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10 giocatori da seguire nella stagione NCAA
21 nov 2018
I talenti più entusiasmanti della stagione di college che è appena cominciata.
(articolo)
15 min
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Come ogni anno, sicura quanto un titolo di Big12 a Lawrence e brillante come la chioma di Calipari in un Monday Night, ecco tornare la magia del basket collegiale statunitense.

La manifestazione che tutti amano odiare e che tutti odiano amare, un’istituzione che resiste a tutti i cambi consonantici della G-League e ai teenager supervitaminici che saltano così tanto da voler arrivare direttamente in NBA. Invece anche a loro toccherà seguire questo altro grande anno di NCAA, identitario come la zona di Syracuse e resiliente come i box out di Michigan State, almeno finché non arriveranno le camionette a portarsi via tutti.

Per l’occasione abbiamo elencato i dieci giocatori più intriganti, più iconici e semplicemente più dominanti che vedrete nei prossimi mesi. Si va dai Monstars atterrati a Durham alle point guard imprendibili della Grande Mela, dai figli d’arte dai nomi onomatopeici all’ennesima coppia di gemelli omozigoti (un grande classico del basket universitario). Senza dimenticare i freak atletici dell’ACC, il vero Governatore dell’Indiana e l’ultimo Samurai di Spokane.

Zion Williamson & R.J. Barrett - Duke

Sarebbe stato un problema scegliere quale dei due meriti le maggiori attenzioni, quindi ringraziamo Coach K che in un sol colpo ci permette di vedere i due giocatori più elettrizzanti di questa stagione con la stessa casacca. A dire la verità il favore se lo è fatto lo stesso Coach che con il miglior recruiting della storia (c’è anche Cam Reddish, numero 3 tra i freshman secondo ESPN) si è messo in pole position per la caccia al titolo facendo leva su due talenti totalmente differenti ma allo stesso tempo perfetti per far danni assieme.

Kentucky sarebbe una delle squadre più attrezzate della nazione a livello fisico ed atletico… ma anche loro sono stati spazzati via alla prima stagionale.

Le prime prestazioni di Williamson sono state uno spettacolo assoluto, e così si prospetta essere per tutta la stagione. Zion è entrato di prepotenza negli highlights con quella sua combinazione fisica che gli ha donato un corpo da tight-end della NFL e piedi da ballerina creando un mix difficilmente ripetibile di forza, agilità, reattività e elevazione irreale. Il tutto perfettamente funzionale al tipo di pallacanestro che propone in campo, senza disdegnare alcuni aspetti tecnici di riguardo (soprattutto su proprietà di palleggio e passaggio) che nelle prime partite gli ha permesso di segnare 76 punti con solo 39 tiri.

R.J. Barrett non è certo stato a guardare in queste partite, confermando le impressioni avute nelle precedenti uscite con la nazionale canadese e in eventi come Hoop Summit e McDonald’s: il ragazzo è un realizzatore puro che al talento aggiunge maturità e misure interessantissime anche per il futuro. Non a caso è proiettato come il favorito per la corsa alla prima scelta assoluta dove il suo maggior sfidante sembra essere proprio il compagno di squadra.

Intorno a loro due Duke è riuscita a inserire altri due freshman di alto lignaggio come Reddish, versatilissima ala che dovrebbe trovare posto nella top-5 del prossimo Draft, e Tre Jones, fratello di Tyus e uomo di fiducia nella distribuzione dei possessi in un roster con così tanti punti nelle mani, oltre a un manipolo di gregari come Bolden, DeLaurier e White che garantiscono esperienza e solidità.

Un ottimo supporting cast per due giocatori di un altro livello rispetto ai coetanei che dopo le prime uscite hanno lasciato la sensazione che questo rapido passaggio al college potevano tranquillamente risparmiarglielo.

De’Andre Hunter - Virginia

Vi ricordate quando i Golden Retrivers di Maryland, Baltimore Country hanno preso a calci Virginia al primo turno del torneo NCAA, scrivendo la storia come la prima sedicesima a buttare fuori una testa di serie? Bene, quella è stata la prima partita che De’Andre Hunter non ha giocato (e di conseguenza anche l’unica). Magari non c’è correlazione tra le due cose, ma noi vogliamo credere che sia così.

Il freshman arrivato quasi in sordina alla corte di Tony Bennett, si è presto imposto come uno dei giocatori più importanti dei Cavaliers, un mismatch offensivo ambulante e il miglior difensore in un programma nel quale si applaude più uno scivolamento che un canestro. Poteva dichiararsi per il Draft a fine stagione e sarebbe sicuramente stato scelto nel primo giro, molto probabilmente in Lottery, ma ha deciso di scommettere ancora sulla cultura del lavoro di Charlottesville.

Hunter sarà uno dei giocatori più in vista della prossima stagione e avrà l’ingrato compito di rimuovere l’umiliazione con la quale si è conclusa quella passata. Allo stesso tempo dovrà sgomitare per mantenere un posto in Lottery in una classe profonda, specialmente nel suo ruolo, dimostrando - come tutti i sophomore che tornano pur potendo andare in NBA subito - di aver imparato qualcosa e di non aver buttato un anno.

Admiral Schofield - Tennessee

Rick Barnes è sempre stato un personaggio abbastanza contorto nelle cronache NCAA. Allenatore per più di 15 anni di una Texas che ha visto passare tra le sua fila giocatori come Kevin Durant, LaMarcus Aldridge, Tristan Thompson e Myles Turner, non è però riuscito a raccogliere adeguatamente rispetto alla forza del proprio roster, con una sola apparizione alle Final Four nel 2003 e tante, troppe uscite precoci al Torneo. È un’equazione ricorrente in ambito collegiale, quella dell’allenatore ottimo nel reclutamento ma rivedibile nei risultati di squadra.

Chiusa la parentesi ad Austin e rimanendo al sud, Barnes sembra aver trovato a Tennessee un’occasione per rinfrescare la sua carriera in panchina. E se Grant Williams (POY uscente della sua Conference) è il giocatore di riferimento dal punto di vista realizzativo, Admiral Schofield è l’anima dei Volunteers, colui che incarna perfettamente lo spirito del nickname dell’ateneo.

Oltre ad avere uno dei nomi più belli che possiate trovare a queste latitudini, Schofield in ogni partita butta in campo un cuore che in dimensioni viene battuto solo dalla circonferenza toracica del suddetto. Un cubo che sprigiona energia a completa disposizione della squadra, la quale lo sfrutta principalmente in fase difensiva ma che negli ultimi anni ha visto una notevole crescita anche a livello realizzativo, sottolineando la grande etica lavorativa.

Leadership e personalità che viene usata anche in ambiti diversi dal campo. A livello fisico siamo sicuri che non sfigurerebbe neanche col pallone da football.

Lo scorso anno solo un intervento divino (sotto forma di Sister Jane e di Loyola-Chicago) ha fermato la loro corsa: quest’anno l’Ammiraglio è pronto a portare lontano le sue truppe.

Nassir Little - North Carolina

Nassir Little potrebbe essere uno dei tanti pseudonimi di Nas, ma come Biggie Smalls non è piccolo per niente. Anzi: il freshman di North Carolina è uno dei più terrificanti corpi fatti per la pallacanestro che si possano trovare in circolazione, e non stiamo parlando solo di College Basketball. Un linebacker sovradimensionato con un frame su cui buttare chili e chili di muscoli senza minimamente intaccare l’atletismo brutale, quasi selvaggio.

Non è ancora chiaro che tipo di giocatore possa essere Nassir tra qualche anno, ma già ora è un difensore incredibile che può cambiare dall’1 al 5 senza grosse difficoltà, avendo sia la rapidità di piedi per rimanere davanti ai giocatori più veloci, sia la forza fisica e centro di gravità per reggere contro avversari più pesanti. È una centrale termonucleare di energia pulita, che sprigiona in campo in ogni singolo possesso con un’intensità davvero difficile da pareggiare per chiunque.

Nei cieli del North Carolina non vola solo Zion.

Ha un entusiasmante voglia di vincere e competere con i migliori, una qualità che lo ha portato a scalare i Mock Draft specialmente grazie alle sue prestazioni al McDonald’s All-American e al Jordan Classic, entrambi dominati portando a casa il premio di MVP. All’inizio forse avrà qualche difficoltà a trovare minuti in una profonda squadra di North Carolina, ma il gioco rapido e sopra il ferro così amato da Roy Williams si adatta perfettamente a questo carro armato con le ali che tanto ricorda il Kawhi Leonard di San Diego. Un blocco di marmo scultoreo, dal quale è possibile tirar fuori qualcosa di speciale. Certo, è ancora tutto da sgrezzare ma è pur sempre marmo di Carrara.

Shamorie Ponds - St. John’s

La storia di Shamorie Ponds da Bed-Stuy, colloquiale per Bedford-Stuyvesant, Brooklyn, scritta di proprio pugno su The Player’s Tribune, è intitolata I Get Buckets. Ed effettivamente tutta la carriera sportiva della piccola point guard di St. John’s è riassumibile in queste tre, semplici quanto efficaci parole. Ci sono pochi giocatori nel college basket con la sua abilità di mettere la palla nel canestro. Lo sanno bene sia Villanova che Duke, entrambe sconfitte lo scorso anno in meno di una settimana, anche grazie ai 60 contro dal talento di casa. È la mentalità dei project di Brooklyn, dove sopravvivono solo i più forti e la competizione è altissima.

Giant killer come da tradizione newyorkese.

Shamorie è l’ultima incarnazione della stirpe di playmaker della Grande Mela: piccoli, rapidissimi e sempre pronti ad arrivare al ferro passando sopra chiunque si ponga in mezzo. Ha deciso di restare in-State (cosa che invece non hanno fatto altri talenti newyorkesi suoi coetanei, Mo Bamba e Hamidou Diallo) a giocare per Chris Mullin e i Red Storms.

Una scelta che per i primi due anni ha portato risultati altalenanti: St. John’s non ha avuto ancora una stagione vincente in Big East, nonostante alcune prestigiose vittorie, ma Shamorie si è affermato come una delle point guard più elettrizzanti in circolazione, tanto che quest’anno è stato votato tra i Pre-Season All-American. Insieme all’esplosiva guardia arrivata da Auburn, Mustapha Heron, formano uno dei backcourt più divertenti della costa Est e promettono di far tornare New York sulla mappa del basket collegiale.

Carsen Edwards - Purdue

Il Boilermaker Special è la locomotiva/mascotte che nei giorni delle partite gira il campus di Purdue per trascinare studenti e tifosi alla partita a sostenere i loro ragazzi (ha anche altri significati, ma questo lo lasciamo scoprire a voi). Sembra la descrizione di quello che dovrà fare quest’anno Carsen Edwards ogni volta che scenderà in campo.

Carsen corre sulle rotaie con la squadra alle spalle: non troverete foto più rappresentativa di questa.

Il piccolo fromboliere dell’università dell’Indiana è l’unico superstite del quintetto che lo scorso anno ha raggiunto le Sweet Sixteen, sbattendo contro solidissima difesa Texas Tech a cui Edwards era comunque riuscito a piazzare 30 punti con una facilità realizzativa incredibile. Ora con Painter si ritrova davanti una squadra con molte incognite e altrettante scommesse in una delle Conference più competitive di tutto il panorama collegiale.

Non bastassero questo tipo di pressioni, si aggiungono anche quelle di livello nazionale dopo essere stato indicato dalla autorevole guida Blue Ribbon come principale candidato al premio di Giocatore Dell’Anno. Le potenzialità per concorrere ci sono tutte, a cominciare dalle capacità a livello offensivo che gli permettono di segnare senza problemi su tre livelli: tiro da 3 punti piedi per terra e dal palleggio, media distanza con il tiro in pull-up, e ottime chiusure al ferro nonostante una stazza non eccelsa.

A livello individuale si prospetta una grande stagione, sperando che con la sua forte personalità possa essere il Boilermaker Special di cui i ragazzi di coach Painter ha bisogno.

Cody/Caleb Martin - Nevada

Ormai non è più un segreto: Nevada non è più la sexy pick da giocarsi a sorpresa nel bracket ma una reale aspirante alle Final Four, pur uscendo da una Conference - la Mountain West - molle quanto un frollino nel caffèlatte. Gran parte del merito va al suo vulcanico allenatore, Eric Musselman, che in pochi anni ha ricostruito un programma dal nulla e che, dopo una vittoria particolarmente importante, ama disfarsi degli indumenti. Vedere per credere quanto successo nello scorso torneo NCAA, quando Nevada ha rimontato 22 punti alla malcapitata Cincinnati, per sopravvivere alle Sweet Sixteen.

Di quella squadra sono tornati tutti i principali interpreti, in particolare i gemelli Cody e Caleb Martin, che hanno deciso di sfruttare l’ultimo anno della loro eleggibilità prima di tentare l’avventura da pro. Come potete intuire, i due si somigliano parecchio e, per confondere ancora di più tutti al campus, fanno tutto insieme, dai corsi scolastici alle sedute d’allenamento. In campo sono legati da un filo invisibile, la spina dorsale di una Nevada profonda e talentuosa come non mai.

Poco più alti di due metri, sottili ma atletici, rappresentano perfettamente il basket senza posizioni predefinite predicato da Musselman. Cody è soprattutto un difensore versatile e competente (tanto da essere votato miglior difensore della MWC l’anno scorso), mentre Caleb è la vera star offensiva della squadra ed è stato inserito nel quintetto di Pre-season All-American dopo aver chiuso a quasi venti punti di media la scorsa stagione. Affiancati dal prepotente Jordan Caroline e dal 5-star recruit Jordan Brown, i Wolfpack quest’anno non potranno più nascondersi e dovranno mostrare le loro carte fin da subito.

Romeo Langford - Indiana

Romeo Langford non ha scelto di frequentare l’Università di Indiana. Romeo Langford è stato inviato da Dio, Jehovah, Maometto, Ramses, Odino o qualsiasi forma superiore voi crediate modelli la vita di noi mortali, per salvare lo storico Ateneo di Bloomington, uno dei programmi più vincenti di sempre, dalla mediocrità nella quale è recentemente sprofondata.

Langford ha segnato più di 3.000 punti negli ultimi tre anni di High School a New Albany, terzo realizzatore assoluto nella storia delle High School di Indianapolis, e la sua decisione di rimanere in-state ha fatto ripartire la celebre Hoosier Hysteria. Per la prima partita stagionale contro Chicago State, l’Assembly Hall era stipata in ogni ordine di posto, come se fosse una partita fondamentale per il cammino in Big Ten. Invece era solo la prima ufficiale del primo grande recruit di Archie Miller da quando è ad Indiana. E lui non ha deluso le attese.

Dopo un inizio contratto, si è sciolto e ha chiuso la partita senza sbagliare più nulla. Atleta sensazionale che può giocare sia da guardia che da ala, con una coordinazione e una potenza che lo trasformano in una palla di cannone in campo aperto e in ogni occasione in cui riesce a vedere limpido il ferro, Romeo è una macchina progettata per mettere il pallone nel canestro e non ci sono dubbi in quali mani finirà la sfera quando Indiana avrà disperato bisogno di segnare. Tutto il resto è abbastanza da rifinire a livello di college, a partire dall’applicazione difensiva fino ad un passing game praticamente inesistente. Ma un prospetto capace di portare con la sua sola presenza in ebollizione l’esigente pubblico hoosiers mancava nello Stato dell’Indiana da tanto, troppo tempo.

D’ora in avanti tu chiamami ‘Amore’, ed io sarò per te non più Romeo, perché m’avrai così ribattezzato”.

Rui Hachimura - Gonzaga

Vi ricordate quando nei primi anni 2000 venne fuori la leggenda di Yuta Tabuse, nano da giardino giapponese idolatrato in patria come il miglior giocatore mai passato da quelle latitudini, che in USA viene ricordato per qualche sporadica presenza tra D-League e garbage time NBA sufficienti per capirne la sua inadeguatezza?

Dopo 15 anni Rui Hachimura è l’occasione di rivalsa del Giappone - con gentile aiuto del Benin, coinquilino del corredo genetico del ragazzo. Dopo aver sfiorato il sogno NBA durante la off-season, il junior di Gonzaga è con molta probabilità il ritorno più importante di tutto il College Basketball e la sua sola presenza lancia automaticamente gli uomini di coach Mark Few (e del nostro Rick Fois) nel gruppo delle migliori squadre della nazione.

Come si dice lottery pick in giapponese?

In coppia con il francese Kim Tillie (al momento ai box per infortunio), Hachimura garantisce grande solidità nei pressi del canestro grazie a reattività atletica e un senso del tempo che gli permette di essere estremamente produttivo in difesa del ferro e a rimbalzo, mentre in attacco l’efficienza in area e nelle partenze dal palleggio sta iniziando a fare spazio a un tocco sempre migliore in ottica di allargargli il raggio di azione.

Un giocatore estremamente interessante seppur inglobato in una Conference che non fa certo della competitività la sua caratteristica principale. Una buona preparazione in vista di marzo e del salto in NBA che appare ovvio a questo punto della sua crescita.

Bol Bol - Oregon

Bol Bol non fa nulla per non farsi notare, e come potrebbe in fondo? Difficile evitare di riconoscere i suoi duecentoventicentimetri per un centinaio di chili strizzati dentro felpe Supreme come se fossero appese su una gruccia o il prestigioso nome da principe africano, portato con grazia dal padre Manute in NBA.

Bol Jr., o Bol al quadrato che dir si voglia, ha la stessa struttura da giunco del compianto genitore, ma non è un semplice protettore del ferro: al contrario, possiede uno skillset davvero unico e intrigante. Alto e lungo ma capace di palleggiare come un play e tirare come una guardia, il nuovo idolo di Eugene, Oregon, è un unicorno light, uno stretch-5 che dovrà imparare a reggere i contatti fisici con i muscoli dei lunghi NBA. Bol ha dei piedi impressionanti per l’altezza che devono portare in giro e un tocco di palla soffice sia intorno al ferro che quando mostra il range di tiro, l’attrattiva principale del talento di Bol.

Così lungo e dinoccolato, con degli stecchini al posto delle gambe, è un giocatore davvero molto difficile da inquadrare in prospettiva basket professionistico, a metà tra un talento rivoluzionario e uno che non può stare in campo. Potrebbe davvero esplodere e andare in alta lottery o alzare dubbi sulla sua fragilità fisica e scegliere di passare un altro anno ad Oregon. Non che quest’ultima opzione gli dispiacerebbe più di troppo, visto che ha scelto l’Ateneo dov’è nata Nike anche e soprattutto per le scarpe personalizzate. Intanto quest’anno può partire da un nuovo paio di Jordan 3 tutte duckate, e scusate se è poco.

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