Quando la marcia imperiale ha risuonato nella Vivint Smart Home Arena per la “Star Wars Night” preparata dal solerte staff degli Utah Jazz, dovevamo aspettarcelo che avremmo assistito a una manifestazione della Forza. Per una sera Salt Lake City era diventata davvero Tatooine, se a Tatooine ci fossero stati i mormoni: c’erano i commentatori travestiti da Obi Wan, le mascotte da Chewbecca e le ballerine agitavano stick fluo nel disperato tentativo di dare l’impressione di usare spade laser. Un’atmosfera festosamente pacchiana per i Jazz che si non vedevano l’ora di rifugiarsi in una galassia lontana, lontana dal ribelle Gordon Hayward e provavano per l’ennesima volta a ricostruire una franchigia senza dover smontare prima ogni pezzo.
In una notte così, con la bordocampista con i capelli da Principessa Leila, quando Donovan Mitchell ha preso fuoco segnando 27 punti nella seconda metà di gara sembrava tutto far parte di una sceneggiatura partorita dalla fantasia di George Lucas. Invece nella prestazione di Mitchell non c’era nulla di fittizio o di studiato: Donovan Mitchell is for real.
Atterrato nello Utah grazie al cervellotico scambio che ha spedito a Denver Trey Lyles e la 24^ scelta (poi concretizzata in Tyler Lydon... LOL) in cambio della scelta numero 13 dell’ultimo Draft, Mitchell ha impressionato fin dal primo giorno in maglia Jazz, mettendo a ferro e fuoco la Summer League sia di Salt Lake City che di Las Vegas, tirando e schiacciando ogni pallone che gli passava tra le mani.
Un rookie ha molti modi per farsi notare dai suoi nuovi tifosi: può mostrare maturità giocando the right way; può dimostrarsi un buon compagno di squadra facendo l’extra-pass; può essere il preferito del coach lavorando sodo in palestra. Oppure può diventare una Gif, saltando sopra un altro essere umano senza l’uso di un trampolino elastico e lasciando credere ai tifosi di Utah che, alla fine, quando si chiude una porta si apre un portone.
Donovan ci racconta qual è stata la sua schiacciata preferita a Louisville
Avery Bradley sotto steroidi
Utah lo ha scelto anche sapendo che sarebbe stato capace di integrarsi immediatamente nella filosofia di gioco della franchigia, fatta di aggressività in difesa e bassi ritmi nell’attacco a metà campo. Per Mitchell passare dal gel di Rick Pitino al gel di Quin Snyder è stato automatico, visto che entrambi gli allenatori stravedono per i giocatori che schiumano dalla bocca appena sentono l’odore del sangue. A Louisville Mitchell ha costruito le sue fortune nella metà campo difensiva, prendendo sempre in consegna il miglior giocatore perimetrale avversario e cancellandolo dalla partita. Nello Utah i suoi compiti non sono cambiati: Snyder gli chiede grande abnegazione e rispetto dei principi di squadra e Donovan esegue senza proferire verbo. Grazie ai suoi eccellenti mezzi fisici Mitchell può attaccarsi al portatore di palla per mettergli pressione a tutto campo, ma è anche in grado di cambiare sui blocchi e gestire i mismatch grazie alla forza nella parte inferiore del corpo e alla rapidità di mani.
Mitchell è già estremamente efficace sul portatore di palla avversario nei pick and roll, costringendolo a soli .698 punti per possesso e, allo stesso tempo, ha degli eccellenti tempi di aiuto dal lato debole, da cui può staccarsi dal suo uomo e una frazione dopo essere al posto giusto nel momento giusto.
Qui lascia Wesley Johnson e collassa in area per contrastare DeAndre Jordan, deviando il lob con un grande gesto atletico.
È una versione sotto steroidi di Avery Bradley, giocatore a cui lui stesso si paragona: due guardie sottodimensionate ma dotate di un’apertura di braccia infinita e capaci di migliorare la squadra attraverso un gioco concreto e ricco di intangibles, anticipando ciò che succederà in campo e muovendosi di conseguenza.
Se Mitchell è il Lando Calrissian dell’NBA, Okafor è Jar Jar Binks.
Mitchell sta riempiendo il buco lasciato dalla partenza di George Hill e il rovinoso infortunio di Dante Exum con la sua mostruosa apertura di braccia e la sua mentalità da guerriero. I Jazz sapevano cosa potevano ricevere in difesa scegliendolo, ma forse non si aspettavano che si sarebbe trasformato in così poco tempo in un potenziale two-way player di livello platinum.
Le insospettabili doti realizzative
Mitchell ci ha messo solo 23 partite a superare il massimo in carriera di Hayward, diventando il primo rookie dai tempi di Blake Griffin a segnare più di 40 punti in una gara di regular season. Un traguardo ancor più notevole se consideriamo quanto Mitchell non avesse la nomea del realizzatore.
La notte del Draft il suo nome era stato anticipato da quelli di Malik Monk e Luke Kennard, due guardie tiratrici che sulla carta dovevano garantire un contribuire offensivo più importante rispetto al prodotto di Louisville. Invece il rookie dei Jazz sta confermando i progressi messi in luce nei due anni con i Cards, dove è passato dai 7.4 punti a partita nell’anno da freshman ai 15.6 in quello da sophomore. Soprattutto, Mitchell è diventato un tiratore mortifero partendo da un abominevole 25% da tre meno di due stagioni fa. Ora genera più di un punto per possesso nei tiri dal palleggio (70° percentile) e 1.2 punti in quelli piedi-per-terra (75° percentile), con un volume (175 tentativi in 23 partite) e un’efficienza (53% di percentuale effettiva) di assoluto livello. Dopo un inizio sulle montagne russe a livello di percentuali, nell’ultimo mese Mitchell ha trovato fiducia nel suo tiro in sospensione, diventando a tutti gli effetti la prima opzione offensiva della squadra di coach Snyder.
Mitchell può crearsi il tiro dal palleggio usando un lavoro di piedi da ballerino di tip tap, sia sfruttando il suo jumper come diversivo per cambiare ritmo e velocità e arrivare al ferro, battendo il diretto marcatore.
Esitazione e spin move contro Giannis è una citazione troppo evidente per non essere passivo-aggressiva.
La quasi totalità delle conclusioni del numero 45 arrivano da dietro l’arco o nel pitturato, a dimostrazione di quanto, nonostante le pochissime partite da pro, abbia già chiara in testa la direzione verso la quale si sta sviluppando il gioco - e di conseguenza il suo ruolo in campo.
Se Donovan Mitchell invece fosse Luke Skywalker, mi giocherei la casa che Morey è Darth Vader. Dati e mappa di tiro ChartSide.
Mitchell ha lavorato tantissimo sul suo gioco negli ultimi anni e le centinaia di ore in palestra hanno reso sua la meccanica di tiro compatta e sempre uguale a se stessa. Non fa molta differenza se il movimento comincia dal palleggio o senza mettere palla a terra: la potenza esplosiva delle gambe gli permette di trovare sempre un eccellente equilibrio e di alzarsi perpendicolarmente al parquet. Dopo aver iniziato l’anno con partite in cui non faceva mai canestro è diventato il rookie della storia ad aver segnato più triple nelle prime 25 partite. Il suo jumper è un vero e proprio trionfo della Volontà.
Pick&Roll giocato altissimo con Gobert e Mitchell ha tutta la pista da ballo libera per danzare con Valanciunas, ma siccome è molto scortese gli tira in faccia.
Ma per quanto Mitchell possa sbucciarsi le ginocchia in difesa, segnare le triple aperte che gli vengono costruire e far alzare gli angoli della bocca di Quin Snyder, il vero motivo per il quale è diventato uno dei giocatori on fire della prima parte di stagione lo sappiamo tutti.
Mitchell si alza come un pallanuotista che sgamba sott’acqua per prepararsi al tiro, solo che al posto dell’acqua c’è l’aria del Delta Center e il tiro è una schiacciata talmente terrificante da pietrificare l’intero quintetto dei Lakers nel gruppo scultoreo del Laocoonte.
Mitchell appartiene alla categoria di schiacciatori che preferisco, quella degli angry dunkers: ogni volta che tira dritto per il ferro lo fa con l’intenzione di far finire lì la carriera di chiunque si trovi nei paraggi. Un atteggiamento che contraddistingue ogni singolo secondo che passa in campo, costantemente in bilico tra l’aggressività e l’incoscienza. Se vorrà fare il passo successivo però dovrà imparare ad incanalare la sua esuberanza fisica e mentale dentro le vie della Forza.
Il futuro da playmaker
A metà della scorsa stagione Pitino si è trovato con tutti i suoi playmaker di ruolo in infermeria ed è stato costretto a mettere la palla in mano di Mitchell, chiedendogli di dare un minimo di senso a quell’ammasso di entropia che era l’attacco dei Cards. Facendo di necessità virtù, Donovan si è ritrovato per la prima volta nel ruolo che potrebbe modificare il suo reale potenziale tra i professionisti. Già negli ultimi mesi si è digievoluto più volte scalando la piramide sociale dei ruoli NBA, ma ora la sfida che gli si presenta è tra le più complesse: deve dimostrare che è in grado di rientrare in quello strano gruppo di freaks che ora va di moda definire point guard.
Mitchell ha mostrato lampi incoraggianti quando Snyder gli ha messo in mano le chiavi dell’attacco, aggredendo le difese con pick and roll dinamici all’interno dei quali può usare il suo cambio di ritmo per arrivare al ferro o punire in arresto e tiro quando il difensore passa sotto il blocco. La sua capacità, e la sfrontatezza, di prendersi le triple dal palleggio come un Damian Lillard qualunque gli apre praterie che dovrà cominciare a capire bene come sfruttare, non solo massimizzando le sue conclusioni ma soprattutto guadagnando il vantaggio che serve per far girare la squadra in attacco. Mitchell ora non ha le letture e gli istinti naturali di chi dovrebbe svolgere il ruolo del facilitatore per i compagni, però l’advantage offense di Snyder (s/o Zach Lowe), ovverosia un sistema di stampo europeo che muove continuamente uomini e pallone per mantenere e amplificare un vantaggio, ha bisogno come del pane di qualcuno che riesca a mettere in moto la turbina.
Mitchell attacca la difesa dei Knicks innescando il boomerang che gli rimette in mano il pallone per una comoda tripla dall’angolo.
Utah, dopo aver perso Hill e Hayward, ha investito una prima scelta per andarsi a prendere Ricky Rubio, ma il playmaker spagnolo finora ha rappresentato più un problema che una soluzione. Mitchell sta imparando a convivere con Rubio, agendo soprattutto da tiratore sul lato debole, ma con i due in campo il Net Rating dei Jazz scende sotto lo zero (-3.4), mentre quando Donovan è il primo portatore di palla senza il compagno di backcourt in campo gli indicatori cambiano segno (+12.6). Per quanto Rubio sia un passatore eccellente, Mitchell ora garantisce qualcosa che nessun altro nel roster dei Jazz possiede, ossia la possibilità di estendere il pick and roll oltre la linea dei tre punti e spaziare il campo come Rubio ha ampiamente confermato di non saper fare in tutta la sua carriera. Le spaziature sono vitali per l’attacco dei Jazz a cui manca del talento realizzativo, ma Snyder può ovviare alle mancanze di playmaking di Mitchell circondandolo di ottimi passatori e registi occulti (come Jingles Joe Ingles): il risultato che con questi quintetti Utah fa segnare un rating offensivo di 112.2, praticamente come le macchine da canestri che giocano a Houston, e uno difensivo di 99.6, il secondo migliore dopo i Boston Celtics.
Gestire un attacco NBA è un’antica arte Zen: ci vuole un giorno per capirla ed una vita per impararla. Mitchell è davvero ai primi vagiti e non è ancora chiaro se potrà davvero diventare una point guard di rilievo nell’affollato West o se resterà una combo guard sottodimensionata come in molti lo definivano prima del Draft. Sicuramente però questo inizio di stagione ha fatto ricredere molti sulle effettive qualità del prodotto di Louisville e i tifosi dei Jazz, ancora con i lacrimoni agli occhi per colpa di Gordon Hayward, hanno trovato una nuova speranza.