Quando ho pensato per la prima volta di scrivere di Francesco Totti la stagione 2012-2013 non era ancora finita e la Roma aveva ancora la possibilità di qualificarsi per l’Europa League arrivando quinta e soprattutto la finale di Coppa Italia da giocare contro la Lazio. Totti era in uno splendido momento. Il diciassette marzo aveva segnato il suo duecentoventiseiesimo gol in Serie A contro il Parma, superando Nordahl e prendendosi in solitaria il secondo posto della classifica marcatori all time del campionato. Si parlava dell’inseguimento al record assoluto di Piola e ci si chiedeva quanto ci avrebbe messo a segnare i 47 gol restanti.
Totti diceva di non ricordare nessun italiano più forte di lui perché «i numeri parlano chiaro» e si parlava addirittura di un possibile ritorno in Nazionale, del Mondiale brasiliano della prossima estate. Le sue azioni erano così in alto che si poteva permettere di essere scettico dicendo che se le cose fossero andate male avrebbero saputo con chi prendersela: «Hanno portato un vecchio, hanno portato quello che ha rovinato il gruppo». Nel derby dell’otto aprile aveva realizzato il suo nono gol in totale alla Lazio, raggiungendo Marco Delvecchio e Dino Da Costa in cima alla classifica dei marcatori, sempre all time, della stracittadina: «Il mio record più bello». Lo aveva festeggiato a lungo e per un attimo sembrava si fosse fermato il tempo, anche se in realtà le lancette correvano e quello di Totti era il gol dell’1-1 di una partita che la Roma, proprio per quelle ambizioni non ancora sopite, avrebbe dovuto provare a vincere. Poco dopo il New York Times gli aveva dedicato un bel pezzo, in cui le dichiarazioni di Totti, secondo il quale solo Messi faceva cose che lui non immaginava di poter fare, venivano interpretate come mancanza di «false modesty» anziché, secondo la lettura italiana, semplice arroganza. Totti a quel punto voleva raggiungere il record di Piola (lontano quarantasette gol) ma non dipendeva solo da lui. Con un solo anno di contratto (scadenza giugno 2014) sarebbe stato difficile, anzi impossibile, ma lui si diceva fiducioso, sicuro di poter trovare un accordo con la società.
Il mio rapporto da tifoso con Totti è sempre stato all’insegna dell’ambiguità. Sono nato nel 1981 e mio padre è laziale, non avevo nessuno che mi portasse allo stadio da piccolo e se la Roma era nata grande (o se lo era stata nella prima metà degli anni ottanta come mio zio materno raccontava) io non lo potevo ricordare. La prima Roma di cui ho piena coscienza è quella che ho seguito durante gli ultimi anni del liceo. Quella dello scudetto laziale del 2000 e, solo tre giorni dopo, dell’addio di Giuseppe Giannini con l’aereo passato sopra l’Olimpico con la scritta “Lazio Campione” e il saluto amaro al Principe finito in invasione di campo e le porte e il manto erboso distrutti come per dire che basta, il calcio era finito, in questo stadio, in questa città, non ha più senso giocare. Ma anche la Roma capace di risorgere dalle sue ceneri e vincere lo scudetto nel 2001, il terzo della storia romanista, scucendolo direttamente dall’odiata maglia celeste. In quel periodo seguivo con così grandi speranze la Roma (speranze rafforzate dalla vittoria per 3-0 sulla Fiorentina in Supercoppa) e credevo così tanto che potesse diventare una delle migliori squadre europee, che sono andato allo stadio a vedere Roma-Real Madrid l’11 settembre (la mia prima partita di Champions League, la prima della Roma dopo la finale tremenda del 1984) e nonostante un tipo seduto affianco a me con in testa una bandana americana e il clima poco festoso, devo ammettere che mi sono emozionato. Per la cronaca: abbiamo perso 1-2, una punizione al bacio di Figo da trenta metri, un cross al bacio di Figo per la testa di Guti, poi Totti su rigore.
Nonostante quella sconfitta una parte di me pensava che ero stato fortunato a capitare nel momento storico in cui la Roma stava davvero per tornare grande, e in effetti la prima metà di stagione è stata strepitosa. Le mie speranze sono naufragate nel pareggio esterno con il Venezia già retrocesso (2-2), a cinque giornate dalla fine, in cui di fatto è diventato chiaro che non avremmo vinto il secondo scudetto consecutivo e che forse l’era Capello sarebbe stata meno interessante di quel che credevamo. Già qualche settimana prima, dopo il 5-1 sulla Lazio, la Roma aveva perso il primato in classifica perdendo a Milano con l’Inter lo scontro diretto, e alla fine è andata bene che siamo arrivati secondi grazie al 4-2 proprio della Lazio sull’Inter all’ultima giornata (quel famoso cinque maggio 2002). E le stagioni successive avrebbero confermato i timori più che le speranze. Il campionato 2002-2003 della Roma è stato a dir poco mediocre (ottavo posto) e in Champions League, dopo aver preso tre gol in casa dal Real Madrid ed essersi rifatti al Santiago Bernabeu (gol di Totti) la squadra di Capello è stata eliminata come ultima del secondo girone di qualificazione che avrebbe dato accesso ai quarti, vincendo una sola partita. Quella che era la migliore Roma da quasi due decenni, per due anni di seguito non è riuscita ad arrivare neanche ai quarti di Champions League. Come se non bastasse, nella doppia finale di Coppa Italia è stata battuta dal Milan 4-1 all’Olimpico, a cui è seguito un inutile 2-2 a San Siro (3 gol di Totti in due partite, tutti su punizione).
L’anno dopo (2003-2004), sembrava essere tornata la Roma migliore, capace di battere la Juventus 4-0 e 4-1 l’Inter, ma perdendo entrambi gli scontri diretti col Milan alla fine è arrivata di nuovo seconda. In Coppa Uefa si è fatta eliminare agli ottavi dal Villareal ma anche questo non sarebbe stato poi così grave se a fine stagione Capello (che ha portato la visione di gioco di Totti a un livello superiore con uno schema fisso che prevedeva che lanciasse in diagonale alle sue spalle, senza guardare, senza guardare ma con la solita precisione golfistica, per uno tra Del Vecchio e Batistuta, e che tuttavia gli diceva: «Francesco, hai il culo basso») non avesse fatto le valigie e lasciato Roma per Torino, la Roma per l’odiata Juventus, si dice di notte, per evitare incontri spiacevoli.
Ed è al termine di una delle più brutte stagioni che ricordi, quella 2004-2005, quella dei quattro allenatori (Prandelli → Voëller → Del Neri → Bruno Conti), di un altro mediocre ottavo posto in campionato, del girone di qualificazione di Champions League concluso senza neanche una vittoria e della sconfitta in finale di Coppa Italia contro l’Inter (0-2 in casa all’andata, 0-1 al ritorno a Milano), che Totti ha dovuto scegliere tra la sua Roma e il Real Madrid. Come sappiamo, Totti alla fine ha scelto di rinnovare: «Preferisco vincere uno scudetto qui che dieci altrove». Questa frase ai romanisti piace molto, ma poteva essere interpretata anche come mancanza di ambizione.
A ventotto anni (quasi ventinove) Totti aveva già battuto il record di Pruzzo (107 gol) diventando il più grande cannoniere della storia della Roma e, d’accordo, non era un mercenario, non era un calciatore moderno, ok, ma perché non potevamo vincerli noi dieci scudetti?
Come andava preso quel rinnovo: era un contentino alla tifoseria arrabbiata, il parafulmine da ogni critica, o Totti avrebbe davvero riportato la Roma sulla strada del successo?
Totti si stava accontentando?
Aveva scelto di restare perché pensava davvero che avrebbe vinto qualcosa di importante o perché a Roma si poteva fare le magliette tipo quella Vi Ho Purgato Ancora?
Comunque già nel caso di quel quinquennale (10,5 milioni di euro lordi a stagione) del maggio 2005 si parlava di contratto “a vita” e un ruolo in società di “reciproca soddisfazione” una volta terminata la sua carriera.
Se non vi rendete conto di quanto è lontano il 2005 pensate che è l’anno di nascita di YouTube, dell’uragano Katrina, degli attentati alla metro di Londra e che appena smaltita la folla di fedeli al Vaticano per i funerali di Giovanni Paolo II, un mese dopo il rinnovo di cui sopra, Totti ha riempito di un tipo di fedeli diverso le scalinate di Santa Maria in Aracoeli sposando Ilary Blasi in diretta Sky, dando poi il ricavato in beneficenza al canile di Porta Portese. Appena usciti gli sposi dalla chiesa è partito il coro «un capitano/ c'è solo un capitano», io passavo dalle parti di piazza Venezia e mi sono fermato a guardare, e questa è la cosa più simile a un matrimonio regale che possa avere Roma, visto che il Papa non si può sposare. (E non posso fare a meno di ricordare che pochi giorni dopo Del Piero, una delle nemesi con cui Totti è stato confrontato nel corso degli anni, si è fatto sposare da Don Ciotti in un paese sulle colline torinesi, in gran segreto, una cerimonia che il Corriere della Sera ha definito «sobria, molto intima», col capitano della Juve accompagnato da una «piccola comitiva», dodici invitati in tutto.)
Mentre scrivevo questo pezzo mi consultavo con un amico romanista, la persona che ho sentito parlare meglio di Totti in tutta la mia vita e che quindi adesso chiamerò il Mio Amico Tottiano. Gli ho chiesto secondo lui qual è stato il picco nella carriera di Totti. Il Mio Amico Tottiano ha risposto: «Nessuno. Ho visto tutte le partite della Roma all’Olimpico, tranne cinque o sei, dal 1997 a oggi, e nel 90% di esse Totti è stato il migliore in campo. Non il migliore della Roma, in generale, considerando anche gli avversari. Quindi direi un unico picco lungo sedici anni». Per il Mio Amico Tottiano la Roma viene comunque prima di Totti, ma sostiene che dal vivo non ha mai visto un giocatore migliore di Totti. Che gli è sembrato meglio Totti di Cristiano Ronaldo. Ho chiesto anche ad altri Amici Tottiani e ho riscontrato una certa difficoltà ad ammettere l’inferiorità del Capitano di fronte anche a grandissimi campioni come Cantona, Zidane, per non parlare dei rivali italiani R. Baggio e Del Piero. Per quanto sia sbagliato fare confronti è interessante la loro difficoltà ad ammettere: «Sì: ___________ è più forte di Totti e avrei preferito che la Roma avesse speso i suoi soldi per ___________ anziché per il Capitano».
Dopodiché, ci sono due ipotesi.
La prima è che il suo momento migliore corrisponda alla sequenza Europeo 2000/Scudetto 2001. A favore di questa tesi ci sono: il cucchiaio a van der Sar in semifinale, il premio come Man of The Match in finale e in generale l’idea che se fosse dipeso soltanto da lui quella partita forse l’avremmo vinta: non solo grazie al tacco con cui, dopo aver difeso palla e aspettato esattamente il momento giusto, manda Pessotto al cross per il gol di Del Vecchio che ha portato l’Italia in vantaggio (al minuto 4.00 del video qui sotto col commento in giapponese e tutti i tocchi di Totti in quella partita) ma anche per un’occasione in cui ha messo Del Piero davanti alla porta per il possibile raddoppio (minuto 4.56: Del Piero incrocia malissimo di sinistro cadendo goffamente a terra) e un'altra di poco successiva in cui resiste a una carica a centrocampo con una specie di piroetta prima di lanciare in diagonale Del Vecchio che però calcia sull’esterno della rete (minuto 5.50). Totti stesso ritiene che se l’Italia avesse vinto quella finale, magari gli avrebbero dato il Pallone d’Oro (lo ha detto sempre nell’intervista di Gazzetta del 29 marzo scorso, ma in realtà in quell’edizione 2000 Totti è arrivato quattordicesimo nella classifica di France Football e il suo miglior piazzamento è dell’anno successivo, quinto, probabilmente merito dello scudetto). Riguardo la finale con la Francia però va detto che i suoi critici più pignoli gli rimproverano di aver sprecato quello che sarebbe potuto essere l’ultimo pallone della partita, a pochi secondi dalla fine dei quattro minuti di recupero, con un lancio a Pessotto in fuorigioco che ha lasciato il tempo alla Francia per giocare l’azione del pareggio di Wiltord (nel video giapponese questo passaggio non c’è; ed è forse a partire da quel giorno che Totti diventa il miglior giocatore al mondo nel perdere tempo tenendo palla sulla bandierina del calcio d’angolo vicina alla porta avversaria, a volte anche a cinque minuti dalla fine della partita). Per quanto riguarda il periodo scudetto, c’è chi sostiene che Totti sia stato poco più di un comprimario, il protagonista di un film con molti protagonisti, gente come Batistuta, Samuel, Cafu, Emerson, Montella. Che se fosse dipeso veramente da lui, avremmo vinto molto di più in tutti questi anni. Un punto di vista comprensibile.
La seconda ipotesi è quella del rebuild spallettiano (2005-2009), successivo appunto al rinnovo “a vita”. E in un certo senso quelli che come me dubitavano che Totti e la Roma avessero preso la decisione migliore per i loro rispettivi interessi si sono dovuti ricredere. Nel sistema di Spalletti la capacità di Totti di vedereporzioni di campo “cieche” per qualsiasi altro giocatore al mondo, o quasi, esaltata dal movimento dei compagni e al suo nuovo ruolo da centravanti (oggi diremmo "falso nove"), ha raggiunto livelli inediti. Nonostante un periodo iniziale complicato e la cessione di Cassano al Real Madrid (che da una parte ha significato la fine di una delle più belle coppie della storia del calcio italiano, ma dall’altra ha significato la fine del periodo iniziale complicato di cui sopra) la Roma di Spalletti ha vinto undici partite consecutive tra dicembre ’05 e febbraio ’06 (l’ultima della striscia è il derby vinto 0-2 in cui Totti, infortunato, non giocava: record battuto l’anno dopo dall’Inter con diciassette vittorie) e alla fine della stagione il quinto posto in classifica guadagnato “sul campo” è stato convertito da Calciopoli in un secondo alle spalle dell’Inter di Mancini.
E la Roma di Spalletti non ha mai fatto meglio di così (in un periodo in cui non c’era neanche la Juve) ottenendo appena due secondi posti nelle successive due stagioni con quello che da molti era considerato il miglior gioco del campionato, e di fatto le vittorie della Roma di Spalletti si limitano a tre trofei nazionali (due Coppe Italia, 2007 e 2008, e una Supercoppa, 2008). Era il periodo degli aiutini all’Inter e secondo alcuni le ragioni della mediocrità di risultati di quella Roma vanno cercate nella Lega calcio (e questa è un’idea anche tottiana). Certo, una delle partite chiave che non hanno permesso alla Roma di vincere lo scudetto 2007-2008 è il pareggio in casa con il Livorno (gran punizione di Diamanti) che ha mandato l’Inter a +6, a quattro giornate dalla fine (e nelle restanti giornate avremmo recuperato ben cinque di quei sei punti). Questo per dire che quella Roma è stata la Roma migliore che abbia visto con i miei occhi, ma che quel periodo può essere anche ricordato come l’occasione perduta che ha confermato la nostra dimensione minore. Di squadra di seconda fascia (oddio che ho scritto).
Anche in Champions League non siamo mai andati al di là di ottime figure sporadiche. Nell'edizione 2006-2007, dopo aver eliminato il Lione agli ottavi vincendo 2-0 in Francia (la partita dello splendido gol con il triplo doppio-passo di Amantino Mancini), nei quarti di finale abbiamo subìto la sconfitta recente più dura, l’infamous 1-7 di Manchester contro lo United. E sempre lo United, sempre ai quarti, ci ha eliminato l’anno seguente (dopo che avevamo battuto 2-1 il Real a Madrid negli ottavi: 1-0 di Taddei con un colpo di testa perfetto) questa volta con un passivo totale meno umiliante: 0-3 tra andata e ritorno. L’ultima stagione completa di Spalletti, quella 2008-2009, poi si è conclusa con un sesto posto in campionato e l’eliminazione agli ottavi di Champions per mano dell’Arsenal, con uno Spalletti timoroso che preferisce andare ai rigori anziché buttare dentro Jeremy Menez nei tempi supplementari e provare a battere un Arsenal in evidente calo fisico. Insomma un nuovo ciclo si stava chiudendo e (ancora) non avevamo vinto (quasi) niente.
Certo, dal punto di vista di Totti, quello è stato un gran periodo. Neanche un anno dopo aver rinnovato, nel febbraio 2006, si è infortunato alla caviglia in seguito al tackle da dietro, che però non sembrava neanche dei peggiori, del difensore dell’Empoli Richard Vanigli (e c’è chi dice che non si sarebbe fatto così male se non avesse accentuato la caduta), ma non solo è riuscito a recuperare in tempo record per vincere il Mondiale (a cui ha contribuito con quattro assist e il gol su rigore all’Australia calciato con uno stadio intero che lo fischiava): al termine della stagione successiva (2006-2007) ha vinto la Scarpa d’Oro con ventisei gol in campionato, trentadue in totale, che resta al momento il solo riconoscimento internazionale al suo talento individuale. Così, oggi, al giornalista di Gazzetta che gli ha chiesto quanti gol avrebbe segnato se avesse giocato sempre da attaccante, Totti ha risposto: «E se ne ho fatti 226 in cinque-sei anni... Già avrei superato anche Piola». A parte che di anni ne sono passati quasi otto, da quel 18 dicembre 2005 in cui Spalletti non avendo nessun altro da schierare al centro dell’attacco contro la Sampdoria ci mette lui, ma in generale si è data troppa importanza al fatto che in quel periodo Totti si è avvicinato alla porta.
La sua media realizzativa in realtà non è cambiata in maniera sensibile dopo il cambio di ruolo. Il dato ufficiale è che Totti ha segnato solo centodieci gol in Serie A nelle prime tredici stagioni da professionista e praticamente gli stessi nelle otto successive a quella 2005-2006 (arrivando a un totale di duecentosette). Ma questo significa tenere conto delle prime due stagioni in cui Totti ha accumulato dieci presenze in tutto e delle successive tre in cui, pur giocando con continuità, segna solo undici gol. Se si comincia a contare da quella ’97-’98 in cui Totti è andato per la prima volta in doppia cifra (aveva solo ventun anni) si capisce che la differenza non è poi così grande: novantanove gol nelle prime otto stagioni (centoventidue contando anche le coppe), centodiciassette nelle seconde otto (centoquarantaquattro con le coppe). Venti gol di differenza spalmati in otto anni significano una differenza di poco più di due gol l’anno, e in mezzo c’è anche la stagione monstre della Scarpa d’Oro. Sotto questo aspetto sembrerebbe avere ragione Il Mio Amico Tottiano: Totti è soprattutto un giocatore molto molto costante che DA SEDICI ANNI segna tra i dodici e i quindici gol in campionato (solo tre volte di meno, solo due volte di più). Giocare più vicino alla porta lo ha aiutato in quella fase di transizione importante in cui si è trovato a gestire il normale declino fisico di un trentenne, accentuato dall’infortunio, e a cui Totti ha fatto fronte mettendosi a giocare praticamente "a un tocco solo" (grazie alla sua eccezionale rapidità di pensiero, l’eccezionalità tecnica nei passaggi e al secondo paio d’occhi dietro la testa).
Chissà per quale ragione, però, quando Totti deve rinnovare il contratto non è mai un buon momento per la Roma. Nel dicembre 2009 non esisteva più la Roma di Spalletti (e al suo posto il condottiero Claudio Ranieri si era presentato dicendo: «Scordatevi il bel gioco») e il quinquennale a circa otto milioni e novecentomila euro lordi per la prima stagione, otto milioni e seicentomila per le successive, mi sembrava un premio al simbolo della romanità (a quella lettera più tre numeri sul suo codice fiscale: H501) e non l’accordo migliore che si potesse fare con un trentatreenne. Mi chiedevo addirittura se Totti non se ne stesse un po’ approfittando. Certo aveva rinunciato ad altre opportunità quando magari gli sarebbe convenuto, ma il record più importante per entrare nei cuori dei tifosi, quello del maggior numero di presenze in maglia giallorossa, a quel punto lo aveva già battuto (il 27 febbraio 2008), non era forse venuto il momento, non dico di farsi da parte, ma di diminuire la propria importanza (anche contrattuale)?
Da quell’ultimo/penultimo rinnovo sono passate altre quattro stagioni. Nel 2009-2010 la Roma allenata da Ranieri (sfruttando, si dice, la preparazione atletica di Spalletti) è arrivata seconda per la sesta volta nelle ultime otto stagioni. Stavolta poi non ci sono dubbi sul fatto che sia stata la Roma a perderlo più che l’Inter a vincerlo o qualcun altro a toglierglielo. La sconfitta interna contro la Sampdoria, da prima in classifica, a quattro giornate dal termine, è una delle pagine più tristi della storia romanista recente. La stagione si è conclusa con la finale di Coppa Italia persa all’Olimpico contro l’Inter, con cui avremmo potuto già all’epoca guadagnarci la stella argentata tanto desiderata e che invece verrà ricordata come la partita del calcione di Totti a Balotelli. E forse questo è il punto più basso della storia di Totti, che dopo aver scritto una lettera di scuse in cui anziché scusarsi attacca Balotelli e i suoi detrattori, pochi mesi dopo l'ultimo rinnovo pensa per la prima volta di ritirarsi.
Il lungo periodo di transizione cominciato dalla stagione 2010-2011 si trascina fino ad oggi, con cinque allenatori in tre stagioni (Ranieri → Montella → Luis Enrique → Zeman → Andreazzoli), e il cambio ai vertici della società che ha aggiunto al generale senso di scoramento quello dovuto a un progetto sbandierato e mai partito. Mentre lavoravo a questo pezzo la Roma ha concluso la stagione 2012-2013 senza qualificarsi neanche per l’Europa League e perdendo la drammatica finale di Coppa Italia dello scorso 26 maggio. Franco Baldini ha dato le dimissioni e abbiamo passato un periodo che è sembrato lunghissimo senza sapere quale sarebbe stato l’allenatore per la prossima stagione. Pochi giorni dopo la finale i quotidiani italiani hanno riportato stralci di un’intervista di Totti a France Football(rilasciata in realtà prima) in cui il Capitano diceva: «Se fossi andato al Real Madrid avrei vinto 2 Champions League, 3 Palloni d’Oro e molte altre cose», e che ancora oggi riceve delle offerte dall’estero. James Pallotta ha detto di recente che Totti farà sempre parte della Roma, aggiungendo però: «Giocherà sicuramente un altro anno o due è una cosa che dobbiamo capire con lui, non so se vorrà giocare fino ai 40. Poi comincerete a chiedermi se giocherà fino ai 50». Fermo restando che con 12 gol e 11 assist Totti è finito praticamente in tutti i top XI della stagione, anche chi gli vuole più bene di me deve ammettere che ormai riesce sempre più raramente a esprimere le sue qualità, e che nonostante tutto quel talento sembra in balìa degli eventi. Impotente. Fortissimo e impotente. Totti è ancora lì ma già non è più lì, per questo ogni suo nuovo passaggio riuscito è una specie di miracolo. Se poi è un filtrante di tacco, allora vengono quasi le lacrime agli occhi.
Una parte di me si commuove a vedere che i figli di Totti sono cresciuti (un sentimentalismo rafforzato dalle lacrime di Chanel dopo la sconfitta nel derby), un’altra parte soffre nel constatare che sulla pagina Wikipedia del Capitano la lista dei riconoscimenti individuali è decisamente più fitta delle vittorie di squadra (se poi togliamo le competizioni giovanili, o la Nazionale, la situazione si fa palese) e si chiede quale sarà la vera eredità di Totti.
Di quale partita ci ricorderemo quando penseremo a Totti?
Del derby del cucchiaio vinto 5-1 o di quello perso in finale di Coppa Italia?
Quale partita è stata più dolorosa?
Quella di Manchester, il pareggio di Venezia, quello con il Livorno, la sconfitta con la Samp, la finale con l’Inter del 2010?
Certi romanisti, che magari sono più romanisti di me, dicono che la sconfitta con la Lazio in Coppa Italia sia addirittura peggiore di quella del 1984 in finale di Coppa Campioni con il Liverpool (con i cui racconti sono cresciuto, soffrendo per una partita che non ho visto). Qual è la vera dimensione della Roma?
Se Totti rappresenta la storia recente della Roma, cosa vuol dire quando dice che «fuori da Roma»avrebbe vinto di più?
La Roma ha frenato Totti?
In un universo parallelo esiste un Totti che ha accettato l’offerta del Real Madrid?
E com’è, gioca ancora, se li porta i figli in campo?
E come sarebbe stata la Roma senza Totti?
Non sono la persona migliore per giudicare la romanità di Totti. Sono cresciuto in una famiglia molto romana e ho sempre pensato fosse uno svantaggio, non sono orgoglioso della mia parlata, della mia «esse» strascicata (strascicata è una parola romana?), del fatto che a trentadue anni pronuncio le «gl» come le «j». Non mi piace la romanità di Totti quando a “Che Tempo Che Fa”si lascia prendere in giro da Fazio che gli chiede se Cristian si scrive con o senza la acca: «Senza acca. Normale». «E invece Chanel...» «Chanel con l’acca. Pe’ forza», e Fazio che dice che magari a Roma si scrive «Scianel». Come no. Sarò anche un self-hating romano ma mia madre cucinava consumando cinque litri d'olio al mese e capisco quando nel primo dei cinque dvd della Gazzetta il fratello di Totti racconta che dopo il primo gol in campionato hanno festeggiato con una torta insieme a tutta la famiglia. Totti è di via Vetulonia (Appio Latino) e capisco quei tifosi della Roma che per festeggiare lo scudetto sono andati a citofonare alla madre di Totti. Mamma Totti racconta che quando era piccolo era contenta di portarlo agli allenamenti perché in casa c’erano i nonni malati, e quasi tutti i miei amici quando ero piccolo avevano almeno un nonno malato nella camera in fondo al corridoio. Il Mio Amico Tottiano, che è di Torpignattara, ha rimorchiato una ragazza perché ha visto sulla sua tessera della biblioteca che abitava a Via Vetulonia. Per il suo compleanno lei gli ha regalato la maglietta di Totti autografata (in effetti lo conosceva).
Si sono lasciati dopo un anno e mezzo ma la maglietta di Totti è ancora incorniciata nella cameretta del Mio Amico Tottiano. Un altro mio amico che non segue molto il calcio quando aveva quindici anni faceva ripetizioni di latino all’Appio Latino, nel palazzo della madre di Totti. Una volta (Totti era già Totti) lo ha visto giocare abiliardino nel bar di sotto, e questo è il tipo di cose che a Roma racconti anche se di calcio non te ne frega niente. Capisco la romanità di Totti bermuda e scarpe da ginnastica, infradito e maglione di cachemire sulle spalle, le estati passate a giocare a racchettoni insieme al figlio, con il costume slip sulla spiaggia di Sabaudia, il Golden Retriever col brevetto da salvataggio. Una sera di qualche anno fa mio padre ha parcheggiato l'auto in uno slargo infrattatodi Trastevere (infrattato è una parola romana?) e quando è tornato dei SUV gli bloccavano l'uscita. All'angolo più vicino c'era una porticina e dietro la porticina un locale che sembrava losco "alla Trastevere" da cui invece sono usciti alcuni giocatori della Roma più della gente qualunque, per spostare le macchine. Era l’anno di Luca Toni. Mio padre ha riconosciuto anche Cassetti. A un certo punto esce Totti: «Ma che me la devo sposta’ da solo?», chiede a nessuno di preciso. «No France', te la sposto io», risponde uno. Totti ha lanciato le chiavi ed è rientrato. Quindi sì, forse Totti un po’ se ne approfitta.
Totti è disponibilissimo. Walter Sabatini, il d.s. della Roma accusato di essere laziale, dice (nel dvd di Gazzetta) che è «un dispensatore di felicità. [...] Non l’ho visto mai sottrarsi a un gesto di cortesia, una carezza a un bambino, una fotografia per chi ce n’ha bisogno, vengono qui a cercarlo e lui mai si sottrae. Devo dire che questo è un segno veramente di grandezza». Chi lo ha conosciuto da piccolo ricorda un bambino timido. Totti è un capitano silenzioso. Il terzino sinistro dello scudetto Vincent Candela dice che «non è uno da grandi parole. Dà l’esempio giorno per giorno». Cassano dice che è «talmente umile e introverso che è una cosa incredibile. [...] Una persona molto molto ma molto semplice». Totti si sa ama i bambini e fa molta beneficenza. Totti non solo è un grande professionista, ma è ben voluto da tutti quello che gli stanno intorno come uomo. Certo c’è la brutta scena di Totti che dopo l’espulsione (ingiusta) di Livorno-Roma nel 2007 spintona Vito Scala, massaggiatore e amico e suo “Sancho Panza”, mandandolo col culo per terra, come si dice a Roma. Ma c’è anche quella con tutti i dipendenti di Trigoria che gli fanno la sorpresa per i vent'anni dall'esordio e lui ricambia l'affetto con voce commossa e il senso delle grandi occasioni tipico delle vere famiglie romane: «In venti anni alla Roma è la cosa più bella successa a Trigoria. Però, non finisce qua!» E poi c’è quel video in cui una coppia di sposi appena uscita di chiesa va a Trigoria a farsi le foto con Totti. Due anni fa ero fuori dal Maxxi la sera in cui erano attesi i giocatori della Roma per la cena di Natale. Ho stretto la mano a Baldini, Heinze ha parcheggiato in divieto di sosta e dalla sua auto è sceso Lamela, circondato dai bambini. Non mi sono accorto di Totti, fermo in mezzo alla strada, piegato in due a parlare con un tipo sulla sedia a rotelle. E poi fermato di nuovo da una vecchietta scesa da casa con le pantofole. Signori e Signore: The King of Rome.
La romanità di Totti è anche nello sputo a Poulsen, nel calcio a Balotelli?
Forse è peggio la simulazione (ammesso che fosse tale) in Corea durante il Mondiale del 2002 che ne ha compromesso l’immagine all’estero?
I laziali lo attaccano perché simbolo della Roma o perché, con tutti i suoi difetti, simbolo di Roma (e quindi anche loro)?
Persino alcuni romanisti gli hanno contrapposto De Rossi, Panucci, Burdisso, addirittura Cassano, perché in qualche modo si sentivano rappresentati meglio da loro che da lui. D’altra parte è anche colpa sua, che ha usato la romanità per difendersi dagli attacchi che provenivano dall’esterno. Come quando l’allenatore argentino Carlos Bianchi voleva venderlo alla Sampdoria: «Sì, lui non sopportava i romani. Si figuri che nelle partitelle faceva le squadre romani contro non romani».
Oppure dopo il calcio a Balotelli: «Ogni volta che succede qualcosa nei miei confronti vale dieci volte di più, mi sono chiesto tante volte il perché. Forse è invidia, o forse succede perché alla fine sono un buono. Ma probabilmente sono antipatico a tanti perché sono romano».
Nel suo ultimo libro Totti scrive: «Quando vengono a Roma, i giocatori stranieri rosicano. Provate a guardare alla prossima partita della Roma contro una squadra europea se non picchiano giù duro: è per colpa della bellezza dei nostri monumenti. Uno sgambetto per l’Altare della Patria. Un tackle in scivolata per la Domus Area. Un’entrata da dietro per le Catacombe di San Callisto».
Totti ci crede davvero o, come qualcuno pensa, ripete cose che sente dire intorno a sé?
La romanità di Totti è un prodotto culturale di Maurizio Costanzo? Il Totti che pubblica a proprio nome le barzellette che circolavano già contro di lui.Una romanità di secondo grado, furba, da usare, da esportare, la romanità delle pubblicità autoironiche della Volkswagen.
Si può essere autoironici e permalosi e rosicare (questo sì, molto romano)?
Si può essere autoironici e contare i propri tacchi e dribbling sul proprio sito ufficiale (rispettivamente: 1029 e 2151)?
La romanità di Totti è quella di Pasolini o quella già filtrata di Alberto Sordi?
Il gladiatore sulla sua fascetta da capitano rimanda all’Antica Roma o al Gladiatore di Russel Crowe?
Totti parla poco perché è timido o perché qualcuno lo costringe?
Cosa sappiamo davvero di Totti che non sia esattamente quello che Totti o chi-per-lui vuole farci sapere di Totti?
Quanta gente guadagna ogni volta che Totti batte un record?
Totti ha sbagliato ad accettare il ruolo di Totti, avrebbe dovuto rinunciare alla corona che gli è stata offerta?
Dovrebbe scendere dal piedistallo o dovrebbe stare più attento a quello che fa mentre sta sul piedistallo?
Le sue vittorie sono vittorie anche della Roma?
I suoi record, per noi, valgono quanto «dieci scudetti»?
Ha cavalcato gli umori peggiori della città per nascondere i suoi stessi fallimenti?
Totti è egoista di suo o un po' di egoismo è normale per un grande campione in una squadra provinciale?
Adesso che tipo di contratto sarebbe più giusto?
Se a un certo punto fosse davvero stanco, Totti sarebbe libero di smettere di giocare?
A quali condizioni far arrivare Totti fino a quarant’anni è una cosa bella, e a quali diventa un sacrificio per la Roma?
Sarebbe giusto che provasse a guadagnare il più possibile, sarebbe giusto accontentarlo qualsiasi richiesta faccia?
Ha dato più Totti alla Roma o la Roma a Totti?
Avere Totti in squadra è una motivazione in più per i suoi compagni o si sentono confrontati a lui continuamente?
È una buona influenza sui più giovani o si sentono in dovere di passargli la palla?
È colpa sua se i suoi compagni non si prendono le loro responsabilità?
Come verrà ricordato?
Ci sarà mai un altro Totti?
Sarà possibile un giorno storicizzarlo?
Secondo il Mio Amico Tottiano, finché Totti è il migliore in campo, è inutile parlarne.
Quando gli ho chiesto: «Se ti offrissero gli stessi soldi per Totti e per Lamela, e tu dovessi scegliere, quale venderesti dei due?»
Il Mio Amico Tottiano ha risposto: «Io la storia non la vendo».