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Quando Roger Federer sembrava finito
23 gen 2018
A un anno di distanza abbiamo ripercorso la storia orale degli Australian Open 2017.
(articolo)
22 min
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Roger Federer indossa un doppio petto rigido, con sotto una camicia a quadri, cammina impacciato, ha un’aria stranamente rozza per i suoi standard. Nadal vicino a lui lo ringrazia in maniera commossa: «Non puoi neanche immaginare quanto sia speciale averti oggi qui con me e la mia famiglia». È il 19 ottobre del 2016 e Federer è l’ospite speciale dell’inaugurazione dell’accademia di Rafa Nadal a Manacor. I due vecchi rivali di sempre si ritrovavano uno di fianco all’altro, distesi dopo aver deposto le armi. Si scambiano sorrisi e battute, avrebbero dovuto giocare una piccola partita d’esibizione, ma le rispettive condizioni fisiche non gli permettono nemmeno quello.

Allora sembrano accontentarsi della celebrazione reciproca: «Guardandoci indietro mi tornano in mente tutti i grandi momenti che abbiamo condiviso nella nostra carriera» dice Nadal. I loro discorsi guardano al passato, e quando si affacciano al futuro si tingono di una vena più malinconica: «Ti auguro buona salute a lungo perché ora so cosa significa. Sto attraversando il mio primo grande infortunio. Devo dire che è quasi facile per me, trascorro molto tempo a casa con la mia famiglia, mi alleno con tranquillità ma non so come sarà quando tornerò in campo. E tu sei un’ispirazione, la facilità con cui sei rientrato dagli infortuni, o almeno l’hai fatta sembrare una cosa facile, quando sei tornato top 10, top 5 e numero 1 ed è un qualcosa che spero di vivere quando tornerò nel tour a gennaio» dice Federer, che non sembra crederci neanche lui.

Il 2016 era stato l’anno peggiore per lo svizzero: dopo gli Australian Open aveva annunciato di aver subito un intervento al menisco del ginocchio destro. È la prima operazione della sua carriera. Poi inizia il calvario con la schiena, che lo porterà a rinunciare al Roland Garros. È la prima rinuncia dopo 65 partecipazioni consecutive ad un grande slam. A Wimbledon perde da Milos Raonic ma la delusione non è niente a confronto della rinuncia alle Olimpiadi, il suo vero obiettivo stagionale. Avrebbe dovuto gareggiato in singolare, doppio e nel romantico doppio misto con Martina Hingis. Il 26 luglio ha annunciato il ritiro per poter recuperare dai problemi al ginocchio e alla schiena.

Un tweet tristissimo.

Quando si saltano così tanti tornei a 35 anni non ci sono spazi per molte interpretazioni, anche quando si tratta di un giocatore a cui siamo abituati a concedere un’idea di immortalità, il cui glorioso crepuscolo sembra poter essere eterno. Per questo durante l’autunno le sue interviste hanno assunto un tono metafisico: si parla di tempo che passa, logoramento del corpo, ritiro.

“Non ha mai avuto momenti di depressione?”; “Qualcuno pensa che il 2017 sarà il suo ultimo urrà”; “Il ritorno non le fa paura?”; “Riesce a prefigurarsi il 2018?”; “Come accetterebbe l’idea del ritiro?”; “sente molto lontano la crisi di mezza età?”; “in questo periodo è diventato più consapevole del fatto di dover invecchiare?”. Sono solo alcune delle domande di un’intervista a Repubblica, che sembra il capitolo di un romanzo di Philip Roth. Federer riesce a schivare tutte le oscurità, con quello stoicismo impassibile che ci fa davvero dubitare del suo lato umano. Solo quando gli viene chiesto esplicitamente del ritiro il suo tono si fa meno neutrale, scacciando l’ipotesi dall’orizzonte del possibile: «Sarebbe una situazione completamente diversa. Sarebbe qualcosa di definitivo, qualcosa di poco allegro... Spero che la decisione dipenda da me».

Come se la cosa più importante fosse mantenere il controllo su un momento così delicato. Come altri campioni a fine impero, Federer fatica a scendere a patti con il logoramento del proprio corpo, e in generale con la finitezza delle cose.

Fa impressione ricordarlo un anno più tardi, ma in quei mesi in pochi avevano dubbi che il momento di Federer ad alti livelli era praticamente finito. Paul Annacone, il coach che lo aveva aiutato a risorgere già a Wimbledon del 2012, al New York Times non vede possibili nuove rinascite e descrive il momento come la fine di un’era: «Per molto tempo ci siamo chiesti quando sarebbe finita quest’era. Forse questo è l’inizio della fine. Federer e Rafa sono stati su un piedistallo di grandezza per così tanto tempo che ora è scioccante immaginare il tennis senza di loro».

Nel 2016 due slam erano stati vinti da Djokovic, uno da Wawrinka e uno da Andy Murray, che aveva messo insieme complessivamente 13 finali e 9 titoli. Un po’ a sorpresa, lo scozzese era riuscito a scalzare Djokovic alla prima posizione del circuito. Nadal, pur tornato competitivo, si stava pian piano abituando a un ruolo secondario nel circuito. A fine 2016, per la prima volta da quando esistono, Federer non si è qualificato per le Finals ATP.

Le sensazioni del campo

Quando si sono presentati alla scorsa edizione degli Australian Open, Nadal e Federer avrebbero dovuto accontentarsi di recitare il ruolo delle vecchie glorie decadute che riempiono gli stadi. Erano rispettivamente numero 9 e numero 17 del seed. Secondo John McEnroe: «Passerò per il solito antipatico, ma a me pare difficile che Roger a quasi 36 anni vinca sette match di fila tre set su cinque…». Poi si spinge oltre, a una domanda particolarmente antipatica (“Quella di Federer sembra sempre l’ultima tournée”) risponde: «La vecchiaia è un fattore ineluttabile: alla sua età, credo che la priorità sia rimanere in salute. Ai quarti ce lo vedo ancora, dopo diventa tutto difficile. È sull’erba che avrà le chance migliori. Ma vincere Wimbledon, mah, io non ci scommetto».

Eppure Federer prima degli Australian Open aveva ripreso fiducia, proiettandosi nel futuro contro ogni scetticismo. Le sue dichiarazioni sembrano stonare in maniera un po’ patetica rispetto al contesto generale: «Non credo che questo sarà il mio ultimo viaggio in Australia da atleta, anche se qualcuno pensa il contrario. Sono uno che pensa in positivo e dopo che mi sono preso questi sei mesi di stop spero di poter giocare per altri due o tre anni, e non per sei mesi. Il mio approccio mentale al tennis giocato è a lunga scadenza». Era tornato in campo nella Hopman Cup, e aveva descritto la sua vittoria contro Evans con toni estasiati: «Voglio viverlo ancora. Ero un po’ triste quando è finito, perché è stato così bello. Ero emozionato. Quando sono entrato in campo è stato come “O mio dio, questo è meglio di come avevo pensato che fosse”».

Al primo turno ha sconfitto Jurgen Melzer in quattro set, in una partita di saliscendi che fa dire a tutti “Il vero Federer non è questo”. Dopo il secondo turno, con Noah Rubin, Federer è uscito dolorante e la sua condizione fisica ha ricominciato a riempirsi di ombre. Un articolo del Guardian, uscito il giorno dopo la partita, si apre così: «Sarebbe prematuro e irrispettoso immaginare un altro ritiro forzato imminente di Roger Federer, ma guardando il suo linguaggio del corpo durante la vittoria contro il numero 200 del mondo Noah Rubin, è legittimo dire che le prospettive che il quattro volte campione raggiunga la seconda settimana degli Australian Open non sono buone». Del resto lo stesso Federer sembra preoccupato: «Semplicemente non mi riusciva di fare quello che stavo provando. Spero di poter giocare meglio».

Il sorteggio lo ha messo contro Tomas Berdych nel turno dopo. Federer aveva perso da Berdich agli US Open del 2012 ed era probabilmente la prima partita in grado di mettere in discussione seriamente la sua competitività. «Lo so, devo alzare il mio livello di tennis» ammette Federer, che però gioca una partita brillante e vince in tre set, un liscio 6-2, 6-4, 6-4. La sua prestazione offensiva è stata impressionante: Federer vince il 95% dei punti sulla prima palla e mette insieme 40 vincenti.

Dominare in maniera indiscutibile un top-10 non era scontato e i toni attorno a lui iniziano a cambiare. Il Telegraph definisce la partita “una masterclass di Federer” e scrive che «Federer ha vivisezionato Berdych come uno studente di biologia fa con un topo».

A 0:33 la risposta in anticipo di rovescio profondissima, poi l’attacco improvviso e la finalizzazione a rete. Per tutto il torneo Federer risponderà benissimo da entrambi i lati, una novità.

Nonostante la fiducia mostrata, lo stesso Federer si dice sorpreso da sé stesso: «La cosa bella di stasera è stata che è stato inaspettato, per me e per un sacco di gente. Mi aspettavo di finire dentro una battaglia da 5 ore, e invece è finito tutto in un’ora e mezza. È una grande sensazione».

Berdych si prostra al Maestro come se fosse letteralmente su un altro piano, e non avesse quindi timore di sminuirsi: «Sarebbe stato meglio starmene sugli spalti a guardare lo spettacolo, più che a subirlo sul campo». Il tennista ceco sottolinea la brillantezza offensiva tipica dell’ultima versione di Federer: «È stata una grande lezione di aggressività. Mi ha messo sulla difensiva dopo ogni singolo colpo, non riuscivo a uscirne, e anche quando facevo un punto non lo facevo davvero io, era solo lui che sbagliava».

Quella descritta da Berdych è la sensazione ormai classica che si ha quando si gioca contro un Federer in grandi condizioni, quello che ha trovato la formula spazio-temporale per annullare l’elemento più fisico del tennis, giocando di puro anticipo, togliendo la terra sotto ai piedi agli avversari.

Nel turno dopo affronta una versione tirata a lucido di Nishikori, anche se a quel punto il torneo sembra diventato una strada lastricata d’oro verso la finale con Rafa Nadal. Federer va sotto 4 a 0 al primo set, ma poi - complice un infortunio alla schiena del giapponese - riesce a vincere una maratona in cinque set che non era scontato fosse nelle sue possibilità. Un conto è vincere partite di blitz in meno di due ore contro Berdych, un altro è riuscire a star dentro l’altalena psicologica di una partita di quattro ore. All’inizio del quarto parziale, in un game che arriva fino ai vantaggi, Nishikori lo spinge molto all’esterno del campo con un rovescio incrociato; Federer non solo ci arriva agevolmente, ma poi tira un rovescio lungo linea che passa più vicino alla sedia dell’arbitro che alla rete e finisce all’incrocio delle righe. Uno di quei classici punti che mandano innanzitutto un messaggio di onnipotenza all’avversario.

«Ora sono davvero nel torneo» dice Federer con un tono un po’ spavaldo da Robert De Niro. Dopo aver battuto due top-10 il suo tabellone si è aperto, anche perché dalla sua parte Micha Zverev ha fatto fuori Andy Murray. Contro il tedesco, che gioca un tennis aggressivo, con molto serve&volley, lo aspetta una partita completamente diversa, ma è il tipo di occasioni che difficilmente Federer si fa sfuggire. Vince 7-1, 6-5, 6-2 e e offre una buona quantità di sospiri estasiati sugli spalti. Il punto simbolo di questa partita è uno in cui Federer gioca con Zverev al gatto col topo. Zverev lo attira a rete con una palla corta, Federer la recupera spingendo la racchetta in avanti con un guizzo - un colpo di polso quasi da ping pong - che manda la palla sulla riga opposta. Zverev ci arriva e risponde con un contropallonetto; Federer rimanda di là uno smash che il tedesco impatta bene col rovescio bimane. Lo scambio ricomincia da capo, Zverev attacca di nuovo, stavolta profondo sul rovescio avversario; Federer carica il topspin per mascherare un pallonetto liftato che prende una parabola pazza da badminton. Zverev corre all’indietro, sembra poterci arrivare, carica il colpo, poi pensa che la palla sfili fuori ma rimane sull’ultimo pezzetto di riga.

Il tennis giocato in quella partita viene definito dall’Indipendent “di un’altra epoca”. Lo stile battere e levare di Zverev ha permesso a Federer di giocare una partita meno dispendiosa della precedente, e di ricaricare le energie per la semifinale contro Wawrinka.

Ormai quello della fenice che risorge dalle proprie ceneri è il topos entro cui viene interpretato il torneo di Federer. Gli chiedono se si sarebbe aspettato quello che sta succedendo: «Beh, non mi aspettavo di incontrare Wawrinka in semifinale, lo ammetto. Pensavo di vincere qualche turno, avevo detto alla stampa svizzera che arrivare ai quarti mi sarebbe stato bene». Paul Annacone a quel punto si ricrede: «Credo che la sosta lo abbia ringiovanito. Lo ha aiutato a ritrovare le motivazioni».

La narrazione del torneo inizia però a prendere una piega seriamente nostalgica quando, dall’altra parte del tabellone, Nadal ha fatto fuori, in serie, Zverev (in 5 set), Monfils (in 4) e Raonic (in 3), arrivando da favorito alla semifinale con Grigor Dimitrov. La prospettiva di un Federer Nadal è all’orizzonte e i media iniziano a leccarsi i baffi. «Una finale Federer-Nadal potrebbe essere la partita più bella di sempre» dice Andy Roddick.

Contro Wawrinka Federer gioca in maniera estremamente controllata. È forse meno brillante che nei turni precedenti ma riesce a mantenere un alto livello in maniera continua e soffoca lentamente il tennis di Wawrinka. Addirittura si aggiudica il primo set al primo set-point a disposizione, con un cinismo che di solito non gli appartiene. Nel secondo set mantiene degli standard alti e sul 2 a 0 la vittoria sembra una formalità. Nel terzo set Wawrinka chiama il medical timeout per un problema al ginocchio destro che sembra l’epitaffio sulla sua partita. Invece Stan rientra in campo con la furia imprevedibile che a volte lo fa sembrare più un elemento naturale che un essere umano. Vince 5 game consecutivi, togliendo tre volte il servizio a Federer, vince il terzo set, e sull’onda lunga - come un pugile che ha ormai chiuso all’angolo il suo avversario - toglie il servizio a Federer anche all’inizio del quarto set, che vincerà poi 6-4.

Prima del quinto set Federer si ritira negli spogliatoi con il fisioterapista, più avanti dirà per un risentimento al menisco. Non sembra averne più e l’inerzia - fisica, tecnica e mentale - dell’incontro sembra ormai dalla parte di Wawrinka. Nel quinto set Federer però è bravo a rimanere attaccato alla partita nei primi giochi, poi, all’improvviso, Stan si spegne. Sotto 3-2 - ma col servizio a disposizione manda Federer 15-40, poi commette un doppio fallo che regala il break. A quel punto Federer corre liscio verso la finale.

Wawrinka sdrammatizzerà la sua sconfitta su twitter con auto-ironia. In conferenza si era consolato celebrando Federer: «Credo che il fatto che sia stato sei mesi fuori ha fatto sì che alla gente mancasse molto. Tutti vogliono vederlo giocare e vincere… e ora sta volando sul campo. Sta giocando un tennis incredibile. È il miglior tennista di sempre».

Il giorno dopo, nell’altra semifinale, Nadal e Dimitrov danno vita a una delle partite più belle degli ultimi anni. Dimitrov mette in mostra una condizione fisica mai avuta, scivolando sui campi di cemento con un’elasticità che ricorda la migliore versione di Djokovic; Nadal gioca con intelligenza, non sbagliando quasi mai scelte strategiche e gestendo al meglio quei momenti iniziali della partita in cui contava sbagliare meno dell’avversario. Nella conferenza post-partita Nadal descrive bene il suo gusto per il martirio: «È stata una grande lotta e alla fine ho vinto io. Mi sento fortunato… Questo tipo di partite distruggono il tuo corpo, ma è il tennis. Ed è speciale».

“La partita più bella di sempre”

Federer e Nadal non si incontravano in una finale dello slam dal 2011: sei anni in cui avevamo cominciato ad abituarci all’idea che non li avremmo più visti competere a quei livelli. Loro stessi ci credevano poco, visto che commentano col sollievo incredulo di chi torna dal regno dei morti, scoprendosi ancora insospettabilmente in salute. Federer: «Quando sono stato all’apertura della sua accademia gli avevo confidato “spero che ci incontreremo almeno in una partita di beneficienza o qualcosa del genere”, ero praticamente su una gamba sola e soffrivo di un infortunio alla schiena. Qualche mese dopo siamo in finale, l’uno contro l’altro». Poi lancia sulla sfida un’ombra d’epica: «Farò di tutto e di più. Voglio andare oltre e lasciare tutto qui in Australia. Se poi non dovessi camminare per cinque mesi, andrebbe bene lo stesso».

Per Nadal: «Giocare contro Federer è un privilegio, è qualcosa di speciale per entrambi essere in finale uno contro l'altro. Entrambi abbiamo avuto problemi negli ultimi tempi. Pochi mesi fa abbiamo inaugurato la mia accademia a Maiorca, dovevamo giocare una partita di esibizione ma lui aveva male al ginocchio e io al polso. Alla fine abbiamo potuto giocare qualche colpo, in quel momento non avremmo mai pensato di ritrovarci l'uno contro l'altro nella finale di domenica».

Uno degli aspetti più affascinanti della loro rivalità è il fatto che nonostante Federer sia, fra i due, il tennista più vincente, oltre che quello che più in profondità ha segnato l’immaginario sportivo, è indietro negli scontri diretti. Non poco indietro, ma drammaticamente indietro: abbastanza indietro da rendere indiscutibile la superiorità di Nadal nello sfida reciproca.

I commenti alla vigilia della finale sono quelli di sempre: tutti tifano Federer ma considerano favorito Nadal. Negli anni lo svizzero ha sviluppato una vera e propria psicosi tecnico-tattica con Nadal, non trovando mai il modo di uscire dalla ragnatela tessuta dallo spagnolo sulla diagonale rovescio a una mano-dritto incrociato in topspin. Già cinque anni prima Federer aveva commentato la situazione così: «Devo fare qualcosa». Per la prima volta però durante la sosta Federer sembra veramente aver fatto qualcosa, e ha lavorato sul proprio rovescio, aiutato dal piatto corde ancora più grande che gli permette di avere un punto di impatto più ampio, riducendo il numero di palle steccate da quel lato (uno dei misteri tecnici storici di Federer).

In realtà sono tante le condizioni che giocano dalla parte di Federer: il campo ultraveloce, le palline più dure, l’orario notturno. Tutto sembra favorire il suo gioco offensivo. Nel primo set Federer gioca in maniera brillante, serve benissimo, velocizza gli scambi il più possibile e arriva a servire per il set sul 5-4. Dal 30-15 i due punti successivi sono un esempio dei due colpi con cui Federer ha dominato il torneo: il rovescio a una mano, con cui ha tolto il controllo della diagonale maledetta all’avversario; l’ace nel set-point, che conferma una forma al servizio sovrannaturale.

Il secondo set però è ricominciato su un altro canovaccio classico delle loro sfide: Nadal che sfrutta tutte le proprie palle break e Federer che invece se le fa annullare. Nel terzo set il braccio di ferro si consuma nei primi due game, dove Federer prima tiene un turno di servizio complicato e poi riesce a fare il break a Nadal. Il rovescio a una mano di Federer viaggia sulla diagonale come mai aveva fatto nella sua carriera. All’inizio del terzo set Federer annulla tre palle break a Nadal con altrettanti ace, e poi dà vita a un set che è forse una delle più alte espressioni di Federer su un campo da tennis. Sul setpoint - sul punteggio di 5-1 - guadagna l’inerzia dello scambio con un rovescio di controbalzo che pizzica la linea di fondo, e che poi attacca con una volé stoppata di rovescio.

È la prima volta, nelle nove finali di un Grande Slam contro Nadal, che Federer è avanti due set a uno. Nel set dopo però è Nadal a salire di livello e a dominare Federer, sfruttando tutte le sue piccole incertezze e riuscendo a lanciare sempre l’assolo decisivo negli scambi più tirati. Come sul 3-1, vantaggio Nadal, quando - in uno scambio in cui i due si prendono in controtempo di continuo - lo spagnolo ne esce con un colpo che in teoria neanche esiste: un dritto arpionato con una parte incomprensibile della racchetta, che fila via sull’incrociato stretto. Al cambio di campo Federer, seduto con un asciugamano sulle gambe, riguarda il replay sul maxi-schermo e applaude. Alla fine del quarto set Federer chiama di nuovo il medical timeout: «Il dolore è cominciato nel secondo set ed è continuato lungo tutto il terzo. Mi sono detto “le regole sono lì, usale”, così ho chiamato il medical timeout».

Vi consiglio di aprirvi un video per guardare per intero il quinto set, che ha un andamento drammatico così perfetto da sembrare scritto su una sceneggiatura: capovolgimenti di punteggio da entrambi i lati, scambi leggendari, crolli e resurrezioni improvvise. Per dire un numero che vale anche per gli altri: 10 dei 34 scambi durati più di 9 colpi sono arrivati tutti in questo set. Venti minuti che mostrano, una volta di più, la capacità di Federer e Nadal di trasformare il tennis in una metafora della vita.

Federer va subito sotto di un break, poi recupera sul 3 pari dopo essersi fatto annullare diverse palle break. La sua prestazione è stata impressionante soprattutto dal punto di vista mentale, per tutti quei piccoli momenti in cui sarebbe stato più facile lasciarsi andare che dimostrare una resistenza sulla partita. Sul 4-3 si consuma il game forse più bello. Federer porta Nadal sullo 0-40, si fa rimontare fino alla parità, poi guadagna ancora una palla break, e con coraggio, giocando costantemente con i piedi sulla linea di fondo, colpendo tutto in controbalzo, riesce a togliere ancora il servizio a Nadal.

Uno scambio decisivo per l’equilibrio della partita è anche quello che meglio descrive il modo in cui gli stili di Federer e Nadal si penetrino fra loro. Il modo in cui Federer prende il comando dello scambio strozzando i tempi d’esecuzione, la forza di Nadal nel ribaltare uno scambio difensivo in uno offensivo, il rilancio ulteriore di Federer. Non si può giocare a tennis meglio di così.

Sul 5-3 però lo spagnolo ha di nuovo due possibilità per togliere il servizio a Federer, che riesce a uscirne con una prima e un dritto vincente. Il pubblico è in delirio, i telecronisti statunitensi dicono «Siamo davvero fortunati a vedere quello che stiamo vedendo». Sul matchpoint Federer stringe molto, forse troppo, il cross di dritto in avanzamento e non si capisce se la palla è riuscita a strusciare un pezzetto di riga. Il giudice di linea la dà per buona, Nadal chiama il challenge. Il “falco” la conferma come buona, Federer fa un paio di saltelli sul posto in lacrime con la bocca spalancata, ha addosso una felicità che raramente gli abbiamo visto così totale e spontanea. Otto anni prima era crollato in lacrime per i motivi opposti, disperandosi per una sconfitta contro Nadal che è stato forse il suo punto più basso dal punto di vista psicologico. «Pregavo che quella seconda palla fosso dentro. Mi dicevo ‘please, be in’. Poi quando mi sono reso conto che era finita è stato pazzesco».

Federer ha chiuso la finale con 73 colpi vincenti e il 76% di punti vinti con la prima palla. Ha servito in totale 20 ace, che porta il suo conteggio complessivo a 108: solo l’assurdo Ivo Karlovic ne ha serviti di più nel torneo. In più Federer ha chiuso il torneo col maggior numero di risposte vincenti, dietro solo a Kei Nishikori. «Avevo detto a me stesso di giocare libero. Pensa alla tua pallina non a quella del tuo avversario. Sii libero nella testa e ne tuoi tiri. Dai tutto. Il coraggio verrà ripagato. Non volevo andare sotto vedendo piovermi addosso i dritti di Rafa».

Mai forse come in questa partita è stato chiaro quanto Federer e Nadal siano stati necessari l’uno per l’altro, come aveva dichiarato lo stesso Federer a Manacor: «Sono grato a Rafa perché mi ha reso un tennista migliore». Il quinto set in particolare è stato un esempio di come la loro peculiarità stilistica si sia compenetrata alla perfezione per generare una vetta di grandezza impossibile solo individualmente. In questo hanno recitato esattamente la parte che ci si attendeva da loro: la grazia apollinea con cui Federer ha cerca di sfondare il muro difensivo di Nadal; la resistenza fisica e mentale con cui Nadal assorbiva le offensive per contrattaccare con ancora più forza.

Durante la premiazione Federer sigilla il nuovo piano metafisico della rivalità con Nadal: «Non esiste il pareggio nel tennis, ma se ci fosse sarebbe bello poter dividere il trofeo con te stasera». Federer sembra seriamente stupito da sé stesso: «Non posso crederci. È incredibile. Non potrei essere più felice. È molto oltre le mie aspettative. Avrei definito il mio un grande torneo se fossi arrivato ai quarti. Oggi mi sono detto: servi e corri: lotta e vedi se sarai fortunato. Stasera sono stato fortunato». Poi si concede anche una piccola bugia: «Sarei stato contento anche se avessi perso».

John McEnroe dopo la partita gli concede persino la definizione di “migliore di tutti i tempi”; un video degli Australian Open apostrofa la finale come “un miracolo dello sport moderno”. Per Federer è la più bella vittoria della sua carriera: «Non la potrei paragonare a nessun’altra, a parte forse il Roland Garros del 2009».

La finale del 2017 sembrava uno spettacolo così incredibile da non poter essere che considerato estemporaneo. Una partita tirata, in cui i due giocatori si sono scambiati il comando del punteggio, e che è culminata in un quinto set emotivamente indimenticabile. È stata la storia scritta nel miglior modo possibile, ma in quel momento era difficile immaginare avrebbe spostato molto anche a livello di equilibri nel circuito.

Quello che doveva essere solo un grandioso canto del cigno per entrambi è stato invece il primo atto di una stagione dominata da Federer e Nadal, che si sono spartiti tutti e quattro i grandi slam e molti tornei ATP. Sette anni dopo l’ingresso ad alti livelli di Novak Djokovic, che aveva spezzato il loro duopolio, i grandi tornei sono diventati di nuovo il loro terreno esclusivo. Nadal torna addirittura numero 1 del mondo.

La finale del 2017 ha come incastrato il tennis in una specie di temporalità ciclica che sembra non potersi rinnovare. Fino a quel momento, sebbene stessero vincendo più o meno sempre gli stessi, le vittorie avevano seguito un corso piuttosto lineare. Nadal e Federer venivano da due stagioni minori e gli Australian Open avrebbero dovuto scavare ulteriormente il solco tra loro due - sovrani stanchi e rassegnati a cedere i propri regni - e gli altri due dominatori, Murray e Djokovic. Per la prima volta è stato invece il contrario: il vecchio ha lasciato il posto all’ancora più vecchio. A 36 anni Federer è stato il più anziano vincitore di uno slam dopo Ken Rosewall, che vinse gli Australian Open. Tutto il movimento ha potuto tirare un sospiro di sollievo, vedendo di nuovo posticipato il momento in cui dovrà fare a meno di due catalizzatori di interesse come Nadal e Federer.

Riguardare quel torneo e quella finale è importante anche perché ha ridefinito i rapporti di forza dentro cui ancora oggi siamo dentro: alla seconda settimana degli Australian Open Djokovic è stato eliminato da un giovane mentre Murray è ancora alle prese con problemi fisici cronici. Si sono inseriti un paio di giovani in maniera inaspettata, come Chung ed Edmund, che però sarebbe una sorpresa veder arrivare in finale. Nadal sembrava il principale favorito, avendo giocato i primi turni con una brillantezza superiore a tutti gli altri tennisti di primo livello, ma è stato costretto a ritirarsi al quinto set contro Marin Cilic per un problema all’anca. In questo interregno in cui nessuno sembra poter esercitare il proprio dominio come siamo stati abituati negli ultimi vent’anni, Federer è di nuovo il favorito assoluto.

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