in difficoltà Rüdiger e Bruno Peres (ma contro una squadra così forte nei duelli aerei è risultata comunque una strategia sterile).
La Roma, che pure ha fatto pesantemente ricorso al lancio lungo per Dzeko, è riuscita invece a gestire il primo possesso con più tranquillità con uno dei centrali di difesa liberi, arrivando spesso, come detto, sulla trequarti anche palla a terra.
Nonostante ciò, alla squadra di Spalletti manca ancora la sicurezza tecnica di gestire il possesso in maniera pulita ad alti ritmi. Ieri appoggi semplici ed errori tecnici banali hanno sporcato la manovra nell’ultima trequarti impedendole di arrivare in porta con più facilità, in una partita in cui ha passato con un’accuratezza di dieci punti percentuali al di sotto della propria media stagionale (73% contro 83%).
La complessità
In definitiva quello che ha fatto la differenza è stata però la gestione della complessità da parte dei due allenatori. Spalletti in questa prima metà di campionato ha forgiato una Roma fluida, capace di adattarsi all’avversario e ai momenti della gara, anche in maniera cinica. Nell’ultimo quarto d’ora, ad esempio, ha deciso di lasciare libero il primo possesso del Genoa e difendere lo spazio abbassando il baricentro inserendo Manolas per Bruno Peres. Poi ha iniziato a utilizzare il possesso esclusivamente come arma difensiva mettendo dentro Paredes per Nainggolan.
Juric, invece, nonostante l’andamento della partita, non ha fatto cambi tattici fino al 78esimo, quando ha messo Pinilla per Lazovic passando ad un disperato 4-2-4. Un cambio che però non ha prodotto effetti sostanziali perché il Genoa ha continuato ad attaccare l’area avversaria con i cross, neutralizzati dallo strapotere fisico della difesa della Roma. Solo un’invenzione casuale di Ocampos all’ultimo minuto ha permesso al Genoa di recriminare un possibile 1-1.

Con quella di ieri, è arrivata la quarta sconfitta consecutiva per il Genoa. Se Juric non riuscirà a decifrare la complessità messa sul piatto dalla Serie A e dal suo presidente, che continuerà a cambiargli i connotati della squadra, il prosieguo sulla panchina rossoblù sarà sempre più difficile.
Lo sa bene Spalletti che, in questo strano cammino a tappe che è il campionato della Roma, ha cambiato la sua squadra al punto da renderla irriconoscibile rispetto a quella di inizio campionato.
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