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Dopo il record di Chepngetich la maratona non sarà più la stessa
22 ott 2024
L'incredibile prestazione dell'atleta keniana a Chicago sta facendo discutere per molti motivi.
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11 min
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IMAGO / Newscom World
(copertina) IMAGO / Newscom World
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Non è più Berlino, non è più la Porta di Brandeburgo il varco a cui puntare i nostri occhi aspettando che a oltrepassarne gli archi ci sia un maratoneta che sta battendo il record del mondo. Per vent’anni, dal 2003 al 2023, sul vialone alberato di Unter Den Linden di record mondiali in maratona ne sono sfilati nove, otto maschili e uno femminile. Su per giù una volta ogni due anni ci saremmo potuti collegare a Berlino nell’ultimo weekend di settembre e avremmo assistito a un nuovo world record sui 42 chilometri.

Poi, tra il 2023 e il 2024, Chicago nel giro di dodici mesi ha fatto cappotto. Prima, nel 2023, è caduto il record maschile; poi, esattamente a un anno di distanza, a Columbus Drive è sfilato quello femminile. Questi risultati sono due cesure nette e profonde per la storia della maratona: ognuno a modo proprio, sono due epifanie - anche culturali - che ridefiniscono il rapporto dell’essere umano di fronte alle possibilità potenziali offerte dal corpo, e dalla tecnologia messa al suo servizio - in termini di abbigliamento tecnico, gadget elettronici per l’elaborazione di dati e statistiche, o, ancora, sotto forma di quelle conoscenze biologiche che massimizzano i risultati di allenamento, nutrizione e riposo.

A ritoccare il miglior tempo maschile fu nell’ottobre del 2023 (l’uso del passato remoto non è casuale, perché sembrano già passati secoli) il compianto Kelvin Kiptum, l’ennesimo miracolo della tribù keniana dei Kalenjin, scomparso a febbraio del 2024 in un incidente d’auto - le indagini sono state ingarbugliate e presto attorno al caso si sono levate soprattutto in patria oscure voci di un complotto. Con il suo record di Chicago di 2.00.35 Kelvin Kiptum aveva portato l’essere umano a 36 secondi di distanza dal mitico segno di 1:59:59, le colonne d’Ercole del podismo che fisiologi e biologi prevedono da anni come imminente, immaginando la prossima venuta di un atleta in grado di oltrepassarle. Tutti gli indizi rimandavano a Kiptum.

Spodestato il re della maratona Eliud Kipchoge - arrivato in maniera unofficial sotto la barriera della due ore (alla Ineos 1.59 Challenge, nel 2019) - Kiptum a inizio dicembre 2023 si era quasi autoinvestito della responsabilità di battere quel record annunciando che cinque mesi dopo, ad aprile 2024, avrebbe preso parte al velocissimo percorso della Maratona di Rotterdam. Nella conferenza stampa di presentazione della gara Kiptum aveva detto che: «se starò bene, se il mio corpo e il meteo me lo permetteranno, proverò a battere il mio record». E mentre parlava il suo sorriso diceva ancora di più della sua sicurezza.

Quando il 13 ottobre 2024 Ruth Chepngetich - Kalenjin come Kelvin Kiptum (ed Eliud Kipchoge) - vince la Maratona di Chicago, dedica la propria prova al compagno di squadra scomparso. Ha appena conquistato la sua terza maratona di Chicago in quattro anni, il record mondiale femminile sulla maratona, e soprattutto è diventata la prima donna a scendere sotto le due ore e dieci minuti in una maratona ufficiale. Chepngetich ha raggiunto il tappetone rosso di Columbus Drive in 2.09.56 secondi, un cronometro che la posiziona 1 minuto e 57 secondi davanti rispetto al tempo di 2.11.53 con cui l’etiope Tigst Assefa aveva demolito il precedente miglior tempo.

Secondo le Mercier tables per la comparazione delle prove di atletica maschili e femminili, il nuovo record di Chepngetich è equiparabile a una prova maschile da 1.55.56 secondi; la World Athletics è più cauta, e con il suo sistema a punti raffronta la prova a un 1.59.35 corso da una ipotetica controparte (il risultato equivale a 1340 punti). Per dire: Kipchoge ha portato a termine la Ineos 1.59 Challenge in 1.59.40 secondi in una gara cucita su di lui, a partire dalla presenza di un’intera squadra di oltre quaranta lepri scelte tra i migliori top runner internazionali, che a rotazione lo schermavano dal vento su tutti i lati, dalla chiusura di un preciso tratto del Prater di Vienna a suo utilizzo praticamente esclusivo, e dall’utilizzo di un laser luminoso a segnalare sull’asfalto il passo preciso da mantenere per centrare un tempo da due ore (non consentito in prove ufficiali).

La gara di Ruth Chepngetich

I numeri della prova di Ruth Chepngetich sono impressionanti: ha mantenuto un passo medio di 3.05 minuti al chilometro, il passaggio al 10 chilometro è in 30.14 - tredici secondi in meno rispetto al 30.43 che è valso l’oro olimpico a Beatrice Chebet nei 10,000 metri a Parigi 2024. A questi ritmi, la proiezione sul tempo finale è di circa 2 ore 7 minuti e 30 secondi. Pur calando visibilmente il passo per centellinare le energie nella parte centrale di gara, Chepngetich alla mezza maratona fa registrare quello che sarebbe il quinto tempo femminile di sempre. Nell’intervista post gara, alla domanda «non eri preoccupata di andare troppo forte quando hai visto lo split alla mezza?» ha risposto «mi sentivo bene, il passo era buono, e ho deciso di andare a questo ritmo».

Dopo la brillantezza della prima parte di gara, segue una corsa più mentale e rabbiosa nel secondo split. È la corsa dei cliché universali e universalmente riconosciuti del podismo come sport della lotta, della tenacia e della sofferenza. Con l’inseguitrice più vicina a debita distanza (la seconda classificata arriverà con oltre 8 minuti di ritardo), la preoccupazione di Chepngetich è solo quella di tenere il ritmo necessario per raggiungere il suo sogno. Siamo entrati in quel campo dove una grande Major smette di essere una gara corpo a corpo tra avversarie - come successo in occasione di tanti finali emozionanti dei tempi recenti, da Boston 2024 a New York 2023, per non parlare della maratona olimpica di Parigi 2024 (ne parliamo più avanti) - e diventa una brutale corsa con se stesse. Negli ultimi chilometri, gli zoom della regia sul volto di Chepngetich ne colgono tutta la fatica. La testa sembra dirle basta e il cuore a spingerla oltre i suoi limiti, nonostante la vittoria sia già in tasca.

All’ultima svolta, quando le lepri si aprono di lato per lanciarla sul rettilineo finale, sembra di rivivere i momenti dell’arrivo di Kiptum nel 2023. Le braccia si allungano verso il cielo, i lati della bocca si distendono, aprendosi finalmente in un sorriso. Ruth Chepngetich si getta tra le braccia di Carey Pinkowski, il direttore di corsa della maratona di Chicago. Poi, come Kiptum l’anno precedente, corre (corre!) sotto gli spalti ai lati della linea di arrivo, sventolando la bandiera del Kenya - l’ha presa dalle mani del connazionale John Korir, che ha appena vinto la gara maschile in 2.02.43 (un tempo ridimensionato dalle recenti avventure di quattro atleti sotto la soglia delle 2.02, ma che di normale non ha nulla: è il sesto maratoneta più veloce di sempre).

Nell’intervista post gara Chepngetich dichiara: «Questa gara è per Kelvin, che avrebbe sicuramente potuto migliorare il proprio risultato. Il record è tornato in Kenya», e aggiunge «Dopo Londra ad aprile [gara in cui era arrivata nona, nda] mi sono preparata bene: questo record ce l'avevo in testa, e sono riuscita a realizzare il mio sogno».

Il contesto

Il momento storico in cui arriva questo risultato è significativo, per la vicenda personale di Ruth Chepngetich innanzitutto. Quando nel 2017 ha iniziato la sua carriera nella corsa di lunga distanza su strada - senza il cursus honorum in pista comune a tante super atlete - il record del mondo della maratona femminile era fermo al plateau fissato da Paula Radcliffe nel 2003. Per più di quindici anni niente e nessuna sembra poter spostare di un centesimo il 2.15.25 che aveva ufficialmente posto i limiti a 2 ore e 15 minuti. Fino al 2019.

Mentre Chepngetich esce allo scoperto con la vittoria del campionato del mondo a Doha e comincia a mettere a segno i suoi primi sub 2.20 (qualcuno ci vede lungo, e già allora la definisce “World Record Material”), Brigid Kosgei smuove le acque. È il giorno dopo la Ineos 1.59 Challenge in cui Kipchoge scende sotto le due ore nella sua prova non ufficiale sui viali del Prater di Vienna, e a 7500 chilometri di distanza, a Chicago, per Kosgei sembra un buon auspicio. Il record di Paula Radcliffe cade con oltre un minuto di margine, un clamoroso 2.14.04. Il 12 e 13 ottobre 2019 sono date in cui celebrare l’inizio di una nuova era nell’esplorazione dei limiti umani, quando si tratta di correre forte per tanto tempo.

La teoria riposiziona i suoi paletti: 2.12 sono le nuove due ore delle donne; ma visto il margine guadagnato da Kosgei si vocifera già di un’ipotetica prova leggendaria e ideale da sub 2.10. Intanto, con il 2021 inizia la dominazione di Ruth Chepngetich in Illinois. A due mesi dalla sua partecipazione a Tokyo 2020 vince il suo primo titolo Major - levandosi il dente avvelenato della brutta prova olimpica, dove non aveva finito nemmeno la gara - ma il capolavoro arriva l’anno successivo: nel 2022 fa back to back a Chicago e porta il proprio personale a 2.14.18, e cioè a 14 secondi dal record del mondo, diventando la seconda atleta in due anni a scendere sotto le 2 ore e 15 (a dicembre entrerà a far parte di questa cerchia ristretta anche l’etiope Amane Shankule con la sua vittoria alla maratona di Valencia). In merito ai quei quattordici secondi di troppo tra lei e il record del mondo, Chepngetich più tardi si riferirà a quella prova come a «un’occasione mancata per la realizzazione del mio sogno».

L'impresa di Kosgei nel 2019, però, sembra aver abbattuto un muro per tutte. I tempi sono cambiati, e una serie di atlete comincia a formare una massa critica di tempi che gravitano attorno alle 2 ore e 15. È la classica palla di neve destinata a diventare una valanga - e la valanga assume le proporzioni di un evento estremo quando il 24 settembre 2023 Tigst Assefa dà al record una pettinata di 2 minuti e 11 secondi, chiudendo la maratona di Berlino in 2.11.53. A distanza di un anno dal record di Kipchoge, Assefa conduce una gara moderna, tatticamente perfetta, cesellando un negative split di un minuto tra la prima parte di gara (corsa in 1 ora e 6 minuti) e la seconda (1 ora e 5).

Dopo due settimane la leggendaria mezzofondista olandese Sifan Hassan ruba il threepeat a Ruth Chepngetich. A Chicago, nell’anno del suo esordio nella maratona (aveva corso per la prima volta la maratona, vincendola, a Londra nell’aprile precedente), chiude con un sub 2.14 - che senza la prova di Assefa le avrebbe garantito il record del mondo.

Poi, proprio Assefa e Hassan, le due maratonete che nel giro di un paio di settimane hanno corso le due maratone femminili più veloci di sempre, si sono ritrovate avversarie nel più epico scenario possibile, le ultime curve della maratona olimpica di Parigi: finisce a sportellate, con Assefa che prova a intralciare Hassan stringendola sulle barriere; mentre questa sgattaiola oltre, allungando in maniera decisiva sull’avversaria verso l’oro (dopo i due podi nei 5,000 e 10,000 metri).

Il record di Ruth Chepngetich matura in questa nuova primavera del podismo femminile, e a livello assoluto nel vuoto lasciato dalla promessa di Kelvin Kiptum.

Intanto, dal 2015 il Kenya è ininterrottamente alle prese con uno scandalo doping che ha fatto rotolare le teste di diversi atleti e atlete di livello internazionale (attualmente sono oltre 200 gli atleti sospesi) - un caso eclatante è quello di Titus Ekiru, maratoneta da sub 2.03, che nel 2021 aveva fatto il record del percorso alla maratona di Milano in 2.02.57, poi revocato come parte di una squalifica di 10 anni. Alle punte di diamante del movimento, e in modo particolare a Kipchoge, in qualità di volto del running a livello globale, è stato più volte chiesto di schierarsi. “Re Eliud” non ha mai fatto mancare toni durissimi contro il problema. In un’intervista recente Kipchoge è stato pesante nei confronti di tanti giovani atleti del proprio Paese: «Manchiamo di morale. Mancano mentori, che mostrino come si fanno le cose. Si parla troppo di soldi».

Anche Ruth Chepngetich è finita al centro del fuoco incrociato. Nella conferenza stampa post gara, un giornalista le ha chiesto esplicitamente di chi pensa che il suo record è troppo bello per essere vero. La risposta laconica di una serissima Ruth Chepngetich - difesa da un comunicato stampa ufficiale della federazione Kenya Athletics - risuona in una stanza ammutolita: «Non so cosa rispondere. Le persone devono parlare… le persone devono parlare, non so cosa rispondere».

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A spaccare gli appassionati in due, in realtà, non è tanto il record del mondo, quanto il miglioramento di oltre cinque minuti del proprio record personale, fermo fino a quel momento ai 2.14.18 del 2022. Da una parte c'è chi prende la scorciatoia del dubbio legato alla storia recente del Kenya, che di certo non aiuta a diradare le nebbie. Dall'altra, però, c'è anche chi dà spiegazioni più complesse. Al Corriere della Sera, per esempio, Orlando Pizzolato, due volte vincitore della maratona di New York, ha espresso un punto di vista interessante. «Quello di Chepngetich è un risultato scioccante ma dobbiamo considerare il contesto», ha detto Pizzolato «Lei si allena in Kenya, unica donna tra maratoneti uomini che corrono in 2 ore e 10 o meno: non ha alternative, fa le stesse distanze alle stesse velocità che tengono loro e così forse ha sublimato qualità già sopraffine».

In assenza di prove definitive, in ogni caso, è ingiusto intaccare la credibilità di un gruppo sempre più allargato di atlete che - grazie a maggiori capacità economiche rispetto al passato, a conoscenze maggiori in fatto di teoria dell’allenamento, alimentazione e recupero, e a fattori come le super shoes - stanno posizionando gli standard del podismo su frequenze impensabili fino a pochi anni fa. Anche se questo record alla fine cadesse, insomma, la strada sembra ormai tracciata.

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