L'immagine odierna di Paul Gascoigne, con la profonda stempiatura e il pizzetto brizzolato, rimanda vagamente a quella di Michael Keaton in Birdman, storia di un attore divenuto celebre vestendo i panni di un supereroe alato, ma ormai, a un ventennio di distanza, caduto nell'oblio.
In questa clip, estratta dal documentario uscito nel 2015, Gascoigne inizia a sorridere, poi si fa di colpo più serio, ma anche nel momento del sorriso i suoi occhi tradiscono una venatura di infelicità. Il calcio è stato la sua fonte di salvezza; il terreno di gioco l'unico luogo in cui si è sentito al sicuro, protetto dai suoi demoni. Sono passati più di dieci anni dal suo ritiro.
La carriera di Gascoigne è stata una corsa sulle montagne russe: un'alternanza tra momenti sublimi e grotteschi, vette e baratri, degna della Divina Commedia. Dribbling infiniti. Alcool. Passaggi illuminanti. Paranoia. Tiri perfetti. Droghe. Partite memorabili. Nottate folli.
Eppure, oggi di lui viene quasi soltanto ricordato il lato negativo della dicotomia genio-sregolatezza, di cui è forse l'epitome più riuscita. Un ragazzo mediamente appassionato di calcio nato negli anni '90 (o poco prima) probabilmente associa a lui l'idea di un uomo mezzo matto che faceva anche il calciatore. Ma Paul Gascoigne è stato uno dei giocatori più elettrizzanti mai nati in Inghilterra. Kevin Keegan, quando allenava la nazionale dei Tre Leoni disse: «Sapete dirmi dove posso trovare un centrocampista coraggioso capace di cambiare la partita in un istante o di tirar fuori un gol dal nulla? Oltre a Gazza è difficile farsene venire in mente un altro».
Ogni quanti anni nasce un Paul Gascoigne?
«Saltò tre avversari, facendo tunnel a due di loro, si portò il pallone sull'esterno e lo scaraventò dentro: una delle migliori reti che abbia mai visto a qualsiasi livello». Dave Craggs, tifoso del Newcastle, ha ricordato così, sulle pagine di FourFourTwo, uno dei due gol del diciottenne Gascoigne nel 4-1 al Watford con cui i “Magpies” si assicurarono la FA Cup giovanile del 1985. Il tiro, tra l'altro, venne scoccato da oltre 25 metri e finì la sua corsa nell'angolino alto: «Dovrai aspettare mille anni per vedere di nuovo una cosa del genere» disse l'allenatore dei bianconeri Jack Charlton al suo assistente Maurice Setters. Prima ancora di scendere dal pullman del ritorno, il fratello del grande Bobby offrì al giovane un contratto di due anni: il massimo per un ragazzo nato a Gateshead, sull'altra sponda del fiume Tyne.
Sua madre scelse di chiamarlo Paul John in onore dei due membri più celebri dei Beatles, dei quali era una grande fan. Bambino dalle energie inesauribili e goloso di caramelle, mostrò sin da subito una predisposizione per qualsiasi sport, che gli permise di vincere vari trofei non solo nel calcio, ma anche nella pallacanestro, nel tennis e nel badminton. Un giorno la madre si fece leggere la mano da una zingara, che profetizzò: «Uno dei tuoi figli diventerà famoso per via dei suoi piedi». Tutti pensarono ad Anna, la sorella maggiore, che eccelleva nella danza. Dopo un po' fu chiaro che il predestinato era Paul, che provava a imitare il Cruijff draai nelle partite al parco con gli amici.
Risale agli anni col Newcastle una delle istantanee più iconiche del calcio britannico del secolo scorso: il folle centrocampista del Wimbledon Vinnie Jones che strizza i gioielli di famiglia di Gazza, generando sul suo viso un'espressione agonizzante ma divertente. Fu solo il culmine di un pomeriggio in cui Jones non allentò nemmeno per un istante la marcatura su Gascoigne. Al termine della partita, una tifosa del Newcastle regalò al suo beniamino un mazzo di rose rosse; Gazza decise di recapitare una di esse nello spogliatoio del Wimbledon, per Jones, il quale ricambiò mandandogli lo scopino del cesso.
Mars, orsacchiotti parlanti e vita in hotel
Per poter entrare nelle grazie di Jack Charlton, il giovane Gascoigne dovette rivedere le sue abitudini alimentari. Bibite gassate, fish and chips, hamburger e qualsiasi altro tipo di schifezza non mancavano mai a tavola: «Per un po' sono stato più concentrato sui Mars che sul calcio». Stando a quanto scritto in Gazza: My Story, il manager, poco dopo il suo arrivo a Newcastle, lo convocò nel suo ufficio e, dopo avergli accarezzato la pancia come si fa con le donne incinte, gli disse: «Ho sentito dire che ci sono delle qualità sotto quella ciccia. Be', hai due settimane per eliminarla. Se non lo fai, sei fuori dalla squadra giovanile e dal club». Dopo aver lasciato l'ufficio in lacrime, Gazza riuscì a perdere peso rinunciando per un po' ai cibi grassi e correndo con un sacco della spazzatura sotto i vestiti, per aumentare la sudorazione. Ma la lotta con la bilancia se la sarebbe portata dietro per tutta la carriera.
Quando le ambizioni del Newcastle erano divenute troppo limitate per lui si fecero avanti molte grandi squadre. Ferguson, che vedeva in lui l'erede di Bryan Robson, riuscì a trovare l'accordo verbale col giocatore prima di andare in vacanza, nell'estate del 1988: «Non si preoccupi, vada in vacanza, al ritorno firmerò per voi». Finì al Tottenham, che era riuscito a convincere i Gascoigne offrendo, oltre a circa 2.500 sterline mensili, una casa, due Mercedes (una per lui e una per il padre), un lettino abbronzante per la sorella e dell'attrezzatura da pesca, grande passione di famiglia. Al primo incontro col manager degli “Spurs” Terry Venables, Gazza si presentò tenendo in braccio Teddy Ruxpin, un grosso orsacchiotto di pezza che gli era stato regalato dai suoi agenti per il ventunesimo compleanno. Era un pupazzo che muoveva gli occhi e la bocca mentre riproduceva l'audio di una cassetta: «Lasciai che fosse soprattutto Teddy a parlare. Non so se Terry Venables riuscisse davvero a crederci, ma almeno ha potuto capire cosa stava acquistando con i suoi soldi».
Anche altri elementi della vita di Gascoigne concorrono a delineare l'immagine di una persona che si rifiuta di crescere: i mille scherzi con cui perseguitava i suoi compagni di squadra, l'incapacità di contenere le lacrime nei momenti difficili, i viaggi frequentissimi a Disneyland. O il fatto che abbia sempre preferito vivere in albergo piuttosto che a casa: «Mi piacciono gli hotel così come gli ospedali. Del resto, ho passato anni della mia vita in hotel e ospedali. È per quella sensazione di essere accuditi, per il comfort… Suppongo che è parte del mio desiderio di fuggire… In un ospedale o in un hotel non sei al corrente delle preoccupazioni della famiglia o delle seccature domestiche».
Gazzamania
Tutti noi abbiamo vissuto, specie in gioventù, un'estate che avremmo voluto non finisse mai. La stagione che Gascoigne probabilmente rivivrebbe all’infinito è l'estate del 1990, quella delle “Notti Magiche”: «Partecipare alla Coppa del Mondo, o ad ogni grande torneo, è come essere in vacanza. Ho amato ogni cosa, comprese le sessioni di allenamento. Ogni giorno ero il primo ad arrivare in campo e l'ultimo ad andarmene. Mi mettevo in porta e sfidavo i ragazzini del posto a farmi gol, mentre tutti gli altri avevano già rifatto il borsone. Volevo che durasse per sempre, così non avrei mai dovuto fronteggiare la vita reale».
In nazionale era benvoluto da tutti. «Un giorno, in aeroporto, stavamo aspettando i nostri bagagli al nastro trasportatore, quand'ecco che lui venne fuori dal buco, cavalcando una valigia» ha ricordato il giornalista Rob Shepherd. Ma l'affetto dei suoi, oltre che con la simpatia, Gazza seppe guadagnarselo sul campo, guidando la selezione dei Tre Leoni al miglior risultato iridato dal 1966.
Nel girone eliminatorio, interamente disputato a Cagliari, dopo il pareggio per 1-1 contro la Repubblica d'Irlanda del suo mentore Jack Charlton, l'Inghilterra si trovò davanti la grande Olanda. Fu un altro pareggio, per 0-0, ma in quella partita il fenomeno Gazza da nazionale divenne mondiale. I suoi dribbling: pur non essendo velocissimo, poteva contare su una notevole forza nella parte superiore del corpo, che gli permetteva di farsi strada tra gli avversari e resistere ai contatti. Il personaggio: «Ho chiesto a Van Basten quanto guadagnasse. E ho tirato le treccine a Gullit per vedere come erano fatte».
Tra l'altro, ebbe l'ardire di passare in mezzo a due olandesi proprio col Cruijff draai perfezionato da piccolo.
Dopo la vittoria per 1-0 sull'Egitto, la nazionale inglese lasciò la Sardegna per andare a Bologna, dove avrebbe giocato l'ottavo di finale contro il Belgio. Gascoigne, che ha sempre avuto paura di volare, nel tragitto fece una capatina nella cabina di pilotaggio, per distrarsi un po'. Riuscì a convincere il pilota a farsi spiegare sommariamente come si guida un aereo, ma ad un certo punto, senza alcuna autorizzazione, decise di tirare una leva «solo per vedere quanto fossero reattivi i comandi», mandando per un istante il velivolo in picchiata. Dopo essersi salvati la vita, gli inglesi superarono 1-0 anche il Belgio, grazie a una gran girata di Platt su palla scodellata in area da Gazza al 119'. Nel quarto di finale col Camerun, Gascoigne commise il fallo del rigore dell'1-1, ma nei supplementari realizzò l'assist per Lineker da cui nacque il penalty del definitivo 3-2.
Ad aspettarli in semifinale c'era la Germania Ovest. Gascoigne era uscito emotivamente dalla partita ben prima della lotteria dei rigori. Già la vigilia era stata molto stressante per il numero 19. Non riusciva proprio ad addormentarsi, così alle 22.30 sgattaiolò fuori dalla sua stanza e raggiunse i campi da tennis dell'hotel, dove trovò due americani. Il match con uno di loro durò solo 20 minuti, il tempo di farsi scoprire dal c.t. Bobby Robson, una sorta di secondo padre per Gazza. La sera successiva, al “Delle Alpi”, il solito Lineker pareggiò una fortunata punizione di Brehme. Poi, arrivò l'ottavo minuto dei tempi supplementari.
«Volevo solo riconquistare il pallone… Ma lui cadde di botto. Come se l'avessi colpito con una mazza o qualcosa del genere. Rotolandosi più e più volte».
Dopo una delle sue serpentine, Gascoigne si allungò un po' troppo il pallone che stava per finire al tedesco Berthold. Il tackle indusse l'arbitro ad ammonirlo. Era diffidato: avrebbe saltato l'ipotetica finale. Le lacrime sgorgarono copiose. Moralmente distrutto, non se la sentiva di calciare il suo rigore, come avrebbe voluto Robson, che però, anche in quel momento di massima tensione, decise di spendere parte del suo tempo per rincuorarlo.
«Sei stato uno dei migliori giocatori del torneo… Non preoccuparti figliolo… Sei stato assolutamente magnifico… Hai tutta la vita davanti a te… Non preoccuparti».
Sull'aereo del ritorno a casa, Lineker si avvicinò e gli disse qualcosa come «Paul, stai attento». Ben presto Gascoigne capì cosa intendesse il suo compagno. Qualche mese dopo, in un programma della BBC, il noto conduttore Terry Wogan lo presentò come «la persona letteralmente più famosa e probabilmente più popolare in Gran Bretagna». Era scoppiata la Gazzamania. Tutte le aziende volevano vedere associato il proprio nome a quello di Gascoigne, che intanto riceveva inviti anche dai piani alti, dal numero 10 di Downing Street a Buckingham Palace. Al contempo, i tabloid iniziarono a perseguitarlo, rendendogli invivibili le strade di Londra, a volte inventando di sana pianta storie clamorose sulle sue notti. Fu in quel periodo che il suo rapporto con l'alcool divenne più intimo: «Era la via d'uscita più facile».
I semi del male
Quando era bambino, il suo migliore amico si chiamava Keith. Gazza, Keith ed altri ragazzini erano soliti andare in un negozio, prendere in giro la proprietaria e provare a rubarle le caramelle. Un giorno, quando aveva dieci anni, uscì con loro anche Steven, il fratellino di Keith, di due anni più piccolo. Gazza rassicurò la madre dei due, assumendosi la responsabilità di badare a Steven. Mentre bighellonavano nel solito negozio, Steven attraversò la strada adiacente, senza accorgersi che un'automobile stava passando proprio in quel momento. «Era il primo corpo morto che avessi mai visto - e sentivo che fosse colpa mia. Avevo detto che avrei badato a lui, ma non lo feci». Dopo quell'episodio, Gazza iniziò a soffrire di vari tic nervosi ed emettere strani suoni e urla. Inoltre sviluppò alcune ossessioni: «Dovevo toccare alcuni oggetti cinque volte, accendere e spegnere la luce cinque volte, o aprire e chiudere una porta cinque volte. Tutto doveva essere allineato con un certo angolo, dai piatti sul tavolo ai miei vestiti. Insistevo che la luce venisse tenuta accesa anche di notte… Anche oggi non riesco a dormire se la luce non è accesa». I problemi si affievolirono intorno ai quattordici anni, quando iniziò a giocare in squadre vere e proprie: «Non mi venivano tic o pensieri preoccupanti sulla morte quando giocavo a calcio».
Quando era già un calciatore professionista, Gascoigne fu coinvolto in una campagna per incoraggiare chi soffre d'asma a praticare sport in maniera sicura. Dopo aver letto il giornale, un cugino dodicenne asmatico gli telefonò per chiedergli se anche lui potesse giocare a calcio. Gazza gli rispose di sì, a patto che utilizzasse correttamente l'inalatore. Il ragazzino andò a giocare dimenticandosi dell'inalatore: poco dopo Gazza fu raggiunto dalla notizia della sua morte. «Da quel giorno in cui Steven si buttò di corsa in quella strada sono stato circondato da giovani persone morenti; decessi di cui sono parzialmente responsabile. Perché sono morti loro e non io? Forse sarei stato il prossimo».
Quanto possono aver influito questi ricordi drammatici nei suoi ripetuti tentativi di auto-distruzione?
Nel 1997 il giornalista americano Gary Smith rese nota attraverso le pagine di Sports Illustrated la storia di John Malangone, una promessa mai mantenuta del baseball di metà secolo scorso. A 5 anni John, lanciando una sorta di giavellotto ottenuto legando il raggio metallico di un ombrello rotto ad un manico di scopa, colpì accidentalmente il figlio di sua nonna, che aveva solo 7 anni. La ferita determinò un'infezione mortale, poiché l'uso della penicillina sarebbe stato introdotto negli ospedali americani solo quattro anni più tardi. Da quel momento iniziò a venir tormentato dai sensi di colpa: «Tu… Tu assassino, tu… Tu sai cosa meriti… Chiudeva gli occhi, stringeva forte la testa, si copriva le orecchie, ma continuava comunque a sentirlo». Il trauma ne compromise irrimediabilmente la capacità di concentrarsi, rendendogli impossibile anche imparare a leggere e scrivere. Questo non impedì al suo talento sul “diamante” - era un catcher con un cannone al posto del braccio destro - di venir notato, quando aveva 17 anni, da uno scout dei New York Yankees. Con loro, malgrado gli sforzi, non riuscì mai a debuttare . «Tutte le volte che ero vicino al successo, mi auto-sabotavo», ha dichiarato in un'intervista. Venne rimbalzato da una squadra all'altra delle minor leagues, fino a quando un incidente motociclistico gli ruppe una gamba e pose fine alla sua carriera, a soli 27 anni.
Uomo-derby
Dopo le magie di Italia '90, già nel febbraio del 1991 Gascoigne scoprì che la Lazio era interessata a lui. Prima di lasciare gli Spurs, però, si rese protagonista di un'imperiosa cavalcata in FA Cup, nonostante un'ernia lo costringesse a delle iniezioni per poter giocare. Il culmine della marcia fu il North London derby in semifinale, contro l'Arsenal che si apprestava a vincere il campionato.
Un Gazza molto concentrato (?) fa il suo ingresso sul prato di Wembley.
Gascoigne era uno specialista dei calci piazzati, capace di perfette conclusioni a giro. In questo caso, però, apre le marcature dell'incontro con un tiro potente da quasi 30 metri che piega le mani di Seaman.
La partita finirà 3-1: Tottenham in finale.
Arrivato in Italia Gascoigne segnò ai rivali cittadini alla prima occasione disponibile. Con la Roma in vantaggio 1-0 a quattro minuti dalla fine, la Lazio ottiene una punizione poco oltre la metà campo. Gazza vorrebbe battere, ma Signori gli dice di andare a saltare. Non ha mai segnato molto di testa Gascoigne, ma in quel pomeriggio, in qualche modo, riesce ad issare i suoi 177 centimetri più in alto di tutti.
«È stata probabilmente l'emozione più grande della mia intera carriera fino a quel momento».
Il resto dei suoi tre anni trascorsi in biancoceleste non furono altrettanto felici. A causa di gravi infortuni riuscì a disputare solo 43 incontri, segnando 6 gol. In una partitella indoor a campo ridotto, da un contrasto con un giovanissimo Alessandro Nesta ne uscì con tibia e perone fratturati. Qualche ultrà della Lazio inviò delle minacce di morte al difensore e Gazza, dispiaciuto, gli regalò cinque paia di scarpe e un kit da pesca. Ma il rapporto con la stampa e con una fetta di pubblico italiano non decollò mai. Prima di una partita contro la Juve, mentre raggiungeva il suo posto in tribuna, rispose alla domanda di un giornalista con un rutto: una goliardata in puro stile-Gazza senza alcun sottotesto, che però venne trasmessa in prima serata e generò titoloni sui giornali; se ne discusse persino in Parlamento, dove il missino Giulio Maceratini presentò un'interrogazione al Ministero degli Esteri.
Molto più appagante fu il triennio in Scozia, con i capelli ossigenati e la maglia dei Rangers di Glasgow: 39 reti in 114 partite, un campionato e due coppe nazionali vinte e la proclamazione a calciatore dell'anno nel 1996. In tutto ciò non poteva farsi mancare qualche gol nell'Old Firm derby. Ma i supporter del Celtic lo odiarono soprattutto per un altro motivo.
Appena arrivato a Glasgow, su pressione dei suoi nuovi tifosi (storicamente protestanti), festeggiò una rete in amichevole contro la Steaua Bucarest fingendo di suonare un flauto. Ignorava che il gesto fosse fortemente provocatorio nei confronti dei cattolici irlandesi e quindi nei confronti del Celtic, poiché veniva usato per ricordare “The Sash”, una canzone popolare suonata durante le sanguinose parate orangiste in Irlanda del Nord. In un Old Firm di due anni e mezzo dopo, nel gennaio del 1998, Gascoigne partiva dalla panchina. Quando iniziò a scaldarsi, i tifosi del Celtic presero ad insultarlo senza pietà, stuzzicandolo sulla sua vita privata. «Mi fecero innervosire così tanto che ricambiai fingendo di nuovo di suonare il flauto. Pazzia? Fu un suicidio». Presto la sua cassetta della posta si riempì di minacce di morte da parte dell'IRA. Terrorizzato, cercò ancora una volta rifugio nell'alcool.
Estendendo il concetto di derby alle partite tra nazionali, potremmo far rientrare in questa rassegna anche la rete probabilmente più bella realizzata da Gascoigne. Risale all'estate del 1996, quando tornò ad indossare la maglia dei Tre Leoni in una grande competizione: gli Europei casalinghi (ad Euro '92 era infortunato e l'Inghilterra fu eliminata ai gironi, mentre ai Mondiali del '94 non riuscirono nemmeno a qualificarsi). Contro la Scozia, dopo l'1-0 di Shearer, Seaman respinse il rigore del pareggio di McAllister. Nell'azione successiva successe questa cosa qui.
Il giorno dopo il Daily Mirror venne fuori con un editoriale intitolato “Mr. Paul Gascoigne: An Apology”: «[Gazza] non è più un grasso, ubriaco imbecille… egli è, infatti, un genio del calcio».
Con la stessa fluidità con cui noi scriviamo una parola senza staccare la penna dal foglio, lui, con un solo tocco, riesce a controllare il pallone, fingere il tiro e scavalcare il proprio marcatore; poi, ci mette il punto esclamativo, calciando alla perfezione col collo del piede.
Dopo la rete, Gazza si stende sul prato con la bocca aperta, mentre i compagni gli versano acqua dalla borraccia. Prima dell'Europeo, durante una tournée in Cina, la squadra ebbe una serata libera. Finirono in un locale in cui il barman versava vari liquori nella bocca dei clienti seduti su una sedia con lo schienale reclinabile, un po' come la poltrona del dentista. Diversi giocatori si sottoposero e l'episodio venne criticato pesantemente dalla stampa britannica, accrescendo però la comunione d'intenti della squadra.
Struzzi, aragoste e trote
Nonostante i molti momenti dolorosi, Gascoigne non ha mai perso la voglia di scherzare. Gli aneddoti divertenti sulla sua carriera si sprecano. Chiunque abbia giocato con o contro di lui, o l'abbia allenato, ha una storia su Gazza da raccontare davanti al camino.
Dai grandi classici come gli escrementi depositati nel calzettone di Gattuso appena arrivato in Scozia, a momenti di un umorismo quasi surreale, che se non fosse lui il protagonista si farebbe fatica a credere realmente accaduti.
Ai tempi del Tottenham prese in prestito uno struzzo dallo zoo, gli fece indossare la sua maglia e lo portò all'allenamento. Gli ci vollero quattro ore per riacchiapparlo.
Al primo giorno di allenamento con la Lazio, si svegliò presto per far trovare nello spogliatoio venti copie di un libro di auto-apprendimento della lingua inglese. Nonostante lui non facesse alcuno sforzo per imparare l’italiano. La notte di Capodanno del 1993 la trascorse con la moglie in uno sfarzoso ristorante romano e ordinò un'aragosta puntando il dito contro la grande vasca che la conteneva; il servizio del ristorante si stava rivelando un po' lento, allora decise di tuffarsi dentro la vasca: «Avevo il mio miglior completo. L'acqua era gelida e molto salata. Mi ci volle un po' per afferrare quella da cui ero attratto. Dopo averlo fatto, ho detto “Questo è lo stronzo che voglio”. Poi ho mangiato con il costume bagnato». Casiraghi non dimentica lo scherzone a Zoff: «Eravamo nel pullman della squadra e Gazza si era seduto immediatamente dietro all'allenatore. Non appena il pullman entrò in un tunnel, si spogliò e rimase seduto, nell'attesa che Zoff girasse la testa».
Il suo compagno a Glasgow Ally McCoist ha ricordato quando rubarono le chiavi dell'auto di Gordon Durie e nascosero una trota sotto la ruota di scorta; «quindi Gazza ne prese un'altra e la nascose sotto al sedile posteriore, così quando Durie trovò la prima pensò che lo scherzo fosse finito lì. Ma non riusciva a liberarsi dell'odore!».
Come cantavano i suoi tifosi, one Paul Gascoigne, there's only one Paul Gascoigne.
Questione di centimetri
Chissà in che modo parleremmo oggi di Paul Gascoigne se alcuni episodi della sua carriera in campo fossero andati diversamente: se fosse riuscito a contenere una generosità che spesso sfociava nell'irruenza; o se fosse stato semplicemente più fortunato.
Magari senza quel giallo nella semifinale di Italia '90, e con l'Inghilterra capace di superare la Germania ai rigori, si sarebbe giocato la coppa contro l'Argentina di Maradona, a quattro anni dalla “Mano de Dios”: una sfida epica da cui avrebbe avuto qualche possibilità di uscire vincitore, e magari celebrato dal suo popolo come il restauratore della giustizia nel mondo. A quel punto anche il Pallone d'oro sarebbe stato suo, visti i criteri con cui veniva assegnato ai tempi (quell'anno sul podio salirono Matthäus, Schillaci e Brehme; lui arrivò quarto). Avrebbe raggiunto l'immortalità a ventiquattro anni.
Certo, è una concatenazione di se talmente lunga e tortuosa da non poter essere presa sul serio. Tuttavia, in almeno altre due occasioni, se Gazza fosse riuscito ad attraversare le sliding doors col tempismo giusto, la sua eredità calcistica ne sarebbe uscita pesantemente riscritta.
La corsa del suo Tottenham nella FA Cup del 1991 si concluse contro il Nottingham Forest di Brian Clough. La notte prima della finale dovettero somministragli dei sedativi per farlo addormentare. Ma il giorno dopo era già al centro del campo a scherzare con Lady Diana, chiedendole un bacio. Leggendo l'imbarazzo sul volto della principessa, si dovette accontentare di poggiarle le labbra sul dorso della mano («è stata la prima volta che ho giocato una partita con un'erezione» dice nel documentario del 2015, con il candore sul volto di un adolescente innamorato). In realtà l'adrenalina era ancora altissima, tant'è che nel primo quarto d'ora si rese protagonista di due tackle insensati: il primo stampando i tacchetti sull'addome di Garry Parker (non venne nemmeno ammonito), il secondo entrando in netto ritardo sul ginocchio di Gary Charles. Ad avere la peggio dal contatto fu Gascoigne: rottura del legamento crociato del ginocchio destro.
«Non riuscivo a concentrarmi totalmente su quello che stava succedendo intorno a me… Quando venni messo sulla barella mi passarono per la testa cose stupide. Dove ho parcheggiato la macchina? Chi ritirerà la mia medaglia d'argento o d'oro?»
Mentre i suoi compagni sollevavano la Coppa, lui, che nel massimo periodo di forma della sua carriera li aveva portati fino a Wembley, si preparava a trascorrere più di un anno lontano dal calcio, ritardando di dodici mesi il suo arrivo alla Lazio.
Ma c'è un'immagine che descrive ancor meglio l'incompiutezza di Paul Gascoigne. Ad Euro '96, dopo il gol contro la Scozia, l'Inghilterra sembrava fosse riuscita a superare la sua intolleranza per i tiri dagli undici metri eliminando ai quarti la Spagna grazie a una serie perfetta dal dischetto, compreso l'ultimo rigore realizzato da Gazza. Ma in semifinale trovarono di nuovo la Germania. Al 90' era 1-1; nei tempi supplementari vigeva la regola del Golden goal. Sheringham è in possesso del pallone sulla tre-quarti, alza la testa e pesca Shearer, che è troppo defilato per tirare e la mette di prima dentro l'area piccola. L'uscita bassa del portiere Köpke va a vuoto, la porta è sguarnita. Gascoigne ha bruciato i difensori ed è solo, ma deve allungarsi in scivolata se vuole raggiungere la palla: la punta del suo scarpino arriva forse a un centimetro dalla sfera, che rotola beffarda sul fondo.
Se stoppate il video qualche frame prima, sembra proprio che Gazza stia per arrivare puntuale all'appuntamento con la gloria.
Per una minima frazione spazio-temporale la partita prosegue, niente Golden gol. E sebbene l'Inghilterra metta dentro i primi cinque rigori (Gascoigne realizza il quarto), la Germania non fallisce nemmeno il sesto; Southgate sì, mandando i tedeschi a giocarsi la finale contro la Repubblica Ceca.
Il tracollo
Gascoigne ebbe un ruolo importante nella qualificazione dell'Inghilterra ai Mondiali del '98 e, senza sorprese, il suo nome rientrava tra i 28 convocati dal c.t. Glenn Hoddle al pre-ritiro di La Manga. Quando scoprì di non essere tra i 22 che sarebbero partiti per la Francia, fece irruzione nell'ufficio dell'allenatore e iniziò a distruggere tutto quello che vedeva, procurandosi anche un taglio a una gamba. Hoddle provò a giustificarsi: «Gazza, il problema è che non sei a posto con la testa».
Da quel momento in poi la sua carriera subì un graduale declino: dopo Middlesbrough ed Everton, scese di categoria per giocare nel Burnley, prima di due brevi esperienze da allenatore-giocatore in Cina e al Boston United, in terza serie. Nel frattempo, le sue gambe diventavano sempre più delicate e con esse la sua testa. Iniziò a cadere sempre più spesso in depressione, a bere e a sentirsi ancor più depresso: un circolo vizioso che sembrava non poter essere interrotto.
Anche la sua vita privata non dava soddisfazioni. Nell'agosto del 1998, dopo poco più di due anni, il divorzio pose fine al suo matrimonio con Sheryl Failes, da cui aveva avuto un figlio. Una storia tormentata, piena di momenti difficili, che culminarono in una testata rifilata da lui a lei. Dopo pochissimo, le foto dei lividi di quest'ultima apparvero sui giornali (anche in occasioni più recenti la donna ha utilizzato i media per peggiorare la reputazione dell'ex-marito, spesso, almeno secondo Gazza, raccontando falsità).
Una sera, durante il primo anno al “Boro”, pensò per la prima volta al suicidio: voleva buttarsi sotto un treno, ma l'ultimo convoglio della giornata era già passato. Poi provò la cocaina, ma scoprì presto che all'immediata sensazione di esaltazione seguiva subito uno stato di depressione ancora maggiore. Poi vennero i ricoveri in ospedali, psichiatrici e non. Altri tentativi di suicidio. Altri ricoveri.
Nel dicembre 2015 è stato trovato privo di sensi e con una mano tagliata (forse da un bicchiere rotto) in un centro benessere. Pochi giorni fa è apparso sulla prima pagina del Sun col volto insanguinato: al termine di «una brutta settimana», si era fatto pescare all'ora di pranzo con una bottiglia di gin in mano, incapace di mantenersi in equilibrio. Negli eventi pubblici immediatamente precedenti era apparso in discreta forma; si stava sottoponendo a delle infusioni quindicinali di un composto derivato dalla niacina: «Per la prima volta dopo mesi, mi sono alzato alle 6 del mattino. Mi sono sentito felice ed eccitato, pieno di energia e pronto a giocare una partita di calcio».