«We’ve got a diamond called Ross Barkley». A partire dalla seconda birra, i tifosi dell'Everton riescono a cantarlo anche dieci, venti volte di fila. Il ritmo è quello di "Bad Moon Rising" dei Creedence Clearwater Revival: per capirci, lo stesso di "Brasil, decime qué se siente", tormentone albiceleste dell'ultimo Mondiale, quello in cui Barkley ha debuttato, lasciando intravedere lampi di quel talento che aveva già abbagliato per un anno intero gli spettatori di Goodison Park. Tornato dal Brasile ha vissuto una stagione tra alti e bassi, ma i tifosi non hanno quasi mai dimenticato di fargli sentire il loro affetto. Forse per convincere il ventunenne a non cambiare squadra, a non fare come un'altra giovane promessa cresciuta lì, Rooney, passato da Once a Blue, always a Blue al rosso del Manchester United nel giro di due anni. Barkley, come Rooney, sembra troppo forte per restare a vita nell'Everton.
A Toffee who comes from Wavertree
Spezzarsi una gamba in tre parti dev'essere dura. Se fai il calciatore, molto dura. Se ti succede proprio quando, dopo tutta la trafila con le giovanili, l'allenatore ti dice che ormai sei pronto, a 16 anni, per il battesimo con la prima squadra, quella per cui fai il tifo sin da bambino, tremendamente dura. Ma Barkley, calcificate le fratture, ha ripreso il discorso da dove l'aveva lasciato: esordisce alla prima del campionato successivo uscendo dal rettangolo verde col premio di migliore in campo. «È giovane, ma sarà uno dei migliori calciatori mai visti in questa nazione», la previsione a caldo di Martin Keown, opinionista della BBC ed ex-difensore dell'Arsenal.
Come dice il coro a lui dedicato, Barkley viene da Wavertree, area del sud di Liverpool pullulante di studenti universitari. La domenica la trascorreva giocando a Picton Park, playground circondato da case in mattoncini rossi: «A volte ci andavo solo per guardare gli altri. Mi piaceva anche giocare a 'headers and volleys' (quella che, in alcuna parti di Italia, è nota come 'tedesca'). Se perdevi, gli altri potevano prenderti a pallonate nel sedere. Ci si divertiva sempre». A quindici minuti di macchina da lì sorge Goodison Park, lo stadio dove Ross ha sempre sognato di giocare: «Iniziavo molte frasi dicendo «Se dovessi giocare nell'Everton…», ma mia madre (da cui Barkley ha preso il cognome, per via di un rapporto conflittuale col padre) mi correggeva «No, quando giocherai nell'Everton…».
La rete di scout dei "Blues", in effetti, si accorge abbastanza presto di lui, lo monitora per un po' e nel suo ultimo anno di scuola elementare lo mette sotto contratto. «Qualcuno un giorno mi ha detto che per capire se un giocatore è mancino o destrorso basta farlo calciare dagli undici metri. La prima volta che ho chiesto a Ross di tirare dei rigori ne ha calciati quattro, due con un piede, due con l'altro, e li ha trasformati tutti». Questo uno dei primi ricordi di Ray Hall, l'allenatore che ha seguito la crescita di Barkley fino ai 16 anni, nonché, a quanto si dice, l'uomo che ha scoperto Wayne Rooney.
A 14 anni mette piede per la prima volta sull'erba del vicino, perché ad Anfield si gioca la finale della Echo Cup tra la sua scuola superiore, la Broadgreen International School, e l'All Saints Catholic High School. Viene schierato al centro della difesa, con la maglia numero 6 e il suo soprannome "Rossi" sulle spalle. Il dominio fisico sugli avversari è imbarazzante, nel corso della partita si invola più volte in attacco palla al piede, per il disappunto del suo allenatore, che gli diceva di tenere la posizione, ma alla fine ha ragione lui: due reti e vittoria per 3-1. A premiarlo a fine partita c'è Benítez, allora allenatore del Liverpool.
Da quel momento viene schierato sempre più spesso da centrocampista, più o meno avanzato, e inizia una rapida rincorsa al suo obiettivo. Brucia le tappe: a 13 anni gioca nella selezione inglese Under-15, a 14 nell'Under-16, a 15 nell'Under-18, a 16 nell'Under-19. È proprio con quest'ultima compagine, impegnata in una gara di qualificazione all'Europeo di categoria, che si procura la doppia frattura della gamba in uno scontro col compagno di squadra Andre Wisdom.
Dopo la guarigione e il debutto in Premier League, a metà settembre David Moyes (secondo cui il ragazzo «deve ancora maturare molto e ha bisogno di essere sicuro di non perdere la palla nelle zone sbagliate del campo») decide di mandarlo a farsi le ossa in Championship, prestandolo fino a dicembre allo Sheffield Wednesday, dove segna 4 reti in 13 partite, e da gennaio al Leeds, per sole 4 presenze.
Tornato alla casa-base nell'estate del 2013, sulla panchina non trova più lo scozzese, bensì Roberto Martínez, che gli dà fiducia sin dall'inizio: «Il periodo in prestito e il lungo infortunio che ha dovuto superare lo fanno sembrare più vecchio di quanto non sia. Quello che ha fatto nel precampionato lo dimostra». L’esordio in Premier League, una trasferta a Norwich, è l'occasione giusta per realizzare uno dei sogni della sua infanzia.
«Coleman aveva la palla sulla fascia destra e io stavo per entrare in area, ma poi lui è andato dentro, così sono rimasto al limite. Mi ha dato il pallone e tutti gli avversari sono venuti verso di me. L'ho portato sul destro, poi sui sinistro, così da avere spazio per il tiro. Quindi sono semplicemente corso verso il settore dei tifosi dell'Everton, ero impazzito».
I cento riflessi del diamante
Così come un diamante esposto a una fonte luminosa riflette molteplici gradazioni di colore, diverse sono le risposte che vengono fuori alla domanda «chi ti ricorda Barkley?».
Come altri prima di lui, il centrocampista dei "Toffees" è stato spesso paragonato a Paul Gascoigne. Fortunatamente non per i momenti di squilibrio che hanno caratterizzato la carriera dentro e fuori dal campo dell'eroe inglese di Italia '90. Il coraggio, la creatività e soprattutto la grande facilità di corsa rendono il confronto più che sensato, ma non per l'ex-Lazio: «Non ci sarà mai un altro Gazza, ma c'è un Ross Barkley che può diventare uno dei migliori giocatori del Paese. Mi è piaciuto l'altra sera contro la Scozia perché, appena entrato, giocava come se fosse una partitella d'allenamento». Si riferiva all'amichevole dello scorso novembre a Celtic Park, in cui, a onor del vero, Barkley perse il primo pallone toccato facendo infuriare il c.t. Hodgson. Anche quest'ultimo, però, condivide il parallelo: «Gascoigne era un giocatore potente, forte nel correre palla al piede; quando partiva e superava gli avversari questi non riuscivano più a prenderlo. Lo stesso vale per Ross Barkley». La resistenza fisica del nativo di Liverpool sembra essere anche di un livello superiore rispetto a quella di Gazza. In questo, forse, la genetica ci ha messo lo zampino. Il padre di Barkley, Peter Effanga, operaio metalmeccanico, è per metà nigeriano: magari non gli avrà dato il cognome, ma gli ha probabilmente trasmesso la velocità esplosiva dei suoi avi.
Gascoigne è alto 177 centimetri, Barkley 189. Anche per questo Martínez ha definito il secondo un ibrido tra Gazza e Michael Ballack, che fisicamente lo ricorda di più. Anche l'ottimo tiro dalla distanza, con entrambi i piedi, e la frequenza con cui viene cercato è un tratto comune col tedesco, che però avrebbe molto da insegnargli su come rendersi pericoloso negli inserimenti e sfruttare al meglio tutti quei centimetri nel gioco aereo, due aree quasi totalmente inesplorate dal giovane inglese.
Paul Scholes si è unito alla discussione la scorsa estate, prima dei Mondiali. «Stavo guardando l'amichevole Inghilterra-Ecuador nella sala d'attesa di un aeroporto, un po' lontano dallo schermo. Nel primo tempo Barkley ha fatto uno scatto e io ho pensato: 'Porca miseria, quello è Rooney?'. Barkley mi ha riportato al Rooney di Euro 2004. Ho avuto bisogno di una seconda occhiata perché credevo fosse Wayne». Vedere l'uno andare all'inseguimento dell'altro nel recente confronto tra Everton e Manchester United ci fa capire che Scholes non soffre di allucinazioni: la postura dei due nella corsa è quasi identica. Ma al di là di questo, e della comune provenienza dall'academy dell'Everton, è difficile trovare altre somiglianze significative. Sebbene Rooney nella sua carriera sia stato schierato anche sulla trequarti, come ala e addirittura a metà campo, il suo ruolo naturale resta quello di attaccante. Le sole due reti realizzate nella stagione in corso segnalano come, almeno per ora, Barkley non abbia lo stesso senso del gol del numero dieci dello United.
Ricapitolando: la corsa di Gascoigne, il fisico e il tiro da fuori di Ballack e l'andatura di Rooney (a questa scomposizione da pittore cubista qualcuno ha aggiunto anche le punizioni di Beckham, ma una palla mandata oltre la barriera, sebbene con un cranio accuratamente rasato, non può essere sufficiente). Più in sintesi, Keown l'ha definito «la cosa più simile a Steven Gerrard che abbiamo. Ha ancora tanta strada da fare per diventare il giocatore completo che è Gerrard, ma ha tutto il potenziale per essere il leader della sua generazione».
Quando gli hanno chiesto se non corresse il rischio di montarsi la testa a causa dell'incessante ronzio di questi paragoni così pesanti, il diretto interessato ha detto: «Io rimango sempre con i piedi per terra. Non dimentico da dove vengo».
Curva di apprendimento
Fatto sta che in questa stagione, in cui era chiamato a salire almeno un altro gradino per consacrarsi, ha deluso molti critici.
L'anno scorso, dopo la rete a Norwich, aveva inanellato una serie di prestazioni di altissimo livello, fondamentali per assicurare all'Everton un ottimo quinto posto e a lui una convocazione alla Coppa del Mondo che pochi mesi prima non era nemmeno ipotizzata.
Il gol contro il Manchester City che chiude il video è stato votato dai tifosi dell'Everton come il più bello della stagione.
Giocava soprattutto trequartista centrale nel 4-2-3-1 di Martínez. In quel ruolo Barkley ama svariare lungo tutto il fronte d'attacco ed è ben consapevole della sua posizione in relazione a quella del resto dei compagni, cui riesce sempre a offrire un'interessante linea di passaggio. Quando l'Everton recupera palla ci mette un po' a raggiungere la massima velocità, ma poi diventa inarrestabile, specie quando taglia dalla sinistra verso il centro del campo. Appena ne ha lo spazio lascia partire il tiro, magari dopo un uno-due con la prima punta. Pur non disdegnando la giocata ad effetto, non è uno di quelli che ricorre compulsivamente ai trick; ha sì una predilezione per il colpo di tacco, ma per lui non è quasi mai onanismo, quanto uno strumento utile per guadagnare un tempo di gioco.
A cavallo tra la stagione passata e quella in corso lo sponsor tecnico ha scelto lui per chiudere il bellissimo spot di presentazione della nuova maglia, che ripercorre la storia dell'Everton attraverso i volti e le voci di alcuni che hanno aiutato a scriverla.
Fabric since 2005.
Dopo una Coppa del Mondo non indimenticabile per la sua Inghilterra, in cui ha comunque avuto un buon impatto come sostituto, ha firmato un'estensione contrattuale fino al 2018 con l'Everton. Prima dell'inizio della stagione si è fatto ancora male, questa volta una lesione al legamento mediale del ginocchio che l'ha tenuto fuori per i primi due mesi di campionato.
A metà dicembre, in occasione del match vinto 3-1 col QPR, Martínez l'ha provato davanti alla difesa in coppia con Bešić. Barkley si fa notare per qualche buon tackle, un lancio di 50 metri col piatto, di prima intenzione, che pesca in area Naismith e una rete degna del miglior Gazza. A fine partita gli viene chiesto se gli piace il nuovo ruolo. «Mi piace giocare in qualsiasi ruolo, ma la cosa più importante era vincere» fa lui, col suo buffo accento Scouse e quell'espressione smarrita che ha sempre sul volto. Non soddisfatto della risposta, il giornalista lo incalza chiedendogli se pensa di poter incidere maggiormente sulla partita giocando più arretrato: «Ovunque venga schierato in campo io cerco di incidere, oggi giocavo lì perché Barry era indisponibile. Ma mi è piaciuto».
Nel resto di un campionato molto deludente per tutto l'Everton, è stato schierato anche da ala sinistra, ruolo che, pur non venendo interpretato alla lettera, lo limita parecchio. Ultimamente ha giocato da interno di centrocampo nel 4-1-4-1, in coppia con McCarthy e con Barry alle spalle. In fase difensiva il ragazzo di Wavertree appare piuttosto passivo, si limita a fare densità dietro la linea del pallone, cercando raramente tanto il contrasto quanto l'intercetto dei passaggi. Inoltre, la costruzione dell'azione dalle retrovie non sembra proprio essere la sua tazza di tè. A fine marzo, all'interno del magazine televisivo Premier League World, gli è stato chiesto quale reputa essere la posizione migliore per lui e a differenza di qualche mese prima non è stato per niente diplomatico: «Dietro un attaccante. Sento di poter avere il massimo impatto lì perché sono libero di girovagare per il campo, saltare gli avversari, avere spazio per il tiro e creare occasioni da rete».
Al di là della posizione in campo, sembra che Barkley, forse iniziando a soffrire il peso delle aspettative, abbia perso un po' di coraggio nelle giocate, che sono spesso di tipo conservativo. Non di rado al termine delle sue cavalcate si è limitato ad appoggiare il pallone all'indietro o sul lato invece di cercare il passaggio filtrante. Per essere un numero dieci la quantità di assist che produce è troppo bassa, e non da questa stagione: solo due quest'anno, nessuno nello scorso campionato, in cui però i sette goal realizzati hanno nascosto il problema: «Dal mio punto di vista non ho fatto bene come so di potere, ma cose del genere capitano. Devi passare attraverso giorni difficili per conquistarti i giorni belli della tua carriera. È tutta una curva d'apprendimento. Non sento la pressione. Credo in me stesso e so quello che posso fare». Anche Martínez ci crede e non ha mai perso occasione per lodarne pubblicamente la maturità: «È un giovane uomo che lavora molto molto duramente, uno che apprende facilmente, che ascolta».
Intanto sui social non hanno perso tempo per cominciare ad accusarlo di essere un simulatore e/o un sopravvalutato e a paragonarlo non più a quelli come Gerrard ma a promesse non mantenute del calcio inglese, come Rodwell (che per la verità avrebbe solo 24 anni). La sua risposta ideale agli haters sono le frasi motivazionali con cui si carica e che retwitta, come alcune citazioni celebri dei grandi della boxe, tra cui Mike Tyson, il suo principale idolo non calcistico.
Estate e Futuro
Questo giugno Barkley, sebbene convocabile, non prenderà parte alla spedizione dell'Under-21 inglese in Repubblica Ceca per l'Europeo di categoria. La decisione del c.t. Southgate ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Martínez: «Avendo già giocato la Coppa del Mondo in Brasile, è giusto che Ross si concentri sulla Nazionale maggiore (Hodgson l'ha convocato per le prossime due partite). Ma ora ha bisogno di una bella pausa. Noi siamo molto eccitati per il suo futuro».
Presto, però, torneranno a farsi sentire le sirene del mercato. Il suo nome già in passato è stato accostato a tutte le big del calcio inglese, con in testa il Manchester City, che sarebbe disposto a spendere 45 milioni di sterline per assicurarsi il suo potenziale (il suo realistico valore attuale sarebbe certamente inferiore). L'ex capitano del Liverpool Carragher con un tweet provocatorio ha consigliato ai "Reds" di acquistarlo per sostituire Gerrard. Quest'ultimo, al contrario, gli ha detto di non lasciare mai l'Everton, perché «non c'è niente di meglio che giocare per la squadra della propria città».
In caso contrario, Barkley saprebbe già cosa aspettarsi. Nei minuti finali del match di Goodison Park contro il Manchester United, col punteggio già fissato sul 3-0 per i padroni di casa, è stato sostituito ed ha ricevuto una calorosissima ovazione. Pochi secondi dopo ha lasciato il campo anche Rooney: solo buu e fischi per lui. Once a Blue, always a Blue?