Serena Williams fa ventidue, due più due: due segni di vittoria sulle mani, due record eguagliati, entrambi di Steffi Graf, quello del totale degli Slam vinti, ventidue appunto, e quello dei Wimbledon vinti, sette, ed entra ufficialmente nella Storia.
Nella puntata precedente…
A Melbourne, quando Serena Williams e Angelique Kerber si sono scontrate per la prima volta nel 2016, in palio c’era l’Australian Open. La tedesca faceva il suo miglior risultato in carriera in uno Slam, vincendo contro la statunitense 6-4 3-6 6-4 e portandosi al numero due in classifica WTA. Prima di gennaio, le due si erano incontrate già sei volte e Kerber aveva vinto solo nei quarti a Cincinnati nel 2012 con 6-4 6-4.
Angelique Kerber approda in finale dopo aver battuto Misaki Doi, salvando un match point, Alexandra Dulgheru, Madison Brengle, Annika Beck, ma soprattutto Victoria Azarenka e Johanna Konta. La vittoria per 6-3 7-5 su Azarenka è il punto di svolta del torneo: mostra una Kerber assennata, che si guadagna meritatamente il passaggio del turno contro un’avversaria di esperienza – Azarenka ha conquistato l’Australian Open nel 2012 e nel 2013 – con una potente determinazione mostrata soprattutto nel secondo set quando, sotto 5-2 40-0, invece di prepararsi al terzo, decisivo set ribalta tutto e vince cinque giochi consecutivi.
Serena Williams arriva alla sua ennesima finale dopo aver vinto contro Camila Giorgi, Su-Wei Hsieh, Daria Kasatkina, Margarita Gasparyan, Maria Sharapova e Agnieszka Radwanska, tutte vittorie nette e quasi mai a rischio, eccetto quella contro l’italiana per 6-4 7-5, quando nel secondo set vacilla e subisce il ritorno di Giorgi. La statunitense non gioca una partita dalla semifinale di New York dell’anno precedente contro Roberta Vinci, non ha partecipato alle Finals di Singapore e ricomincia il 2016 saltando il torneo di Brisbane. L’Australian Open, dunque, diventa il terreno per ritrovare certezze appannate, ma è ancora troppo presto: il match point della finale è simbolicamente una facile volée di dritto che Williams manda troppo lunga.
Come contro Victoria Azarenka, invece, Angelique Kerber dimostra di avere trovato una mentalità vincente: Serena Williams in conferenza stampa dice di essere stata ispirata da questo suo atteggiamento positivo. Se da un lato la tedesca è in crescita, dimostra di poter battere con il bel gioco, la concentrazione e l’atleticità l’avversaria impossibile, conquistando punti senza fretta né ansia, dall’altro la statunitense è vulnerabile come poche altre volte nell’ultimo anno e mezzo e Kerber sa approfittarne.
Tre esempi ai minuti 0:41, 1:14 e 3:24, quando Kerber, sia in ricezione sia al servizio, colpisce Williams in profondità, difende lo scambio e trova il punto allargando il gioco sugli angoli.
Cinque mesi dopo
Dopo la vittoria a Melbourne, Angelique Kerber vive mesi altalenanti: esce al primo turno a Parigi e a Madrid, al secondo turno a Doha e a Indian Wells, perde in semifinale sia a Miami (questa volta la spunta Victoria Azarenka) sia a Charleston e ai quarti del torneo di Birmingham, torneo-preludio di Wimbledon, trovando consolazione solo vincendo sulla terra casalinga di Stoccarda.
Lo Slam sull’erba, però, la risolleva. Gioca e vince 7-5 7-6 la partita in assoluto migliore del torneo fino a quel momento: il quarto contro Simona Halep.
C’è tutto: l’intensità, la tecnica, Halep che recupera palle difficili, Kerber che attacca con precisione e potenza.
In questa partita, la tedesca ipoteca la finale, perché alza l’asticella del suo gioco molto in alto, riesce a migliorare se stessa rispetto all’inizio del torneo: se si fosse trovata di fronte la numero uno, questo bagaglio le sarebbe tornato utile. Halep è in forma e determinata, sta disputando un ottimo torneo, ma Kerber vince con la concentrazione.
È difficile fare meglio di così, occorre l’avversaria giusta.
Serena Williams, dopo aver perso due finali di Slam nel 2016 e all’asciutto di trofei importanti da Wimbledon 2015, torna sull’erba al meglio: il suo allenatore, Patrick Mouratoglou, dirà infatti che «la vera Serena è tornata». Precisione, attenzione ai dettagli di gioco, la possibilità di andare oltre ogni aspettativa: le qualità a cui la statunitense aveva abituato tutti e che da un anno avevano perso la strada di casa. Ma per Serena Wimbledon è casa.
Angelique Kerber e Serena Williams si affrontano senza risparmio, giocando il loro tennis migliore e regalando uno spettacolo straordinario.
La partita si decide al servizio e in due momenti, alla fine di ciascun set, quando Williams riesce ad aggiungere qualcosa.
Mettiamoci comodi.
Cambi di ritmo, palle corte, passanti molto angolati, flipper sotto rete, corse da parte a parte del campo, e come sottofondo una incredibile carica agonistica. È stata una delle migliori finali del torneo degli ultimi anni, un incontro bello di per sé, senza sovrastrutture narrative, ma fatto di gioco puro, di scambi eccellenti e punti emozionanti.
Serena vince soprattutto grazie al servizio, conquistando l’ottantotto per cento dei punti sulla sua prima palla, oltre a tredici ace, e trasformando due palle break su sei. Angelique, dall’altra parte, non approfitta dell’unica occasione della partita per strappare il servizio all’avversaria e cede sull’impostazione di gioco. In un match equilibrato sulla tecnica e la mobilità sul campo, la precisione, l’esperienza e la determinazione fanno la differenza.
Il record
«È questione di esperienza, di successo, di fallimento, di tutto ciò che mi ha dato la possibilità di essere pronta in queste situazioni. […] Penso sia fantastico. Voglio dire: per chiunque altro nel mondo sarebbe un risultato meraviglioso. Per me è ovviamente avere il trofeo e vincere che significa un migliore risultato per me e… e per me non è abbastanza, ma penso che questo mi renda diversa, faccia di me Serena»
Se dovessi scegliere un momento di quest’intervista post-semifinale di Wimbledon per decifrare Serena Williams, sarebbe il momento in cui sorride quando dice «per me non è abbastanza». È un movimento della bocca che fa il verso alla banalità della vittoria, all’abitudine a riuscire sempre a superare la volta precedente.
Ogni atleta può decidere di confrontarsi con un record, nient’altro che un limite potenziale. Ma gli albi d’oro esposti nelle bacheche, immobili, sono lì perché possa esserci qualcuno capace di rompere la teca e ridefinire quel confine. C’è, quindi, un senso oggettivo del record, e un senso soggettivo, l’immaginazione di poter superare la soglia.
Con Serena non si sa mai e non è affatto detto che sia finita qui.