Per il terzo anno di fila la Supercoppa Italiana si è giocata all’estero in un’atmosfera surreale. È la strategia adottata dai vertici federali per esportare il cosiddetto Made in Italy nel mondo che include stadi da nemmeno 13mila posti, cori che sembrano finti come quelli di Winning Eleven e Galliani seduto su un trono dorato degno di Westeros con la postura da re.
Per fortuna c’è sempre il campo a riscattare la nostra vanità, e in campo si è giocato a calcio e il campionato italiano ha comunque potuto mettere in mostra due tra le squadre più in forma del momento, che poi erano anche le più blasonate in assoluto del nostro Paese. Ha vinto il Milan, ai rigori, ma col senno di poi si può dire che abbia meritato il trofeo. Una partita decisa da tre aspetti che funzionano come altrettanti chiavi che aprono discorsi più generali.
Chiave #1: si vince a centrocampo
Che le partite si vincano a centrocampo è un cliché abbastanza diffuso ma ieri è stato particolarmente vero. La squadra di Montella si schierava con l’ormai abituale 4-3-3, col vertice di centrocampo composto da Bertolacci, Locatelli e Kucka, affiancati sugli esterni da Bonaventura e Suso. Allegri rispondeva con un rombo fluido formato da Marchisio, Khedira, Sturaro e Pjanic.
Fluido, perché in fase di non possesso si appiattiva per formare un più canonico 4-4-2 mentre le rare volte che la Juve è riuscita ad attaccare posizionalmente si trasformava addirittura in un quadrato, con Pjanic che si abbassava in mediana all’altezza di Marchisio per gestire il possesso mentre Khedira e Sturaro venivano a giocare tra le linee, aprendosi a volte con movimenti interno-esterno che davano ampiezza nel caso in cui terzini rimanessero bloccati sulla linea di difesa.
Un’impostazione che inizialmente ha dato molto fastidio al Milan, complice anche la grande aggressività della Juve sul possesso avversario nei primi venti minuti, perché con Bertolacci costretto ad uscire su Rugani, e Kucka che invece andava su Marchisio, Khedira poteva essere sempre trovato libero nello spazio di mezzo, con De Sciglio che preferiva non seguirlo per non lasciare Higuain e Mandzukic due contro due con la difesa milanista. Sturaro, invece, dall’altra parte preferiva attaccare la profondità o cercare l’ampiezza, posizionandosi accanto a Mandzukic o addirittura scambiandosi di posizione con l’attaccante croato agendo di fatto da seconda punta.
Il centrocampo bianconero ha vinto la sfida con la controparte rossonera almeno fino al gol di Chiellini, quando la Juve ha deciso di abbandonare ogni velleità proattiva cercando di risalire il campo solamente con i lanci lunghi dalla difesa o in transizione, grazie alle iniziative soprattutto di Khedira e Higuain.
Chiave #2: dalla passività non può venire niente di buono
È stata la passività della Juventus, a quel punto, a permettere al Milan di arrivare alla trequarti avversaria in maniera pulita. Su questo non ha inciso solamente l’atteggiamento di squadra della Juventus ma anche quello di alcuni singoli, come Higuain, che senza il pallone non copriva né l’uomo né lo spazio permettendo ai centrali di impostare tranquillamente; o Pjanic, che non è mai riuscito a schermare Locatelli e in determinati momenti non sembrava avere uno scopo preciso.
Proprio dalla passività di Pjanic è nata l’azione che ha portato Bacca ad un passo dal gol del 2-1, nel secondo tempo. Pjanic è arrivato per l’ennesima volta in ritardo su Locatelli che ha potuto girare tranquillamente su Kucka alla sua destra, che a quel punto è riuscito a risalire il campo molto facilmente con Sturaro che era preso uno contro due tra lui e Abate (Evra era rimasto bloccato sulla linea di difesa, per contenere Suso).
Potendo occupare stabilmente la metà campo avversaria, il Milan è riuscito a far girare il pallone orizzontalmente in maniera sufficientemente veloce per isolare gli esterni, quasi sempre alti e larghi, e fargli puntare i rispettivi terzini. Il centrocampo della Juve è rimasto costantemente indeciso se restare stretto e basso per non dare spazio tra le linee (concedendo così l’ampiezza ai due terzini milanisti), oppure allargarsi per prendere Abate e De Sciglio (aprendo però gli spazi di mezzo, lasciati liberi anche dalla passività della difesa bianconera, che non è mai salita tra le linee).
I duelli tra Bonaventura e Lichsteiner e, soprattutto, quello tra Suso ed Evra (quest’ultimo subentrato a partita in corso per l’infortunio di Alex Sandro) hanno ulteriormente messo in crisi l’assetto difensivo della Juventus. Allegri, infatti, ha chiesto a Khedira e Sturaro di raddoppiare sugli esterni facendo però collassare le mezze posizioni bianconere.
Chiave #3: quanto conta vincere i duelli individuali giusti
Quando parliamo di vittoria dei duelli individuali, quindi, non dobbiamo solo guardare alle prestazioni dei singoli, ma a come queste vengono inserite nell’architettura tattica generale della squadra, specie se parliamo di due squadre dal differenziale tecnico così ampio, come quello che c’è tra Milan e Juve.
Il conteggio dei dribbling, ad esempio, è nettamente a favore della Juventus (15 contro 6), con Higuain e Dybala che da soli hanno superato il dato dell’intera squadra del Milan. Il dato di Dybala, 3, è particolarmente impressionante se calcoliamo che l’attaccante argentino è entrato solo al 67esimo del secondo tempo.
Il fatto, però, che Bonaventura e Suso (che insieme hanno realizzato tanti dribbling quanti Dybala in un’ora scarsa di partita) rimanessero sempre alti e larghi e che avessero le potenzialità di creare sempre problemi a Lichsteiner e Evra ha costretto i due terzini bianconeri a rimanere bloccati in difesa, privando la Juve dell’ampiezza. Questo costringeva Sturaro e Khedira ad un superlavoro tattico sugli esterni, sia in fase di non possesso che con la palla tra i piedi.
Mano a mano che scorrevano i minuti, però, Sturaro e Khedira sono inevitabilmente calati (Sturaro ha anche finito per infortunarsi), costringendo la Juve a passare per vie centrali, e il più delle volte in transizione. Ed è proprio in queste situazioni che si sono avverati la maggior parte dei dribbling di Higuain, che è riuscito ad arrivare in porta in maniera pericolosa solo una volta.
Insomma, non sempre le qualità dei singoli riesce a fare la differenza da sola, e il lavoro degli allenatori consiste anche nel trovare il modo giusto per dare un vantaggio alla propria squadra, il modo, cioè, perché la somma delle parti sia più grande del totale. Ieri sera Montella c’è riuscito e Allegri no. E per quanto non cambi nulla sul piano geopolitico del calcio italiano, la Supercoppa è una giusta ricompensa e un bel messaggio con cui finire l’anno.