Nel mese di settembre la NBA entra sempre in una sorta di limbo. L’estate è davvero finita e l’attesa per la nuova stagione inizia a farsi sentire, con i primi countdown che iniziano ad apparire da tutti le parti. I training camp, però, sono ancora lontani e difficili da inquadrare, i roster non sono ancora del tutto definiti e i social iniziano a infestarsi di video degli allenamenti personali, dove è tutto un “Giocatore Che Sembrava Non Saper Fare Quella Cosa E Invece Guarda Adesso” e un “Guarda Quanti Chili Ha Messo Su Dovrebbero Fargli l’Anti-Doping” (ciao De’Aaron Fox). Soprattutto, settembre è il mese in cui la stagione passata finisce definitivamente in archivio.
Tuttavia, se è vero che tra poco più di un mese a tutte e 30 le franchigie verrà offerto un foglio bianco sul quale scrivere una nuova storia, lo è altrettanto il fatto che molto di quello che vedremo dal prossimo 22 ottobre sarà inevitabilmente collegato a quanto abbiamo già visto. Ecco perché settembre diventa un mese importante per recuperare quelle piccole cose che non ricordavamo: volendo parafrasare Dino Buzzati, si potrebbe dire che nessun mese è meglio di settembre per voltarsi un’ultima volta indietro a osservare il cancello sprangato, chiuso nel passato, dell’ultimo anno di NBA.
Per questo ho scelto dieci azioni che potreste esservi persi, all’interno di una stagione lunghissima e compressa. Piccoli o grandi gesti di piccoli o grandi giocatori che potrebbero risultare fondamentali in vista dei prossimi playoff. Oppure, più semplicemente, giocate che meritavano un ultimo, nostalgico, sguardo prima di essere consegnate alla memoria.
X-Factor: Andrew Wiggins
Wiggins rappresenta perfettamente quanto espresso in precedenza. Non soltanto gioca in una squadra, Golden State, che non ha fatto i playoff e che non vediamo giocare dallo scorso maggio; non solo non è il miglior giocatore della sua squadra (Steph Curry) o il più appariscente (Steph Curry) o quello del quale ci ricordiamo sicuramente un’azione (Steph C… vabbè avete capito), ma viene anche da una stagione particolare ed è in una situazione molto intrigante in vista del futuro. Nella scorsa stagione Wiggins ha tentato il minor numero di tiri (14.9) dal suo anno da rookie, ma i suoi numeri non sono mai stati così buoni: 47.7% dal campo, 38% da tre (che diventa 39% in situazioni di catch and shoot) e 69% al ferro. Lo stesso si può dire dei suoi numeri difensivi, mai così buoni da quando è in NBA, ma gli Warriors sono sembrati più coesi e disciplinati senza di lui.
Rispetto agli anni a Minnesota, Wiggins sembra cresciuto come rim-protector e questo è fondamentale per una squadra che vuole giocare tanti minuti con quintetti privi di lunghi di ruolo. Gli arrivi di Otto Porter, Nemanja Bjelica e Andre Iguodala permetteranno a coach Steve Kerr di estendere i minuti di small ball, ma se gli Warriors vogliono tenere botta necessitano di un Wiggins in grado di compiere quel movimento a fisarmonica che lo vediamo compiere in questo video.
La sua fisicità consente agli Warriors di intasare il centroarea, mentre la sua elasticità gli consente di scalare sul perimetro, rubando palloni o anche soltanto agendo sulle linee di passaggio. Il fatto che lo Usage Rate sia calato drasticamente rispetto al passato è un buon segnale in vista del futuro, nel quale l’ex prima scelta assoluta dovrà abbracciare il proprio nuovo ruolo – quello del two-way player di complemento, capace di esaltarsi nel migliorare il contesto attorno a sé senza dover essere il principale punto di riferimento – offensivo o difensivo. Wiggins rischia di diventare uno dei giocatori più importanti della prossima stagione e non soltanto per Golden State, visto che il Klay Thompson gli Warriors si candidano quantomeno per il ruolo di outsider per la conquista dell’Ovest e del prossimo titolo.
L’unicità di Kyle Anderson
Un video che vi consigliamo di ascoltare a tutto volume!
In una NBA che rispecchia i valori del mondo che ci circonda, dove tutto si muove a una velocità supersonica, veder giocare Kyle Anderson è un balsamo di umanità. Ovviamente la sua lentezza è un’illusione: nessun essere umano normale sarebbe in grado di fare le cose che Kyle Anderson è in grado di fare per 28 minuti a sera in una lega come la NBA. Eppure c’è qualcosa, nella sua lentezza, che lo fa risplendere agli occhi di chi certi gesti tecnici può soltanto sognarli, data non solo la sua coordinazione ma anche la morbidezza spaventosa dei suoi polpastrelli. Eppure guardandolo è come se la barriera che separa il nostro mondo da quello dei grandissimi sportivi si aprisse, per un istante, permettendoci di curiosare all’interno di qualcosa altrimenti impensabile. Dio ti benedica, Kyle Anderson.
Miles Bridges sta arrivando
Mettere un video di Miles Bridges dopo uno di Kyle Anderson è quanto di più simile a un ossimoro possiamo immaginare nella NBA al giorno d’oggi. Anche veder giocare l’ex Michigan State è un’esperienza unica, ma qua siamo molto più vicini all’universo Marvel che al nostro.
Quanti esterni sono in grado di stoppare un lungo delle dimensioni di Alex Len, da fermo (!), senza neanche possedere un angolo di chiusura ottimale rispetto al proprio tabellone? Le possibilità fisiche di Bridges sono pressoché illimitate, e dopo una stagione in crescendo sembra finalmente pronto a esplodere come bersaglio preferito di LaMelo Ball.
Kyle Lowry feat. Heat Culture
Esistono poche cose a questo mondo in grado di far emozionare Pat Riley più di un veterano dotato di leadership fisica e mentale. Soprattutto se questo è un giocatore dall’intelligenza cestistica sopraffina come Kyle Lowry, arrivato a Miami dopo una carriera da Lord Comandante dei Toronto Raptors, che sotto il suo protettorato non hanno solo difeso il Nord della NBA dagli attacchi esterni ma si sono pure fregiati del primo, storico, titolo fuori dai confini statunitensi della storia della lega.
Sulla carta, il matrimonio tra Lowry e Miami sembra essere perfetto. Per mentalità e ruolo, per capacità di agire all’interno di un sistema costruito appositamente per amplificare l’impatto dei giocatori intelligenti e generosi. Lowry è da anni una delle menti più incisive della NBA e Miami aveva un disperato bisogno di affiancare un giocatore con un certo pedigree a Jimmy Butler. E poi veramente pochi giocatori all’infuori di Miami rappresentavano meglio la cosiddetta Heat Culture meglio di Kyle Lowry. La professionalità, la durezza mentale, la disciplina, il sostituire “Io” con “Noi”, il mettere a rischio la propria incolumità fisica pur di recuperare un pallone dopo due minuti di un back-to-back a Cleveland di metà stagione.
Al tempo stesso sarà interessante che versione di Kyle Lowry arriverà in Florida. I numeri al tiro hanno retto pure nell’ultima stagione, è vero, ma fisicamente il suo impatto sembra già calato – e in modo netto. Per la prima volta in dieci anni Lowry ha giocato meno di 50 partite (46, anche perché se ne sono disputate 72 in tutto e i Raptors erano di fatto fuori dai giochi da un po’) e per la prima volta da dodici anni il suo impatto in campo è stato negativo, con uno -0.3 di Net Rating che suona come un campanello d’allarme per un giocatore che non gioca meno di 32 minuti di media dalla stagione 2010-11 e che il prossimo marzo compirà 36 anni.
Un fiore di Aleksej Pokusevski
Si sono scritte tante cose ironiche sulla prima stagione NBA di Pokusevski, dallo 0/11 da tre con cui ha iniziato l’anno alla fragilità del suo fisico così particolare. Con un nome che sembra tratto dalla Guida Galattica per Autostoppisti, un volto bambinesco e 20 anni ancora da compiere, “Poku” è già diventato uno degli idoli del sottobosco hipster della lega, ma non dimentichiamoci che il suo talento è davvero cristallino. Guardate il modo in cui riesce a coordinarsi dopo la ricezione, un giunco sotto la morsa del vento che si ricompatta magicamente per battere dal palleggio un difensore esperto come Jae Crowder. E la finalizzazione è ancora più sublime, con Pokusevski che sente arrivare l’aiuto e frega Ayton sul tempo anticipando la conclusione con un cambio mano in volo appoggiato al tabellone. A thing of beauty, come direbbero dall’altra parte dell’Oceano.
Ben Simmons arriva ovunque
È vero che il passaggio è pigro ma Simmons sembra poter allungare il braccio a piacimento per catturare il pallone. Riuscire a strapparlo da due mani da wide receiver come quelle di Harden è gran cosa, ma mai come ricordarsi di coordinarsi quasi in volo per lanciarsi in transizione. Due secondi in cui la potenza e l’armonia si fondono insieme.
Del giocatore dei *inserisci squadra nella quale credi Ben Simmons giochi la prossima stagione* ne abbiamo già scritto recentemente. Questo video serve soltanto a ricordarvi che, sebbene abbia chiuso la stagione in modo pessimo e sia costantemente nel mirino della critica, Simmons resta un giocatore davvero forte e capace di gesti tecnico-atletici di livello assoluto.
Blake Griffin e il paradosso dell’abbondanza
Nel corso dell’estate i Nets hanno aggiunto James Johnson, Paul Millsap, Patty Mills, DeAndre’ Bembry e il “rientrante” LaMarcus Aldridge e sono riusciti a convincere Griffin e Bruce Brown a restare per almeno un altro anno. Il che è sia impressionante che secondario dal momento che il quintetto Kyrie Irving-James Harden-Joe Harris-Kevin Durant-Nic Claxton potrebbe benissimo bastare, da solo, a vincere il prossimo titolo NBA. L’abbondanza di uomini e soluzioni in mano a Steve Nash è quasi ridicola. I Nets potranno scegliere stile e personale a seconda dell’avversario, potranno permettersi di ruotare gli effettivi in vista della post-season e rischiano di far registrare una stagione storica – quantomeno per quanto riguarda la metà campo offensiva.
Intrigante, forse perché assolutamente non necessario, è quello che riguarda la capacità di Blake Griffin di costruire dal palleggio. Durante il suo ultimo anno e mezzo ai Pistons, nonostante i continui problemi fisici, Griffin restava nel 96° (!) percentile per efficienza da palleggiatore in situazioni di pick and roll. Un dato decisamente singolare ma non estemporaneo, calcolato su 2 possessi di media a partita.
Per la prima volta, a discapito degli eufemismi, una squadra sarà in grado di schierare realmente cinque giocatori capaci di fare qualsiasi cosa con il pallone, ognuno di essi assolutamente a proprio agio in qualsiasi situazione, su qualsiasi lato del campo, a qualsiasi latitudine o longitudine. Un lusso raro anche per gli standard dell’aristocrazia della NBA.
I primi passi di Nickeil Alexander-Walker
Sono il solo a vederci qualcosa di “ginobilesco” in questa penetrazione a canestro?
A seguito della pausa dello scorso All-Star Game, il cugino del più famoso Shai ha spiccato il volo passando da 5 a 16 punti di media a partita. Un dato ancora più interessante, ancora di più dei primi timidi miglioramenti al tiro pesante, risiede nel numero di possessi chiusi in penetrazione verso il ferro, un altro numero esploso – da 4.2 a 7.5 possessi a partita. Ovviamente la strada per diventare un elemento importante in una squadra competitiva è ancora lunga – la sua promozione a titolare è avvenuta nel momento in cui i Pelicans avevano già sollevato bandiera bianca sulle speranze di playoff –, ma il modo in cui NAW ha iniziato ad attaccare il ferro fa sperare in una crescita multi-dimensionale, nonché slegata dal tradizionale e semplicistico concetto di gregario.
Bonus Track: Yuta Watanabe
Questo video in realtà doveva mostrare la bellezza del passaggio in stile pallanuoto di Domantas Sabonis, la cui capacità di far apparire normale anche colpi tecnici à-la-Jokic continuerà a farsi apprezzare sotto il regno di coach Carlisle. Ma guardate il modo in cui Watanabe riesce a recuperare in aiuto, sulla linea di fondo, prima di iniziare uno scivolamento di diversi metri che lo porta fino alla stoppata a centro area.
La storia del coaching staff dei Raptors è piena di storie di giocatori chiamati in posizioni basse al Draft oppure scartati da altre franchigie che trovano la propria dimensione una volta varcata la frontiera canadese. Watanabe ha messo su 11 chili da quando è entrato nella lega e la squadra sembra andare incontro a un’ulteriore stagione di transizione: che sia lui il prossimo progetto vincente di Toronto?
Orizzonte Hachimura
Giocatori in grado di stare oltre il 90° percentile difendendo in isolamento almeno un possesso a partita nell’ultima stagione: Draymond Green, Malcolm Brogdon, Nikola Jokic (!), Gary Trent Jr., Larry Nance Jr. e Hachimura.
A proposito di domande un po’ naïve: è possibile che il primo emule di Giannis Antetokounmpo provenga dalla patria del Sol Levante? Probabilmente no, e non soltanto perché il giapponese ex Gonzaga è 10 centimetri e 10 chili in meno rispetto al greco. Ma Hachimura nel corso dell’ultima stagione ha portato due componenti del suo gioco a un livello superiore. La prima è la conduzione in transizione, in cui con 1.32 punti per possesso è schizzato dal 50° all’88° percentile. La seconda, e ancora più intrigante, è la sua capacità di difendere il ferro da situazioni di isolamento.
Hachimura non è estremamente alto per essere un 4 ma il suo fisico è sia resistente che potente, e gli consente di spostarsi su entrambi gli assi cartesiani con grande velocità. Guardate come riesce a tenere DeRozan davanti a sé, indietreggiando ma senza mai perdere l’equilibrio fino a stoppare al ferro uno dei migliori attaccanti in uno-contro-uno della lega.
I suoi miglioramenti difensivi sono stimolanti anche in relazione all’evoluzione della squadra, dal momento che con gli arrivi di Kyle Kuzma e Kentavious Caldwell-Pope dai Lakers e le conferme di Davis Bertans e Deni Advija gli Wizards rischiano di schierare per 48 minuti a sera quintetti con esterni competenti in entrambe le metà campo. Nuovo Giannis o meno, Hachimura resta un prospetto davvero interessante in vista dei prossimi anni.
Russell Westbrook resta Russell Westbrook
Da futuri Wizards a chi nella capitale c’è rimasto appena un anno: il ricordo di Westbrook a Washington è destinato a restare discretamente anonimo, una tappa di passaggio tra il fallimento con i Rockets e le nuove speranze dei Lakers con in mezzo il nuovo record di triple doppie nella storia della lega. Un anno in cui i riflettori sono iniziati a venire meno ma nel quale Westbrook ha comunque condotto la squadra fino ai playoff. Non la sua miglior stagione, ma comunque una stagione da 22.2 punti, 11.5 rimbalzi e 11.7 assist di media, una stagione in tripla doppia, la quarta nelle ultime cinque stagioni.
La straordinarietà che diventa normalità: con Westbrook è sempre stato così. Zompi da felino di grossa taglia per catturare un rimbalzo in più, penetrazioni fulminanti fino al ferro e blackout difensivi. Imperitura effige del giocatore idiosincratico stra-dotato, Westbrook o lo si ama o lo si odia. Non esistono vie di mezzo quando si parla di Westbrook… anzi, una via di mezzo esiste, ed è quella dove chiunque, fan o hater, dovrebbero riunirsi per continuare ad apprezzare uno dei giocatori più spettacolari e unici della sua generazione.
A discapito dell’età, degli acciacchi, di un atletismo che sembra sempre sul punto di abbandonarlo per poi tornare, magicamente, quasi fosse il suo stesso talento a rifiutare l’inevitabile destino, la gioia di cui sono infusi tanti degli highlights delle partite di Westbrook sono il motivo per cui tanti guardano lo sport professionistico: per divertirsi, per essere intrattenuti, per emozionarsi e sognare.
Quante volte abbiamo visto Westbrook rompere un raddoppio? Eppure ogni volta c’è quel certo non-so-che, quella componente di Actor Studios fatta di movimenti elettrici e grandiosi al tempo stesso che gli consente di catturare tutti gli occhi su di sé in modo da amplificare l’impatto di ogni gesto. Guardate come esagera nel contro-movimento che lo porta a spezzare il raddoppio, il modo in cui appoggia le mani a terra dopo essersi liberato dell’ostacolo, il corpo che sembra dipanarsi avanti e indietro come vapore su di un vetro. Westbrook è fenomenale nel rallentare il tempo fino a quando non è il momento di cambiare spartito, una volta liberatosi, trasformandosi in uno slalomista lanciato a velocità supersoniche che nella frenesia della catarsi riesce pure a inquadrare il compagno libero, il quale sta anch’esso tagliando a tutta velocità. Il timing è perfetto, la platealità dei gesti è perfetta.
È la grande commedia per la quale si paga il biglietto e, al tempo stesso, l’arena sportiva più competitiva e inarrivabile al mondo. È un territorio inesplorato, che si ripete con una costanza magica. È la NBA del nuovo millennio, quella che si guarda ogni sera, notte dopo notte, mattina dopo mattina. Anche a settembre.