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Tale Gilardino
09 ott 2013
Un ottimo bomber di provincia o uno degli attaccanti italiani più forti degli ultimi trent'anni?
(articolo)
17 min
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La carriera di Alberto Gilardino comincia con un sei e mezzo. È il 5 gennaio del 2000, Gilardino ha 17 anni, il Piacenza gioca contro il Milan. Gilardino entra nel secondo tempo. In campo gli si avvicina Costacurta, non uno qualsiasi, e gli chiede: quanti anni hai? Da dove vieni? Poi gli dice che dev'essere bravo se è in campo così giovane. Gilardino gioca 34 minuti, tira una volta in porta. Il giorno dopo sulla Gazzetta dello Sport, accanto al sei e mezzo, si legge: «Debutta a diciassette anni portando un po' di pepe davanti. Buone sponde, un tiro fuori».

Il primo gol di Gilardino in Serie A arriva il 25 marzo 2000, contro il Venezia, a 120 secondi dal fischio d'inizio. Un tiro da fuori area, non un gol alla Gilardino. Prende un altro sei e mezzo. Stavolta la Gazzettascrive che questo «prodotto del vivaio locale» per qualcuno è «un degno erede della dinastia Inzaghi».

Il secondo gol in Serie A arriva pochi giorni dopo, il 9 aprile. Nel giro di qualche minuto può farne un altro ma si fa parare un rigore. L'unico video di quel giorno, disponibile online, è di qualità pessima, ma il commento del giornalista basta e avanza. «Non era il gioco che mancava al Piacenza, lo si sapeva: erano i gol e forse anche tale Gilardino, visto che è stato proprio lui a mettere in soggezione il Bari poco prima della mezz'ora. Il fatto che Mancini gli ha parato un rigore conferma che in certi casi vale più l'esperienza che la voglia di fare tutto e magari subito.»

Se esiste una linea che separa gli ottimi giocatori dai grandi campioni, tale Gilardino ha passato gran parte della sua carriera a fare avanti e indietro. Che sia successo “per la voglia di fare tutto e magari subito” sembra più un cliché, un marchio superficiale da attaccare addosso a un diciassettenne pieno di talento. Ma intanto Alberto Gilardino ha compiuto 31 anni e forse ancora non sappiamo in modo definitivo chi è, se un ottimo giocatore o un grande campione, se un bomber di provincia come tanti o un attaccante come pochi. Che si possa considerare parzialmente sospeso il giudizio su un calciatore di 31 anni è piuttosto raro, e in qualche modo è una sua conquista.

Gilardino gioca nelle nazionali giovanili da quando ha 15 anni, esperti e addetti ai lavori lo conoscono. Fiorentina e Juventus lo cercano, lui è juventino e di Biella, la famiglia sceglie Piacenza. Quello del 1999 è il Piacenza di Roma, Vierchowod, Stroppa, Rizzitelli: è ancora il Piacenza che non compra stranieri e ha appena venduto Simone Inzaghi alla Lazio. All'inizio della stagione tutti pensano che non sia stato adeguatamente rimpiazzato. In estate, per spiegare perché l'attacco del Piacenza non è all'altezza della Serie A, la Gazzettascrive che Dionigi è interessante ma non esplode, che Di Napoli è bravo ma discontinuo, che Rastelli non basta e che Rizzitelli è «non più giovane». Gilardino non viene nemmeno nominato.

Si comincia a parlare di Gilardino – anzi, del «frizzante primavera Gilardino» – quando a dicembre del 1999 l'allenatore del Piacenza, Gigi Simoni, comincia a portarlo in panchina mandando rumorosamente Arturo Di Napoli in tribuna. Però non è Simoni a farlo esordire in Serie A contro il Milan a marzo, bensì Braghin che prende il suo posto a gennaio. Quando gli chiedono se intende puntare su questo ragazzino, Braghin risponde: «È molto giovane ma non credo possa correre il rischio di essere schiacciato dalle responsabilità. Se uno è bravo, è bravo e basta».

Primo gol in Serie A. Non sa come esultare.

Gilardino è nato il 5 luglio del 1982. Il giorno della tripletta di Paolo Rossi che schianta il Brasile e manda l'Italia alla semifinale contro la Polonia, ai Mondiali di Spagna. I giornalisti in Italia sono pigri: ancora oggi, figuriamoci allora, per molti di loro quasi tutto nel calcio è riducibile ai Mondialidellottantadue. Questa coincidenza perseguiterà Gilardino irresolubilmente durante tutta la sua carriera, nei momenti di attesa nelle analisi piene di parole come destino e predestinato. Gilardino è schivo, la questione effettivamente incommentabile – cosa diavolo volete che dica sul giorno in cui è nato? - ma curiosamente in un'intervista radiofonica data dopo il suo esordio in Serie A, quando il giornalista gli dice «hai solo 17 anni», lui risponde: «Sono nato il 5 luglio». Che è strano, no? Chi di noi dice il giorno in cui è nato quando qualcuno gli chiede l'età? Perché?

I viaggi di Gilardino al di qua e al di là della linea che separa gli ottimi giocatori dai grandi campioni, cominciano alla fine della sua prima stagione in Serie A. Il Piacenza è retrocesso malamente ma lui è la rivelazione della stagione. Lo cercano la Juventus e la Roma ma il Piacenza lo cede in comproprietà al Verona. Abitudini e luoghi comuni vorrebbero che cominciasse a fare “la vita del calciatore” ma lui continua a studiare all'istituto professionale. Tutti si aspettano che al Verona giochi di più, che esploda, e invece lui quasi sparisce, chiuso in attacco da Adaílton, Mutu, Bonazzoli e Cossato. Aveva segnato 3 gol in 17 partite nella sua prima stagione in Serie A col Piacenza, da minorenne; col Verona nelle successive due stagioni gioca 39 partite e segna 5 gol. Dov'è finito Gilardino?

Tra le due stagioni a Verona, Gilardino prende il diploma e cade con l'auto in un canale. È la sera del 26 aprile 2001, Gilardino guida una Golf, un mezzo in direzione opposta lo abbaglia e lui finisce fuori strada. In macchina con lui ci sono tre amici, un ragazzo e due ragazze. Tutti e tre riescono a uscire prima che la macchina venga completamente sommersa dall'acqua. Lui si rompe lo sterno e una vertebra.

Il Verona aveva comprato la metà di Gilardino per circa 4 milioni di euro. Due stagioni dopo, in teoria, il suo valore doveva essere almeno raddoppiato; eppure nel giugno del 2002 lo cede a titolo definitivo al Parma per 2 milioni di euro (più parte del ricavato da un'eventuale successiva cessione: storia per cui si litigò molto). Quando Gilardino arriva al Parma tutti gli riconoscono grandi doti ma mai del tutto espresse: si trova nella parte di mondo degli ottimi giocatori, non in quella dei grandi campioni o potenziali tali; di quella delle promesse quasi mancate e non di quelle quasi riuscite. Però a Parma trova un allenatore a cui piace molto e che capisce come farlo giocare: Cesare Prandelli.

Gilardino trascorre la prima stagione a Parma soprattutto in panchina, chiuso da Adriano e Mutu: mette insieme 24 presenze, soprattutto pezzetti di partita, e 4 gol. La stagione successiva, 2003-2004, per il Parma non è una stagione qualsiasi: alla fine del 2003 scoppia il più grande scandalo finanziario della storia europea – Parmalat – e la società va in bancarotta. Gilardino comincia piano, segna 6 gol nel girone d'andata. A gennaio Adriano viene ceduto all'Inter, Prandelli sposta Gilardino al centro dell'attacco e del gioco del Parma, Gilardino esplode. Segna 17 gol nelle ultime 16 partite, addirittura 4 nell'ultima giornata di campionato. Ha 22 anni. Inizia a esultare mimando il violino, se lo è inventato una sera a cena con Marchionni. Rimane a Parma un'altra stagione e segna incredibilmente altri 23 gol, 24 se si conta quello segnato nello spareggio per restare in Serie A.

Mica male.

Segna in tutti i modi. Segna di testa (1:20), segna di rapina (2:20), segna dopo uno stop al volo pazzesco (4:00), segna di culo (4:40), segna su rigore (5:12), segna dopo aver preso un calcio in faccia (5:45), segna da fuori area (6:43), segna girandosi a una velocità incredibile (7:07), segna di rovesciata coordinandosi in mezzo a quattro difensori. Gioca con le spalle alla porta come pochi altri attaccanti in Europa – «gioca da dietro come se avesse la porta in faccia», scrive in quei giorni Mario Sconcerti. È allo stesso tempo imponente e agile, difficile da buttar giù eppure rapidissimo. Prandelli dice che è il miglior attaccante italiano degli ultimi trent'anni, dai tempi di Gigi Riva.

La sua efficacia in quegli anni è abbagliante: ha doti tecniche, ha continuità, ha mestiere, sa fare i gol belli e soprattutto sa fare i gol brutti. Trasforma in assist passaggi imprecisi, rimpalli, palloni vaganti, mischie; segna anche se sbaglia uno stop, segna anche cadendo in modo sgraziato, segna tuffandosi dove altri non lo farebbero. Fa gol quando non sembra sia possibile far gol, quando non sembra ce ne siano le condizioni. In questo ricorda Inzaghi. Gilardino lo sa, dice che «Pippo è il suo modello», che «studia da Inzaghi» e che un giorno vorrebbe «essere come lui».

Gilardino ha segnato più gol di Inzaghi in Serie A – 160 contro 156, e può ancora allungare – ma non riuscirà a diventare come Inzaghi. Dopo Parma, però, era facile pensarlo. Gilardino ha segnato 46 gol in campionato nelle due stagioni a cavallo tra i suoi 22 e 23 anni e per avere un po' di contesto basti sapere che Batistuta a quell'età ne ha segnati 29, Cavani e Inzaghi 27, Rooney 24, Totti 19, Ibrahimović 16, Vieri 15. Gilardino, ripeto, 46.

Nell'estate del 2004 il calciomercato italiano gira attorno ad Alberto Gilardino. Lo compra il Milan per 25 milioni di euro. Le aspettative sono alte: i giornali scrivono che «dai tempi di Paolo Rossi [aridaje] l'Italia non ha un centravanti di questa forza e queste caratteristiche». Soprattutto in quei mesi la grande stampa comincia a raccontarlo come personaggio, al di là delle sue qualità tecniche, e lui ne viene fuori come un calciatore un po' diverso dagli altri.

Il Corriere della Serascrive che «è bello da fare invidia a Brad Pitt» ma soprattutto che è «un bravo ragazzo tutto allenamento e famiglia». Panoramascrive: «Sembra il sogno borghese di ogni madre con figlia da maritare, il bravo ragazzo italiano, posato e miliardario, che sta facendo innamorare una nuova generazione di ragazze per bene, tutte chiesa e luci da stadio». Lui si descrive come «timido», «schivo», «molto legato ai miei genitori», persino «diffidente», uno a cui non piace «apparire». Non fa vita mondana, non lo si incontra in giro per discoteche, non cambia una fidanzata dopo l'altra: ha la stessa compagna da quando aveva vent'anni, nel 2002, prima che diventasse albertogilardino. Si sono sposati nel 2009, hanno tre figli. Dice che non gli piace sperperare i soldi che guadagna e che preferisce «investire nel mattone piuttosto che scialare». Ha preso il diploma da ragioniere mentre giocava in Serie A. Se si fa un tatuaggio è quello di Peppa Pig, perché piace alle sue figlie.

Gilardino sa cucinare e fa la spesa. Dice che la sera preferisce guardare i talk show politici – «mi piace Ballarò, seguo i dibattiti con attenzione, ho le mie idee su tutto e ne discuto con mia moglie» – e non giocare alla Playstation per ore come i suoi compagni di squadra. Spiega che guadagnare un sacco di soldi fa sì che ci sia «sempre qualcuno che chiede soldi, o qualcuno che vuole proporti qualcosa, investimenti da fare» e che per questo «crescendo in questo ambiente ti fai una corazza oltre la quale non fai passare nessuno: per questo ci sono le risposte preconfezionate da dare a tutti».

Molte di queste cose le ha dette in una bella intervista che ha dato a Gabriella Greison per Pubblico. Lì Gilardino dice anche che pensa «sia arrivato il momento di porre fine al tabù» degli omosessuali nel calcio. «Deve essere una cosa normale, dichiararsi: nessun clamore, e nessun titolo, tutto normale, capito cosa intendo? Ma negli spogliatoi non si parla di queste cose… e nemmeno è così scontata la questione. Ci deve essere più libertà, pure nel calcio.»

Insomma Gilardino è un tipo normale, serio, non è un bullo, non fa il cretino, non è una capra, non fa casino: se il luogo comune sui grandi campioni vuole che siano “genio e sregolatezza”, Gilardino in campo tiene aperta la questione sul “genio” e fuori chiude quella sulla “sregolatezza”. Ma questo è il punto: per certi standard leggendari e letterari del calcio, Gilardino è noioso. Al Piacenza e al Parma questa normalità non è un problema. Al Milan sì.

La stagione 2005-2006 per il Milan è quella immediatamente successiva alla finale di Istanbul. In attacco vanno via Crespo e Tomasson, arrivano Gilardino e Vieri, restano Shevchenko e Inzaghi. Gilardino si divide con loro le partite da titolare – ad Ancelotti di tanto in tanto piace giocare con una sola punta, il cosiddetto “albero di Natale” – e quando gioca si divide con loro pure i pezzi di campo. Gilardino mette insieme 17 gol in 34 presenze in campionato – da allora per il Milan soltanto Ibrahimović nella stagione 2011-2012 ha segnato più di 17 gol in Serie A – ma Shevchenko ne fa due più di lui. Il Milan non vince niente e anzi a fine anno viene coinvolto nel cosiddetto scandalo “Calciopoli”, penalizzato di 30 punti e retrocesso al terzo posto. Insomma, una buona stagione, non indimenticabile.

In estate ci sono i Mondiali. Per Gilardino sono il primo grande evento con la Nazionale dopo che Trapattoni decise scandalosamente di non portarlo agli Europei del 2004 (c'era Corradi, invece). Gilardino si gioca il posto da titolare con Luca Toni, che viene anche lui da un paio di annate strepitose (anche nei momenti migliori della sua carriera, Gilardino in Nazionale non è mai il titolare indiscusso). Nelle tre partite del girone gioca dal primo minuto, contro gli Stati Uniti fa anche gol. Negli ottavi di finale, contro l'Australia, gioca solo un tempo. Nei quarti di finale, contro l'Ucraina, non mette piede in campo. In semifinale, contro la Germania, entra a un quarto d'ora dalla fine del tempo regolamentare. Alla fine di quella partita Lippi fa una cosa dell'altro mondo, specie se si tiene conto che stava sullo 0-0 contro la Germania padrone di casa: fa uscire due centrocampisti e un attaccante (Perrotta, Camoranesi, Toni) e fa entrare tre attaccanti (Del Piero, Gilardino, Iaquinta). In campo rimane un altro attaccante, Totti, che gioca i tempi supplementari dopo quattro mesi di inattività e con i chiodi nella caviglia.

Al 122' l'Italia è avanti di un gol. Cannavaro sradica il pallone da due giocatori tedeschi e lo affida a Totti, che lancia Gilardino verso la porta della Germania. Gilardino ha davanti solo un giocatore tedesco e poi il portiere. Da quando è bambino, tutti gli allenatori che ha avuto gli hanno insegnato che in casi come questi può fare tre cose. Primo: trovare lo spazio giusto e tirare in porta. Secondo: fermarsi, far salire la squadra, cercare un fallo. Terzo: andare a tenere palla vicino alla bandierina, come gli suggerisce Caressa nella telecronaca che sappiamo tutti a memoria. Gilardino fa la quarta cosa, quella a cui non aveva pensato nessuno, quella impossibile e contro natura: si accentra, si guadagna lo spazio per tirare sul palo lontano e poi con una freddezza spaventosa, senza guardare, passa il pallone dall'altra parte a Del Piero, che arriva alle sue spalle. Gol. In finale Gilardino non gioca nemmeno un minuto.

«Sì ma guardate che Gilardino fa una cosa pazzesca» (3:00)

Quell'estate Shevchenko lascia il Milan per il Chelsea, lo sostituisce Ricardo Oliveira: in teoria per Gilardino si apre qualche spazio in più. Invece le cose cominciano a non funzionare. Gilardino segna 12 gol in campionato. Nella seconda parte della stagione, complice anche qualche infortunio e l'arrivo di Ronaldo, finisce parecchio in panchina. Il Milan vince la Champions League: Gilardino segna un bel gol in semifinale contro lo United ma ad Atene in finale resta in panchina. Qualche settimana dopo dice alla stampa di sentirsi messo in discussione. «E sinceramente non so perché. Credo sia una cosa surreale. A volte mi sembra una situazione incredibile.»

Alla fine decide di rimanere al Milan. Chissà se poi se n'è pentito. La stagione 2007-2008, infatti, è la stagione del disastro del Milan, e del suo disastro personale. Il Milan arriva quinto in campionato, esce agli ottavi in Coppa Italia (eliminato dal Catania) e in Champions League (eliminato dall'Arsenal). In campionato non ottiene la prima vittoria in casa fino al nuovo anno. La squadra non funziona e Gilardino è il capro espiatorio perfetto. Gioca male, sempre peggio: d'altra parte non è il tipo da fiammate solitarie, da azioni personali, il suo gioco funziona solo se la squadra gira e il Milan non gira. Inoltre non è una leggenda come Inzaghi e Ronaldo, non è incolpevole e affascinante come Pato, non ha nemmeno giocato la finale di Atene. Sui giornali e nelle chiacchiere dei tifosi la sua normalità, elogiata come esemplare fino a pochi mesi prima, diventa «una certa fragilità caratteriale». Gilardino dirà poi che gli ultimi mesi al Milan sono stati i peggiori della sua carriera.

Nell'estate del 2008 Gilardino non va agli Europei e si trasferisce dal Milan alla Fiorentina. Ritrova Prandelli come allenatore e ci mette poco a tornare ai suoi livelli. Segna 19 gol in campionato – per uno di questi, segnato di mano, sarà crocifisso – e porta la Fiorentina al quarto posto. «Gilardino è tornato un fuoriclasse», scrive il Corriere della Sera. Nella stagione successiva le cose per la Fiorentina in campionato vanno peggio, ma anche perché c'è di mezzo la Champions League. La Fiorentina elimina ai playoff lo Sporting Lisbona e arriva seconda in un complicato girone con Lione e Liverpool. Contro il Liverpool, ad Anfield, Gilardino segna quello che definisce «il gol più importante della mia vita».

La Fiorentina aveva già battuto il Liverpool all'andata, al Franchi, ma ovviamente ad Anfield è un'altra cosa. Il Liverpool va in vantaggio nel primo tempo, nel secondo tempo pareggia Jørgensen. Poi al novantaduesimo segna Gilardino: la Fiorentina vince e si qualifica come prima nel girone.

In estate Gilardino fa parte della disgraziata Nazionale che accumula figuracce ai Mondiali in Sudafrica. Nella stagione successiva, 2010-2011, alla Fiorentina cambiano molte cose: l'allenatore non è più Prandelli, che è andato sulla panchina dell'Italia, e al suo posto c'è Siniša Mihajlović: dal punto di vista umano l'anti-Prandelli. Gilardino segna 12 gol ma la Fiorentina, che già è fuori dalle coppe europee, esce presto dalla Coppa Italia e arriva nona in campionato. L'anno dopo le cose peggiorano ancora: Frey e Mutu vengono ceduti, Mihajlović viene esonerato a novembre, a gennaio Gilardino si trasferisce al Genoa. Lì segna 4 gol in 14 partite.

Doppietta con la Biellese a 13 anni. «Alberto!»

Nell'estate del 2012 Alberto Gilardino ha trent'anni. Il grosso della sua carriera è andato: ha avuto la sua occasione in una grande squadra, ha vinto i Mondiali e una Champions League, ha giocato molto bene in un paio di squadre da metà classifica e ora è in una squadra che gioca per non retrocedere. Non gioca in Nazionale dal marzo del 2011, naturalmente non va agli Europei del 2012, nonostante l'allenatore dell'Italia sia Prandelli che lo adora. Le consuetudini del calcio fanno pensare legittimamente che sia nel pieno della sua parabola discendente. Gilardino ha fatto il suo. Lo conferma il fatto che in estate lo stesso Genoa decida di puntare su Borriello e lo mandi in prestito al Bologna. Se esiste una linea che separa gli ottimi giocatori dai grandi campioni, Gilardino sembra ormai solidamente collocato tra gli ottimi giocatori.

Lui però non ha finito. Nella stagione 2012-2013 col Bologna segna 5 gol nelle prime 5 partite di campionato. A febbraio gioca la sua 400esima partita in Serie A. In aprile segna il gol numero 3000 della storia del Bologna. Alla fine del campionato ha messo insieme 13 gol – di testa, di forza, di furbizia: tutto il repertorio – e anche grazie a lui il Bologna si salva con tranquillità. I tifosi lo adorano. Alla fine della stagione Pazzini si opera al ginocchio e Osvaldo manda a quel paese il suo allenatore. Risultato: Gilardino torna in Nazionale, convocato alla Confederations Cup in Brasile.

Gilardino in Confederations Cup gioca quattro minuti contro il Messico e zero contro il Giappone e il Brasile. Poi però si fa male Balotelli, finisce titolare nella semifinale contro la Spagna e se la cava dignitosamente: alla faccia della parabola discendente. Se si esclude Del Piero, fuori dal giro da anni, Gilardino è il più grande marcatore in attività della Nazionale di calcio italiana: ha fatto 19 gol, e guai a chi dice che se ne segna un altro raggiunge Paolo Rossi.

Durante l'estate Gilardino quasi va all'Inter, quasi va al West Ham, quasi va al Napoli, quasi va alla Roma, quasi va alla Lazio, quasi va alla Juventus, alla fine rimane al Genoa. Continua a giocare in Nazionale, a settembre segna il gol della vittoria contro la Bulgaria. In campionato ha già segnato un gol meraviglioso e ha fatto un assist altrettanto meraviglioso nel derby contro la Sampdoria. Nei prossimi otto mesi si gioca la possibilità di andare ai Mondiali. Quando la sua carriera sembrava finita se n'è inventata un'altra: se esiste una linea che separa gli ottimi giocatori dai grandi campioni, tale Gilardino si è riportato nella terra di mezzo.

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