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Resurrezione
06 apr 2015
Mahrez, Rüdiger, Cartabia, Donsah, Defrel, José Mauri: 6 giocatori destinati a rinascere dalle possibili retrocessioni delle proprie squadre.
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15 min
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Può ancora succedere di tutto, certo, ma nei grandi campionati europei il cammino di alcune squadre sembra compromesso. Tra i giocatori che stanno cadendo insieme ai colori di Parma, Cesena, Cagliari, Leicester City, Cordoba e Stoccarda, ce ne sono alcuni per i quali la morte sportiva non sarà che un rimbalzo, e non soltanto perché sono giovani—tutti compresi fra le classi 1991 e 1996.

Ecco quindi il profilo di sei calciatori che festeggeranno Pasqua fuori stagione: destinati a risorgere, poco dopo la retrocessione (ammesso che ci sia) dei loro rispettivi club. Non proprio in tre giorni, ma comunque presto.

Riyad Mahrez, Leicester City

Nel naufragio della squadra di Pearson, neopromossa tra le fanfare e i 102 punti della scorsa Championship, la nota più lieta è un ragazzo del '91, magro come un fuscello. Nelle East Midlands ci è arrivato nel gennaio 2014, dopo tre anni e mezzo a Le Havre, seconda divisione francese. Da subito ha giocato con regolarità, trovando spazio in un campionato così fisico e offrendo un contributo importante all'approdo in Premier.

Mahrez è nato e cresciuto in Francia, sua madre è marocchina, ma lui ha scelto di rappresentare la Nazionale algerina, il Paese del padre che non ha più («Esaudirò il suo desiderio»). I “Foxies” di Leicester, i “Fennecs” dell'Algeria: Mahrez sembra avere la volpe nel destino, e la sua sveltezza di pensiero e di gamba non può che confermarlo. Prima di partire per il Mondiale brasiliano è andato a farsi tagliare i capelli da Nassim, il barbiere franco-algerino della sua Sarcelles—sobborgo duro a nord di Parigi, dove ha tirato i primi calci.

Il Mondiale dell'Algeria l'ha visto soprattutto dalla panchina (appena 72 minuti, tutti contro il Belgio nella prima del girone) ma durante l'ultima Coppa d'Africa ha trovato parecchio spazio. Ed è titolare in questa stagione del Leicester, nonostante i frenetici cambiamenti di Pearson: 1.838 minuti giocati, tra campionato e coppe nazionali.

Mancino, viene impiegato perlopiù a sinistra in Nazionale e a destra nel club, come esterno in un centrocampo a 4 o a 5, ma anche ala in un attacco a 3. La posizione larga gli permette di sfruttare la sua rapidità, per cercare il fondo o per convergere e tirare. Non a caso quest'anno nel club ha la media più alta di tiri in porta effettuati (2,2 per gara) e al tempo stesso la seconda migliore media di cross effettuati (1,2 per gara).

Mahrez è tecnico, veloce, e cerca molto la profondità, giocando un numero altissimo di palle filtranti: 0,3 di media per gara in questa stagione, miglior rendimento nel Leicester e quinto posto assoluto in Premier. Nonostante sia alto 179 centimetri, pesa appena 61 kg. Questa agilità quasi innaturale lo favorisce nei dribbling, probabilmente il suo pezzo forte, dove a stupire—più che l'efficacia, più che l'eleganza—è la disinvoltura del gesto. La sua media stagionale (2,5 dribbling a partita) gli vale il primato nella squadra e il decimo posto in Premier (appena sotto Agüero). Certo, deve migliorare nella precisione: due gol e tre assist vincenti sono davvero poco, in confronto alle statistiche qui sopra. Ma a giudicare dall'ostinazione con cui si è preso la Nazionale, e dalla sua prima stagione fuori dalla cadetteria, il ragazzo ha tutti i margini.

Ha un contratto fino al 2017, ma è già nel mirino di Tottenham, Villarreal e Roma. Il prezzo basso del suo cartellino (intorno ai 3 milioni di euro) e il brillante esordio in una massima serie gli spalancheranno di sicuro, a lui sì, le porte della salvezza.

Antonio Rüdiger, Stoccarda

Ha padre tedesco e madre della Sierra Leone, è nato a Berlino nel 1993, ed è un gigantesco difensore centrale, con doti atletiche che gli permettono di fare anche il terzino destro. Antonio Rüdiger ha il senso della posizione, è ordinato, in campo e nella vita privata (il fratellastro Sahr Senesie, calciatore anche lui con trascorsi in Bundesliga, dice che in casa è un maniaco dell'ordine e della pulizia). Questo non significa che il suo gioco sia elegante: al contrario, è molto spiccio.

Dopo un paio d'anni nelle giovanili del Borussia Dortmund, Toni capisce che non ha spazio e decide di andarsene: «A volte devi rischiare tutto per raggiungere i tuoi obiettivi» dice. Nel 2011 passa così allo Stoccarda, dove già la scorsa stagione si guadagna il posto da titolare, e lo mantiene stabilmente quest'anno finché, lo scorso dicembre, si rompe un menisco. Fuori per tutto l'inverno, a fine marzo ha ricominciato ad allenarsi in gruppo.

L'imponenza fisica (190 cm, 85 kg) lo rende fortissimo sulle palle alte, e nel club ha il primato stagionale per quanto riguarda i palloni allontanati dall'area (5,6 per gara). Ma è anche bravo a impostare: nello Stoccarda quest'anno ha la più alta media di passaggi effettuati (quasi sessanta a partita) e al tempo stesso la migliore percentuale di passaggi riusciti (84,2%). Con queste caratteristiche è naturale abbia la sicurezza per spingersi a fare sortite in avanti palla al piede. Un difensore completo, moderno, prezioso.

Non a caso il CT Löw lo tiene in grande considerazione e ha dichiarato che gli ricorda Jerome Boateng. Dopo aver rappresentato la Germania in tutte le selezioni giovanili, a maggio 2014 Rüdiger ha esordito con la Nazionale maggiore e in autunno è entrato in pianta stabile giocando da titolare un paio di partite di qualificazione agli Europei 2016. Che verosimilmente sono il suo obiettivo.

I ventidue anni appena compiuti chiedono indulgenza per i cali di concentrazione che gli capitano. Già in questa stagione ha imparato a frenare l'irruenza, che la scorsa stagione lo aveva portato a risultare il più falloso della rosa sveva e a concedere tre rigori.

Il suo cartellino vale una decina di milioni e com'è naturale il ragazzo ha mercato. Lo scorso autunno si è esposto in favore dell'Arsenal, spiegando che tifa per i "Gunners" dai tempi di Henry e Bergkamp, e che spesso indossa la maglia di Alexis Sánchez. La Premier sembra perfetta per le sue caratteristiche. Qualunque sarà il destino dello Stoccarda, ultimo in classifica, ma ancora in ballo rispetto agli altri club coinvolti in questa panoramica, viene facile pensare che Rüdiger si separerà dalla squadra che gli ha dato fiducia. Perché a volte devi rischiare tutto.

Federico Cartabia, Cordoba (in prestito dal Valencia)

C'è un ragazzo veloce e sgusciante, in Spagna, che milita nell'ultima della classe ma è il secondo giocatore ad aver subito più falli nell'intera Liga. La grande abilità nello stretto e i 66 chili di peso fanno di Federico Cartabia un peso leggero che costringe alla scorrettezza. Un agile trequartista che, a sua volta, in campo si fa sentire (8 cartellini in 24 presenze, quest'anno). Forse è poco lineare tracciare il suo profilo fra questi, essendo solo prestato a una squadra in picchiata, ma la retrocessione peserà anche su di lui, Federico Cartabia, detto “Fede”, detto “La Joyita”.

Nato nel 1993 in Argentina, da una famiglia povera che aveva lasciato un paese di tremila anime per emigrare a Rosario, viene scoperto lì da Juan Antonio Pizzi, e portato tredicenne nella "cantera" del Valencia. Con i “Pipistrelli” l'anno scorso ha giocato moltissimo (40 presenze, 2.300 minuti): prima con Djukic, che l'ha voluto in prima squadra, e a maggior ragione quando lo stesso Pizzi è subentrato come allenatore. L'arrivo in panchina di Nuno Espirito Santo però, quest'estate, ha coinciso con la cessione al Cordoba neopromosso, in prestito con diritto di riscatto a 8 milioni. Una frenata brusca.

Di frenate ne aveva già subite, Fede Cartabia. Intanto, più di tutto, la perdita del padre a quattordici anni—due mesi fa si è tatuato il volto paterno su un polpaccio. Poi l'incompiuta, appassionata storia con la Nazionale argentina: i corteggiamenti dell'Under-19 spagnola mandati a vuoto, le dichiarazioni d'amore incondizionato («Soy argentino y me voy a morir argentino»), il mondiale Sub-20 del 2013 in maglia albiceleste (chiamato dal CT Trobbiani, su indicazione di un macellaio che l'aveva visto giocare tra i giovani del Valencia), e poi la fine delle convocazioni.

È un mancino che di solito si tiene molto largo a destra, con licenza di distendere la sua velocità per tutta la trequarti. Nel club andaluso ha il primato di assist forniti (5 in questa stagione) e cross effettuati (media di 1 a partita). Ha un buon tiro e una specializzazione nei calci da fermo (un esempio qui), ma non è certo un goleador: a questo punto della stagione ha realizzato solo quattro reti—la prima, all'esordio casalingo, è stato anche la prima rete del Cordoba dopo quarantadue anni di serie inferiori.

A giugno il prestito sarà esaurito e Cartabia rientrerà alla base. Già a dicembre il presidente dei biancoverdi ha ammesso di non avere le possibilità economiche per riscattarlo. Difficile dire se potrà avere spazio in una squadra collaudata come il Valencia, soprattutto in caso di qualificazione alla prossima Champions League. D'altra parte sembra avere poco senso mandarlo a farsi le ossa, ancora: l'anno prossimo dev'essere quello del salto di qualità, perché Cartabia non abbia una frenata che lo costringa a fermarsi. E se pure con il Cordoba scenderà in Segunda, la resurrezione è promessa.

Le compilation che si trovano su internet sono dei tempi di Valencia. Allora ho scelto questo piccolo video amatoriale, in cui emerge bene come il pubblico spagnolo viva le giocate del funambolo quasi partecipasse a una corrida.

Grégoire Defrel, Cesena

Esagera certo Domenico Di Carlo, l'allenatore che sta provando a salvare il Cesena, quando dice che «ha la velocità di Cuadrado e la tecnica di Robben». Eppure, se i romagnoli possono aggrapparsi a qualcuno, non può essere che Grégoire Defrel. E in pochi l'avrebbero detto, ai nastri di partenza.

Il numero 92 che ha sulla maglia non c'entra con l'anno di nascita. Quello è il 1991. Invece “92” è il numero che indica il département Hauts-de-Seine, dov'è cresciuto. La cosa più importante della sua Meudon, cinquantamila abitanti a sud-ovest di Parigi, è un famoso osservatorio astronomico. E più che con le stelle, la storia di Defrel sembra avere a che fare con il guardare lontano.

Comincia a giocare a Châtillon, nel distretto in cui è cresciuto. Ancora a diciassette anni non pensa di fare del calcio una carriera. Poi un suo amico del quartiere lo mette in contatto con un agente che lavora in Italia, e da qui ottiene un provino a Parma. Ha la condizione di uno che si allena una volta a settimana, com'è in effetti, ma il provino va bene e lui viene accolto nelle giovanili dei gialloblù. Nel 2010/11 Defrel esordisce in Serie A (gioca 9 minuti contro il Cagliari) in quella che sarà l'unica esperienza con la prima squadra. Perché l'anno dopo lo danno in prestito al Foggia (Lega Pro Prima Divisione) e nell'estate 2012 lo cedono al Cesena in comproprietà, per appena 125mila euro.

Due stagioni in B da titolare ma senza rubare l'occhio, prima dell'esplosione di quest'anno: per adesso già 25 presenze, 6 reti e 4 assist, a dieci turni dalla fine del campionato. Non sono numeri da goleador puro né da puro assist-man, ma sono comunque sorprendenti per uno che, nel triennio di categorie inferiori, aveva collezionato appena 11 reti e 8 assist in quasi cento partite. Si può sbocciare anche di colpo, anche così.

Defrel è molte cose insieme. Rifinitore, seconda punta, centravanti—soprattutto inteso come “falso nueve”. Giocatore pronto a sacrificarsi in ripiegamento, utilissimo in fase difensiva. Giocatore utilissimo in assoluto. Oltre al dribbling e alla velocità, ha un tiro forte e preciso (sono all'angolo cinque gol dei sei che ha fatto finora). È difficile che sbagli un passaggio (la media stagionale di passaggi riusciti è sopra l'ottanta per cento) e sa proteggere ottimamente la palla, il che lo rende un'ottima sponda. E ha pure una certa aggressività: 6 ammonizioni in 25 gare di campionato.

Non si può dire che i suoi movimenti abbiano eleganza: sono anzi piuttosto goffi, sembrano quelli di uno stampellone (nonostante lui sia alto 179 cm) che si ritrova in dote una grande velocità. A colpire però è l'efficacia, l'ostinazione che gli permette di arrivare all'obiettivo. Si veda il primo gol all'Atalanta: Defrel fa il movimento giusto, difende benissimo il pallone, e prima di tirare s'inventa una finta che sembra la velleità di uno con le gambe troppo lunghe. Eppure segna.

Il Cesena non dovrebbe avere problemi a prendere anche la metà in mano al Parma, considerata la situazione degli scudati. Ma solo in vista di una cessione immediata. Il Bologna sembra essere avanti a tutti, ma prima c'è la promozione da conquistare e una concorrenza agguerrita e prestigiosa. Sono interessati per esempio Swansea e Southampton (la squadra di Pellè, a proposito di calciatori sbocciati tardi), oltre a mezza serie A. Lui ha detto che tifa per il PSG e che giocarci sarebbe un sogno. Un sogno che appare lontano come le stelle. Anche se si potrebbe azzardare che, con gli strumenti giusti, lontano può diventare vicino.

Di questo video che riassume cinque gol di questa stagione (manca il pallonetto a San Siro contro l'Inter), la cosa che mi piace di più è il titolo: “Grégoire Defrel – Anchor of Cesena”.

Godfred Donsah, Cagliari

Il 7 giugno 1996 ad Accra nasce Godfred Donsah. Undici anni dopo suo padre, Twaku Tachi, arriva con un barcone dalla Libia a Lampedusa. La moglie e i quattro figli (Godfred e tre sorelle) restano in Ghana, lei continua a lavorare nei campi di cacao dove lo stesso figlio ha lavorato e dove il padre ha deciso che non vuole lavorare più. Twaku Tachi raccoglie pomodori in Campania per i caporali, fa il magazziniere vicino Como, mentre il figlio inizia a giocare con il DC United Agogo. Nel 2011 il padre ottiene di farlo visionare in Italia: allora va in Ghana e torna insieme a Godfred, quindicenne, su un barcone. A Como viene bocciato, ma il provino a Palermo va bene: Donsah inizia ad allenarsi con la squadra, fa innamorare il ds Sogliano, ma dopo sei mesi lui e suo padre devono tornare in Ghana perché sono clandestini.

A gennaio 2012 Sogliano riesce ad aiutarlo col permesso di soggiorno e a farlo acquistare dal Palermo, ripetendo il percorso di Acquah (che Godfred definisce il suo migliore amico, e che all'arrivo in Italia gli regala il primo paio di scarpe: «Ero abituato a giocare scalzo»). E l'anno dopo lo stesso Sogliano se lo porta a Verona, dove Donsah conquista tutti e riceve un regalo dai veterani Moras e Agostini: una valigia. Esordisce in A con la maglia scaligera alla fine del campionato scorso (i venti minuti finali di una vittoria a Bergamo). Poi in estate il Cagliari offre 2,5 milioni per prenderlo a titolo definitivo, e quella valigia è già il momento di usarla. I sardi anticipano Bayern Monaco, Borussia Dortmund e Manchester City, che si erano interessati.

Mediano dinamico, brevilineo (175 cm per 72 kg), potente ma con criterio (quest'anno una sola ammonizione in 19 presenze). Dice di ispirarsi al connazionale Essien, lo chiama “My longtime mentor”. Ancora più logico, a vederlo con la maglia rossoblù, è il paragone con Nainggolan. Perché non è solo un interditore, ma un centrocampista completo: a questo punto della stagione ha fatto due gol e un assist, mostrato dribbling, inserimenti, visione di gioco. In mezzo al campo ci sta con naturalezza, i suoi diciotto anni non si direbbero: Donsah non si nasconde, ma nemmeno si mette in mostra.

Agli allenamenti del Cagliari ci va in macchina, con una Fiat Panda, perché gli allenamenti di Zeman sono così duri che «dopo non si riesce più a camminare». A inizio stagione il boemo l'ha provato volentieri, ma solo una volta l'ha fatto partire dall'inizio. È stato Zola a dargli il posto di titolare, e Donsah ha fatto talmente bene che ora anche Zeman, tornato sulla panchina sarda, si è convinto a lanciarlo dal primo minuto.

Ci sono nove partite davanti al Cagliari, per evitare il ritorno in B. Nel frattempo su Donsah si muovono grandi squadre, in Italia e fuori. E dopo un anno sembra già tempo di rifare quella valigia.

José Mauri, Parma

D'accordo, è difficile valutare i singoli in un'agonia come quella del Parma 2014/15. Ma forse per José Mauri da Realicó si deve fare un'eccezione. Perché qualcosa vorrà dire se c'è anche lui (terzo classificato) sul podio delle presenze scudate in una stagione di tempesta. Lui, che è del '96, il più giovane in Italia a essere schierato con questa regolarità. E che oggi, a diciotto anni, resta lucido nonostante i Ghirardi, i Taçi, i Manenti, le penalizzazioni, gli screzi.

È un oriundo, José Mauri. Argentino di nascita, già nel 2012 trovava posto nell'Under-17 italiana di Zoratto. Il suo paese, Realicó, settemila abitanti, sta nella pampa e lui stesso dice che «ci stanno più mucche che persone». In Italia ci era arrivato nel 2009, per un provino a Brescia, e nel 2010 ci si era stabilito: a Parma, grazie al ds Preiti, dove rapidamente ha percorso la trafila delle giovanili.

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Esordisce in Serie A durante la scorsa stagione (due presenze, 10 minuti totali). Quest'anno salta le prime tre giornate, alla quarta c'è Parma-Roma e per la prima volta ha il posto nell'undici titolare. Alla fine della partita gli chiedono: «È il giorno più bello della tua vita?», e lui risponde: «No, no. Ormai non devo pensare come quel ragazzino che dice: Ho fatto l'esordio...». È concreto, ambizioso. Da quel giorno verrà praticamente sempre schierato dal primo minuto.

Ambidestro, brevilineo e tosto, ha esplosività e intelligenza tattica. È un buon esempio di centrocampista moderno, capace di unire quantità e piedi educati, garra e tecnica. Se finora aveva giocato da mediano davanti alla difesa, Donadoni l'ha trasformato in una mezzala dinamica, gli ha chiesto di fare il Parolo e inserirsi di più in avanti. Tra i ducali è quello che ha subito più dribbling: e non mi sembra ingenuità, quanto una testimonianza del suo modo generoso (d'altronde in questa classifica sta dietro a gente come Vidal).

Un diamante che certo il Parma non potrà trattenere nella polvere, José Mauri da Realicó. Lo seguono i top club europei, in Italia ci sono Milan e Juventus su tutte. Per come la vedo sarebbe bello continuasse a giocare con regolarità, piuttosto che ingrigire in panchina o in un settore giovanile. E sarebbe bello potesse succedere in Italia.

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