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I Philadelphia 76ers ora fanno paura a tutti
12 apr 2018
Da 10 a 52 vittorie nel giro di due anni: ora come non mai Philly crede nel suo Process.
(articolo)
14 min
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“In una situazione come la vostra qui a Philadelphia, nella quale varie circostanze vi hanno portati vicini a dare una svolta a una situazione perdente (senza riuscirci), amplificare quelle possibilità di svoltare è fondamentale. I risultati di oggi di ciascuna squadra sono profondamente influenzati dalle decisioni prese nel passato”. Era il 6 aprile del 2016 quando Sam Hinkie - con una fluviale lettera che riuniva uccelli della Nuova Zelanda e Elon Musk, Warren Buffet e Abramo Lincoln - si dimetteva da General Manager dei Philadelphia 76ers. Esattamente due anni dopo, battendo i Cleveland Cavaliers con una gara sulle montagne russe, i Sixers hanno scavalcato proprio la squadra di LeBron James nelle gerarchie della Eastern Conference, e le decisioni prese nel passato sono finalmente arrivate a influenzare il presente e il futuro della franchigia della Pennsylvania.

Philadelphia sta cavalcando una striscia aperta di sedici vittorie consecutive, in sella alla quale ha conquistato il fattore campo per almeno il primo turno dei playoff e ha superato quota 50 vittorie due anni dopo averne vinte solamente dieci. Un finale di stagione incandescente, che ha convinto anche gli ultimi scettici della bontà del progetto tecnico orchestrato da coach Brett Brown e dal suo staff. Infatti, nonostante un calendario piuttosto semplice nel finale, Phila ha dovuto fare a meno per alcune partite del suo giocatore simbolo, The Process Himself, Joel Embiid. Un talento generazionale, dominante su entrambe le estremità del campo, che però alla fin fine non è mancato più di tanto ai lanciatissimi 76ers dell’ultimo mese. Ecco come hanno fatto.

L’enorme influenza sul gioco di Ben Simmons

Con Embiid ai box in versione “Due Facce”, Ben Simmons ha preso in mano la leadership emotiva della squadra con la personalità del consumato veterano. Il promesso Rookie dell’Anno ha alzato il suo livello di gioco, facendo lievitare ogni sua voce statistica e viaggiando in tripla doppia di media (14.7 punti, 10.1 rimbalzi e 10.7 assist) durante la striscia di successi di Phila. Mai nessun altro giocatore c’era riuscito prima. E il tutto senza mai provare neanche un tiro da tre in stagione.

Come avevo scritto ad inizio anno la scarsa vena realizzativa di Simmons con il tiro da fuori non doveva essere così preoccupante, almeno al suo primo anno in NBA, mentre trovavo necessario che aumentasse l’efficienza delle sue soluzioni offensive al ferro, dove spesso si affidava all’eleganza piuttosto che alla forza fisica. Nel corso della stagione Simmons ha trovato maggior confidenza con il proprio corpo, usato finalmente come ariete d’assalto verso il ferro avversario, concludendo in equilibrio a distanza ravvicinata e non ricorrendo più quei complicatissimi floater a cui ci aveva abituato in passato. Ora Simmons usa costantemente la spalla per cercare il contatto con il petto del difensore per poi creare separazione sul secondo passo.

Piccoli accorgimenti che erano pronosticabili in un giocatore alla prima stagione da professionista e che hanno avuto l’effetto di migliorare la sua percentuale dal campo portandola sopra il 60% (quando avevo scritto il profilo su Simmons a novembre aveva il 49% di eFG). Dopo 80 partite Simmons è un giocatore molto più raffinato, completo e agonisticamente cattivo rispetto a quello che aveva iniziato la sua carriera in NBA. Ha migliorato il suo ball-handling, ampliandolo con movimenti rubati dalle altre point guard che ha affrontato in stagione, diventando ancora più difficile da fermare una volta che è lanciato in campo aperto.

Simmons con due pagine strappate dal diario segreto di Chris Paul.

Complice l’assenza di Embiid, dall’attacco dei Sixers sono pressoché scomparsi i tocchi in post basso mentre si è alzato esponenzialmente il ritmo di gioco, arrivato nelle ultime 15 partite a un pace di 105.8, il dato più alto della Lega in questo periodo di tempo. Philadelphia è diventata una squadra di transizioni (rappresentano il 20% del loro attacco), a conferma di come, senza Joel, si sia affidata totalmente alle mani di Simmons. La capacità di creare per se stesso e per la squadra in situazioni dinamiche rimane la qualità migliore del play australiano, un connubio di velocità e controllo che ha pochi eguali anche nel basket contemporaneo. Simmons può lanciare immediatamente il compagno in fuga dopo aver catturato il rimbalzo difensivo, può spingere il contropiede in prima persona per poi trovare i tiratori liberi sul perimetro o più semplicemente tagliare come il burro fuso la difesa avversaria e arrivare al ferro con apparente facilità.

O può semplicemente correre più veloce della luce per poi ricomparire sopra il ferro un secondo dopo.

Simmons viaggia ad un livello di comprensione cestistica diverso da tutti gli altri comuni mortali, ed essere stato inserito da Brett Brown al centro del progetto tecnico Sixers lo ha responsabilizzato e galvanizzato. Le ultime vittorie non hanno fatto altro che aumentare la fiducia nei suoi mezzi, ampliando ancor di più l’impatto che sta avendo sulla squadra e sulla NBA in generale, che non vedeva un talento di questo tipo dai tempi del primo LeBron James (il che non significa che diventerà come LeBron James).

Il numero 25 non è solo il direttore d’orchestra dell’attacco dei Sixers, ma è un componente fondamentale nella loro fase difensiva. Le sue qualità con la palla in mano hanno fatto passare in secondo piano l‘impressionante stagione nell’altra metà campo, dove si è già affermato come uno dei difensori più versatili in circolazione, avanzando una reale candidatura per uno dei quintetti All-Defensive. In un’epoca cestistica nella quale la capacità di un giocatore di difendere ogni posizione così da poter cambiare in ogni situazione è ricercata come la pietra filosofale, Simmons ha il potenziale per sbloccare nuovi orizzonti per la squadra allenata da Brett Brown. La sua combinazione di atletismo, taglia fisica e agilità gli consente di gestire qualsiasi tipo avversario si trovi di fronte, in qualsiasi zona del campo. Senthil Natarajan di Nylon Calculus ha sviluppato un indice che ha chiamato Defensive Versatility Index con il quale ha calcolato l’efficienza di Simmons in marcatura su guardie, ali e centri. I risultati confermano quanto il rookie sia uno dei migliori difensori in circolazione nonostante prendi in consegna il 33% delle volte i playmaker, il 46% le ali e il 21% i lunghi avversari. Il suo ruolo assomiglia in qualche modo a quello ricoperto da Draymond Green o LeBron James, fungendo da free safety e usando i suoi istinti per lanciarsi sulle linee di passaggio.

Che cos’è la difesa? È concentrazione, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione.

Nella strategia di Phila, che prevede cambi automatici sul perimetro, due giocatori come Ben Simmons e Robert Covington, entrambi con più di 50 stoppate e 100 rubate in stagione, sono stati fondamentali nel mantenere impermeabile una difesa orfana del suo miglior protettore del ferro. Anzi: approfittando della scarsa vena realizzativa dei contendenti, nelle ultime partite i Sixers hanno abbassato il Def Rating di squadra a 97.2, superando addirittura i Jazz come difesa più efficace della Lega.

Mentre molti giocatori al primo anno fanno molta fatica ad incidere positivamente nella difesa di squadra, Simmons è già indispensabile per i Sixers su entrambe le metà campo, ed è per questo contributo globale che merita il premio di Rookie dell’Anno senza discussioni.

L’inserimento di Markelle Fultz

Per quasi sei mesi le uniche immagini di Markelle Fultz erano video in verticale rubati con il cellulare durante gli allenamenti a porte chiuse dei Sixers, una cosa a metà tra TheBlair Witch Project e un porno amatoriale. Così, quando è cominciata a girare freneticamente la voce che la prima scelta assoluta dell’ultimo Draft sarebbe stato disponibile per la gara interna contro Denver, si è creata immediatamente una curiosità folle, per capire se quello che avremmo visto sarebbe stato più vicino al talento cristallino dell’Università di Washington o alla sua controfigura col braccio al collo di inizio stagione. Dopo 200 minuti di basket NBA vero, possiamo dire che Fultz è ancora un ibrido tra i due: ha ritrovato la fiducia nei suoi mezzi atletici e tecnici mostrando lampi di abbacinante bellezza, ma anche tanta ruggine e un tiro in sospensione ancora traballante.

Fultz rappresenta un tassello fondamentale nell’economia di squadra e non solo per il valore nominale dell’essere una prima scelta assoluta, ma perché dovrebbe garantire delle dimensioni ancora inesplorate dai Sixers. Innanzi tutto agire da secondo ball-handler a fianco di Simmons, svolgendo compiti creativi con la palla in mano con caratteristiche diverse rispetto a quelle del rookie australiano. Rispetto a Simmons, Fultz è una combo guard più tradizionale che può mettere in crisi le difese grazie a un rapido primo passo, un morbidissimo cambio di velocità e un vario assortimento di crossover, esitazioni e virate in traffico. In queste prime uscite ha dimostrato di saper ancora arrivare al ferro con costanza e aggressività, nonostante il punto debole rappresentato dal suo jumper. Sa sfruttare molto bene il suo corpo per inserirsi nei buchi della difesa avversaria usando le finte e un ottimo lavoro di piedi per guadagnare vantaggi, che poi sfrutta per assistere i compagni o provare la soluzione personale. Nonostante la lunga inattività e l’inevitabile processo di aggiustamento alla velocità e alla fisicità NBA, Fultz ha confermato come sia ancora un finalizzatore al ferro sopra la media, usando entrambe le mani con buona sensibilità e mettendo in mostra un brillante campionario di conclusioni acrobatiche.

Quando Markelle diventa un fidget spinner.

Markelle è ancora lontano da una perfetta chimica con la squadra, ma ha dimostrato di poter essere un distributore affidabile, non forzando le giocate e inserendosi nel flusso dell’attacco. Anche senza i poteri paranormali di Ben Simmons, il rookie riesce a mettere in ritmo i tiratori evitando di buttare la palla (4.12 di rapporto tra assist e palle perse da quando è ritornato). Ma dove può aprire nuove possibilità per i Sixers è nella conduzione del pick and roll, nel quale ha ottimi istinti sia per trovare il passaggio nella tasca al rollante, sia per servire i tiratori sul lato debole.

Fritto misto di scelte sul pick and roll, un’arma che diventerà molto più pericolosa quando affilerà il suo jumper.

Il tiro è ancora un grande punto di domanda ed è la ragione per la quale lui e Ben Simmons hanno condiviso il parquet per pochi minuti finora. Markelle non ha alcuna intenzione di prendersi tiri da oltre cinque metri di distanza: l’unica tripla è stata tentata dopo una classica situazione di patata bollente ed è arrivata a carezzare a malapena il ferro. La meccanica è ancora inconsistente e varia a seconda del ritmo interno con il quale Fultz arriva a premere il grilletto, situazione tipica di chi pensa troppo a ciò che sta facendo. Siamo lontani dai fasti di Washington, quando si organizzava in un fazzoletto: ora la palla è troppo davanti al volto e il rilascio è frammentario, spezzettato in mille diversi movimenti.

Detto ciò, Fultz ha lasciato intravedere le sue potenzialità se mai quel tiro divenisse un pochino più naturale e affidabile. Quando la sequenza che lo porta al tiro - che sia un hang dribble, uno palleggio a serpente o un semplice in&out - lo mette in ritmo, il suo livello di gioco raggiunge completamente un’altra dimensione.

Il grande ritorno dell’Hesi Pull Up Jimbo che ha fatto innamorare tutti.

Dopo essere stato rapito dagli alieni ed essere ricomparso da una puntata di Stranger Things, Markelle Fultz è tornato a galleggiare sul parquet come una versione Jigglypuff di James Harden. In attesa di capire cosa succederà nei playoff, avere un ulteriore creatore dal palleggio in una squadra che a volte ha difficoltà ad arrivare al ferro per Phila è un discreto lusso, specialmente in uscita dalla panchina. Nell’ultima partita stagionale contro i Bucks è diventato il primo teenager a mettere a referto una tripla doppia.

La centralità di J.J. Redick e Marco Belinelli

Una volta che Fultz ha fatto fuori Embiid andandosi a schiantare contro di lui con la sua spalla destra (...ironico, no?), Phila si è trovata in disperato bisogno di sostituire in qualche modo il suo miglior marcatore. La scelta di Brown è stata quella di responsabilizzare ulteriormente i suoi tiratori veterani, ovvero J.J. Redick e Marco Belinelli. Il tiratore ex-Duke è stato per tutta la stagione uno dei più costanti giocatori del roster, dimostrando che tutti i soldi spesi per lui in off-season non sono stati proprio buttati, mentre il nostro connazionale da quando ha abbracciato il Process è letteralmente on fire. I due cecchini hanno combinato per 33.8 punti nella striscia vincente di Phila, tirando rispettivamente con il 41% e il 42.5% da tre punti svolgendo un ruolo chiave nei set offensivi a metà campo della squadra.

Redick, dopo aver costruito una carriera correndo sui blocchi, ha visto ridurre drasticamente questo genere di situazioni una volta arrivato a Philadephia, complici i palloni fagocitati da Simmons ed Embiid. Nel momento del bisogno, però, Brown è tornato a uno dei giochi più utilizzati, i Floppy Action o Single Double, che contro difese non da playoff garantisce punti facili e tiri aperti a valanga.

Floppy action che inizia con una porta girevole tra Redick e Belinelli per confondere ancora di più la difesa che non trova più l’uscita.

O ancora: approfittare della capacità dei playmaker di abbassare la difesa in transizione per farsi trovare liberi sugli scarichi è una cosa che a Redick e Belinelli riesce benissimo.

Alzare il ritmo di gioco per i Sixers significa trovare molte comode triple in transizione.

L’influenza dei due nell’attacco Sixers va oltre il semplice catch and shoot: a Redick e Belinelli viene chiesto sempre più di lavorare con la palla in mano, ovviando in qualche modo ai problemi di costruzione a metà campo di Phila, resi ancora più evidenti dall’assenza di una calamita di possessi come Joel Embiid. Già prima che il centro camerunense divenisse indisponibile per le ultime partite della stagione regolare, Redick era il terzo giocatore dell’intera lega per passaggi consegnati ricevuti (i primi due erano Gary Harris e Wayne Ellington). In queste ultime uscite il dato è lievitato ulteriormente, diventando la spina dorsale dell’attacco a metà campo.

Sia Redick che Belinelli hanno gestito il maggior carico offensivo con grande disciplina, raddoppiando i loro tentativi al ferro e alzando le percentuali dal campo. Sia in hand-off che in pick and roll, la loro capacità di aggiungere una dimensione chiave nell’esecuzione a volte prevedibile della squadra di Brett Brown è stata fondamentale. Le loro scelte e il loro continuo movimento hanno aperto squarci nelle difese avversarie.

Perfetto esempio della duttilità di Redick e Belinelli usati come distrazione da bloccanti sul pick and pop iniziale per poi mandarli a giocare un consegnato laterale.

Belinelli ha ritrovato il basket migliore della sua carriera tornando in un sistema simile a quello degli Spurs che quattro anni fa gli hanno messo l’anello al dito, un sistema che esalta le sue qualità di tiratore sempre in precario equilibrio e con una fiducia incosciente nelle proprie capacità, sfruttando anche le sottovalutate doti di passatore. Redick ha inserito nel suo gioco una varietà di opzioni come bloccante mai esplorate prima d’ora in carriera, strappando delle pagine direttamente da come Mike Budenholzer utilizzava Kyle Korver ai bei tempi di Atlanta.

Altra situazione nella quale un semplice blocco cieco apre una comoda ricezione al ferro per Holmes.

Se anche ai playoff, ovverosia quando Embiid tornerà ad essere il principale “go-to guy” della squadra, Redick e Belinelli continueranno ad eseguire in questo modo mantenendo le percentuali da dietro l’arco di questo scorcio di stagione, i Sixers saranno una squadra molto più completa e pericolosa di quella che ha iniziato l’anno.

Embiid dovrebbe essere disponibile per metà prima serie dei playoff, questa volta in versione giustiziere mascherato, e Phila si presenta per la prima volta alla post-season dopo sei anni. In due anni sono passati da 10 a 52 vittorie in stagione, un’inversione di rotta così repentina che non si vedeva dalla Oklahoma City di Kevin Durant, James Harden e Russell Westbrook. Con il fattore campo dalla propria parte, almeno per il primo turno, i Sixers sono qualcosa in più di una semplice mina vagante: sono un gruppo affiatato, un giusto mix di veterani e giovani talenti dal potenziale ancora tutto da scoprire, guidati da un allenatore che in questa stagione si è preso le sue rivincite dopo quattro anni di critiche e pernacchie.

Bisognerà scoprire quanto le difese avversarie sfideranno Simmons a tirare da fuori rifugiandosi nel pitturato o se Embiid riuscirà a rimanere tutto intero per almeno una serie fisica come quelle dei playoff. Tutte domande legittime, a cui però Phila ha risposto con costanza per tutta la stagione, arrivando a vincere le ultime sedici partite dando prova di grande duttilità e disposizione alla sofferenza. E in un Est mai così aperto, tutto può succedere.

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