Siamo sinceri, le Olimpiadi durano finché non iniziano le ferie, quindi ora che Carambula e Ranghieri sono usciti negli ottavi anch’io posso fare finalmente la valigia e andare in giro per le spiagge di tutto il mondo evangelizzando l’unica cosa che ho imparato dalla full immersion di Rio. La Skyball.
Durante la terza partita del girone, con la coppia italiana sotto 8 a 12 nel secondo set dopo aver perso in volata il primo, su una ricostruzione confusa la palla esce sporca dal bagher di Ranghieri e il suo compagno, Adrian Igniacio Carambula Raurich, decide che il modo migliore per spedirla dall’altra parte della rete sia quella di colpirla con la mano di taglio, dal basso verso l’alto, fino a farla scomparire tra gli inediti nuvoloni carioca. Quando ripiomba verso le sagome dei beachers brasiliani è un chicco di grandine in cuoio che nessuno riesce a controllare finché non impatta la sabbia bagnata di Copacabana.
È un momento lirico, che ovviamente la regia Rai si perde staccando inopinatamente su un tifoso con maschera di Point Break e maglia della Flu(minense). Il che ha un senso perché anche l’arbitro avrebbe dovuto seguire le direttive Rai e fare lo stesso, fermare la partita e darci la vittoria. Come se la skyball fosse un ippon a judo (non so cosa sia realmente, l’ho scoperto ieri), una fatality a mortal kombat o una spalletta a tedesca.
Invece il direttore di gara ha assegnato un punto all’Italia come se uno valesse realmente uno e la partita è andata avanti, fino alla fisiologica vittoria dei padroni di casa.
Non ho mai capito perché il Beach Volley sia uno sport olimpico ma quest’anno sono molto felice che lo sia, specialmente ora che possiamo tifare per uno dei giocatori più folli dell’intera manifestazione a cinque cerchi. Il fatto che in una kermesse nata per celebrare la fratellanza tra i popoli e le nazioni ci sia un atleta che spedisce in orbita il pallone di gioco come si fa allo Zion di Ostia dopo qualche negroni di troppo ha la stessa meravigliosa iconoclastia dei baffetti alla Gioconda. Carambula con i suoi occhiali scuri e la battuta da karateka ad illuminare il cielo di Rio ci ha messo poco a diventare l’idolo indiscusso delle nostre nottate italiane.
Il suo cognome evocativo è schizzato tra i #trendingtopics e le partite della coppia italiana sono diventati uno di quegli instant cult che solo l’Olimpiade sa costruire. È il classico uomo giusto al momento giusto, in un’epoca in cui la Nazionale stenta a costruire personaggi dotati di grande potere narrativo, in uno sport che finalmente ha trovato la sua naturale collocazione.
Il Beach Volley ha debuttato ad Atlanta nel 1996 ma per varie edizioni è rimasto un’incongruenza nel programma olimpico, anche perché nessuno ha mai capito dove nascondere uno stabilimento balneare all’interno del tessuto cittadino (con l’eccezione di Sydney). In un certo senso è servito un ventennio affinché si decidesse di ribaltare lo status quo, ovvero costruire tutte le strutture in contrasto con il paesaggio urbano e installare il campo da beach dove appartiene da sempre, su una delle spiagge più celebri al mondo.
Anche se la decontestualizzazione della Londra Vittoriana è da apprezzare, nulla ha più senso di assegnare medaglie olimpiche sulla sabbia di Copacabana.
Quella lingua che corre tra la terra e l’oceano, tra Avenida Princesa Isabel e Ipanema, non è semplice un meraviglioso cumulo di arenaria. È la manifestazione calcarea di una filosofia di vita che trascina all’ombra di un ombrellone e affoga dentro una Caipirinha i dispiaceri della quotidianità. I brasiliani vivono la spiaggia come io vivo il divano durante le Olimpiadi, è un luogo-mondo in cui tutto si piega alle regole del contesto. In qualche modo Carambula è divenuto lo stimmung di una vita in costume da bagno, testimonia la superiorità intellettuale di chi guida il T-max in havaianas e dà l’impressione che gli articoli su come si possa vivere in vacanza 365 giorni l’anno contengano delle verità.
Il suo modo di usare lo spazio circostante è completamente diverso rispetto a chi è cresciuto nella pallavolo indoor ed è abituato ad uno spazio neutro, asettico. L’idea stessa della skyball risiede nella sua permeabilità, nel suo inserirsi in uno spazio già fortemente connotato dalle sue caratteristiche atmosferiche. Il campanile ad effetto di Carambula usa a proprio vantaggio le correnti gravitazionali per creare traiettorie su cui nessuno ha controllo, neanche colui che le innalza con il dorso della mano. Quando gli viene chiesto di spiegare il suo gesto tecnico, il beacher si rifugia in risposte che sfiorano l’elemento mistico, immanente dello stesso. In effetti la Skyball è un gesto performativo che esula dal contesto agonistico della competizione, sospende nella sua curva parabolica il fatto che sulla sabbia sottostante ci siano atleti impegnati nella gara della vita sotto la spinta di musica tamarra sparata a tutto volume. Il pallone sparisce dall’inquadratura della telecamera, scomparendo per alcuni istanti alla vista degli spettatori.
“Non vedo alcuna Rio da quassù”, afferma la sfera di cuoio appena raggiunge i primi cirrocumuli della stratosfera, da lì anche il Cristo Redentore sembra un pupazzo del presepe. Poi l’inevitabile discesa verso il centro della terra, tornando in quel rettangolo convenzionale delimitato dalle fettuccie sulla sabbia umida.
La Skyball non è solo il gesto più pazzo, imitabile e retwittabile di Rio 2016. Rappresenta anche una speranza per le Olimpiadi, ormai desautorate del loro valore simbolico e investite da ondate di polemiche su sostenibilità, ingerenze politiche e scandali doping. In questo gigantesco polverone la battuta di Carambula rappresenta un ritorno al puro divertimento, alla competizione come gara di swag e non come scontro tra extraterrestri. Sul campo di Copacabana si sta giocando l’Olimpiade migliore, quella in cui tutti si possono identificare, sia chi è già al mare sia chi lo sogna da dietro una scrivania.
Diventa facile tifare per Carambula, uruguaiano ma cresciuto nei barrios hispanici di Miami, che ha giocato a calcio con Suarez e non ha mai poggiato piede su una superficie che non fosse bianca e granulosa. A lui il compito di unire lo spirito decoubertiano con l’Aquafan di Riccione, la mitologia greca e i falò sulla spiaggia. Perché se a Ferragosto non fai la Skyball con il supersantos non sei nessuno.