Dopo una scelta professionale e di vita che sembrava un passo in avanti nella sua carriera (a suo dire, giocare in Italia era sempre stato il suo sogno) e al tempo stesso un avvicinamento alla fine, difficilmente Dzeko avrebbe mai immaginato, arrivando a Roma, di tornare indietro ai tempi della sua adolescenza: al periodo in cui non sapeva chi sarebbe diventato, quando era solo un diciassettenne bosniaco che giocava nello Željezničar di Sarajevo e, per via del suo sviluppo fisico era ancora un po’ sgraziato, segnava poco e niente. Non giocava centravanti ma da trequartista ed era soprannominato “il lampione”.
Accolto come un messia all'aeroporto di Fiumicino ad agosto del 2015, Dzeko avrebbe presto affrontato il classico calvario del romanismo, per cui già erano passati diversi profeti (come Rudi Völler): da salvatore a capro espiatorio, in gran parte a causa dell’incredibile involuzione di gioco della Roma di Garcia che lo costringeva a trovare spazi fuori dall’area per aiutare la squadra (dati per 90 minuti e in confronto ai 18 mesi successivi: maggior numero di tocchi del pallone, maggior numero di assist, maggior numero di tackle, minor numero di tiri totali).
Dopo pochi mesi Dzeko era caduto in una spirale di negatività devastante, fino a diventare, con Spalletti, una riserva, alle spalle del tridente leggero Perotti-El Shaarawy-Salah. Dzeko risultava quasi comico in alcuni frangenti, soprattutto quelli dei suoi incredibili errori di finalizzazione: e tra meme, soprannomi (Edin Cieco) e insulti, il bosniaco era tornato di nuovo il lampione sgraziato. La sua rinascita, però, ci ricorda l’importanza del contesto in cui i giocatori si esprimono. Le sue parole ci fanno capire che tutte quelle voci, tutti quegli insulti e quelle prese in giro, gli avevano tolto fiducia. L’influenza dell’ambiente nel calcio conta eccome.
Poi Dzeko si è ripreso, ha giocato una stagione eccezionale ed è finito al centro del mercato invernale 2017-18 come soluzione deputata a risolvere i problemi offensivi del Chelsea di Antonio Conte. Quello che sta per tornare in Premier League è un giocatore che ha ormai da tempo sorpassato l’apice della sua carriera per entrare nella fase di inevitabile declino, ma Dzeko è ancora fondamentale nell’economia tattica della Roma, con un profilo molto complicato da rintracciare sul mercato. Figuriamoci a gennaio.
All-round striker
«Come attaccante, Edin si è imposto di non voler solo
aspettare per fare gol, ma di giocare 95 minuti di ogni partita
lavorando per la squadra e facendo i movimenti giusti».
Manuel Pellegrini, che lo ha allenato al Manchester City.
Nella passata stagione, Dzeko ha vinto il titolo di capocannoniere di Serie A ed Europa League, segnando 39 gol in 51 partite (un gol ogni 103 minuti), a cui vanno aggiunti 15 assist. È stato selezionato nella lista dei 30 giocatori per il Pallone d’Oro 2017: questo è il frutto della resurrezione del bosniaco. Eppure i numeri non rendono l’idea del tipo di attaccante che è diventato; così come la sua imponenza fisica ne ha sempre un po’ deviato le valutazioni. Dzeko è un centravanti molto completo, che unisce in un solo giocatore ben tre profili diversi.
Dzeko è sicuramente un buon finalizzatore, come dimostrano i suoi quasi 300 gol in giro per il mondo, i titoli di capocannoniere collezionati, i record con la Nazionale del suo paese. Ma non è un grande realizzatore nel vero senso del termine: non ha il killer instinct tipico dei predatori d’area e gli expected goals ci confermano che Dzeko è un under-performer, cioè è appena sotto media in fase realizzativa. Per capirci, Icardi è il classico over-performer (alla sosta, 14 gol - rigori esclusi - con un valore di expected goals pari 9,55).
Non è solo una questione di cifre: i movimenti di Dzeko non sono quelli del giocatore che vive per il gol, ma più dell’attaccante razionale - e in area, invece, certi giocatori devono sentire solo l’istinto. In molte occasioni i cross della Roma finiscono nel nulla, perché Dzeko si è sistemato sul secondo palo in attesa di un errore, invece di attaccare il primo provando a bruciare il difensore. Insomma, non è solo una sensazione dei tifosi romanisti: Dzeko ha davvero bisogno di molte occasioni per segnare, e a volte è persino frustrante.
Ma sta di fatto che, appunto, quelle occasioni se le crea: come sottolineato da Flavio Fusi, il bosniaco «ha dimostrato di essere capace di generare un volume che meno del 5% degli attaccanti dei cinque maggiori campionati europei è in grado di sostenere». La sua razionalità nei movimenti, la sua capacità di associarsi molto bene con i compagni, senza rimanere ad aspettare, lo rendono comunque una delle migliori punte in Europa: si fa forza delle sue debolezze.
Il vero valore aggiunto di Dzeko però è quella di facilitatore di gioco: la sua capacità di abbassarsi per farsi trovare tra le linee, e poi servire un compagno in profondità, è stato uno dei segreti della grande performance della sua accoppiata con Salah. La sua visione di gioco è ancora più accentuata in momenti di difficoltà nella creazione di gioco, come quello che sta vivendo la Roma di Di Francesco: anche a causa dei movimenti interni-esterni delle mezzali, è spesso Dzeko a fornire un riferimento oltre la linea di pressione avversaria, per poi provare ad associarsi sulla fascia sinistra o provare il lancio a servire il taglio dell’ala destra.
Basti pensare che, alla sosta, Edin Dzeko era il secondo miglior romanista per passaggi chiave totali (29, dietro solo al regista occulto Kolarov), e il miglior centravanti (se escludiamo Mertens, che è un adattato al ruolo; e dietro a Kalinic considerando la media per 90 minuti): e meglio persino di centrocampisti come Borja Valero e Jorginho (considerando la media per 90 minuti).
Il terzo profilo che Dzeko può impersonare è il target striker: il centravanti fisico che fa da punto di riferimento per il gioco diretto, spesso aereo, della propria squadra. Il Chelsea lo vuole acquistare, a quanto pare, soprattutto per questo motivo: ma sarebbe probabilmente un errore. Dzeko è ovviamente un ottimo riferimento offensivo per la sua capacità di addomesticare lanci lunghi e far salire la squadra. Garantisce sempre la possibilità di poter saltare la linea di pressione avversaria lanciando lungo (opzione che Conte può essere ottimale contro sofisticati sistemi di pressione tipo quelli di City, Liverpool e Tottenham), ed ha la seconda miglior percentuale di duelli aerei vinti tra gli attaccanti (59%, dietro a Mandzukic) in Serie A. Dzeko però non è un attaccante che sa usare il fisico come i classici centravanti forti fisicamente: non ha l’abilità quasi judo di Luca Toni di girare il peso dell’avversario a proprio favore, usandolo come perno; e neppure la capacità finalizzativa di Icardi e Pavoletti, per citare due specialisti. La sua capacità di segnare di testa è molto sopravvalutata, rispetto alla reale incidenza (solo 2 gol in questo campionato, e appena 2 su 29 in quella passata)
La Roma e i suoi tifosi dovrebbero ormai sapere quello che perdono, mentre Conte dovrebbe sapere quello che trova: Dzeko è questo, eccezionale in nulla, ma fortissimo in molte situazioni diverse.
Come rimpiazzarlo?
Come si sostituisce un giocatore del genere, addirittura a stagione in corso? Qui la valutazione deve basarsi anche sulle idee dell’allenatore della Roma, e su come ha utilizzato Dzeko finora. Nella sua esperienza al Sassuolo (considerando solo la Serie A), Di Francesco ha sempre preferito attaccanti molto bravi nel creare gli spazi: sia attaccando la profondità, per allungare gli avversari e creare spazi tra le linee; sia cercando spesso le sponde come metodo di risalita del campo. Anche per questo, i suoi migliori realizzatori in campionato sono sempre stati i giocatori impiegati come esterni offensivi (ad eccezione del Defrel centravanti della passata stagione): in particolare, Berardi.
Il centravanti non era quindi un manovratore, ma più un riferimento verticale da raggiungere rapidamente, per poi attivare i tagli delle ali, e così i centravanti del Sassuolo registravano un numero medio di passaggi molto bassi (per 90): Defrel nella stagione passata 21.6, Falcinelli 16.4 due stagioni fa, Zaza 17.6 e 18.8 rispettivamente tre e quattro stagioni fa. In questa prima metà di stagione, Dzeko è a quota 20.7, quindi già al massimo del coinvolgimento nel sistema di Di Francesco. Il problema è invece che la qualità di quei passaggi sta diminuendo: 13.5 riusciti per 90, il suo peggior rendimento da quando è alla Roma, anche perché a Dzeko vengono chieste più spesso soluzioni complesse. E la necessità dei giallorossi di usarlo nella costruzione della manovra è evidente anche dalla riduzione dei tocchi nell’area avversaria (in media, 1 in meno per 90 minuti) e dal numero di tiri nello specchio, che si avvicina pericolosamente a quella della sua prima terribile stagione romanista.
Probabilmente Di Francesco vuole un attaccante più mobile in area, e magari più aggressivo in fase difensiva: un profilo molto particolare e difficile da rintracciare nella fase di mercato invernale.
Tra i possibili sostituti, quello più interessante è sicuramente Michy Batshuayi: attaccante molto mobile, forte fisicamente ma mediocre a livello aereo, molto veloce in progressione e nell’attaccare la profondità. Nonostante la grande tecnica e la capacità di associarsi con i compagni, preferisce finalizzare il gioco dei compagni o addirittura crearsi da solo le occasioni: non ha la visione di gioco per sbloccare la manovra sulla trequarti. Può aiutare, e molto, la squadra in fase di pressione alta, vista la sua aggressività, affinata alla scuola di Bielsa al Marsiglia. Un attaccante ancora irrequieto, che in una stagione e mezza al Chelsea non è riuscito a convincere Antonio Conte: uno dei motivi è la sua difficoltà nel vincere duelli fisici in Premier League, e per la sua scarsa abilità nei colpi di testa (e il Chelsea è una delle squadre che crossa di più in Premier).
Più che provare a sostituire Dzeko con un altro centravanti la Roma potrebbe invece orientarsi sull’acquisto di un’ala destra, il vero vulnus della campagna acquisti estiva: l’illusione di poter schierare Schick continuativamente in quel ruolo non ha ancora convinto, anche per la difficoltà dell’allenatore di immaginare un contesto tattico diverso (ad esempio un tridente con trequartista e due punte, con meno ampiezza ma più capacità di creare superiorità centrale). Per questo continua a girare il nome di Ziyech, ventiquattrenne mancino dell’Ajax, molto abile nel dribbling e nel farsi trovare tra le linee: un trequartista che sa partire dalla fascia, sostanzialmente come vorrebbe Di Francesco.
Il gioco della Roma è infatti terribilmente sbilanciato sulla sinistra, dove Kolarov e Perotti creano continuamente superiorità, mentre sulla destra El Shaarawy riesce almeno a garantire un discreto livello di pericolosità offensiva, e solo quello. Per sostituire Dzeko, quindi, la Roma potrebbe pensare alla soluzione interna: Defrel, che era stato acquistato proprio come vice del bosniaco, e Schick. In questo gol ai tempi del Sassuolo Defrel si abbassa due volte, coprendo bene anche di fisico, per giocare a muro con il giocatore del Sassuolo fronte alla porta; poi attacca la profondità, punta il difensore centrale e tira appena entrato in area. Per ora, mai visto così con la maglia giallorossa.
Nel primo caso, la Roma aumenterebbe il dinamismo e l’aggressività del reparto offensivo, perdendo quasi per intero però la capacità associativa sulla trequarti: e probabilmente perdendo anche una gran parte della capacità di creare occasioni, che dovrebbero necessariamente essere sostituite da una maggior importanza realizzativa delle ali. Un rischio molto alto, considerando anche i problemi fisici di Defrel, che sinora ha giocato appena 489 minuti in stagione, senza gol.
L’alternativa è l’utilizzo di Schick da centravanti, ruolo che sicuramente gli si addice più di quello di ala, ma per cui potrebbe ancora non essere pronto: in particolare, Schick non garantisce l’attacco continuo alla profondità. Il ceco preferisce giocare in zona palla, o partire da zone in cui è più libero di ricevere, piuttosto che rappresentare il riferimento diretto verticale della squadra e allungare la difesa avversaria. Sicuramente sarà la posizione verso cui evolverà, ma non è ancora quella vera e propria: nella Samp ha svolto al meglio i compiti che possiamo definire da seconda punta, e sulla sua capacità realizzativa si può ancora dire poco, nonostante gli 11 gol in Serie A della scorsa stagione (in appena 1520 minuti). In aggiunta, Di Francesco ha lasciato intuire che il ceco non sia ancora pronto a livello psicologico per assumersi una responsabilità così grande.
Insomma, Schick centravanti titolare può rappresentare il futuro, e questa seconda parte di campionato una sorta di apprendistato in cui imparare a gestire meglio il corpo ed eseguire i movimenti alla perfezione, oltre ad imparare a gestire responsabilità e attenzione: e d’altronde si cresce solo giocando.
A 0:10 l’unico gol di Schick nella Roma, da seconda punta: tre difensori del Torino circondano Dzeko, e il ceco è praticamente libero di ricevere e tirare dalla sua posizione preferita, quella di centrodestra.
In questo caso, però, la Roma dovrebbe chiarirsi meglio i suoi obiettivi stagionali: può una squadra agli ottavi di Champions, con possibilità di andare ai quarti, e in lotta per un posto Champions in campionato, mettersi a sperimentare nella seconda metà di stagione? Ovviamente la cessione di Dzeko, 32 anni a marzo e ormai con il meglio alle spalle, per circa 30 milioni rappresenterebbe un grande colpo colpo a livello finanziario (insieme a quello di Emerson). Ma può la parte finanziaria arrivare a mangiarsi tutto, fino a compromettere quella sportiva addirittura a stagione in corso? Tutte le squadre di calcio hanno bisogno di finanziarsi con il player trading, ad eccezione di pochi giganti, ma è difficile comprendere un progetto sportivo che, dopo aver raggiunto un significativo secondo posto, potrebbe vendere ben 4 titolari e 1 futuro titolare (Rüdiger, Emerson, Salah, Dzeko, Paredes), tra estate e inverno, quindi in 6 mesi. L’unico ad essere stato rimpiazzato senza rimpianti è Emerson. Oltretutto, Dzeko a parte, si tratta di giocatori nati nel 92-93-94, che potrebbero cioè ancora sviluppare il loro potenziale, e che dovrebbero quindi far parte di un progetto tecnico di medio-lungo raggio. Vendere uno-due pezzi forti ad ogni sessione estiva, arrivati ormai all’apice del loro potenziale: questo sarebbe normale per una squadra come la Roma, non smontare mezza squadra in pochi mesi. Anche perché il calcio è un gioco collettivo e cooperativo, in cui uno dei più importanti elementi immateriali è l’affiatamento: la capacità di giocare insieme, conoscendo già attitudini e caratteristiche dei compagni.
Più in generale, non si capisce bene quale sia il progetto societario della Roma: il piano della proprietà americana prevedeva la trasformazione in una sorta di media and entertainment company, ma adesso sembra più una trading company, il cui unico vero obiettivo è realizzare plusvalenze, in qualunque momento, senza altro tipo di valutazione. Eppure proprio Monchi ha già dichiarato che la sua priorità gestionale “è vincere titoli”, perché “non si è mai visto applaudire un bilancio in uno stadio”: Il Ds della Roma prima della partita contro l’Inter ha messo in chiaro che sta cercando di rafforzare la squadra. Con il ricavato delle due cessioni, probabilmente la Roma potrebbe coprire dei buchi in rosa, oltre a quello dell’ala destra: si parla di Darmian perché è in grado di giocare sia da terzino sinistro (dove mancherebbe un sostituto di Kolarov), che destro, dove l’infortunio di Karsdorp ha messo di nuovo in mostra l’inadeguatezza di Bruno Peres e Florenzi (che invece sarebbe più utile da mezzala, o ala). Uno dei nomi più concreti sembrerebbe quello di Aleix Vidal del Barcellona: esterno di fascia che Monchi conosce benissimo, per averlo acquistato quando era al Siviglia (per 3 milioni, e rivenduto dopo solo una stagione ai Blaugrana per 17 milioni). Il catalano è una sorta di Florenzi della Liga: arrivato al grande calcio con l’Almeria, giocando ala destra e ancora più spesso ala sinistra, a piede invertito, nel Siviglia Emery ha iniziato a usarlo anche come terzino, ma saltuariamente. In particolare, il meccanismo tattico prevedeva l’accentramento della vera ala destra, Reyes, per aprire lo spazio agli inserimenti di Vidal. In due stagioni e mezzo al Barça ha giocato poco: prima perché non tesserabile causa blocco del mercato, poi anche per un infortunio, ma soprattutto per non aver convinto come erede di Dani Alves. Il saggio Valverde in questa prima metà di stagione lo ha usato quasi solo da ala destra, perché non si fida troppo delle sue letture difensive. Vidal è il classico esterno polivalente: da ala ha un buon cambio di passo e capacità di arrivare sul fondo; da terzino ha un’ottima progressione, capacità di coprire tutta la fascia e di andare in verticale. Ma nel sistema difensivo del Siviglia c’era il doble pivote, con un centrocampista che gli copriva sempre le spalle: nella Roma non ci sarebbe. Il suo acquisto permetterebbe ovviamente di avere un’altra opzione in due ruoli, ma probabilmente non da titolare: Di Francesco vuole un’ala che si accentri nel mezzo spazio, e Vidal invece garantisce ampiezza e profondità; i terzini della Roma, Florenzi e Bruno Peres, sono già troppo offensivi, e il problema è avere uno specialista del ruolo.
Magari potrebbe esserci qualche sorpresa anche a centrocampo, dove tra mezzali e registi in pochi sono stati convincenti: tanto che adesso Strootman è costretto al ruolo di centrocampista centrale, e sembra addirittura interpretarlo meglio dei due specialisti (al momento infortunati).
Non si può non avere fiducia in un professionista che nel corso di 17 anni al Siviglia ha indovinato gran parte delle scelte (cosa rarissima nel calcio), trasformando un club di Segunda in un piccolo miracolo europeo. Monchi merita credito, ma nel calcio i tempi sono sempre più corti: decidendo di riattivare la rivoluzione permanente anche a gennaio, si è messo nella situazione di Houdini, che si faceva calare a testa in giù, legato, in una cabina d’acqua chiusa a chiave. La speranza per i tifosi della Roma è che anche Monchi, come l’illusionista americano, conosca un trucco per uscire vivo, e in trionfo, da una situazione apparentemente così difficile.