Secondo l'ex bandiera del Liverpool, Jamie Carragher, non c'è ruolo più complesso del difensore centrale nel gioco del calcio. «Non penso che sarei in grado di giocare con la linea a centrocampo», aveva risposto quando l’intervistatrice gli aveva chiesto se si sarebbe visto nella squadra di Klopp. Una testimonianza importante, se pensiamo a quanto sia forte ancora oggi la narrazione secondo cui negli anni ’80 e ‘90 i difensori fossero migliori.
Non voglio addentrarmi in questo dibattito, ma di certo si può dire che il ruolo di difensore centrale è quello che il calcio contemporaneo ha reso più complesso e ricco di compiti, peraltro all’interno di un calcio dove i miglioramenti tattici, atletici e fisici hanno contribuito ad aumentare di molto la velocità del gioco. Ai difensori viene quindi chiesto di prendere più decisioni senza palla e in tempi sempre più ristretti, con margini di errori sempre più sottili. Pensate, per esempio, a quanto tiene alta la linea difensiva una squadra come il Tottenham: quanti centesimi di secondo può perdere Romero a scalare in avanti prima che il Garnacho di turno riesca a non finire in fuorigioco?
In questo contesto sbagliare è diventato sempre più facile. Non è un caso se Guardiola abbia iniziato a mettere sempre più difensori centrali in campo: è che il margine di errore si è assottigliato troppo. Quando Carragher dice che il difensore è il ruolo più complesso – anzi, demanding, esigente, per usare le sue parole – forse include anche questo tipo di compiti: non il semplice uno contro uno, ma anche la concentrazione richiesta senza il pallone, per tenere la linea del fuorigioco, spezzare la linea, uscire aggressivi sugli uomini tra le linee. Lo status di difensore centrale d'élite, non a caso, sembra incredibilmente fragile. Pensate a giocatori come Kim o de Ligt, come sia bastato poco per farli scendere di qualche gradino nella nostra considerazione.
Insomma: selezionare i dieci migliori centrali al mondo oggi non è semplice, ma so che non basterà questa lunga premessa a farmi perdonare le mie scelte. Mancano infatti nomi importanti, com'è inevitabile che sia quando si hanno a disposizione solo dieci posti (uno per tutti, Gvardiol, che Guardiola ha trasformato in un terzino), ma insomma, lo sapete come funzionano le classifiche. Cominciamo.
10. Micky van de Ven, Tottenham
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Fare il difensore centrale nel Tottenham è un lavoro usurante. Il sistema di aggressione estrema di Postecoglou è il boss finale per le qualità atletiche e mentali di ogni difensore, che deve difendere con cinquanta metri di campo alle proprie spalle e con la consapevolezza che ogni errore potrebbe essere fatale. Se questo sistema regge ancora il merito è soprattutto di Micky van de Ven, che Postecoglou si è fatto acquistare appena ha messo piede a Londra.
Van de Ven è il difensore perfetto per questo sistema, vista la sua incredibile velocità sul lungo - incredibile, cioè, in relazione alla stazza. Nell’ultimo derby contro l'Arsenal, per esempio, l’olandese ha dovuto sistematicamente ripiegare per coprire le corse di due esterni molto veloci come Saka e Martinelli e ci è riuscito alla perfezione, spingendo addirittura gli altri giocatori dell’Arsenal – su tutti Havertz – a rinunciare al duello in velocità anche in situazioni di transizione lunga.
Ridurre van de Ven solo alla sua velocità sarebbe però fargli un torto. L’olandese è anche un difensore tecnico, che ha letture difensive molto raffinate e che ha ancora, cosa che interessa di più ai tifosi del Tottenham, margini di miglioramento.
Sono sicuri, però, che Postecoglou ne apprezzi soprattutto la velocità, che si nota persino quando è in possesso. Nel gol che Brennan Johnson segna contro il Manchester United a fine settembre, l’olandese prima anticipa Rashford e Garnacho sulla propria trequarti e poi parte in una conduzione spaventosa per 60 metri fino all’area dello United. Circa un mese prima aveva fatto un'azione molto simile in casa dell’Everton.
È vero che negli ultimi anni stiamo vedendo sempre più spesso difensori che conducono serenamente la palla su per il campo, che dribblano e che arrivano anche dentro l’area avversaria, ma quanti possono dire di farlo in modo così prepotente?
9. Gabriel Magalhães, Arsenal
Da quando è arrivato all’Arsenal, Gabriel Magalhaes è il difensore che ha segnato di più in Premier League. È tornato a farlo anche in questa stagione, prima in casa del Tottenham e poi in casa del Manchester City, mentre l'anno scorso, per rimanere in tema di gol alle dirette concorrenti, aveva fatto lo stesso in casa del Liverpool.
Cito questi gol non tanto per solleticare la parte del vostro cervello con cui fate il fantacalcio, tanto per mettere in luce l'incredibile qualità del difensore centrale nel costruirsi un vantaggio nei duelli aerei rispetto al diretto marcatore. Insomma, non è un caso se Arteta e il suo allenatore dei piazzati, Nicolas Jover, hanno lavorato così tanto sugli schemi da palla da fermo per liberarlo il più spesso possibile dentro l’area. Guardate, per esempio, il gol che segna proprio al Manchester City, in cui lavora Walker sin dall’inizio dell’azione, prima smanacciandolo per distrarlo e poi bruciandolo sui primi due passi.
Le sue qualità fisiche e atletiche sono anche perfettamente funzionali alla sua idea di difendere sempre con l’uomo come riferimento. Gabriel è uno di quei difensori che gioca con l’obiettivo di togliere il respiro ai suoi avversari, che vuole essere risolutivo con i suoi interventi. Se a inizio carriera questo aspetto lo ha penalizzato, con il passare degli anni il brasiliano è maturato e ha cominciato a controllare meglio la sua aggressività, guadagnando anche un compagno, Saliba, in grado di dargli più copertura e lasciarlo giocare con maggiore serenità.
Oltre all’aggressività, però, c’è anche una discreta dose di furbizia. Un difensore, insomma, con un notevole istinto anche dentro la propria area, che lo porta a compiere spesso salvataggi miracolosi, dei veri e propri capolavori di tecnica difensiva. Un esempio? Quello con cui mette in fuorigioco Garnacho durante Arsenal-Manchester United della scorsa stagione.
8. Bremer, Juventus
Per Bremer non è stato facile farsi accettare come leader difensivo della Juventus. All'inizio riempire il vuoto lasciato da de Ligt non sembrava semplice ma poi le cose sono andate molto diversamente da come ci immaginavamo. de Ligt è infatti naufragato nel Bayern, e le cose non stanno andando molto meglio al Manchester United, mentre Bremer ha iniziato a crescere, lentamente ma inesorabilmente, sia con con Allegri e che con Motta prima che il brutto infortunio di inizio ottobre interrompesse bruscamente il suo arco.
Al suo arrivo alla Juventus, Bremer sembrava un difensore perfetto per i sistemi difensivi di matrice gasperiniana, che hanno inondato la Serie A di difensori strepitosi nella gestione dei duelli individuali e nella difesa in avanti, ma molto in difficoltà in situazioni più complesse di difesa di reparto. Forse è un pregiudizio che ha toccato lo stesso Allegri all'inizio, visto il passaggio alla difesa a tre anche a costo di usare come braccetti giocatori come Alex Sandro e Danilo. A Bremer nella Juve è quindi toccato un compito ingrato: mantenere la sua efficienza strepitosa nei duelli individuali ma anche dover sostenere le lunghe fasi di difesa posizionali del gioco di Allegri, un sistema che anche nel massimo della sua efficacia investe i propri difensori con centinaia di input in marcatura e copertura.
Bremer ha avuto bisogno di tempo per integrarsi in questo sistema ma alla fine ci è riuscito brillantemente: nella scorsa stagione ha mostrato di poter essere sia il difensore aggressivo che si incolla alla schiena degli attaccanti e li soffoca lentamente, sia quello che si frappone ai tiri degli avversari, che allontana i cross, che frustra ogni intenzione.
Questo adattamento ha avuto importanza esistenziale nella Juve di Allegri ma non ha perso la sua utilità con il passaggio a un sistema meno rigido e più adattabile alle caratteristiche degli avversari come quello di Motta. In questa stagione, infatti, Bremer ha mostrato di potersi comportare bene sia quando deve seguire un riferimento definito per tutta la partita – come successo con Lukaku nell’ultimo Juve-Napoli – sia quando, in fase di possesso, deve muoversi in funzione degli spazi che si aprono.
L’infortunio al crociato di inizio ottobre ha tolto a Bremer la possibilità di consolidare ulteriormente il suo status e, vista la sua struttura fisica piuttosto pesante, probabilmente lo costringerà a cambiare ancora il suo gioco quando potrà tornare in campo. Un peccato per uno dei difensori più continui della Serie A.
7. Alessandro Bastoni – Inter
Di questa lista Bastoni è il difensore meno difensore, passatemi il gioco di parole. Non solo perché effettivamente ha margini d'errore un po' più ampi rispetto a un centrale d'élite, ma anche perché il suo talento si vede soprattutto in fase di possesso. Insomma, quasi nessun difensore al mondo calcia il pallone bene come lui.
Oggi siamo abituati all’utilizzo dei difensori centrali – specie nella difesa a tre – come strumento per creare superiorità numerica nelle zone avanzate di campo e Bastoni è uno dei giocatori che più hanno definito questa normalità. Per la regolarità con cui arriva a mettere i piedi nella zona di rifinitura – è naturalmente tra i primissimi difensori in Europa per palloni toccati negli ultimi 30 metri di campo – ma anche per la tecnica con cui poi si rende decisivo.
Bastoni ha una qualità straordinaria nel far avanzare il pallone in costruzione. Vede benissimo i corridoi da occupare e ha un gioco estremamente verticale, potendo contare, d’altronde, su una pulizia eccellente sia nelle conduzioni che nella distribuzione. Statisticamente parlando è tra i difensori in Europa che fa avanzare di più il pallone sia con i passaggi ma anche uno di quelli che crea più occasioni, come d’altronde è naturale per un giocatore che ha la sua capacità di calcio.
Se ci pensate, vi verrà subito in mente uno dei suoi cross perfetti dal mezzo spazio per Darmian, Dumfries o Pavard. Quel modo di calciare, con palloni molto arcuati e che arrivano sempre con il peso giusto sui piedi dei compagni, è forse il tratto del gioco che più viene facile riconoscere in lui.
Nelle ultime due stagioni, il centrale dell’Inter ha inoltre allargato la sua zona di influenza con il pallone, arrivando anche a occupare maggiormente il corridoio esterno in un triangolo di movimenti continui con Mkhitaryan e Dimarco. Due dei tre assist (contro Napoli e Bologna) prodotti nella scorsa stagione, per esempio, sono arrivati con cross da posizione più defilata di quella che siamo soliti associargli. Segno di un processo evolutivo che continua ad andare avanti.
6. Manuel Akanji, Manchester City
Akanji, come prima di lui Aké, Stones e Rúben Dias è arrivato al Manchester City con l’etichetta di “difensore bravo coi piedi” e, come tutti i suoi compagni, ha sì confermato questa definizione ma ci ha anche messo sopra molto altro.
A livello statistico, Akanji ha numeri impressionanti. Da quando è al City, il difensore svizzero gestisce un volume enorme di palloni in costruzione e anche per questo è uno dei migliori in Europa per passaggi tentati e riusciti, nonché uno dei migliori per passaggi progressivi e conduzioni progressive. E d’altronde, per capire quanto sia a suo agio in possesso basta vedere la leggerezza con cui porta palla e la gioca a testa alta anche sotto pressione.
Con il pallone, però, Akanji ha uno stile diverso dai suoi compagni, decisamente più proattivo e disposto ad accettare dei rischi. Un esempio pratico ce l’ha offerto la partita che ha giocato contro l’Italia all’ultimo europeo in cui, con un solo passaggio, ha tagliato fuori due linee di pressione e trovato Embolo tra le linee sull’inizio dell’azione che porta al gol dell’1-0 di Freuler.
Il grado di eccellenza che Akanji ha raggiunto con il pallone, e il fatto di giocare in una squadra attentissima a non avere problemi in fase di non possesso, fa passare spesso in secondo piano quanto poi sia anche un difensore – in senso stretto – sopra la media.
Akanji ha infatti ottime letture, con delle qualità fisiche e atletiche che lo rendono per certi versi "troppo pulito" negli interventi. Un tipo di difensore, cioè, che non finisce nelle compilation di highlights ma che finisce per abituare chi lo guarda alla sua eccezionalità.
A dimostrazione del livello che ha raggiunto c’è anche l’uso che ne fa Guardiola. Pur cambiandogli spesso funzioni – ha fatto il terzino bloccato, il centrale e anche il falso centrale alla Stones – Pep non ha mai tolto Akanji, dandogli sempre più responsabilità sia con che senza palla. Un attestato di stima notevole, dal migliore allenatore al mondo.
5. Marquinhos, PSG
I giocatori che passano tutta la propria carriera al PSG soffrono di una strana forma di sottovalutazione, dovuta al dominio quasi continuo della squadra parigina sulla Ligue 1 e sugli psicodrammi puntuali con cui viene eliminata dalla Champions League. In Italia lo abbiamo visto, ad esempio, con Marco Verratti, ma lo stesso si potrebbe dire di Marquinhos. Nella scorsa stagione il brasiliano è diventato il recordman di presenze del club, di cui ormai è una bandiera, status suggellato dalla fascia da capitano che indossa da quando Thiago Silva è passato al Chelsea. Eppure, fuori dal PSG sembra che il suo talento passi quasi inosservato.
Marquinhos ormai va per i 31 anni e verosimilmente sta iniziando a uscire dal suo prime atletico, fattore che per paradosso ne fa risaltare ancora di più la lucidità nelle letture, uno stile che sembra una prosecuzione concettuale di Thiago Silva, che per anni lo ha guidato in campo e che poi gli ha lasciato in mano il timone. In campo è lui il giocatore che si sbraccia e che dirige i movimenti dei compagni di reparto, ed è lui che spunta fuori quando tutti gli altri sono in difficoltà portando quel raddoppio o spazzando quel pallone che stava diventando problematico. Il tipo di difensore, e di capitano, che tutte le squadre vorrebbero.
Se al suo stile difensivo aggiungiamo anche il suo gioco con il pallone, possiamo dire che Marquinhos è stato il beta test di tutta la nuova generazione di difensori, via via sempre più grandi, veloci e puliti tecnicamente al punto da permettere ai loro allenatori di usarli come mediani, come esterni classici o addirittura come incursori.
4. Rúben Dias, Manchester City
Per una squadra come il City che vuole avere sempre il controllo del campo, avere un difensore come Rúben Dias è fondamentale. La forza, la qualità e la regolarità con cui Rúben Dias rompe la linea ed esce sul malcapitato che riceve palla spalle alla porta è diventato un tratto fondante della fase di non possesso del City. Uno strumento fondamentale per prevenire le transizioni difensive – che soprattutto negli ultimi anni sono diventate l’unico vero nemico di Guardiola – e non solo con una finalità distruttiva.
Per il compito che spesso è chiamato ad avere, Dias è straordinariamente pulito e questo di fatto diventa il primo strumento di riciclo del possesso per il City, anche perché il portoghese è un computer infallibile nella gestione del pallone. Ormai da quattro anni è regolarmente tra i primi tre o quattro difensori in Europa per passaggi tentati e riusciti, con un volume enorme di passaggi e conduzioni progressivi, e una zona di influenza che arriva in modo pressoché indistinto dalla sua area fino alla trequarti avversaria.
Se prima, di Akanji, sottolineavamo quanto fosse un giocatore difensivamente lineare e pulito ma non esaltante per il pubblico, ecco, Rúben Dias, invece, si è anche costruito una sua iconografia di interventi miracolosi. Durante Manchester City-Bayern della stagione 2022/23, per esempio, si era lanciato a terra come a liquefarsi per bloccare un tiro di Musiala. Poche settimane prima aveva fatto una specie di mossa di breakdance per difendere un tiro di Xhaka dopo essere andato a vuoto su una prima finta dello svizzero.
Ovviamente, trovarsi in una delle migliori difese d’Europa gioca a favore di Rúben Dias, che di giocate così decisive ne deve fare poche (ma per un difensore che deve rimanere sempre concentrato è anche un'arma a doppio taglio, in realtà). Ma se il fatto che siano poche può farcele dimenticare, accanto ai gol di Haaland e alle giocate visionarie di De Bruyne, questo non significa che non siano state determinanti per il triplete del Manchester City.
3. Virgil van Dijk, Liverpool
Negli ultimi anni Virgil van Dijk ha alternato momenti di dominio assoluto ad altri di grande difficoltà che ne hanno messo in discussione lo status. E questo senza contare il grave infortunio del 2020 che ne ha messo in pericolo la carriera ad alti livelli. Negli ultimi due anni è anche iniziato un lento e fisiologico declino, tutto sommato normale per un giocatore di 33 anni, consumato da tantissime partite ad alto livello e che ha anche dovuto gestire un infortunio grave.
Van Dijk però ha sempre mostrato di reagire bene alle difficoltà e al tempo. Dovendo adattarsi a una mobilità minore rispetto a quella degli scorsi anni, l’olandese si affida sempre di più alle sue letture, limitando quel senso di dominio atletico che aveva trasmesso fino all’infortunio ma avendo ancora la possibilità di fare leva sul proprio fisico monumentale in alcuni casi (sulle palle inattive per esempio).
Quello che è rimasto invece inalterato è il suo modo di gestire il pallone: van Dijk ha ancora una capacità straordinaria di tagliare il campo con i suoi lanci e in una squadra che ha una serie di mostri da profondità sempre pronti a tagliare – Salah ovviamente in testa – è anche difficile per gli avversari prendersi il rischio di pressarlo, rendendo ancora più efficace il suo modo di calciare.
L’unico vero limite di van Dijk, alla fine, è quello della sua tenuta fisica sul lungo periodo: nella scorsa stagione ha cominciato a soffrire, come molti suoi compagni, proprio nei momenti finali della stagione, quando il carico enorme di partite arriva a erodere le prestazioni, e questo ha finito per affossare il Liverpool nella corsa al titolo.
Quelle che stiamo vedendo sono, verosimilmente, le sue ultime stagioni ad alto livello (e il suo contratto scade a giugno 2025) e il fatto che ancora stiamo parlando di lui tra i migliori centrali al mondo in fondo dice tutto.
2. Antonio Rüdiger, Real Madrid
Con le sue corse buffe, la postura ingobbita e le facce che fa in campo non viene sempre facile prendere sul serio Antonio Rüdiger, persino quando domina avversari come Erling Haaland. Come van Dijk, Rüdiger è un difensore che sa fare praticamente tutto: anticipare, coprire le linee di passaggio, rincorrere, rompere la linea e fare fisicamente a botte con gli avversari.
Su di lui Daniele Manusia ha scritto che, se difendere è una tortura, Rüdiger è uno dei pochi difensori che sembra il torturatore. Un giocatore che mette gli attaccanti di fronte ai loro dubbi, che prima apre una crepa nelle loro certezze e poi ci si infila dentro e li divora dall’interno. Pensate a quando strizza i capezzoli a Grealish o a quando si accovaccia alle spalle di Samu Omorodion per farlo inciampare a palla lontana. Come si deve sentire un attaccante che non solo affronta un difensore veloce, intelligente e fisicamente dominante, ma anche che cerca ogni singolo trucchetto possibile per metterlo a disagio?
Nel Real Madrid, Rüdiger ha preso il testimone spirituale da Sergio Ramos, altro maestro delle arti oscure della fase difensiva e ci ha aggiunto una tinta quasi comica ma forse per questo ancora più subdolamente inquietante per gli avversari.
Questo suo modo di difendere ha quasi finito per nascondere il fatto che Rüdiger se la cavi piuttosto bene anche col pallone. Nel già citato quarto di finale contro il City ha stampato all’angolino basso il rigore decisivo con una sicurezza sconcertante per un giocatore che non ne aveva mai tirati prima ma anche negli anni al Chelsea era diventato sempre più importante per il modo in cui partecipava alla costruzione con i suoi bellissimi lanci in diagonale per Mount e Reece James. Sarà un caso che la loro banter era sia iniziata proprio dopo la sua cessione?
1. William Saliba, Arsenal
Negli ultimi diciotto mesi William Saliba è stato senza dubbio il difensore che ha messo più a disagio Erling Haaland in campo – il golden standard dell’attaccante al momento – riducendo a zero i suoi tiri in porta nelle tre volte che si sono affrontati nella scorsa stagione e dovendo concedergli un gol solo nell’ultimo incontro, dove comunque ha tenuto in maniera brillante il duello con lui nonostante l'Arsenal abbia difeso per tutto il secondo tempo dentro la propria area.
Saliba è un difensore fatto in pieno nello stampino di van Dijk: veloce e fisicamente dominante ma soprattutto con una capacità di lettura ed elaborazione delle situazioni fuori scala. Messo vicino a un difensore aggressivo come Gabriel sembra una sorta di angelo custode, che compensa le uscite forti del brasiliano, rincorre gli avversari e li anticipa senza sporcarsi, come difendesse in smoking.
Il francese basa quasi tutto il suo gioco sulle sue letture, che d'altra parte servono proprio a rendere la vita dei difensori più semplice. Nella partita dell’Etihad contro il City del marzo scorso, per esempio, il suo duello con Haaland non è stato particolarmente duro – o meglio, questa è l’impressione che è arrivata all’esterno – ma è sembrato più una danza mistica. Saliba difende con i guanti: nei duelli aerei è sempre posizionato meglio, quando Haaland riceve spalle alla porta fa comparire una gamba tra lui e il pallone, quando i giocatori del City lo cercano in profondità gli dà quel colpetto impercettibile per impedirgli di partite; tutti trucchi del mestiere che Saliba conosce bene, e soprattutto fa con una semplicità che è raro trovare anche a questi livelli.
Saliba è tutto racchiuso nella sua eleganza, senza palla ma anche in fase di possesso: dall’arrivo di Raya nell’estate 2023 il suo ruolo di costruttore si è un po’ ridimensionato ma il francese è anche un distributore di palloni quasi perfetto, che attira e batte la pressione senza il bisogno di giocate straordinarie.
Il contesto creato da Arteta è sicuramente uno dei motivi per cui ha raggiunto questo livello di fiducia nei propri mezzi. Due centrali forti non sono una condizione sufficiente per costruire una difesa impenetrabile. Ma se l’ultimo biennio dell’Arsenal ci ha detto qualcosa è che il francese è stato un game changer dal momento esatto in cui ha messo piede in campo.