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Ritorno in scena
11 dic 2015
43 anni dopo l'Ungheria si qualifica per gli Europei. Nel 1972 ci giocava un Pallone d'oro, e ora?
(articolo)
10 min
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Cos’è il calcio ungherese nel 2015? Il ricordo sbiadito e quasi illeggibile dell’Aranycsapat è il Debrecen ai gironi di Champions League nel 2009, il Videoton di Paulo Sousa, i pyjama trousers di Gábor Király e qualche altro giocatore con una discreta carriera fra Germania e Inghilterra. Dopo la qualificazione ai prossimi Europei in Francia, però, potrebbe essere qualcos’altro. La Nazionale ungherese si è qualificata alla fase finale del torneo dopo aver sconfitto ai playoff la Norvegia con una doppia vittoria tanto netta quanto sorprendente. Nei gironi era arrivata terza (dietro l’Irlanda del Nord e gli storici rivali della Romania) e si sarebbe potuta qualificare anche a ottobre, come migliore terza al posto della Turchia (che si è qualificata con il gol all'ultimo minuto dell'ultima partita del girone, contro l'Islanda).

La mano del regime?

La tempistica del risultato potrebbe far pensare che questo sia stato il frutto delle politiche sportive adottate dal primo ministro Viktor Orbán. In realtà la qualificazione sembra più merito della UEFA che delle riforme della federazione, che per ora sono ferme alle strutture e hanno mostrato alcuni segni di debolezza: soprattutto la mancata risposta del pubblico e il fallimento, la scorsa estate, di quattro squadre di prima divisione.

La prima fase della riforma, espressa volontà del primo ministro, prevede la costruzione di nuovi stadi con una capienza compresa fra i 15 e i 30mila posti. I lavori stanno procedendo spediti e Ferencváros e Debrecen giocano già da diversi mesi in due stadi che in Italia farebbero comodo come minimo a metà Serie A. Entro il 2017 anche MTK Budapest, Haladás, Honvéd, Videoton e Diósgyor inaugureranno il proprio impianto.

Eppure il numero di spettatori non è cresciuto come previsto, a causa di una serie di misure restrittive contestate dagli ultras (registrazione obbligatoria, accesso negato per chi ha determinati precedenti penali), che negli ultimi anni hanno costituito da soli più della metà della scarsa media spettatori del campionato ungherese. La seconda fase della riforma prevede il potenziamento dei settori giovanili, la vera grande carenza del calcio ungherese, una riforma che sarà molto più difficile da attuare della costruzione degli stadi.

Sul fatto che dietro le riforme ci sia la simpatia di Orbán per il calcio mischiata al populismo e a un po’ di nazionalismo (i caratteri distintivi del partito di maggioranza FIDESZ) non ci sono troppi dubbi. Una delle principali accuse mosse a Orbán è quella di spendere soldi pubblici per compiacere sé stesso e il suo partito. La costruzione degli stadi, che spesso coinvolge figure vicine a Orbán, riflette questo problema.

Spegnere un movimento calcistico in 50 anni

La qualificazione dell'Ungheria ai prossimi Europei è arrivata 43 anni dopo l’ultima partecipazione alla fase finale del torneo continentale, 29 dopo gli ultimi Mondiali disputati. È un traguardo enorme per tutti gli ungheresi e lo è ancora di più per la federazione, per i club e per il governo e forse aiuterà molto sia la realizzazione delle riforme che l’intero movimento calcistico.

In mezzo secolo, al calcio ungherese è successo di tutto. Negli anni Cinquanta a Budapest ci giocavano i calciatori e i club più forti d’Europa, oltre alla Nazionale più forte del mondo, “l’Aranycsapat” (“la squadra d’oro”, chiamata così per la vittoria della medaglia d’oro alle Olimpiadi del ’52), che rivoluzionò il calcio dell’epoca e anticipò i tempi.

Nell’estate del 1954 però, all’apice della sua invincibilità, l'Ungheria perse inaspettatamente la finale della Coppa del Mondo. La popolazione ungherese, già provata dalla guerra, dalla povertà e dalle condizioni di vita molto difficili, non riuscì ad accettare la sconfitta. Molti credettero che il regime avesse manipolato in qualche modo il risultato e si diffuse un timido sentimento di contestazione con piccoli disordini. Poi però tutto sembrò finire, in realtà solo momentaneamente. Due anni dopo scoppiò la rivolta ungherese, che durò circa due mesi e in cui morirono quasi 3mila persone e 30mila espatriarono. In quei due mesi finì anche la storia dell’Aranycsapat, i cui giocatori più forti si stabilirono definitivamente all’estero.

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La Nazionale ungherese del 1920.

Dopo la fine della rivolta il regime cercò di eliminare ogni possibile rischio per la sua sopravvivenza. Dall’episodio dei Mondiali del 1954 il regime socialista capì che il calcio avrebbe potuto rivelarsi molto pericoloso. Finita la rivolta cessò ogni tipo di propaganda calcistica. L’intero movimento venne trascurato, gli investimenti azzerati e gli organi statali soffocarono le squadre di calcio, che all’epoca erano quasi tutte di proprietà statale e gestite da ministeri, forze armate e sindacati.

Quando, nel 1989, l’Ungheria ottenne l’indipendenza, le condizioni delle società di calcio erano ancora completamente ferme a cinquant’anni prima. La popolarità del calcio era quasi sparita e la cultura dello sport con essa.

Ritorno in minore

Mezzo secolo dopo ci sono voluti un portiere 39enne tarchiato e in pantaloni di tuta, un 21enne sconosciuto, un girone molto favorevole e le riforme della UEFA, la cui decisione di ampliare il torneo a 24 squadre ha risparmiato altri quattro anni di attesa (probabilmente altri otto) alla Nazionale ungherese.

Il ritorno dei playoff contro la Norvegia era una di quelle partite a cui Budapest non era più abituata da mezzo secolo e lo si vede dalle immagini della Groupama Arena, il nuovo stadio del Ferencváros e quello provvisorio della Nazionale: durante la partita sembrava contenesse più persone di quante ne può ospitare, un po' come accadeva al Népstadion ai tempi di quella squadra fenomenale che fu l'Aranycsapat di Ferenc Puskás, Nándor Hidegkuti e Sándor Kocsis (e di Zoltán Czibor, László Kubala e Gyula Grosics).

La vecchia tribuna ungherese che si levava il cappello ai gol di Puskás e alle testate di Kocsis, ha perso la sua compostezza al gol di Tamás Priskin, per il quale qualche nonno avrà fatto volare il proprio cappello come vedeva fare regolarmente al padre e agli zii almeno tre-quattro volte a partita quand'era bambino. Che le cose sarebbero finalmente andate bene, per una volta almeno, si era capito a Oslo al gol di László Kleinheisler, centrocampista 21enne sconosciuto anche alla squadra in cui gioca.

Eppure la qualificazione agli Europei sembrava tanto lontana quanto quelle degli ultimi quarant'anni, quando la punizione di Selçuk Inan, all'ottantanovesimo minuto di Turchia - Islanda, aveva estromesso i magiari dalla testa del girone speciale calcolato per le migliori terze delle qualificazioni, che voleva dire accesso diretto agli Europei. E, a dire il vero, non ci sarebbe stato nulla da ridire se l’Ungheria fosse stata eliminata prima: il girone F era di gran lunga il più debole e lo è diventato ancor di più dopo l'abdicazione della Grecia, che in un solo colpo ha pagato il debito con la fortuna fatto per gli Europei del 2004. I greci hanno perso sei partite del girone, almeno una contro ogni squadra, tranne l’Ungheria, con cui hanno ottenuto l’unica vittoria delle qualificazioni. Hanno perso in casa contro le Isole Faroe, la Romania e l’Irlanda del Nord e in trasferta contro la Finlandia. Fino a novembre di un anno fa la squadra è stata allenata da Claudio Ranieri, che in Grecia è stato definito dai giornali come “la morte del calcio”, e ora è primo in Premier con il Leicester.

L'Ungheria ha mantenuto a fatica un andamento costante: ha vinto quasi sempre le partite che doveva vincere, ha pareggiato quelle che doveva pareggiare. Non ne ha perse troppe. Tutti i limiti della squadra si sono visti però nell'ultima partita contro la Grecia: l’Ungheria era chiamata a offrire qualcosa in più del solito “compitino” per assicurarsi la qualificazione ed evitare i playoff e invece è arrivata una prevedibile sconfitta. A causa soprattutto di un reparto difensivo disastroso in ogni movimento.

Agli spareggi l’Ungheria ha incontrato la Norvegia, che in tre partite aveva gettato via parecchi punti e molto del lavoro fatto negli ultimi anni: la federazione scandinava, negli ultimi anni, ha aiutato le società a rinnovare le proprie strutture, dando così la possibilità di crescere nelle migliori condizioni a un numero più ampio di giovani.

Oggi infatti la Nazionale è composta perlopiù da giocatori sotto i 25 anni, alcuni dei quali molto promettenti. In un doppio confronto pieno di episodi, dove gli scandinavi hanno sbagliato l’impossibile, è arrivato il gol di László Kleinheisler un ventunenne notato dall'allenatore Bernd Storck durante gli allenamenti dell'Under-21, l'unico posto in cui poteva osservarlo, poiché Kleinheisler quest'anno deve ancora giocare una partita con il Videoton, che lo ha messo fuori rosa per via di alcune dispute contrattuali (vorrebbe andare in Polonia a parametro zero, la dirigenza ovviamente non è d’accordo).

Il giorno della partita di ritorno, la stazione degli autobus sulla Ülloi út, il vialone che dal centro taglia Budapest a metà verso est, era già frequentata dai tifosi ungheresi cinque-sei ore prima del calcio d’inizio. Alle cinque del pomeriggio la gente ha cominciato a sbucare dagli accessi della fermata Népliget della metro agli angoli degli incroci davanti alla Groupama Arena. L’atmosfera all’interno dello stadio era quella che si respirava quando Budapest era una delle capitali del calcio europee. Il gol di Tamas Priskin, arrivato dopo tredici minuti, ha catapultato gli ungheresi nel 2016 e si spera anche in quella fascia d’Europa a cui il calcio magiaro dovrebbe aspirare: fra Austria, Repubblica Ceca e Polonia.

E ora in Francia?

Se dalla metà campo in su la squadra è sempre piuttosto pericolosa, la difesa sarà un grosso problema in vista della fase finale degli Europei. Gli manca un po' tutto: intelligenza, organizzazione e velocità.

C'è un po' di esperienza, quella di Gábor Király, che nelle ultime partite è risultato decisivo, e quella di Roland Juhász, centrale di difesa che ha giocato regolarmente con l'Anderlecht per quasi dieci anni. Ed è un peccato che non si possa contare su qualche giovane centrale promettente, perché non c'è ancora e difficilmente spunterà qualche nuovo nome in tempo per l'estate. Le Nazionali giovanili potranno offrire ben poco a quella maggiore: gli unici giovani interessanti sembrano essere i trequartisti Zsolt Kalmár del RB Lipsia e Roland Sallai della Puskás Akadémia, che comunque andrebbero ad aggiungersi al reparto che ha meno bisogno di rinforzarsi.

Mettendo da parte la difesa, tra il centrocampo e la trequarti, Zoltán Gera è probabilmente il più forte giocatore ungherese dell’ultimo decennio. Ha trascorso gli anni migliori della sua carriera fra West Bromwich e Fulham, giocando praticamente in tutti i ruoli: centrale, trequartista, ala o seconda punta. È sempre stato un giocatore affidabile, versatile e dall’andamento regolare, molto bravo sia nell’impostazione del gioco che nella finalizzazione. Solo una non eccezionale prestanza fisica gli ha impedito una carriera migliore. L’Europeo dovrebbe essere il suo ultimo torneo con la Nazionale e forse anche della sua carriera.

Nella mediana c’è Ádám Nagy, ventenne del Ferencváros, uno dei più promettenti giocatori ungheresi in circolazione. La qualità in campo è portata da Gergo Lovrencsics e Balázs Dzsudzsák, che formano parte del reparto più forte della squadra: sicuramente il più tecnico, ma spesso anche inconcludente e poco rispettoso delle tattiche. Per questo motivo sarà fondamentale la presenza di Zoltán Stieber, che fra i tre trequartisti è quello più disciplinato.

A giugno poi potremmo ritrovare, finalmente, una coppia d’attacco, quella formata da Nemanja Nikolic e Ádám Szalai, che lascerà la fantasia ai trequartisti, ma che dovrebbe garantire alla squadra un’alta capacità di finalizzazione e qualche chilo e centimetro in più in area di rigore. Nikolic in particolare sta segnando ininterrottamente da almeno tre stagioni, in ognuna delle quali è cresciuto di livello: prima capocannoniere del Videoton, poi del Legia Varsavia, con cui in questa stagione ha una media di un gol a partita. Probabilmente lo rivedremo in Germania fra qualche anno.

Nella Nazionale ungherese che nel 1972 disputò gli ultimi campionati europei ci giocava Flórián Albert, l’unico Pallone d’oro ungherese della storia e uno dei giocatori più eleganti ad aver mai giocato in Europa. Dal Pallone d’oro al nulla, la prossima estate l’Ungheria avrà un’opportunità unica e niente da perdere. I tempi dell’Aranycsapat non torneranno più, ma il 2016 potrà essere l’anno zero del calcio ungherese, con previsioni positive: dopo il nulla degli ultimi anni, da questi mesi potrà nascere solo qualcosa di buono.

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