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Anatomia di una giocata
31 gen 2018
Come i piccoli dettagli di un’azione possono influire sulla riuscita o meno di uno schema.
(articolo)
16 min
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Per questo episodio della nostra rubrica tattica “X&Os” abbiamo deciso di utilizzare una strategia diversa: anziché analizzare un macro argomento, andremo a ruota libera per scomporre nel dettaglio giocate anche scollegate tra loro, ma che offrono spunti interessanti per capire le dinamiche e le scelte che i giocatori coinvolti devono fare ogni singola azione per determinare il successo di ogni singolo possesso.

Ciò che eleva un gioco, uno schema o una situazione particolare non è tanto la somma dei suoi movimenti, ma la lettura adeguata in grado di massimizzare i vantaggi di una scelta piuttosto che un’altra. Come andremo a vedere, anche il più innocuo e in apparenza banale taglio, blocco o passaggio possono fare la differenza tra la riuscita o il fallimento di un’azione.

Riprenderemo concetti già visti e approfonditi in precedenza, ne introdurremo di nuovi ed useremo la terminologia tecnica per spiegare la lingua universale del Gioco.

Cut Assist

Ci sono giocatori che hanno costruito la propria carriera sulla capacità di migliorare i compagni con un passaggio vincente; è altresì vero, come avevamo già visto, che il criterio di assegnazione di un assist può far storcere il naso. L’assist in sé e per sé è una statistica che dice tutto e niente: molto spesso è riduttivo glorificare l’ultimo passatore per la riuscita di un’azione corale, specialmente in un gioco fatto di scelte e collaborazioni continue e complesse.

La NBA da qualche anno ha iniziato a espandere il concetto di assist introducendo statistiche avanzate come l’hockey assist (sostanzialmente il passaggio precedente all’assist) o lo screen assist (un blocco sulla palla che porta a un canestro), fino a conteggiare gli assist potenziali a partita che un giocatore o una squadra potrebbero fare se il tiro andasse a segno — oltre agli assist che diventerebbero tali se chi li riceve non venisse fermato con un fallo.

Dal nostro punto di vista manca ancora qualcosa che non risalta in nessuna statistica, ma ha la valenza di un passaggio smarcante: il cut assist, ovvero il taglio di un giocatore che genera spazio a un compagno che poi eventualmente viene mandato a canestro con un assist.

Pick & pop degli Utah Jazz tra Rubio e Favors: per fargli posto sul perimetro O’Neale taglia a canestro alle spalle di un disattento Mbah a Moute, venendo intercettato dall’ultimo difensore sul lato debole (Trevor Ariza) che lascia il suo uomo per occuparsi della minaccia più incombente. Rubio legge la crisi difensiva dovuta al taglio e scarica in angolo per il tiro da tre punti di Hood.

Sul pick & roll tra Dragic e Whiteside, i New York Knicks raddoppiano la palla e si schiacciano in area con Porzingis, che molla Olynyk lasciando Thomas a fare il “portiere” sul lato debole tra due attaccanti. Una classica rotazione difensiva come se ne vedono a decine durante ogni partita, che però diventa inefficace nel momento in cui Olynyk taglia lungo la linea di fondo portandosi dietro proprio Thomas, l’unico che poteva essere in grado di uscire a contestare il tiro di Tyler Johnson.

Difendere sui blocchi lontano dalla palla degli Warriors è un rebus infernale: in questo caso l’uscita di Klay Thompson viene netraulizzata dal cambio difensivo, ma ciò che provoca l’errore difensivo è il taglio di McCaw che libera semplicemente il lato portandosi dietro due difensori e lasciando spazio in angolo a Iguodala — che attacca l’uscita fuori equilibrio di Tucker andando a schiacciare indisturbato.

Stavolta sono i Rockets a indurre all’errore gli Warriors con una “ATO” — After TimeOut, una chiamata del coach in uscita da timeout — ben congegnata: dopo il blocco a scendere di Tucker per Paul, Green taglia backdoor a canestro, la difesa degli Warriors è incerta quel tanto che basta per offrire il fianco alla tripla di Ariza.

Wayne Ellington Effect

Dopo sette stagioni senza infamia e senza lode spese a fare il journeyman a giro per la lega, Wayne Ellington è diventato l’eroe inatteso della stagione dei Miami Heat: quest’anno produce quasi 11 punti a partita scagliando da oltre l’arco oltre 7 bombe a gara con percentuali superiori al 40%. Il suo impatto al tiro parametrato sui 100 possessi è simile a quello di Steph Curry e nel mese di dicembre solo Kyrie Irving ha segnato più triple di lui in tutta la NBA. Tutto questo grazie a partite da 6, 7 e 8 missili mandati a bersaglio dalla lunga distanza correndo come un pazzo sui blocchi, tanto da diventare per alcuni spezzoni di partita la prima (e unica) opzione offensiva degli Heat.

Nell’ultimo mese la sua mano si è un attimo raffreddata — dal 44% di dicembre su 8 tentativi a sera è sceso a un medio 35% su quasi 10 triple a partita tirate —, ma la sua influenza sulle difese avversarie è aumentata: ora come ora non è più importante quando segna da fuori, ma piuttosto tutto lo spazio che crea per i compagni, dato che le difese avversarie devono predisporre ad hoc marcature su di lui anche usando i raddoppi se necessario.

Sulla rimessa dal fondo la difesa Magic ha talmente timore della sua ricezione in angolo che lo raddoppia preventivamente, lasciando in questo modo completamente libero Jordan Mickey per la schiacciata.

Queste due clip sono spaventosamente identiche, con la solita situazione giocata nell’esatto identico modo a un paio di giorni di distanza: “Horns Action”, ovverosia blocco al gomito e successivo passaggio consegnato all’altro gomito per creare spazio al tiro di Ellington che, raddoppiato, scarica a Adebayo sullo short roll creando sovrannumero sul lato debole — finalizzato in entrambi i casi da due corner three di Winslow.

In questo caso Ellington non è raddoppiato, anzi, agisce da bloccante (livello Kyle Korver: sbloccato). Siamo al termine di una partita in cui ha segnato 26 punti con 6 triple, quindi il diktat del suo difensore è non staccarsi mai da lui, nemmeno in caso di blocco cieco per dare una mano a Batum che perde James Johnson, il quale va a depositare la schiacciata. A margine: un’altra rimessa machiavellica disegnata da coach Spoelstra dopo quelle che hanno portato ai canestri della vittoria contro Utah e Toronto di qualche settimana fa.

Il suo gioco ha raggiunto una pericolosità tale che per le difese è imperativo stargli incollato per non farlo tirare, creando a Ellington opportunità per facili conclusioni da sotto.

Rodney Hood dei Jazz passa sui blocchi lontano dalla palla insieme a Ellington, ma così facendo anche sui passaggi consegnati si espone a facili traiettorie verso il canestro che l’ex Lakers e Nets usa per andare in appoggio indisturbato al vetro.

Serie di tre blocchi consecutivi: Snell lo insegue come un mastino standogli alle calcagna tutto il tempo; Ellington non smette mai di correre ma quando prova a mettere la palla a terra viene subito chiuso. Allora crea separazione e minaccia di tirare da tre, ma con l’esitation fa fuori il difensore, attacca il canestro, fa collassare la difesa e piazza l’assist per Adebayo.

Step up Pick and Roll

Secondo la miglior definizione che abbiamo trovato, lo “step up pick and roll” è un blocco sulla palla portato dal bloccante con i piedi rivolti verso la linea di fondo opposta, cioè quella del proprio canestro. Questo angolo piatto a 180° permette al portatore di palla di poter sviluppare il gioco a due su entrambi i lati, ma soprattutto non permette al difensore sulla palla di avere in visione il blocco — oltre a condizionare la difesa stessa sul pick and roll.

Questo modo di giocare il pick and roll è sempre più frequente nella NBA, specialmente da quando il concetto di fare “ice” in difesa è diventato la prassi sui pick and roll laterali.

Su questo Step up pick and roll laterale i Bulls si predispongono per fare “ice”, ma l’idea viene disinnescata dal dribble snake — palleggio a serpente — di Durant per tornare verso il centro, reso possibile dal blocco granitico di Pachulia su cui Holiday perde contatto con KD. A questo punto si entra nel territorio di caccia preferito da Durant, il palleggio-arresto-tiro dalla media distanza in cui non può essere ostacolato da nessun lungo, né tantomeno da eventuali aiuti lato debole perché gli altri Warriors sono perfettamente spaziati sul perimetro pronti a colpire.

Data la peculiarità del blocco, questo tipo di pick and roll risulta indigesto anche alle difese che cercano di “contenere” la palla senza cambiare e non vogliono andare in rotazione, perché la distanza che si crea tra il portatore e il difensore sulla palla è enorme e permette al ball-handler di avere molto tempo a disposizione per fare la propria scelta o molto spazio per attaccare il canestro.

Step up pick and roll centrale giocato dagli Spurs per Ginobili che parte altissimo, inizia a prendere velocità ancora prima che il blocco di Gasol sia posizionato e poi salta come un birillo un inerme Olynyk dopo un efficacissimo Euro Step.

I Thunder hanno in Russell Westbrook e Steven Adams la sublimazione ideale delle caratteristiche dei giocatori coinvolti nello Step up pick and roll: Westbrook è già pressoché immarcabile senza blocchi, figurarsi se a piazzarne uno sulla palla è uno dei migliori bloccanti della NBA come il neozelandese.

Nella prima delle due clip lo Step up pick and roll — con l’aggiunta del velo di George — su cui si schianta Thomas e il conseguente roll a canestro di Adams mettono Tristan Thompson al centro di un dilemma amletico: uscire su Westbrook per essere battuti in velocità o restare a proteggere il ferro? Sceglie la seconda opzione e quindi offre a Westbrook il tiro dalla media distanza, ma è in ritardo su Adams che nella lotta di posizione per il rimbalzo d’attacco è già saldamente in vantaggio e corregge al volo il tiro sbagliato dal compagno. Nella seconda clip il lungo dei Cavs invece decide di fare un passo avanti verso l’MVP in carica — che nel frattempo ha preso un metro di vantaggio dal blocco sulla palla — e molla Adams, il quale non ricevendo nessuna attenzione della difesa sul lato debole è libero di rollare a canestro servito puntualmente da Westbrook.

Il cambio sistematico sembra essere l’idea migliore per tamponare l’emergenza sulla palla, ma espone la difesa a complicati mismatch vicino a canestro.

Eseguono ancora Adams e i Thunder, con la compartecipazione della pigrizia difensiva di Golden State: Adams blocca per Anthony senza nemmeno troppa enfasi, gli Warriors di default cambiano ma Iguodala rimane sigillato dietro il neozelandese che, tramite sponda di George, riceve in mezzo all’area e si gira: per evitare il canestro gli Warriors devono spendere un fallo.

High/Low

La pallacanestro è un gioco in perenne trasformazione ed evoluzione, ma ci sono collaborazioni offensive che rimangono immutabili ed efficaci oggi come lo erano 40 anni fa, che sia NBA, Eurolega, minors di basso rango o livello amatoriale. Una di queste è senz’altro l’alto/basso, una situazione in cui il focus è concentrato sull’allineamento vincente tra un giocatore in post alto e un giocatore in post basso. In una lega in cui il cambio difensivo è diventata la prassi, in certe circostanze il gioco alto/basso è un buon viatico per esporre i punti deboli della difesa e sfruttare il mismatch che si crea.

Nella prima clip gli Warriors arrivano in attacco con un accoppiamento già favorevole — Thompson marcato da VanVleet su cui ha 20 centimetri e almeno una decina di chili a favore — e fanno di tutto per servirlo in post basso. VanVleet lotta come un leone per negare la ricezione marcando Thompson da davanti e gli Warriors per una volta sono spaziati male (West in post basso permette a Poeltl di staccarsi per negare il lob). Ma non appena West sale in lunetta ecco il vantaggio decisivo, indicato dallo stesso Thompson per l’allineamento alto/basso con cui i Warriors vanno a canestro. Nella seconda clip i Celtics giocano un doppio pick and roll dalla transizione che costringe gli Heat a cambiare e offre ai biancoverdi il mismatch vicino a canestro. Gli Heat sono in emergenza, Ellington è tutto davanti a Horford che comunque di mestiere riesce a mantenere la posizione, viene servito dal lob, con la coda dell’occhio vede la difesa degli Heat che collassa in area e scarica la palla per la tripla aperta di Jayson Tatum.

Per gli Spurs invece l’alto/basso è un marchio di fabbrica e non potrebbe essere altrimenti affidandosi alle due torri — Pau Gasol e LaMarcus Aldridge — con cui Gregg Popovich fa zag in una lega uniformata allo zig. Gli Spurs hanno come obiettivo questa collaborazione tra lunghi già in fase di transizione, quando la difesa non è ancora schierata e il primo rimorchio corre bene per il campo.

Nelle tre clip Aldridge ha come idea principale quella di correre il campo per prendere posizione profonda sotto canestro, mettendosi tra il suo marcatore e il canestro. Gasol, il secondo rimorchio, sa già che la sua prima opzione è cercare il compagno di reparto sotto canestro. Nei primi due casi l’alto/basso è generato dallo spin move di Aldridge che accoglie di buon grado il contatto che gli concede la difesa con il movimento alla Shaq per depositare in alley-oop. Nell’ultimo caso, contro i Raptors, si accorge da subito del vantaggio che ha nei confronti di Siakam, lo taglia fuori mantenendo la posizione e indica a Murray di mandare subito la palla a Gasol per la sponda.

A volte l’alto/basso, invece, è semplicemente la conseguenza di una scelta difensiva marcata.

I Bucks non vogliono che gli Warriors appoggino palla sotto per andare poi a fare la loro sequenza di split — blocchi, veli, incroci e scambi sia sul lato forte che sul lato debole — da cui generano attacco e canestri facili in taglio, per cui marcano il post tutto davanti. Nella prima clip gli Warriors arrivano a giocarsi l’alto/basso dalla corsa con West che prende posizione nel post medio e Livingston e Green che leggono immediatamente il vantaggio che si crea. Nella seconda clip, non appena Thon Maker si mette tutto davanti a West, Green reagisce in un baleno andando a creare allineamento alto/basso per il lob che libera a canestro l’ex Pacers.

“Head Tap”: la Motion Weak rivisitata dai Warriors

In NBA se una situazione funziona e offre dei vantaggi viene sistematicamente copiata: nel primo episodio di questa rubrica abbiamo trattato una parte della Motion Offense degli Spurs, la Motion Strong in cui la parola strong sta per lato forte, ma Popovich ha introdotto nella NBA anche la dirimpettaia Motion Weak, ovvero una serie di movimenti effettuati sul ribaltamento di palla verso il lato debole.

I movimenti chiave sono il passaggio d’entrata in ala, il passaggio al lungo in punta e il taglio guardia-guardia del portatore di palla. Da lì in poi si entra nel vivo del gioco e le collaborazioni che ne possono nascere sono pressoché infinite. In queste due clip si vedono gli esempi più ricorrenti del playbook degli Spurs: blocco orizzontale dell’esterno sul lato debole per favorire la ricezione e l’isolamento del lungo in post; oppure blocco orizzontale per favorire la corsa del lungo verso il pick and roll laterale. Dopo i primi movimenti, l’attacco va di lettura in base a ciò che lascia la difesa.

Steve Kerr, che un paio di cose dagli Spurs le ha apprese avendoci giocato e vinto, usa spesso la Motion Weak classica (come anche almeno un’altra dozzina di squadre in NBA) e ne ha ideata una versione, decodificata come “Head Tap” — dato che il giocatore che chiama questo gioco si “batte” la mano sopra la testa — rivisitata per i propri scopi e per il personale a disposizione. Gli Warriors non amano giocare schemi rigidi a difesa schierata, ma la Motion Weak è una delle eccezioni, molto utile in momenti in cui è necessario fare un canestro o cavalcare un giocatore in particolare. Ad esempio, la Motion Weak “classica” dei Warriors è una chiamata solitamente a favore di Steph Curry, per isolarlo su un quarto di campo con un pick and roll laterale a disposizione.

Sul ribaltamento di lato il blocco di Durant per McGee crea il primo grosso vantaggio per gli Warriors: la copertura di Lopez sul pick and roll laterale non potrà che essere di tipo contenitivo e contro Steph Curry questa scelta di solito si paga con tre punti. Se il difensore del bloccante — in questo caso Poeltl — cerca di arrivare insieme al blocco, Steph mette palla per terra e attacca il closeout e scarica la palla, ma l’attacco dei Warriors non rinuncia al vantaggio creato e, senza fermare il pallone, lo rimette nelle mani di Curry per una tripla dall’angolo, splendidamente aiutata dal blocco di contenimento di McCaw. Infine, se la difesa fa “ice” sul fondo e si chiude a ricciolo in area, parte automatica la lettura del numero 30 dei Dubs con il passaggio skip a Thompson sul lato debole per la tripla.

La versione “Head Tap” è invece uno schema appositamente disegnato per Kevin Durant che offre all’ex Thunder due opzioni di cui usufruire.

Durant parte in post basso, Curry non va a prendersi la palla sul ribaltamento ma va a fare il blocco orizzontale per l’ex Thunder. La prima delle due opzioni per Durant è l’isolamento in post basso su cui cambiare è sconsigliato, come dimostra la prima clip e il fadaway in testa a Patty Mills. In caso la difesa riesca a passare sul blocco senza cambiare e Durant non riesca a ottenere nessun vantaggio per tirare, la manovra continua con gli split tra Curry e Thompson che in questo caso favoriscono la penetrazione al ferro del primo. La seconda opzione è data dall’atteggiamento difensivo: se il difensore di Durant si prepara al blocco orizzontale, l’ex Thunder sfrutta quello verticale per l’uscita in punta.

Pick and Pin

Un modo decisamente creativo di giocare per i propri tiratori è il cosiddetto Pick and Pin, chiamato altresì “Veer” — tradotto letteralmente significa “virata” — ovvero un blocco sulla palla che funge da diversivo e che non si conclude con un roll a canestro, ma con un blocco lontano dalla palla per un terzo giocatore. Questa azione è stata elevata ad arte dai Clippers che avevano in J.J. Redick e DeAndre Jordan una coppia affiatata e Chris Paul catalizzatore delle attenzioni sui pick and roll. L’idea alla base è tanto semplice quanto geniale: forzare il difensore sul blocco e quello sul lato debole a focalizzarsi sul pick and roll per metterli poi in una situazione di netto svantaggio e/o ritardo sul blocco lontano dalla palla.

Channing Frye gioca il pick and roll con Wade, Frank Mason che difende su Korver fa un passo verso l’area dei tre secondi come da regole difensive e si rilassa un attimo sentendosi fuori dall’azione difensiva, ma non appena Frye cambia traiettoria e Korver inizia a muoversi è troppo tardi: rimane stampato sul blocco e per il tiratore ex Hawks è uno scherzo alzarsi e tirare con tutto quello spazio a disposizione.

Brett Brown a Philadelphia in modo molto saggio e scaltro usa spesso il Pick and Pin per mettere a suo agio Redick ed innescarne le sue letture di alto livello in uscita dai blocchi.

Pick and roll tra McConnell e Johnson che Drummond copre facendo “drop” in area. Bradley — istruito da Stan Van Gundy che Redick lo conosce bene, avendolo di fatto inventato — ha ricevuto l’ordine di stare con lui anche lontano dalla palla ed è esentato dal flottare in area sui pick and roll. Il fatto che sia così vicino a Redick però offre a Johnson un bersaglio chiaro su cui bloccare: Redick quindi può muoversi a ricciolo verso il canestro e prendersi un arresto e tiro dal gomito con spazio, con Bradley che rimane dietro e Drummond troppo distante per ostacolarlo.

Come abbiamo visto, cercare di creare spazio con il movimento degli uomini ancor prima di quello della palla è l’imperativo categorico per cercare di superare difese formate da atleti sempre più grossi, veloci e versatili. Le squadre che riescono ad eseguire questi schemi con i tempi e con le idee più giuste hanno successo; quelle che si accontentano esclusivamente del talento individuale dei propri giocatori sono destinate a fare meno strada, a meno che quei talenti non siano di livello assoluto.

Spesso, per non dire sempre, sono i dettagli a fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta.

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