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12 ott 2017
La redazione si è esposta scegliendo ognuno il proprio undici ideale.
(articolo)
26 min
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Qual è il mestiere più difficile del mondo? Dunque, vediamo. Non solo per le conoscenze richieste, ma anche per la pressione mentale, in ordine sparso mi vengono in mente: l’anestesista-rianimatore (soprattutto per quanto riguarda la parte di rianimazione), il fisico nucleare, l’artificiere (specie quello che toglie le mine), l’astronauta, il cardiochirurgo, l’operaio in Qatar, il ricercatore universitario in Italia, l’assessore al bilancio di Roma. Poco sotto questi mestieri c’è l’allenatore della Nazionale di calcio italiana (poco sotto ancora, l’allenatore di una squadra di Zamparini).

Perché d’accordo, le ultime partite di qualificazione non sono state entusiasmanti, ma effettivamente è troppo facile criticare dall’alto del nostro punto di vista privilegiato, cioè dall’alto del frigogelati con sopra disteso come una tovaglia il Corriere dello Sport o la Gazzetta di turno. E fateci caso, quando la discussione scivola sul “io farei giocare Tizio” oppure “perché non usiamo il 3-1-2-1-2-1-1 che usano le squadre vincenti”, la violenza delle critiche è la stessa usata per il vero C.T.

Per questo ho chiesto alla redazione dell’Ultimo Uomo di mettersi alla prova provando a immaginare un 11 alternativo a quello di Ventura, con cui idealmente presentarsi in Russia se lo spareggio andasse bene. È bene dire che il mestiere di un allenatore non si riduce alla scelta dei giocatori e che nessuno tra gli autori che leggerete pensa davvero di poter fare meglio di Gian Piero Ventura e del suo staff. Il rispetto per la professione di allenatore però non deve fare da ostacolo alla nostra immaginazione. Quindi prendete il pezzo che state per leggere con la dovuta leggerezza (e tenete conto del fatto che i giocatori sono stati scelti in base allo stato di forma di oggi, o per come si può immaginare che arrivino a giugno). Come sempre giochiamo il più seriamente possibile, ma stiamo sempre solo giocando.

D’altra parte è vero anche che se “siamo tutti C.T.” nessuno è più C.T di un altro. Per cui lasciateci la vostra formazione nei commenti, siamo curiosi di testare anche la vostra di immaginazione.

Daniele Manusia

La Nazionale iper-associativa di Emanuele Atturo

Le ultime prestazioni dell’Italia mi hanno turbato così tanto che l’unico sforzo possibile che posso fare è immaginare una Nazionale il più possibile lontana da questa. Magari non l’Italia migliore possibile, ma un’Italia rivoluzionaria. Se quindi la Nazionale di Ventura sembra stretta in un percorso che ha nel suo punto finale l’abolizione definitiva del centrocampo, la mia sarà interamente fondata sul centrocampo.

Siamo ancora aggrappati a una certa idea di noi stessi, quella di una squadra arcigna, fondata sull’equilibrio difensivo, sui centrocampisti che portano le borracce, un 10 che inventa e un 9 che spacca la porta. Non riusciamo a emanciparci dalla nostra idea di pragmatismo neanche quando sarebbe la scelta più pragmatica da fare. Quella di Ventura era una scelta di continuità, di conservazione, in un certo senso per limitare i danni: far scomparire il gap di talento con le altre nazionali all’interno della rassicurante scorza del 3-5-2. Ma è poi così vero che l’Italia è una squadra senza talento, che dobbiamo sempre arrangiarci con le poche armi a disposizione?

Secondo me, invece, l’Italia ha a disposizione molto talento, che però ha la controindicazione di essere troppo peculiare per adattarsi al contesto che ha in mente Ventura. I nostri migliori giocatori (o quelli che secondo me sono i nostri giocatori migliori, ma quando sei C.T. questa sottile sfumatura scompare) sono dei palleggiatori brevilinei, che amano giocare un calcio di controllo, con il pallone, con una struttura posizionale definita e una certa densità in zona palla. Un calcio quindi meno verticale e diretto, più lento e di controllo, che assecondi il talento di quei giocatori italiani che amano toccare molto il pallone, lasciandoli giocare al ritmo che preferiscono.

Quindi, la difesa dovrebbe essere a 4. Caldara e Bonucci sarebbe una coppia centrale perfetta per far partire l’azione da dietro, in conduzione tagliando le linee in verticale o anche lanciando lungo, come sanno fare entrambi. Caldara è in condizioni di autentica onnipotenza e riuscirebbe a coprire ogni tipo di buco difensivo aperto eventualmente da Bonucci, che invece oggi è in condizioni deprimenti. Quello degli esterni bassi sarebbe il problema più difficile da risolvere, finché non ci rendiamo conto di cosa abbiamo a disposizione: Emerson Palmieri a sinistra (se dall’infortunio torna lo stesso giocatore della fine della scorsa stagione), e Alessandro Florenzi a destra (lui è già tornato il giocatore che era prima dell’infortunio), sono due registi aggiunti, con qualche problema a difendere - più che altro Florenzi - ma se vogliamo essere rivoluzionari, si sa, non c’è spazio per pranzi di gala e fasi difensive troppo sofisticate.

A centrocampo i due migliori centrocampisti italiani attuali, Jorginho e Verratti, dovrebbero preoccuparsi di nascondere il pallone agli avversari e di dare il ritmo che preferiamo alla partita. Finalmente un’Italia che controlla il gioco, padrona del pallone! Vicino a loro servirebbe un centrocampista incursore, intenso e bravo a riconquistare il pallone in avanti. Sarebbe ideale avere già Barella, per avere maggiore completezza tecnica, ma il centrocampista del Cagliari ha appena 20 anni e aggiunge poca fisicità a un reparto che ne avrebbe bisogno. Quindi userei uno fra Cristante e Gagliardini. Se tutto va bene, più il primo che il secondo, visto che può inserirsi bene anche senza palla.

Ogni rivoluzione di gusto ha i propri sacrificati, e i miei sarebbero il “gallo” Belotti e Ciro Immoble, che sono forse i giocatori - o tra i - di maggiore valore del nostro movimento. Pensate però a quanto sarebbero a disagio degli animali dello spazio e della profondità come Belotti, in un’Italia così compassata, che si costringe ad attaccare in un campo piccolo.

Tagliamo la testa al toro: facciamo senza centravanti. Davanti, come prima punta, pronta a moltiplicare le linee di passaggio, ad alimentare il palleggio, a cucire il gioco con tutti, Simone Verdi. Un giocatore che ha le qualità tecniche per giocare nello stretto con i compagni, creare superiorità numerica e, soprattutto, concludere verso la porta con entrambi i piedi.

Alla sua sinistra, trequartista mascherato, nelle condizioni di poter esprimere il proprio istinto associativo e la propria creatività assolutamente unica, Lorenzo Insigne. Dalla parte opposta, attaccante esterno che parte largo per poi accentrarsi senza palla, Federico Chiesa. Il talento della Fiorentina aiuterebbe con i suoi tagli senza palla, ma anche con la sua esuberanza fisica, a restituire verticalità e tensione verso la porta a una squadra che rischierebbe di stagnare un po’ nel suo palleggio.

Una squadra di nani creativi, impossibile nella realtà ma divertente anche solo da immaginare. Non sarebbe in nessun modo fattibile anche considerando quanto sia difficile provare un gioco così definito, di controllo della palla, in Nazionale, dove non c’è mai tempo per preparare niente. Con questa provocazione volevo però farvi vedere quanti sono i mondi possibili che, chiusi nel nostro guscio, non riusciamo neanche a immaginare.

E se il talento fosse sotto i nostri occhi ma fossimo noi a non riconoscerlo? Se stessimo solo scegliendo uno degli infiniti modi per valorizzarlo, quello sbagliato? Se questa Nazionale spartana e sbiadita che abbiamo adesso non fosse l’unica possibile?

La Nazionale pratica di Alfredo Giacobbe

Dopo la formazione iper-associativa e provocatoria di Emanuele, io vorrei cominciare da una provocazione di tipo opposto: e se invece l’associatività fosse un lusso che, semplicemente, non possiamo permetterci?

Non intendo dire che a non poterselo permettere sia questa generazione di calciatori, ma proprio il nostro movimento, forse per intero e addirittura da sempre. Sono andato a rileggere alcuni vecchi articoli di Gianni Brera, che verso la fine degli anni Cinquanta auspicava l’adozione, per la Nazionale, di quella che all’epoca era la nuova frontiera della tattica: il catenaccio.

In estrema sintesi, il catenaccio risolveva una delle ambasce che si veniva a creare quando entrambe le squadre si sistemavano con il WM, il modulo imperante a quei tempi: quando cioè le tre punte in alto della W di una squadra (che corrispondono all’attacco: al centravanti e alle due ali) collimavano con i tre piedini della M dell’altra squadra (che corrispondono ai tre difensori). Così i difensori si trovavano praticamente sempre uno contro uno col diretto avversario molto vicino alla propria porta (se ripensate ai record di prolificità dell’epoca di attaccanti forti tecnicamente, ma soprattutto fisicamente, come Nordahl, capirete anche quanto era difficile la vita del difensore). Il catenaccio permetteva di avere sempre un uomo in più sull’ultima linea rispetto al numero di attaccanti avversari.

Tutti giocavano con il WM, ma perché secondo Brera non andava bene per la Nazionale? Quel modulo era nato in Inghilterra e Brera riteneva che il calcio a quelle latitudini era profondamente diverso dal nostro, addirittura lo erano anche gli uomini. Cito Brera: “Gli inglesi applicavano un calcio congeniale alla loro natura di lottatori irruenti ma anche adatto al clima nel quale giocavano. [...] Il dribbling era loro vietato: era in effetti proibitivo su terreni bagnati e pericoloso per la comune abitudine di portare il tackle con battute energiche, spesso violente”.

Il WM insomma era inadatto agli italiani “per indole e per costituzione morfologica”. Il gioco sviluppato intorno a quel modulo richiedeva molta resistenza per coprire il campo largo, una tecnica sopraffina per vincere i duelli individuali, e doti atletiche per spuntarla sui duelli aerei.

Siamo qui, sessant’anni dopo, ancora ad arrovellarci sull’identità tattica più idonea alla nostra Nazionale. E se ci arrendessimo alla nostra natura? Se ci facessimo attirare dal sapore nostalgico di un calcio rozzo, basato solo sulla difesa e agganciato speranzosamente a poche veloci, improvvise fiammate in contropiede?

Allora la mia proposta è quella di tornare alla madeleine del 5-3-2 con Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini a vestire i panni che furono di Zoff, Gentile, Scirea e Collovati nell’estate del ‘82. Sulle fasce la spinta di Spinazzola da un lato e l’eclettismo di Darmian dall’altro. Al centro, una cerniera formata da due mezzali atletiche, come Parolo e Pellegrini, ai lati di un regista di lotta e di governo, come Daniele De Rossi. Il capitano romanista sarebbe capace sì di spezzare e di ripartire ragionando, ma saprebbe trovare le punte anche con sua capacità di calciare lungo. Davanti mi affiderei senza dubbio alla vigoria fisica di Belotti e Immobile, se tengono la forma che hanno oggi. In aggiunta a questo, se fossi io l’allenatore della Nazionale, mi affiderei senz’altro ad un’abbondante quantità di preghiere e riti apotropaici.

La Nazionale duttile di Fabio Barcellona

La mia formazione si basa in parte sugli stessi presupposti di quella di Alfredo Giacobbe, solo che li declini in maniera meno antropologica e più legata alle scelte strategiche del nostro calcio. In Italia secondo me manca un substrato comune di indirizzi tattici e continuità di gioco, che in altri Paesi esiste e altre Nazionali hanno. Mi spiego meglio utilizzando l’esempio vincente dell’Islanda, che è arrivata al primo posto in maniera abbastanza sorprendente in un girone davvero complicato.

I giocatori sono pochi e il livello dei club basso: i calciatori di alto livello sono formati all’interno delle nazionali giovanili secondo un progetto tattico ben definito e si conoscono benissimo per avere fatto tutta la trafila fino alla Nazionale maggiore. L’Islanda è una squadra di club e come tale gioca. Ma, in maniera niente affatto paradossale, per un Paese piccolo e per i motivi esemplificati nel caso islandese, è più facile che la Nazionale sia un amplificatore del valore dei calciatori.

L’enorme base da cui attingere calciatori e l’importanza e la forza dei club rendono l’approccio islandese troppo distante dalle esigenze dell’Italia. Tuttavia, esistono realtà a noi vicine in termini di dimensione del movimento, parlo ad esempio di Francia e Germania, in cui la formazione dell’élite del calcio giovanile è appannaggio, in varie forme, della Federazione e, molto più che in Italia, la filiera delle Nazionali è pensata come un continuo. Ciò consente la creazione di un vissuto tattico comune e un grosso bagaglio di conoscenza reciproca spendibile anche a livello della Nazionale maggiore. Anche per questo è complesso immaginare un’identità tattica definita per la nostra nazionale.

Oltretutto in un momento, a mio pare, di declino tecnico, sarebbe una cosa di cui c’è bisogno. Anzi. Per affrontare il Mondiale in Russia (ogni scongiuro a questo punto della lettura è lecito), opererei in maniera induttiva, partendo dal campo e dalle cose migliori che il calcio italiano può offrire, per costruire attorno ad esse la migliore Nazionale possibile (immaginando di avere tutti i giocatori a disposizione e che abbiano risolto ogni loro infortunio).

Uno dei temi ricorrenti del discorso sulla Nazionale è il rendimento di Verratti e Insigne in maglia azzurra. In effetti, quelli che sono forse i due migliori talenti offensivi del nostro calcio, non esprimono in Nazionale il medesimo rendimento che mostrano nei loro club. È evidente che nessun giocatore è immune dal contesto in cui si trova a operare, a maggior ragione due giocatori associativi e, sebbene molto talentuosi, fondamentalmente di sistema come Verratti e Insigne. Io parto da loro due e dalla difesa, che nell’asse Barzagli, Bonucci, Chiellini, Buffon ha ancora un valore assoluto, per costruire la mia nazionale.

Sia Verratti che Insigne giocano, e hanno trovato la loro reale dimensione, all’interno di un 4-3-3. Per esaltare le caratteristiche associative del napoletano è fondamentale costruire una catena laterale che risponda in maniera coordinata ai movimenti verso gli spazi di mezzo dell’esterno offensivo di Sarri. Quindi è fondamentale un terzino capace di giocare un calcio di palleggio e di spingere nello spazio lasciato dai movimenti di Insigne. Per questo io punterei su Emerson Palmieri, sinistro educato, ottima spinta e capacità di dialogare con esterno e mezzala di riferimento.

A completare la catena serve un centrocampista intelligente e dinamico capace di occupare gli spazi in maniera coordinata e sincrona ai compagni di sinistra. Nulla di esotico, ma credo che in Italia il migliore interprete di questi compiti potrebbe essere ancora Marco Parolo. Sulla fascia opposta, Verratti dovrebbe invece giocare come mezzala di possesso, senza essere impegnato in scambi di posizione con gli altri componenti della catena. Che pertanto dovrebbe essere autosufficiente e muoversi in maniera più diretta e meno palleggiata di quella di sinistra. I miei due nomi sono quelli di Andrea Conti del Milan come terzino e di Alessandro Florenzi per il ruolo di esterno offensivo.

Di Francesco ha già impiegato Florenzi come esterno alto del suo 4-3-3 e sembra che abbia disegnato per il calciatore un destino proprio in questo ruolo. A destra Florenzi garantirebbe dinamismo, anche in fase di non possesso, e tagli interni e alle spalle del terzino. Sia lui che Conti mi sembrano inoltre particolarmente adatti a finalizzare a destra il maggiore lavoro di costruzione e rifinitura da sviluppare a sinistra.

Al centro dell’attacco, preferisco Immobile a Belotti, per il suo maggiore dinamismo, le sue doti nel giocare tagli profondi, necessarie nel 4-3-3 che ho in mente, e per le sue migliori capacità in ripartenza, un’arma che l’Italia non deve mai dimenticare di sfruttare. Dietro, davanti a Buffon, chiudo la difesa con Bonucci e Chiellini, mentre per il ruolo di mediano scelgo Claudio Marchisio che, ovviamente se in forma, riunisce in sé un insieme di doti che nessun altro interprete del ruolo può fornire: protezione della difesa, capacità di fare circolare il pallone sia in maniera semplice che sul lungo o tagliando le linee avversarie, eccellenti doti in pressing offensivo e notevoli capacità realizzative. Inoltre, il suo passato da mezzala rende possibile scambi dinamici di posizione con Verratti in fase di costruzione dell’azione.

Immaginando, infine, un giocatore per ruolo in panchina, porterei in Russia: Donnarumma, Darmian, Caldara, Barzagli, D’Ambrosio, De Rossi (aspettando Mandragora ed eventualmente Diawara), Cristante, Pellegrini, Belotti e i migliori due nel campionato tra Bernardeschi, Berardi, Verdi, El Shaarawy e Chiesa.

La Nazionale giovane di Daniele V. Morrone

Penso che per quanto ci si possa affidare al talento comunque ottimo dei giocatori migliori (Verratti, Insigne, Bonucci) e ad una struttura tattica migliore rispetto all’attuale, non è che con quattro tinte di intonaco si può tirare su questa Nazionale per farla competere veramente per il Mondiale, proprio ora che Spagna e Brasile si sono risvegliate e che Francia e Germania si trovano troppo più avanti nello sviluppo del proprio incredibile talento.

Comunque sono dell’idea che sia il momento di iniziare un progetto di più ampio respiro, con un piano quadriennale in cui chi partecipa ora al Mondiale in Russia deve essere sicuro di arrivare nel picco della carriera per poter giocare quello del 2022. Prima cosa, quindi, via qualsiasi giocatore che avrà più 30 anni al Mondiale successivo (nato insomma prima del 1 gennaio 1992), tolti tre fuoriquota (spiego più avanti). Sarebbe una mossa in totale controtendenza con la logica dei cicli della Nazionale italiana, che premiano invece chi è nel picco della propria forma al momento della chiamata, anche con un po’ di cattiveria nei confronti di chi magari si è qualificato sul campo, però penso che potrebbe rivelarsi una mossa utile, un po’ come fecero Spagna e Germania, o il Belgio. Poi, sulla falsariga di quanto faceva la nazionale sovietica, invece, per colmare il gap di talento con l’organizzazione tattica e il livello di esecuzione tecnica nominerei da subito un allenatore “da progetto”, che possa portare nell’arco di quattro anni una generazione a giocare a memoria.

Anche l’Italia ha bisogno del suo Lobanovskyi, insomma, e l’allenatore migliore per seguire questo progetto penso sarebbe Sarri. Chissà che in quattro anni crescendo la propria generazione passo dopo passo (tra stages e qualificazioni varie) sono sicuro che la Nazionale potrebbe arrivare ad un livello di esecuzione almeno vicino a quello del Napoli attuale. In sua assenza, provo a immaginare io i nomi da portare in caso in Russia.

Il Progetto 2022 non potrebbe prescindere dalla figura di Marco Verratti: il giocatore più esperto, che gioca al più alto livello e oltretutto più talentoso. Con la 10 dietro le spalle e la fascia al braccio è il momento di celebrare il suo matrimonio con la maglia azzurra e di farne la chiave di volta della Nazionale. Per questo, disegnerei un 4-3-3 semplice che possa dargli sicurezza.

In porta, ovviamente, spazio da subito a Gigio Donnarumma, e al centro della difesa il futuro blocco difensivo della Juve, formato da Rugani e Caldara. Ai loro lati due terzini in grado di coprire tutta la fascia e di dialogare con la mezzala, Emerson Palmieri e Conti. Davanti alla difesa non c’è nessuno meglio di Amadou Diawara, un giocatore che conosce il sistema di Sarri, che già ora sembra il perfetto assistente di Verratti, e che comunque da qui a quattro anni promette di essere uno dei migliori al mondo nel ruolo (non sto tenendo conto dei problemi di naturalizzazione: non è nato in Italia e non ha legami familiari, per cui non è chiaro quanto velocemente potrebbe avere un passaporto italiano).

Il ruolo di mezzala sinistra è quello che mi ha messo più in crisi per la scelta, visto che tra Barella e Pellegrini comunque si parla di giocatori adatti al ruolo e dall’ampio margini di crescita ancora a disposizione. Ora sceglierei Pellegrini, perché ho la sicurezza che giocherà al massimo livello a breve periodo.

L’attacco invece è la parte più facile, gli esterni e la punta si nominano quasi da soli: ai lati metterei Chiesa e Bernardeschi (fondamentale lo juventino per associarsi con Verratti e creare un triangolo creativo) entrambi a piede invertito (come piace a Sarri); al centro Belotti. Come prima riserva del tridente c’è Simone Verdi, il giocatore più tecnico a disposizione davanti e perfetto a partita in corso.

In rosa, oltre ai vari Romagnoli, Zappacosta, Barella e Berardi, darei spazio anche da alcuni under 20 maggiorenni che si sono già messi in mostra: Meret, Bastoni, Mandragora e Kean. Per chiudere il progetto, tre fuoriquota da tenere in panchina: Buffon, guardiano del sacro fuoco azzurro; Thiago Motta, fedele scudiero di Verratti e ottimo mentore di Diawara; Criscito, anche perché da anni è in Russia e può accompagnare i ragazzini nelle giornate libere a Mosca.

La Nazionale apocalittica di Dario Saltari

Il gioco delle Nazionali è semplice e basato quasi del tutto sul talento individuale: se non riusciamo a trovare un modo per esaltare il nostro in un contesto tattico favorevole, tanto vale lavorare per far appassire quello avversario, cercando di andare il più velocemente possibile in porta. Non c’è più tempo per rivoluzioni e ripensamenti ideologici: il Mondiale è vicino e la Nazionale è in macerie. Adesso è il momento solo di resistere, formare un gruppo ristretto e definito, anche al costo di eliminare alcuni degli elementi migliori, dare ai giocatori indicazioni semplici e chiare, in un contesto totalmente reattivo che renda un inferno la vita dell’avversario.

Bisogna adottare le strategie di guerrilla quando non si può dominare in campo aperto. Disseminare il campo di marcature a uomo, essere aggressivi fin dentro l’area avversaria per recuperare il pallone più in alto possibile, e rintanarsi immediatamente nella propria metà campo se viene superata la prima pressione. Abdicare al controllo del pallone, andare in verticale il prima possibile per trovare le punte in profondità, o lanciare lungo per creare scompiglio e recuperare palla in alto con la struttura posizionale avversaria totalmente disordinata.

E non vedo nulla di meglio per fare tutto ciò se non con un 3-4-1-2 di stampo gasperiniano e una squadra che possa essere al contempo efficace nel difendere e nell’attaccare in avanti, in verticale, e brava nel difendersi bassa, in area, quando ci sarà da resistere contro le Nazionali dalla tecnica superiore.

Via gli orpelli inutili a questo disegno: fuori Insigne, Verratti e Thiago Motta. Avere ancora di più l’opinione pubblica contro aiuterà a cementare il gruppo, tutto unito nel dimostrare che il mondo si sbaglia. D’altra parte, la mistica italiana non si basa proprio nel riuscire a dare il meglio quando tutto ormai sembra perduto?

Davanti a Buffon, alla sua ultima occasione in Nazionale, una difesa a tre composta da Chiellini, Bonucci e Caldara, con il centrale del Milan a fungere da catapulta per il gioco lungo e gli altri due ad uscire aggressivi nei mezzi spazi. Pensate che incubo deve essere ricevere tra le linee con la consapevolezza che uno tra Caldara e Chiellini vi stia arrivando a tutta velocità alle spalle (Morata ha dichiarato di recente che «giocare con Chiellini è come entrare nella gabbia di un gorilla cercando di togliergli il cibo»).

Sugli esterni, poi, una coppia composita, che sappia garantire esplosività in primo luogo, ma anche qualità nel cross, fantasia e aggressività nella riconquista immediata del pallone. A destra Zappacosta, instancabile senza il pallone e più propenso ad andare sul fondo per cercare il cross; a sinistra Chiesa, con una buona tecnica anche col piede debole (il sinistro) e la possibilità però anche di accentrarsi per cercare il tiro dalla distanza o associarsi con il trequartista. Con due esterni di questo tipo, la squadra si adatterebbe automaticamente alle sortite offensive dell’esterno della Fiorentina, con Zappacosta a scendere in difesa e Chiellini a scalare a sinistra, a riformare una temporanea difesa a quattro.

La coppia di centrocampo dovrebbe essere il più possibile dinamica, verticale e distruttiva. Con Barella e Cristante, in questo senso, potremmo sia coprire ampie zone di campo all’indietro, che difendere con grande convinzione in avanti, senza perdere eccessivamente in qualità nella gestione del possesso. Davanti a loro, Verdi avrebbe libertà totale di agire sulla trequarti e sarebbe l’unica parentesi in questo trionfo di verticalità e distruzione: ci garantirebbe il minimo sindacale di pausa e rifinitura.

In avanti, infine, ovviamente Belotti e Immobile, forse una delle coppie migliori quando c’è da garantire profondità, forza nei duelli aerei, capacità di finalizzazione e intensità nel pressing. Zaza, in un contesto simile, potrebbe essere la perfetta super-sub da mettere nei finali delle partite più tirate, quando c’è da difendere un 1-0, o addirittura dal primo minuto, quando l’avversario è talmente superiore tecnicamente da toglierci quasi totalmente il controllo del pallone (Spagna, mi senti?).

Una Suicide Squad di questo tipo sarebbe il terrore di qualunque Nazionale nelle partite a eliminazione diretta e si incastonerebbe alla perfezione nel mito breriano dell’agonismo e del catenaccio. Basterebbero un paio di risultati positivi per mettere di nuovo tutti i tifosi d’accordo.

Certo, il rischio sarebbe altissimo, vertiginoso e impensabile per qualunque allenatore. Alla fine questo non è altro che un esercizio di immaginazione e solo in questo modo possiamo permetterci il lusso di prendere scelte che la saggezza sconsiglierebbe. Ma non credo che sia così sacrilego pensare di tagliare di netto il nodo gordiano dell’equilibrio tra idee dell’allenatore e talento dei giocatori, quando ci sta legando mani e piedi in uno dei momenti più delicati della storia della nostra Nazionale.

La Nazionale tecnica di Federico Aquè

La mia Nazionale si fonderebbe su 3 princìpi:

- La ricreazione delle intese costruite nei club, vista la difficoltà a trovare riferimenti di gioco e connessioni tra compagni nel poco tempo che un CT trascorre con la squadra.

- Un centrocampo più tecnico e più importante nella gestione della palla rispetto alle abitudini di Gian Piero Ventura.

- La creazione di un contesto che metta nelle migliori condizioni possibili Marco Verratti e Lorenzo Insigne.

Il sistema è quindi il 4-3-3. In porta il posto di Gigi Buffon è blindato: togliergli la possibilità di giocare il sesto Mondiale sarebbe qualcosa di molto vicino al sacrilegio. Al centro della difesa punto sull’affiatamento tra Leonardo Bonucci e Giorgio Chiellini, come terzini scelgo Matteo Darmian a destra, più bloccato e attento a non scoprire la squadra nelle transizioni difensive, ed Emerson Palmieri a sinistra: la frequenza con cui Insigne taglia dentro il campo va compensata da un terzino che spinga molto e sappia dialogare con lui. Emerson Palmieri, se pienamente recuperato dall’infortunio al ginocchio, mi sembra la soluzione migliore possibile.

A centrocampo sfido l’opinione pubblica schierando Thiago Motta, che a 35 anni non ha perso il posto da titolare nel PSG e ha da tempo stabilito una relazione tecnica fortissima con Verratti. Jorginho è la prima riserva, pronta a sfruttare ogni segnale di cedimento fisico di Thiago Motta: l’obiettivo è controllare il pallone e ridurre le fasi di difesa posizionale, a malincuore rinuncio a Daniele De Rossi e Claudio Marchisio. Verratti è intoccabile, il triangolo di centrocampo va completato con una mezzala d’inserimento, ma abbastanza tecnica da sostenere gli scambi palla a terra con Insigne. Vado su Roberto Soriano, inspiegabilmente ignorato nonostante una grande annata al Villarreal, contando sul suo pieno recupero dall’infortunio che gli ha rovinato l’inizio di stagione.

Il tridente offensivo ruota attorno a Insigne. Come centravanti gioca il suo amico Ciro Immobile, entrato nella fase migliore della carriera, a destra Alessandro Florenzi, con l’obbligo di restare sempre largo a dare ampiezza e di studiarsi i video degli inserimenti di Callejón sul lato debole.

Affidare le chiavi della squadra a Verratti e Insigne, i migliori giocatori che esprime il calcio italiano in questo momento, significa ricreare il contesto più vicino possibile a quello che permette loro di esprimersi ad alti livelli nei rispettivi club. Giocare un calcio più offensivo e manovrato non è una concessione a una moda tattica, ma la strada da seguire, con quel senso di praticità tipicamente italiano, per dare la possibilità ai giocatori più forti di fare la differenza.

La Nazionale essenziale di Marco D’Ottavi

A mio avviso c’è poco da tornare indietro, anzi dirò di più: è il momento per di un grande balzo in avanti. Basta piegare l’equilibrio a favore del talento, basta affidarsi ad allenatori più simili a stregoni che ad insegnanti. La Nazionale deve giocare con il 4-3-3, l’U-21 deve giocare con il 4-3-3, ma anche tutte le altre under. Se porti tuo figlio alla scuola calcio dietro casa, per favore controlla che lo facciano giocare con un 4-3-3. Insomma, facciamo come il Belgio, ma ancora più ortodossi del Belgio. Facciamo come la Nord Corea.

Scelto il modulo, scegliamo chi tagliare. Ogni piano quinquennale richiede dei sacrifici, ed in questo caso è il momento di tagliare tutti i giocatori con un giorno in più di Chiellini (ultimo a resistere per necessità) e tutti quelli non più giovani e che non giocano titolari nelle proprie squadre di club. Quindi fuori Buffon, Barzagli, De Rossi, ma anche i vari Eder, Gabbiadini, Zappacosta ed altri che scopriremo non sufficientemente preparati nel corso della stagione.

Tagliati i rami secchi è il momento delle scelte: la prima cosa da fare è tenere in panchina uno tra Belotti ed Immobile. Non si possono avere tutti e due, il doppio centravanti non esiste all’infuori di Madrid. Sono due che garantiscono tanto dinamismo e una buona capacità di finalizzazione, ma anche due giocatori molto diversi, che possono piegarsi alle necessità del gioco. Come titolare terrei però Immobile, che mi sembra abbia raggiunto il punto più alto del suo sviluppo. Ai suoi lati possiamo sbizzarrirci: l’Italia è piena di ali pronte a dare la propria specificità alla causa. Insigne certamente è la più brillante, ma dietro di lui c’è la fila. A destra io ci vedo Florenzi, forse il più adatto a capitalizzare i cambi di gioco del napoletano, ma pure Bernardeschi, se vogliamo un’ala che entra molto nel campo col mancino e permetta a Conti di arrivare spesso sul fondo o Candreva se abbiamo per qualche motivo necessità di un’ala che crossi tanto e basta. Non mi dimenticherei nemmeno di Chiesa, se quello che vogliamo è vedere il campo prendere fuoco.

A centrocampo - ovviamente - non si può prescindere da Verratti e Jorginho. Dalla loro intesa dovrebbe passare il gioco dell’Italia, un’intesa che con un po’ di lungimiranza era già bella che costruita, ma tant’è. A loro affidiamo il pallone ed il ritmo, a loro affidiamo le nostre speranze, a loro chiediamo di convincere tutti i bambini italiani che un passaggio è meglio di un dribbling, che prima di tutto i calciatori della nazionale servono a creare nuovi calciatori della nazionale. Al loro fianco io ci vedo Marchisio pronto a tornare al suo ruolo per spararsi le ultime cartucce, se solo il ginocchio resiste. Altrimenti scegliamo il più pronto tra Pellegrini, Gagliardini, Cristante con Parolo a fargli da chioccia. In difesa è dove la rivoluzione diventa conservazione: vorrei certamente vedere Caldara e Rugani titolari, ma è ancora il momento di Bonucci e Chiellini, coi due giovani pronti ad approfittare di ogni incertezza dei vecchi, come in un vero branco animale. I terzini quelli sono, gioca chi otterrà risultati migliori nel test di Cooper tra Conti, Darmian, Spinazzola ed Emerson Palmieri (con Florenzi che può giocare pure qui se ci gira). In porta Donnarumma - o chi dimostrerà di essere meglio di lui. Buffon, se accetta può fare il terzo, il totem, la quota nostalgia.

Insomma la bontà di questo schieramento è che permette alla squadra di avere molte facce rimanendo però sempre all’interno di una precisa gabbia tattica, non è possibile vedere Insigne fare l’interno di centrocampo pur di toccare un pallone. Non si tratta neanche di una rivoluzione, semplicemente gioca chi può portare benefici all’interno del 4-3-3. L’unica eccezione è Giovinco. Ci portiamo Giovinco e se le cose vanno male mettiamo lui tra le linee e preghiamo. A talento puro è quanto di meglio abbiamo a disposizione oggi, se consideriamo che il primo compito di ogni piano quinquennale è tagliare la testa a Balotelli.

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