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La sera di Sassuolo-Milan 4-3 (stagione 2013/14) il grande pubblico scopre Domenico Berardi. Quattro gol in una partita, al Milan, non li aveva mai fatti nessuno e a dare maggior valore all’impresa c’è l’età: Berardi, quando segna quei quattro gol, ha 19 anni 5 mesi e 19 giorni, un record di precocità battuto solo da Silvio Piola in Serie A.
Stava per ripetersi nell’ultima giornata di questo campionato: non ha segnato quattro gol, ma la sua tripletta è stata comunque decisiva per battere di nuovo il Milan, che in due trasferte al Mapei Stadium ha sempre perso, subendo gol solo da Mimmo.
Non male come biglietto da visita.
Per Berardi quella che sta per concludersi è la terza stagione da professionista. Dopo i quattro gol al Milan la sua storia è stata raccontata da tutti i mezzi di informazione. A 15 anni va a trovare il fratello, che studia a Modena, giocano una partita a calcetto e uno dei ragazzi rimane talmente impressionato da presentarlo a Luciano Carlino, assistente delle giovanili del Sassuolo. Viene subito tesserato, brucia le tappe e a 18 anni è titolare in Serie B con i neroverdi, diventando uno dei protagonisti della prima, storica, promozione in Serie A del piccolo club emiliano.
Del resto della sua vita si sa poco, non ha profili social e tiene alla larga i giornalisti: quella che credo sia la sua unica intervista l’ha concessa al canale ufficiale del Sassuolo, nella quale dice che il gol che ricorda con più piacere è «il terzo al Milan, quello al volo di destro» e ammette che «è difficile resistere alle provocazioni, devo cercare di non reagire, altrimenti ne pago le conseguenze». Eusebio Di Francesco, l’allenatore che da subito ha creduto in lui, dice che il suo pupillo è «sincero, ma permaloso, e soffre le novità improvvise».
L’origine dei mali
Berardi comincia a giocare sul serio a calcio per caso, quando è già adolescente e il suo talento è ancora puramente istintivo. Forse è proprio nell’anomalia del suo percorso che va ricercata l’origine di alcuni suoi comportamenti. Che non abbia un buon rapporto con arbitri e avversari lo dimostrano le 15 giornate saltate per squalifica in due anni di Serie A. E non si può dimenticare neanche la sospensione di nove mesi dalla Nazionale, per non aver risposto a una convocazione dell’Under-19.
Berardi, insomma, ha un brutto carattere, o gestisce male la pressione, e questo ha indubbiamente frenato il suo sviluppo, ma se non sarà mai un leader caratteriale, un leader tecnico lo è già ora.
La giocata che preferisco è il lancio a 1:37.
The next big thing del calcio italiano?
«Conosco bene Domenico e sono un suo estimatore datato. […] È un giocatore di grandissimo talento, un calciatore moderno che gioca con e per la squadra a tutto campo e tempo. La vivacità, le intuizioni, il temperamento, la forza fisica unita a una buona tecnica fanno parte del suo bagaglio. È un giocatore vero che conosce il gioco e lo interpreta in modo totale».
A parlare è Arrigo Sacchi, che da coordinatore tecnico delle giovanili azzurre non aveva ovviamente preso bene l'assenza di Berardi a quel raduno dell’Under-19, nel 2013. Per questo le sue parole sono particolarmente significative.
Berardi, dice Sacchi, conosce il gioco e lo interpreta in modo totale. Non sembra avere i difetti, naturali, di tanti pari età con un talento simile o superiore al suo: non sparisce dalla partita, non cerca mai la giocata fine a sé stessa, è aggressivo in fase di non possesso. In Serie A è l’attaccante con il maggior numero di tackle ed è primo anche per numero di anticipi.
La sensibilità del piede sinistro è da grande giocatore, ma calcia bene anche col destro. È a suo agio in un sistema verticale e diretto, è veloce e pericoloso in campo aperto, ma per tocco di palla e visione di gioco si troverebbe bene anche in un sistema fondato sul possesso.
Soprattutto, vede benissimo la porta: da quando è professionista è sempre andato in doppia cifra, ha già segnato 30 gol in Serie A, un traguardo notevole per un ragazzo di 20 anni.
È vero che batte punizioni e rigori, ma ha dimostrato di avere doti da finalizzatore innate. Sa leggere l’azione e si muove in maniera intelligente, facendosi trovare al posto giusto nel momento giusto. È difficile che segni per iniziativa personale, non è un dribblomane né ha la rapidità di esecuzione di Robben quando si accentra da destra. In quasi tutti i suoi gol arriva in corsa sulla palla, a dimostrazione della capacità di muoversi con intelligenza in base allo sviluppo dell’azione.
Il primo Berardi, tra la Serie B 2012/13 e i primi gol in Serie A.
Con la tripletta segnata al Milan ha avvicinato lo score della stagione passata (16 gol, attualmente è a 14), ma se nel suo primo campionato in Serie A si era segnalato soprattutto per il numero di reti, quest’anno, pur con una media gol più bassa (ha giocato 30 partite, lo scorso anno si è fermato a 29), ha innalzato ulteriormente il suo gioco.
Giocare bene senza palla
«Quest’anno sono cambiate molte cose», dice lui, «sono migliorato, magari gioco più per la squadra che per me stesso, come era l’anno scorso».
Eppure, prima dell’ultima prestazione monstre contro il Milan la percezione generale era che stesse giocando peggio. Ma non è così. Nello scorso campionato aveva concentrato ben 10 dei 16 gol in solo 3 partite (due triplette e il poker al Milan); quest’anno, oltre distribuire in maniera più omogenea i suoi gol, ha elevato il livello di partecipazione nella manovra del Sassuolo, diventando un elemento fondamentale nel suo sviluppo.
È dalla sua parte che il Sassuolo costruisce prevalentemente l’azione, affidandosi alla sua bravura nel leggere il gioco e nel fornire sempre una linea di passaggio utile ai compagni. Può ricevere anche spalle alla porta e sa difendere molto bene il pallone, non a caso è l’attaccante che subisce più falli in Serie A (terzo giocatore in assoluto dopo Hetemaj e Vázquez, che considero come trequartista).
L’intelligenza nei movimenti senza palla ne fa un giocatore ben sopra la media. Eusebio Di Francesco ha ripetuto più volte che Berardi è nato per giocare a destra nel tridente offensivo del 4-3-3 e in effetti quella sembra la sua posizione naturale. Da lì può ricevere con maggiore libertà oltre all’ovvio vantaggio, essendo mancino, di avere una visuale migliore del campo e della porta accentrandosi.
Sa smarcarsi benissimo alle spalle del centrocampo avversario e a testimonianza della sua crescita e della maggiore partecipazione nel gioco del Sassuolo, rispetto allo scorso campionato è diminuito il numero di tiri e aumentato invece quello dei passaggi. Da terminale, insomma, si sta trasformando nel giocatore che detta i tempi della manovra nella metà campo offensiva e fornisce il passaggio vincente.
La trasformazione, però, non è ancora completa: Berardi indulge ancora troppo nell’iniziativa personale, resta infatti il giocatore che tira di più nel Sassuolo e uno di quelli che in Serie A conclude di più da fuori area.
Il futuro con calma
Il livello di incidenza di Berardi nel Sassuolo è simile a quello dei grandi giocatori nello loro (grandi) squadre. È interessante seguire la sua evoluzione e vedere se un giorno verrà spostato al centro, per giocare da trequartista o centravanti, e aumentare ancora l'influenza sul gioco di squadra.
Ma la vera sfida della sua carriera sarà riuscire a mantenere il tipo di leadership che ha nel Sassuolo anche in squadre dalle maggiori ambizioni. È in comproprietà con la Juventus, ma probabilmente non è ancora pronto per il grande salto. In un ambiente protetto e con un allenatore che si fida ciecamente di lui, Berardi ha dimostrato di essere uno degli Under-21 più promettenti del panorama europeo. Non è detto che sia già pronto per fare la differenza in un contesto diverso, in cui debba sopportare maggiori pressioni. Anche la difficoltà a imporsi nella Nazionale Under-21 è indicativa in questo senso.
Forse un altro anno al Sassuolo o comunque in una squadra che lo faccia crescere con calma sarebbe la soluzione ideale per lui. L’Italia ha tra le mani un potenziale fenomeno, sarebbe sciocco bruciarlo solo perché non si è avuta la pazienza di aspettarlo.