Dopo il titolo dello scorso anno ci si aspettava che il Chelsea salisse ancora di livello per tentare l’assalto alla Champions League. Invece una campagna acquisti sotto tono e un terribile avvio di stagione hanno fatto precipitare le quotazioni del club di Roman Abramovich e di, chissà ancora per quanto, José Mourinho.
Tutti guardano ai 21 gol subiti in 12 partite ufficiali e puntano il dito verso il pacchetto difensivo. In realtà quello arretrato non è l’unico reparto a dare dei grattacapi allo Special One che, dopo l’ultimo tracollo casalingo con il Southampton, per difendersi dalle voci di un possibile esonero è partito all'attacco: «Licenzierebbero il miglior manager della storia di questo club e farebbero passare il messaggio (sbagliato, ndr) alla squadra, che i cattivi risultati sono colpa del manager».
Problema #1: la trequarti
Non c'è modo per dirlo in termini più sfumati: il Chelsea è Hazard-dipendente, e il genietto belga sta attraversando una crisi di rigetto al “mourinhismo” simile a quella che aveva vissuto durante la prima stagione del comeback del portoghese. E se il miglior calciatore della scorsa stagione non è ispirato, il Chelsea non ha un piano B. Lo aveva all’inizio della scorsa stagione, quando Cesc Fàbregas infilò una serie di 6 assist per altrettanti gol di Diego Costa; poi i difensori inglesi hanno imparato a prevedere i movimenti dell’attaccante ispano-brasiliano, ma gli infortuni di Costa nel girone di ritorno e l’esplosione di Hazard hanno nascosto il problema fino a oggi.
Il belga è avulso dal gioco della sua squadra e non riesce a farsi trovare dai compagni in zone di campo dalle quali può rendersi pericoloso. Non riesce neanche a liberarsi per il tiro, una volta ricevuta palla tra i piedi: i suoi dribbling riusciti ogni 90 minuti sono calati del 30% rispetto a un anno fa. Un Hazard poco convinto è un peso duplice per la propria squadra, perché Mourinho chiede un lavoro difensivo notevole alle proprie ali e i rientri di Hazard sono così rari, oggi, da mettere Azpilicueta costantemente in apprensione. I rientri degli esterni d’attacco nel 4-2-3-1 sono fondamentali, come ha imparato bene chi ha seguito la parabola di Benítez al Napoli, e la pigrizia di Hazard mette in difficoltà i mediani, tipo Nemanja Matic.
Matic esce dalla propria posizione per seguire Ayew basso e largo. La palla viene girata su Shelvey, che ha metri di campo da prendere, attaccando direttamente la linea e con la possibilità di mettere Gomis davanti alla porta. Cosa che puntualmente avviene.
Il serbo è un giocatore con un gran fisico e una buona tecnica, ma non è a suo agio quando è costretto a uscire sull’esterno. Soprattutto, non sembra sempre consapevole dello spazio che lascia alle proprie spalle: in parole povere, Matic non è Busquets. Contro il Southampton, il serbo è entrato all’intervallo e il Southampton ha dilagato, grazie alla mano libera ottenuta da Mané nella zona di Matic. Mourinho è stato costretto, dalle circostanze tattiche e dal risultato, a estrometterlo dalla partita dopo solo 28 minuti.
Al di là del consolidato schema “palla ad Hazard prima possibile”, la manovra del Chelsea non è fluida e gli uomini di Mourinho fanno molta fatica a far salire il pallone rapidamente. Qualche guaio fisico ha tenuto fuori per alcune partite un giocatore fondamentale come Oscar, uno dei pochi in Europa che riesce a coniugare qualità e quantità nella zona di campo dietro la punta. Con lui in campo il Chelsea trova un collegamento tra i reparti e, inoltre, la squadra riesce ad adattarsi al gioco avversario, ad esempio mediante la rotazione del triangolo di centrocampo che porta il brasiliano e Fàbregas nella posizione di interni in un 4-1-4-1.
Lo stesso Fàbregas trae giovamento dalla presenza di Oscar, perché può giocare fronte alla porta, com’è avvenuto nella vittoria casalinga contro l’Arsenal. Situazione che non si perpetua quando occupa la posizione del trequartista nel 4-2-3-1, a meno di abbassare di molto la propria posizione, cosa che riduce ancor di più il numero di giocatori sopra la linea della palla e, di conseguenza, le possibili linee di passaggio e la pericolosità offensiva della squadra. Contro il Southampton, l’anomalo posizionamento di Fàbregas è stato addirittura forzato da Mourinho, che aveva chiesto agli uomini del triangolo centrale di marcare a uomo i diretti avversari, finendo per formare in campo un 4-3-3.
Tre uomini sulla stessa linea nella zona della palla; terzini che esitano a prendere spazio; le uniche linee di passaggio in avanti facilmente schermate dagli avversari. Questo è il Chelsea oggi.
Problema #2: i centrali di difesa
I numeri parlano chiaro: delle 12 reti realizzate in campionato, 4 sono arrivate da calcio piazzato e 2 sono autoreti. Le 6 restanti sono state segnate su iniziative personali, mai come coronamento di un’azione manovrata. Mourinho ha dimostrato di essere consapevole delle difficoltà della sua squadra nel generare occasioni da gol: ha provato ad alzare la linea difensiva per accorciare i reparti tra loro e tenere gli uomini più vicini, per migliorare la circolazione di palla. Ma a questo punto sono venuti fuori i problemi della difesa del Chelsea, in particolare per i due centrali.
Lo Swansea ha scoperto la falla nella difesa del Chelsea e anche Wenger ha provato ad approfittarne, piazzando l’uomo più veloce che aveva in rosa, Theo Walcott, al centro dell’attacco. Walcott prova a battere la linea correndo tra i due centrali, mentre non c’è pressione sul portatore di palla, che può scegliere il tempo per l’assist. I difensori del Chelsea non stringono sull’uomo né scappano all’indietro.
Mourinho non ha in rosa un difensore bravo nella copertura della profondità. D’altra parte, finché la linea difensiva sedeva bassa, con i centrocampisti a meno di venti metri di distanza, non aveva neanche bisogno di quel tipo di giocatore. Due centrali piuttosto statici, come Terry e Cahill, si sono trovati in ambasce nel dover decidere continuamente quando seguire l’uomo in profondità o quando provare a lasciarlo andare in fuorigioco. Hanno finito, così, per concedere parecchie occasioni limpide ai propri avversari.
Per tutta l’estate Mourinho ha chiesto alla dirigenza l’acquisto del difensore inglese John Stones dall’Everton. Long story short: Stones sarebbe stato al Chelsea come Romagnoli sta al Milan. Il difensore inglese non avrebbe risolto da solo i problemi del pacchetto arretrato dei Blues, così come Romagnoli non sta risolvendo quelli dei rossoneri. Però Stones è un giocatore veloce e il ragionamento che Mourinho fa è il seguente: se non ho un difensore capace di leggere il gioco e coprire la profondità, allora ne voglio uno veloce che possa recuperare l’attaccante una volta che questo ha battuto la mia linea.
Questo, ad esempio, è il motivo dell’esclusione di John Terry in favore di Kurt Zouma, che rispetto al vecchio capitano paga certamente in esperienza, ma è un giocatore molto più reattivo. Quello dei difensori veloci è un vecchio precetto della dottrina mourinhana: la rapidità era praticamente l’unico pregio di Ricardo Carvalho, che ha seguito Mou ovunque (tranne all’Inter, dove c'era un difensore dalle caratteristiche simili, come Lucio).
Problema #3: i terzini
C’è un altro giocatore nel pacchetto arretrato che sta vivendo questo avvio di stagione con difficoltà. Ivanovic è un giocatore fondamentale per gli equilibri tattici della squadra di Mourinho, un po’ come lo era Maicon nella sua Inter. Per certi versi, Ivanovic è un giocatore unico nel suo genere: riesce a coniugare la resistenza e l’intraprendenza proprie di un terzino, con la fisicità e il senso della posizione di un centrale, qual era in gioventù. Ed è sempre stato il giocatore dai gol importanti, risolutivi nelle fasi finali delle coppe o nei big match di campionato.
L’avvio di stagione di Branislav è stato al di sotto dei livelli ai quali eravamo abituati, ma questo calo non deve stupire: due anni fa, Ivanovic perdeva 1.25 contrasti a partita, meno dell’anno scorso (1.32) e molto meno di quest’anno (2.87). Peggiorano con lo stesso trend anche gli errori difensivi (+58%) e le chances create in fase offensiva (-61%).
Nelle primissime partite della stagione, Ivanovic ha provato a contribuire alla fase offensiva come al solito: salendo altissimo sulla fascia fin dal principio dell’azione, permetteva così all’ala di entrare nel campo e forniva un’opzione di passaggio in più, soprattutto per il cambio di gioco, ai suoi difensori e ai suoi centrocampisti.
Presto, però, si è reso conto di non avere forza a sufficienza per rientrare nella sua posizione velocemente a fine azione. Con il passare delle partite è rimasto sempre più guardingo e di rado ha superato la metà campo. Mourinho ha provato a surrogare il lavoro compiuto dal serbo sulla fascia destra dall’altra parte, chiedendo a Cesar Azpilicueta di “fare l’Ivanovic”.
Pur dedicandosi al compito con abnegazione, Azpilicueta non è riuscito a ottenere la stessa qualità del compagno, per una serie di motivi: anzitutto lo spagnolo ha una tecnica mediocre ed è un destro naturale, quindi perde sempre un tempo di gioco per sistemarsi il pallone sul piede preferito; inoltre lo spazio sulla fascia sinistra, a volte, è già occupato da Diego Costa, che prende la rincorsa dalla sua zona di predilezione per attaccare le difese a testa bassa.
Ivanovic è stato massacrato dalla stampa per essersi fatto surclassare da Yacine Brahimi nell’ultimo match di Champions League. Ma le prestazioni scadenti di un singolo dipendono anche dal contesto di squadra. E questa considerazione ci porta dritti al quarto problema di Mou.
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Sull’azione del gol del primo vantaggio del Porto, l’aiuto che arriva a Ivanovic da parte di Pedro è nullo.
Problema #4: i nuovi acquisti
L’impatto di Pedro al Chelsea non poteva essere migliore, con il gol all’esordio contro il West Bromwich Albion. Da lì in poi non ha mostrato né altri lampi del suo talento né le giuste letture tattiche. Lo spagnolo spesso è costretto a restare largo e affrontare due avversari, proprio perché le sovrapposizioni di Ivanovic tardano ad arrivare, e i suoi rientri difensivi sono eseguiti con scarsa determinazione.
I contesti di squadra di Barcellona e Chelsea sono quanto di più differente possa esistere nel mondo del calcio: Mourinho è figlio di Bobby Robson, Guardiola di Johan Cruijff. La filosofia che sottende ogni loro scelta (come difendere, come attaccare, come riappropriarsi della palla) è totalmente agli antipodi. Pedro, 11 anni e 20 titoli coi catalani, sta faticando a eseguire il nuovo spartito. Via via che aumenterà la conoscenza reciproca con i nuovi compagni e col nuovo sistema, magari migliorerà la sua incisività nel gioco, ma per ora il contributo dello spagnolo è insufficiente.
Pedro sta comunque facendo meglio di Radamel Falcao, che già non era arrivato al Chelsea sotto i migliori auspici. Il suo impiego a oggi è stato marginale: prima della partita di sabato, nella quale è partito titolare per la prima volta in stagione, sono stati appena 102 i minuti giocati in campionato, con una rete all’attivo. E nella prima partita senza Diego Costa, fermato dalla prova televisiva, il titolare designato è stato Loic Remy.
Falcao sembra non avere più quella forza esplosiva nelle gambe che lo contraddistingueva. Per di più viene servito male dai compagni: il colombiano, rispetto a Costa, che preferisce allargarsi e contestare il pallone di testa a un terzino, resta in posizione centrale. Continuare a essere cercato con lanci lunghi che partono dalla difesa, per lui, che è alto 177 centimetri, non è il massimo.
Le difficoltà di Ivanovic non hanno comunque indotto a concedere un minutaggio maggiore al ghanese Baba. Il terzino sinistro che Mourinho aveva chiesto per tutta l’estate, e che è stato strapagato per essere liberato dai tedeschi dell’Augsburg, oltre alla gara in Coppa di Lega contro il Walsall ha giocato solo i 90 minuti contro il Maccabi Tel Aviv. Lo ha fatto anche con buona qualità: 54 palloni giocati col 91% di precisione, 4 tackle riusciti su 5, 3 dribbling e anche 1 tiro nello specchio.
Peraltro, l’impiego di Baba ha permesso ad Azpilicueta di giocare sull’agognata fascia destra, come lo spagnolo chiedeva da anni. Nonostante tutto, la carta Baba non è stata ancora proposta in Premier League. L’intento di Mourinho è chiaro e condivisibile: gain confidence while playing, la fiducia in sé si conquista giocando. E Ivanovic sembra godere presso Mou un credito di riconoscenza persino superiore a quello di Terry. Quindi per ora resta al suo posto.
Alla deriva?
Il tempo a disposizione di Mourinho è scaduto. Le aree di miglioramento della sua squadra sono tante, forse troppe. Mourinho sembra aver perso il timone per la prima volta in carriera e non è mai sembrato così confusionario nelle sue scelte. Non lo è stato neanche quando sentiva di avere i fucili puntati a Madrid o quando mostrava i polsi ammanettati a San Siro, e questo dà una misura della irreversibilità della situazione.
Il rilancio del Chelsea passa da Ivanovic e, soprattutto, da Hazard. I numeri del serbo erano in declino, seppur leggero, già dalla scorsa stagione; ora stanno precipitando. Pur riconoscendogli una centralità nel progetto tattico del Chelsea, vale ancora la pena aspettarlo? Quella di Hazard è una crisi di maturità connaturata nel suo percorso di crescita. Lo scorso anno le sue prestazioni sono salite a un livello irraggiungibile per tutti i calciatori in Premier League. Ora vede davanti a sé il prossimo livello, quello degli Infallibili, quello di Messi e Cristiano Ronaldo, e forse il passo che deve compiere gli sembra più lungo delle sue gambe. Purtroppo per Mourinho, pare che solo se Hazard dovesse sbloccare nuove risorse mentali e tecniche per compiere il salto che gli si prospetta, il suo Chelsea avrà almeno una chance di rilanciarsi in questa stagione.