Il mercoledì sera al Camp Nou ha sempre il sapore delle coppe europee, tanto più se l’avversario è l’Atlético Madrid, che ha eliminato i blaugrana due volte nelle ultime tre edizioni (l’altra, ovviamente, l’hanno vinta). Neanche il turno di campionato precedente aveva contribuito ad alleggerire le aspettative intorno a questa partita, considerando che sia Barça che Atleti avevano rifilato 5 gol alle rispettive avversarie (Leganés e Sporting Gijón). Soprattutto, non era chiaro che tipo di partita avremmo visto.
Quella modellata da Luis Enrique oggi è una squadra ibrida, in grado di risalire il campo a forza di scambi rapidissimi e precisissimi tra Messi, Neymar e Suárez, vincolata al gioco di posizione solo quando gli avversari non concedono un’altra opzione. Simeone ha invece affidato le chiavi dell’Atlético a Koke e Griezmann, rendendolo per forza di cose una squadra meno integralista, più organizzata nella ricerca delle linee di passaggio (del resto il tipo di dipendenza offensiva da un attaccante che garantiva la presenza di Diego Costa qualche anno fa non è replicabile con Torres né Gameiro).
Risalire il campo.
Sotto questo aspetto, però, l’Atlético ha offerto una prestazione deludente. La pericolosità offensiva è stata minata dall’incapacità di organizzare una transizione in tempi rapidi o di appoggiarsi su Ferreira Carrasco e Saúl (esterni del 4-4-2), per sfruttare le incertezze difensive di Jordi Alba e Sergi Roberto, i due terzini blaugrana. Simeone ha preferito, comprensibilmente, lasciare i suoi giocatori nella comfort zone del 30% di possesso palla (a fine primo tempo era 28%), ma non ha mostrato idee chiare su come l’Atletico avrebbe dovuto creare pericoli a Ter Stegen, chiamato in causa solamente tre volte nel corso dei novanta minuti (un tiro lento di Ferreira Carrasco, una conclusione da fuori di Griezmann e un colpo di testa di Godín).
Se Correa non avesse segnato così presto nel secondo tempo (sugli sviluppi di un calcio di punizione battuto rapidamente) recuperando lo svantaggio iniziale, e Simeone si fosse trovato alle strette, probabilmente avremmo avuto modo di decifrare il “piano B” dell’Atlético e la battaglia tattica sarebbe stata decisamente più interessante.
Transizioni rivedibili: l’Atleti vince la battaglia nella zona centrale del campo, ma Carrasco e Correa fanno lo stesso movimento e Koke sbaglia il passaggio.
Calcio tedesco
La partita sotto tono dei colchoneros con la palla tra i piedi si spiega in 2 modi: la concentrazione fuori dall’ordinario applicata in fase di non possesso e l’organizzazione scientifica del Barcellona nelle coperture preventive e nella densità in zona palla.
L’Atlético ha difeso con il consueto 4-4-2 dal baricentro molto basso, anche più basso del solito a dire il vero, che poggiava sul blocco centrale composto da Godín, Savic, Koke e Gabi, i cui scivolamenti laterali orientavano i movimenti perfettamente sincronizzati dell’undici titolare. Il Barcellona invece ha sfruttato l’enorme comprensione del gioco del triangolo centrale Piqué – Busquets – Mascherano, tutti autori di una prestazione decisamente sopra la media, di rara pulizia tecnica.
Jordi Alba non ha nessuna linea di passaggio nello spazio intermedio, avrebbe solo il cambio di gioco su Rakitic ma ormai ha perso il ritmo (e Piqué sta tornando indietro per ricevere): dal pareggio di Correa in poi, questa situazione si è ripetuta all’infinito.
Ogni contrasto vinto dall’Atlético nella propria trequarti diventava un’occasione per il Barcellona per accorciare il campo e cogliere impreparato lo schieramento difensivo dei colchoneros, in un continuo gioco di transizioni. È stata la principale chiave tattica della partita, super-densità e campo cortissimo: se Simeone inizia a portare molti uomini nella zona di recupero, Luis Enrique ne porta di più. Praticamente una partita di Bundesliga, per quanto queste distinzioni abbiano ancora senso.
La chiave di volta
Poco dopo essere tornati in campo per il secondo tempo, con il Barcellona in vantaggio che controllava agilmente la partita (sorprendentemente, se puoi schierare Iniesta puoi anche permetterti di segnare sfruttando un corner battuto corto), si è prima fatto male Busquets, privando così il Barça del suo totale controllo su spazio e tempo, poi a breve giro si è infortunato anche Messi, che è sempre fondamentale, ma lo è particolarmente contro la difesa dell’Atlético.
L’effetto-Busquets sulla partita: si trova a destra per chiudere la linea di passaggio per Filipe Luis, dieci secondi dopo è a sinistra per contrastare Juanfrán (contrasto vinto, palla recuperata).
A quel punto Simeone ha provato a cambiare la partita, sostituendo Saúl e Gameiro con Correa e Torres e ha spostato Griezmann in posizione di ala destra. Due minuti dopo, Correa ha trovato il gol del pareggio proprio su assist di tacco del Niño, l’unico che sia riuscito a sorprendere Piqué in quei cinque secondi di distrazione che si è concesso.
L’effetto-Messi sulla partita: bascula in zona centrale (spesso il Barça assomiglia ad un 4-2-4 con Rakitic ala destra), poi non gli sembra vero di avere un metro di spazio e inventa per Jordi Alba. Sul calcio d’angolo che segue, Rakitic segna di testa il gol dell’1-0.
Interpretazioni diverse
E va detto che i sostituti di Messi e Busquets, cioè André Gomes e Arda Turan, semplicemente non sono stati all’altezza. A rimetterci siamo stati noi spettatori, perché da quel momento in poi la partita si è spenta. L’inadeguatezza non è tanto tecnica (d’accordo, quelli sono Messi e Busquets, ma Gomes e Arda sono comunque all’altezza della partita) quanto nell’interpretazione del ruolo. Perso Busquets, il Barça ha perso una linea di passaggio costante e conseguentemente fiducia nel controllo del possesso.
Così, l’Atléti ha iniziato ad alzare leggermente la linea di pressing subito dopo l’uscita di Busi, forzando Piqué e Mascherano a cercare il lancio lungo in assenza di altre soluzioni, una mancanza di pazienza che ha pesato sugli equilibri della partita. L’impressione è che Gomes dovrà lavorare molto per reinventarsi uomo davanti alla difesa, storica falla nella panchina blaugrana, in attesa che il numero 5 trovi una sua reincarnazione ufficiale. Perso Messi, il Barça ha invece perso imprevedibilità e spazi di manovra per Neymar e Suárez, creati dal magnetismo del Diez. Arda è sempre troppo rigido nell’eseguire i compiti da ala destra, a tratti sembra incompatibile con la visione totale del gioco degli altri due sudamericani.
Luís Enrique catechizza André Gomes, una scena che è destinata a ripetersi.
L’ultimo cambio della partita è stato quello di Thomas Partey per Ferreira Carrasco, mossa puntualissima di Simeone quando vuole difendere una situazione di vantaggio (vantaggio tattico, in questo caso) e sgravare gli attaccanti della mole di lavoro difensivo imposta. L’Atlético si è risistemato in un 4-5-1 che ha mantenuto Griezmann a destra, ma gli ha anche permesso di accentrarsi per ricevere.
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Questo è Griezmann che sfrutta l’unica incertezza della partita di Busquets, si porta nella zona di Koke e poi sporca per la prima volta i guanti di Ter Stegen.
Il dibattito su quali giocatori vadano considerati “di quel livello lì” è sempre aperto, ma Griezmann ha dimostrato anche in questa occasione di far parte del club, ovvero di essere in grado di elevare il proprio livello ogni volta che il contesto lo impone. La metamorfosi verso l’immagine e somiglianza colchonera è quasi completa: solo nei novanta minuti contro il Barcellona, Griezmann ha occupato almeno cinque posizioni diverse, giocatore totale se ce n’è uno.
Questo invece è Griezmann che commette un errore tecnico, poi però legge la situazione in tempo zero e va lui a chiudere su Neymar in area di rigore, aiutato dal tempismo di Oblak.
Il pareggio non è stato solo il risultato più giusto, ma quello più ovvio. Se il Barça accorcia il campo con quella coordinazione scientifica tra i reparti, non c’è modo che l’Atletico riesca a ripartire, ma neanche per il Barcellona stesso di consolidare un possesso.
Se l’Atlético difende con quell’attenzione, senza perdere mai di vista i movimenti alle spalle del centrocampo, senza perdere un contrasto aereo, senza concedere spazio alle sovrapposizioni dei terzini (che partita anche Juanfrán e Filipe Luis: entrambi sul podio per i contrasti vinti, rispettivamente 6 e 4, ed entrambi sul podio per intercetti completati, rispettivamente 4 e 3), per il Barcellona non c’è modo di arrivare al tiro da posizione pericolosa.
La partita è stata decisa da due calci piazzati battuti rapidamente perché per fortuna non tutto si può prevedere e la concentrazione non può durare davvero novanta minuti. Anche se a questo livello, ci siamo molto vicini.