Qui trovate anche i dieci migliori portieri al mondo, oggi; i dieci migliori centrali al mondo, oggi; i dieci migliori terzini al mondo, oggi.
Durante la pausa per le Nazionali di metà ottobre Luca Toni e Pep Guardiola, ex compagni di squadra, si sono messi a scherzare a cena. «Hai rovinato il calcio con il falso nove», ha detto Toni a Guardiola «Io non ho trovato più squadra per quattro anni: puoi dire che lo facevi solo con Messi?». Guardiola, ridendo, ha risposto: «Mi piacciono i centravanti, Haaland ha fatto 60 gol. Devono essere bravi però».
Il riferimento è ovviamente al periodo di inizio anni ‘10. Messi falso nove nel tridente dei blaugrana, il Barcellona di Guardiola che vince tutto, il suo duello a suon di stagioni sopra i 50 gol con un altro non centravanti come Cristiano Ronaldo. Il timore, ben radicato in quel periodo, che il ruolo di centravanti, uno dei ruoli più riconoscibili e ammirati nella storia del calcio, stesse diventando un residuo del passato. Eppure proprio in quel periodo il maestro di Guardiola, Johan Cruyff, sembrava lasciare un indizio sul fatto che l'era dei centravanti non era ancora finita: «Senza quello che si chiama istinto del gol, come attaccante centrale sei poca roba». Insomma sembrava che persino lui non facesse differenza su chi si mettesse al centro dell'attacco: l'importante è che facesse gol.
D'altra parte, di lì a poco se ne accorgerà anche lo stesso Guardiola. Al Bayern Monaco, per esempio, avrà a disposizione Mario Götze come ipotetico falso 9, ma virerà presto su Mario Mandžukić come centravanti titolare (il croato chiuse quella stagione con 26 gol). Insomma, di lì a poco i timori si sono rivelati infondati: le squadre che volevano farlo hanno continuato a schierare i centravanti al centro dell’attacco e il ruolo non si è estinto com’è successo invece col libero nel passaggio generale alla difesa a zona negli anni ‘90.
Certo, è vero che il ruolo si è evoluto di fronte a squadre sempre più proattive. I migliori centravanti, quindi, sono usciti dalle categorizzazioni classiche di arieti, torri di manovra o puri opportunisti, e si sono dovuti spingere oltre, aggiungere altri registri al proprio gioco. Proprio nell’epoca di Messi e Cristiano Ronaldo sono spuntati fuori una serie di centravanti che possiamo definire "universali", cioè in grado di raccogliere un enorme volume di gioco fuori area e andare in pressione, senza però perdere la capacità di segnare tantissimo. Parliamo dei vari Luis Súarez, Benzema, Lewandowski, Ibrahimovic, Higuain, Dzeko, per esempio, ognuno con le proprie caratteristiche. Certo, sono rimasti esempi di centravanti specialisti, ad esempio Cavani, Aubameyang, Immobile, ma il futuro del ruolo sembrava chiaramente essere questo salto di specie.
Tornando al Bayern Monaco di Guardiola, questo ha significato che per giocare titolare in una squadra di quel livello non bastava più essere Mandžukić, dovevi essere un attaccante universale come Robert Lewandowski, che infatti ne ha preso presto il posto in Baviera. I centravanti che hanno vinto o che sono arrivati arrivati vicini a vincere il Pallone d’Oro negli ultimi dieci anni sono stati Luis Suárez, Lewandowski e Benzema e l’hanno fatto con alle spalle stagioni da minimo 30 gol, interpretando questo nuovo ruolo di attaccante tuttofare lungo tutta la metà campo offensiva.
Finita anche l'epoca di questi giocatori arriviamo ai giorni nostri, segnati dall'arrivo dirompente di Erling Haaland. L'attaccante norvegese è però apparso un punto di inflessione, forse di controtendenza rispetto a quella che sembrava una evoluzione logica. Haaland come un ritorno anche ad altissimo livello al centravanti come puro spauracchio d’area di rigore, finalizzatore implacabile, per cui anche solo la capacità di segnare un gol a partita è sufficiente per essere considerati candidati al Pallone d’Oro. È significativo in questo senso che proprio quel Guardiola che al Manchester City aveva utilizzato negli ultimi anni İlkay Gündoğan, Kevin de Bruyne o Phil Foden come falsi nove, decide che la minaccia di Haaland di potersi lanciare in verticale contro la porta era di per sé l’unica funzione tattica che gli bastava al centro del suo nuovo attacco.
La vittoria della Champions League 2023 forse quindi può essere interpretata come il coronamento di questa inversione di tendenza. Ma è davvero così? O è solo Haaland ad essere un’anomalia e siamo ancora nel calcio in cui i migliori centravanti sono quelli "universali"? Ho cercato di capirlo facendo una fotografia allo stato dell'arte attuale. Eccovi quindi quelli che per me oggi, primo novembre 2024, sono i 10 migliori centravanti in Europa. Dentro non ci troverete gli infortunati di lungo corso e soprattutto quelli che sono arrivati a fare il centravanti dopo una fase più o meno lunga di adattamento (come Havertz e soprattutto Mbappé).
10. Ollie Watkins
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Ollie Watkins oggi rappresenta per il calcio inglese quello che Ciro Immobile è stato per la Serie A recente: un centravanti spigoloso, veloce e mortifero, con una riserva instancabile di energia per i movimenti senza palla in termini di smarcamenti e di pressione. Un giocatore dal fisico non imponente, ma che lo sa usare benissimo per riuscire ad arrivare alla conclusione qualsiasi sia il tipo di passaggio ricevuto e per questo difficilissimo da marcare. Un attaccante che non deve toccare necessariamente tanti palloni per attivarsi e che rende sempre soddisfatto l'allenatore visto quanto lavoro fa senza palla.
L'apice del suo anno per adesso è stato il gol ad un minuto dalla fine che ha permesso all’Inghilterra di arrivare in finale all’Europeo: entrato dieci minuti prima al posto di Harry Kane e avendo toccato precedentemente solo quattro palloni, riceve al lato dell’area facendo scudo col corpo sul marcatore e poi si gira sfruttando il primo tocco per ricavarsi il tiro teso sul secondo palo, senza neanche guardare la porta.
Watkins viene dalla periferia del calcio inglese, prima dei 25 anni non aveva mai giocato in Premier League. L'esperienza per lui ha avuto un ruolo fondamentale. Ora è nel picco della carriera e nell'Aston Villa è la chiave di volta del sistema di Unay Emery con cui la squadra è riuscita a risalire le gerarchie del calcio inglese. L’Aston Villa si appoggia a Watkins per risalire il campo sia con la palla che senza, è lo sfogo contro la pressione avversaria perché viene incontro a ricevere o è quello che dà la profondità ricevendo dietro la linea. "Watkins fa tutto come se fosse naturale", ha scritto Dario Saltari la scorsa stagione "Pressare quando c’è da pressare, venire incontro quando c’è da venire incontro, andare in profondità quando c’è da andare in profondità. Segnare, ovviamente". La scorsa stagione l'ha chiusa chiusa con 27 gol e 13 assist in tutte le competizioni, quest'anno siamo a 5 su 12.
9. Victor Osimhen
Un anno fa forse Osimhen sarebbe stato molto più vicino alla vetta. L'attaccante nigeriano, però, viene da un anno tragico per il Napoli, e in cui lui stesso ha faticato a trovare continuità, dopo il quale come sappiamo ha fatto di tutto per scappare, finendo alla fine in Turchia, al Galatasaray. Insomma, siamo in un momento di transizione della sua carriera e va detto che, complice anche una certa tendenza a infortunarsi, la continuità di rendimento non è mai stata un suo punto di forza. Ovviamente tutti abbiamo negli occhi l'Osimhen al massimo della forma, e alla fine è il motivo per cui è qui. Un attaccante d'élite quando può ricevere in area di rigore o attaccare la linea difensiva avversaria in profondità.
Oggi con i gol di Lukaku e le immagini del campionato turco che arrivano solo in occasioni eccezionali, è facile dimenticarsi cos’è Osimhen al picco delle sue forze. Un attaccante senza particolare grazia, ma con una determinazione, una ferocia agonistica e un atletismo strabordante come non si vedeva in Serie A forse dai tempi dell’ultima stagione all’Inter di Samuel Eto’o.
Una scarica ad alto voltaggio su tutto e tutti, avversari e compagni. Ma anche un attaccante più completo di quanto non si dica. Quel tipo di giocatore che, se i compagni riescono a trovarlo con continuità e precisione, riesce ad alzare la continuità delle sue finalizzazioni, trovando anche soluzioni negli appoggi fuori area che non sembrano far parte del suo modo di giocare. Insomma, anche se ha dei limiti (per esempio giocare a bassi ritmi fuori area in spazi stretti), non mi stupirei di rivederlo in un grande campionato la prossima stagione. Alla fine sembra proprio quel tipo di attaccante che si esalta quando il livello attorno a lui si alza.
8. Victor Boniface
Fisicamente devastante, alto e con le spalle enormi, ingestibile nei duelli individuali e dotato anche di un'ottima precisione. Victor Boniface è il risultato dell’intersecarsi di due scuole calcistiche che negli ultimi anni sembrano aver trovato il modo di sviluppare grandi centravanti: quella nigeriana e quella norvegese. Cresciuto in Nigeria, Boniface ha dovuto prendere la rotta nordica per arrivare al grande calcio, passando giovanissimo tre anni al Bodø/Glimt. Da lì ha fatto un passaggio per il Belgio di una stagione e ora sono due stagioni che gioca nel Bayer di Xabi Alonso. Con grandi risultati.
Nella scorsa stagione un infortunio l’ha tenuto lontano dal campo per due mesi e mezzo (ha giocato solo 23 partite in campionato) ma è stato il centravanti da 14 gol e 9 assist della squadra campionessa e imbattuta in Bundes. Dal suo ritorno, ad aprile, ha ripreso esattamente da dove aveva lasciato, senza accusare contraccolpi. E in questo inizio di stagione sembra aver alzato ulteriormente il livello.
Boniface, tra l'altro, sembra migliorare di partita in partita. Non solo nella precisione con cui raccoglie i passaggi dei compagni, ma anche nel ventaglio di soluzioni col pallone tra i piedi a sua disposizione. Praticamente negli ultimi mesi Boniface è stato una versione aggiornata dell’ultimo Osimhen a Napoli: essendo cioè un grande finalizzatore, ma con un gioco più preciso fuori area. Un centravanti che ha vari modi per arrivare alla conclusione: facendo da semplice finalizzatore della manovra elaborata del Bayer e attaccando il secondo palo in area piccola, oppure ricevendo fuori area a difesa schierata e trovando lui il modo di arrivare alla conclusione dopo scambi nello stretto. Un attaccante che sa fare tutto, come si diceva qualche tempo fa.
7. Benjamin Šeško
Alto, grosso, ma anche velocissimo, elastico e ambidestro. Un attaccante che sembra venire dal futuro per la varietà di conclusioni che ha nel suo repertorio, per il mix di precisione e potenza pura. Se c’è un nuovo canone Haaland del ruolo, Sesko sembra destinato ad essere una delle principali alternative.
Ad inizio della scorsa stagione, Daniele Manusia ne scriveva così: "Il confronto con Haaland si basa sostanzialmente su due cose. Le proporzioni vagamente mostruose: anche Šeško quando corre si ingobbisce e mulina le braccia come se stesse nuotando, più morbido comunque nei movimenti rispetto ad Haaland, che sembra dover tagliare coi gomiti le liane di una fitta foresta. La velocità: nella partita contro il Dornbirn, nel 2021, è stato flashato dalla stradale della Bundesliga austriaca mentre andava a più di 36 chilometri orari".
Certo, va detto che, mentre Haaland sta sbriciolando i record di realizzazione nel campionato più competitivo del mondo, Šeško in Bundesliga è ancora un attaccante discontinuo, alternando settimane in cui sembra poter segnare qualsiasi cosa e altre in cui non sa come far entrare la palla in porta. I suoi picchi però sono davvero impressionanti, e lasciano intravedere un grande futuro. Quando calcia di collo pieno, per dire, la palla sembra esplodere.
Se le prospettive sono da primi posti in classifica, la realtà attuale ci parla di una continuità di rendimento che non gli permette ancora di ambire alla vetta. Una lacuna che forse ha a che fare con questioni atletiche (alla fine ha ancora 21 anni) ma anche tecniche, dato che non sembra ancora del tutto in controllo di tutte le situazioni di gioco e a volte manca della capacità di fare il gol sporco quando serve. Sesko deve ancora maturare, insomma, e forse è per questo che è voluto rimanere una stagione in più a Lipsia nonostante le offerte dalla Premier League.
6. Viktor Gyökeres
Gyökeres è il perfetto esempio di come per il ruolo di centravanti ci voglia pazienza: l'esperienza sembra essere un ingrediente fondamentale per il ruolo. Acquistato giovanissimo dal Brighton, è stato bocciato da una delle squadre più abili ad individuare il talento e il suo percorso l’ha visto passare per la 2.Bundesliga prima e un triennio in Championship poi, e solo dopo è arrivato in una squadra di alto livello. Quando nell’estate del 2023 lo Sporting CP ha speso 20 milioni per portare in Portogallo il 24enne svedese in pochi lo conoscevano veramente. Gyokeres veniva da due ottime stagioni nel Coventry, che però appunto era nella seconda divisione inglese, tanto che nessuna grande squadra della Premier League aveva deciso di rilanciare sull’offerta portoghese.
Oggi sappiamo che quello era solo l'incipit di una storia che oggi ci racconta di uno dei centravanti più desiderati d'Europa. Nell’ultimo anno il suo nome è finito sulla bocca di tutti, tanto che anche qui su Ultimo Uomo l'abbiamo individuato come il prossimo centravanti da 100 milioni. Gyokeres infatti ha una media gol che ricorda quelle di Haaland: siamo a 59 gol in 65 partite con lo Sporting CP tra campionato portoghese e coppe europee (Europa League e Champions League).
"Lo svedese è un centravanti grezzo, non ha eleganza o leggerezza nel passo", ha scritto Marco D'Ottavi la scorsa stagione "Corre con la schiena ingobbita, i suoi controlli di palla sono difficoltosi, la sua tecnica rivedibile. Però allo stesso tempo è velocissimo, fenomenale nei duelli individuali, capace di muoversi continuamente, non dà punti di riferimento o pause di riflessione agli avversari. Come se ci fosse nato, sa muoversi benissimo nelle pieghe di un calcio fatto di caos".
Gyokeres dà il meglio in situazioni di transizione offensiva, in cui può vincere il duello individuale. Il suo allenatore Amorim ne asseconda la natura lasciandogli carta bianca sulle zone di campo dove muoversi per ricevere il pallone e sta poi a lui scegliere se giocare per la squadra o mettersi in proprio. Nel suo periodo in Portogallo sembra essere anche molto migliorato, per esempio nel controllo del pallone nello stretto, e adesso sembra pronto per una grande squadra (chissà se proprio il Manchester United che sta per mettere contratto l'allenatore che l'ha fatto esplodere).
5. Alexander Isak
Di Isak si parla da anni, da quando cioè era un ragazzo prodigio che sembrava potesse perdersi per via del suo fisico fragile e la mentalità poco assertiva. E invece anche in questo caso è bastata un po' di pazienza, un po' di più di quella che il calcio contemporaneo è disposto a concedere ai centravanti. Dal fisico slanciato, dal gioco sempre a testa alta e dal magnete che gli fa attaccare il pallone ai piedi, Isak è di sicuro il più elegante tra gli attaccanti della sua generazione. Il suo ritmo di gioco è sincopato: a volte sembra fin troppo tranquillo e sembra quasi mancargli la fame che porta i grandi centravanti a mangiarsi gli avversari e a segnare decine di gol sui palloni sporchi.
Ma per Isak questo è il passato. In particolare quando nella Real Sociedad in Liga era diventato un giocatore maturo in tutto tranne che nella continuità fronte alla porta, un giocatore fin troppo adagiato sul suo lavoro fuori area nei momenti in cui era a secco di gol. Nell’ultimo periodo al Newcastle in Premier League le cose sono cambiate. Dopo un periodo di acclimatamento in Inghilterra, la scorsa stagione è esploso in termini di finalizzazione chiudendo con 21 gol in 30 partite (con 11 gol nelle ultime 12 presenze stagionali).
Isak rimane un centravanti che ama svariare lungo tutto il fronte offensivo, che preferisce toccare tantissimi palloni sia con scambi ravvicinati che con azioni individuali. Gioca quasi sempre col pallone a terra, dove le sue conduzioni e il suo controllo nello stretto fanno veramente la differenza. Un centravanti alto che porta palla toccandola ad una frequenza difficilmente gestibile dal diretto marcatore. Che appena vede un varco ha un tiro molto preciso. Il suo controllo orientato è probabilmente il migliore della categoria, ma ora che ha raggiunto la piena maturità fisica riesce a reggere anche nei duelli spalle alla porta e a proteggere il pallone non soltanto col dribbling. Isak oggi sembra pienamente consapevole delle sue qualità e non ha più paura delle situazioni più concitate in area di rigore. Come si dice: non gioca più solo di fioretto, ma usa anche la sciabola. Per questo oggi può essere considerato nel novero dei centravanti universali, mostrando come la nuova specie sia ancora viva.
4. Lautaro Martínez
Lautaro Martinez è l’unico sudamericano in classifica - strano per un continente che ha regalato moltissimo al ruolo - e per spiegare cosa questo significa ci vorrebbe un pezzo a parte. C'è un'altra particolarità: Lautaro è particolarmente basso, appena 174 centimetri. L’altezza, però, non deve ingannare, perché per quanto riguarda i duelli individuali non ci sono molti attaccanti in grado di gestirli meglio di Lautaro - un maestro nell'utilizzo del corpo.
Il capitano dell'Inter è sempre stato un grandissimo centravanti di manovra, in grado di sobbarcarsi tutto il lavoro sporco per far risalire una squadra, perfetto quindi in coppia con un altro centravanti in grado di sfruttare tutto il suo lavoro. Con gli anni in Serie A ha aggiunto chili di muscoli, precisione nell’esecuzioni tecniche ed esperienza nelle situazioni col pallone, sia fronte che spalle alla porta. Di questo deve ringraziare soprattutto gli allenatori che sono passati per la Pinetina. In questi ultimi anni, il sistema fluido d’Inzaghi e la sua entrata nella piena maturità gli ha fatto raggiungere la continuità in termini realizzativi, che sembrava l’ultima lacuna nel suo gioco.
Per tre stagioni consecutive è andato sopra i 20 gol in campionato, ma è nella scorsa stagione che è definitivamente esploso come capocannoniere: 24 gol in 33 partite e vittoria del premio al miglior giocatore del campionato. Sembra passata una vita da quando, nel Mondiale del 2022, aveva perso il posto al centro dell’attacco in favore di Julián Álvarez. Sono bastati pochi mesi per riportarlo lì dove merita, dove ha trascinato l’Argentina alla vittoria della Copa América da capocannoniere.
3. Robert Lewandowski
Uno dei più grandi centravanti del calcio contemporaneo, uno di quelli che ha fatto fare il salto di specie al ruolo. Robert Lewandowski è ancora lì, tra i migliori. Arrivato a 34 anni nel 2022 il Barcellona nella fase più delicata della sua storia, la squadra catalana ha trovato in Lewandowski il suo punto di riferimento offensivo fin da subito, la stella attorno a cui girare. È intorno ai suoi gol, infatti, che hanno iniziato a girare i risultati che poi hanno portato alla vittoria della Liga con Xavi nella stagione 2022/23.
Sembrava l'ultima fiammata di una carriera stellare. La scorsa stagione per la prima volta Lewandowski è sembrato logorato fisicamente, incapace di sobbarcarsi tutto quel lavoro fuori area e poco lucido in area di rigore (si fa per dire, visto che ha comunque segnato 26 gol). In questo inizio di stagione con Flick le cose sono tornate al proprio posto, che con Lewandowski significa più di un gol a partita (17 segnati in 14 partite, tra Liga e Champions League).
Soprannominato "The Body", per la sua ossessione per la perfetta forma fisica, Lewandowski in questa stagione è riuscito a tornare a standard atletici senza senso per la sua età anagrafica. In questo è stato aiutato da Flick, che ha aggiustato alcune cose per permettergli di rendere al meglio. In poche parole: meno responsabilità in fase di pressing in modo da permettergli di concentrarsi sui movimenti in profondità in caso di transizione offensiva. La presenza di vari giocatori in zona di rifinitura (Pedri, Lamine Yamal, Dani Olmo), poi, gli tolgono ulteriori incombenze tra le linee permettendogli di concentrarsi nel ricevere il pallone in area di rigore, dove ancora è fenomenale. Nonostante l’età che dice ora 36 anni, ancora oggi se c’è una palla da attaccare o duello da vincere in area su un cross, si fa fatica a trovare un centravanti migliore di Robert Lewandowski.
2. Erling Haaland
Prodigio fisico per potenza, velocità e elasticità, quando Haaland si ingobbisce per cambiare marcia alla corsa fa venire i brividi dietro la schiena solo guardandolo dalla TV. Immaginate a cosa deve pensare un difensore centrale, che solitamente finisce per scegliere di fermarsi al momento del passaggio e sperare nel fuorigioco invece che corrergli accanto e provare a contrastarlo. Haaland raccoglie l’eredità dei grandissimi centravanti di inizio 2000, come van Nistelrooy e Vieri. Quegli attaccanti che, abbinando fisicità, fiuto e determinazione, riuscivano a trasformare un semplice lancio in profondità nel panico immediato di tutta la linea difensiva.
Haaland ha portato nel calcio contemporaneo la forma più pura del centravanti, che si misura in gol, come se la divinità protettrice dei centravanti si sia fatta uomo per mostrare al mondo che il ruolo è ancora vivo. Certo, è difficile trovare un altro giocatore con la sua stessa velocità e precisione nelle traiettorie, ma soprattutto con il suo fisico e la sua determinazione.
Haaland è destinato a sbriciolare vari record di gol, l'eletto che ha portato Guardiola alla sua versione più pragmatica e per certi versi oscura. Anche se ha già vinto tutto con la sua squadra, però, ci sono ancora dei margini di miglioramento.
Nelle grandi partite negli ultimi due anni, per esempio, non è stato esente da critiche. D'altra parte per giocatori come Haaland bastano 90 minuti senza gol per far ritornare in superficie la solita questione: se non segna, a cosa serve un giocatore che per il resto del tempo contribuisce al gioco solo marginalmente? Per arrivare al primo posto, quindi, manca ancora un peso specifico maggiore nelle partite più importanti della Champions League. Sembra assurdo per uno che ha segnato 44 gol in 42 partite nella competizione, ma è facile notare come il Manchester City abbia vinto la Champions senza bisogno del miglior Haaland tra semifinale e finale (e cioè i suoi gol), o che la scorsa stagione non si sia praticamente visto contro il Real Madrid ai quarti di finale. Con ogni probabilità è solo questione di tempo, ma per adesso è un fattore da prendere in considerazione.
1. Harry Kane
Qualcuno storcerà il naso: com'è possibile che l'unico grande giocatore della sua generazione a non aver vinto nulla sia qui? Harry Kane continuerà a portarsi dietro questo interrogativo chissà per quanto, soprattutto dopo aver lasciato il Tottenham per il Bayern Monaco e non essere riuscito comunque a vincere niente (nonostante una stagione conclusa da capocannoniere e Scarpa d’oro europea grazie ai 36 gol in Bundesliga).
Un giocatore tragico, quindi. Quello che in Champions League ha dovuto alzare bandiera bianca sul più bello (cioè a semifinale in corso) per questioni fisiche. Quello che ha perso un’altra finale con l’Inghilterra, che manca di momenti memorabili con la maglia di cui è capitano. Il più grande perdente di successo del calcio contemporaneo. "La sfortuna è parte della carriera di Harry Kane", ha scritto Alessandro Giura dopo la finale dell'Europea persa "Tra infortuni, partite storte, rigori sbagliati e avversari a cui gira meglio, qualsiasi cosa sembra essersi messa tra Kane e la vittoria di un trofeo. Eppure non si può dire che Kane non sia un ossessivo, come richiede la nostra epoca. Ha sempre lavorato duramente e tutti gli allenatori che ha avuto lo hanno adorato per l’impegno che ci metteva elevandolo a esempio. Kane ha sempre lavorato sugli aspetti del proprio gioco, ampliandolo e diventando un attaccante totale, cosa che inizialmente non era. A un gran piede destro ha unito una visione di gioco unica per un centravanti, alla finalizzazione ha collegato anche la rifinitura, al gioco spalle alla porta ha aggiunto una capacità associativa fuori dal comune".
Questo non toglie nulla, però, alla grandezza del Kane attaccante. Dopo il pareggio per 0-0 tra Manchester City e Inter questa stagione in Champions League, in cui Haaland ha toccato 14 palloni e fatto solo un tiro in porta, lo ha detto anche Thierry Henry, uno che di grandi attaccanti ne sa qualcosa: «Pensi che possa venire incontro e giocare il pallone creando qualcosa? Io non penso che possa venire incontro e giocare come fa Harry Kane. In questo momento no, penso possa migliorare, ma al momento non può farlo». Il fatto che Haaland sia “solo” un incredibile ariete, mentre Kane riesce anche a farsi carico della manovra della sua squadra con precisione tecnica sopraffina, lo pone ancora come un centravanti senza punti deboli. Kane non ha lacune nel suo gioco, il suo tiro è molto preciso, il suo gioco di sponde rasenta la perfezione e i suoi lanci in profondità sono all’altezza dei migliori trequartisti in circolazione. Un gioco costruito col tempo e la dedizione, che l’ha portato ad essere fisicamente all’altezza di qualunque scontro fisico, ma adattabile a qualsiasi stile di gioco voglia fare la sua squadra. Forse non sarà elegante come centravanti, non sarà il più veloce, ma di sicuro è il più efficace in ogni zona del campo.
Cresciuto all’ombra dei tre centravanti universali degli anni ‘10 - Suarez, Benzema e Lewandowski - ora che loro sono più vicini ai 40 che ai 30 e o hanno lasciato il calcio che conta, possiamo dire che Kane è il migliore centravanti del mondo.