Il profeta Ezechiele ha avuto una visione: un carro-trono abitato da angeli. Ognuno di questi angeli ha sei ali e quattro facce. Queste facce sono di uomo, di leone, di aquila, di bue. Questo carro è trainato da una figura dalle sembianze umane. La tradizione dei tarocchi ha tradotto in una carta la visione di Ezechiele, nel decimo arcano, ovvero la ruota della fortuna, o la ruota del destino. C’è la struttura del carro-trono - le ruote una dentro l’altra - le creature al suo interno, e a dominare e a controllare il suo movimento la sfinge, la fiera che custodisce i segreti e gli enigmi dei templi. La ruota della fortuna simboleggia la vita nel giusto equilibrio, gli alti e bassi che ruotano nella vita per rimanere in un equilibrio che può sempre mutare.
Roberto Mancini è sembrato alludere ai concetti della ruota della fortuna quando ieri, dopo l’eliminazione, ha detto che «la fortuna che ci ha accompagnato si è trasformata in totale sfortuna» abbandonandosi a un misticismo che non pensavamo appartenergli. In fondo è l’allenatore che ha portato la Nazionale nell’illuminismo, evolvendola dagli stereotipi e dai cliché che ne avevano determinato il fallimento con Ventura. Per il Mancini amareggiato di giovedì sera, invece, nell’Europeo abbiamo maturato un debito verso la Fortuna che prima o poi avremmo pagato, perché tutto tornasse in equilibrio.
A cosa si riferiva? Al gol di testa di Arnautovic, annullato per un fuorigioco di pochi centimetri, che per un paio di minuti sembrava averci eliminato dall’Europeo? Ai rigori sbagliati dall’Inghilterra o quelli segnati contro la Spagna? In generale a un Europeo che l’Italia ha vinto vincendo poco ma non perdendo mai?
Di certo sappiamo a cosa si riferiva, Mancini, parlando di sfortuna. Lo ha riassunto tutto, in una descrizione degna del fatalismo tragico dei greci: «I due rigori, ne bastava uno e eravamo al Mondiale, poi questa partita, subire il gol al 92’ sembra fatto apposta». Mancini ha attraversato lo stupore ancor più della delusione: «Cosa si può dire di una partita dove abbiamo tirato 40 volte? Abbiamo subito il gol alla fine e non sappiamo neanche perché. Non sappiamo nemmeno perché siamo arrivati fino a qui. Abbiamo vinto un Europeo e siamo rimasti imbattuti per due anni e mezzo per cui io una cosa la so: i nostri giocatori sono bravissimi. Quindi non è colpa loro o del presidente, il primo responsabile sono io. Quando si perde il primo responsabile è l’allenatore».
Rimpiangere le occasioni mancate, piangere sul latte versato, può essere una triste consolazione. Oppure può essere un modo di girare il dito della piaga, ricavando l’effetto utile da quel dolore. Dal dolore si impara, anche quando la lezione può essere ridotta alla banalità crudele del calcio. Ho messo insieme i momenti sfortunati che hanno dovuto accumularsi per causare questa qualificazione. Non per sottrarre all’Italia le proprie responsabilità, ma anche per capire quante cose devono mettersi in un certo modo perché succeda una cosa così inaudita - cioè che la squadra campione d’Europa non si qualifichi per il Mondiale, nonostante un girone alla portata e uno spareggio comodo.
Il gol di Iliev al 38’ di Italia-Bulgaria
L’Italia arrivava alla partita con la Bulgaria da campione d’Europa e, soprattutto, a punteggio pieno nel girone. In quel momento non c’è nessuna increspatura nel nostro mare. Dopo un quarto d’ora l’Italia ha già segnato alla Bulgaria con un gol stupendo di Federico Chiesa. Il nostro golden boy, il singolo giocatore che all’Europeo ha avuto il potere magico di farsi bastare poco e niente per riuscire a essere determinante. Un triangolo chiuso con Immobile, un tiro radente di sinistro dai venti metri. Chiesa manda baci al cielo, siamo tutti molto felici e molto rilassati. Al 35’ abbiamo tre occasioni per raddoppiare in una stessa azione, in cui né Immobile, né Chiesa, né Insigne riescono a segnare. Però siamo brillanti, leggeri, spigliati, come la migliore Italia di Mancini.
Se vi state chiedendo da quando le cose hanno cominciato a precipitare, allora, possiamo trovare l’origine al minuto 38, quando Florenzi scivola a metà campo, Despodov raccoglie una palla innocua e si trasforma in Mané. Resiste al ritorno di Florenzi con una ferocia fisica paurosa, mette dentro d’esterno con genio e tecnica, e Iliev pareggia. Despodov ex Cagliari, 4 partite in Serie A, tutte dimenticabili e tutte dimenticate.
La parata di Georgiev al 62’
Chiesa è in stato di grazia, pare coperto d’argento vivo. Oggi che è infortunato che ce lo siamo dimenticati, quanto riusciva a fare la differenza per la Nazionale. In area di rigore si inventa un dribbling con una croqueta correndo all’indietro e il difficile pare fatto, il portiere gli arriva sotto e lui prova ad alzare la traiettoria del tiro. In effetti quella si alza, ma non abbastanza da superare Georgiev, che fa oggettivamente una parata notevole. Non può essere definita sfortuna, la bravura di un avversario, ma può essere definita sfortuna quando un avversario supera i propri limiti di talento, proprio contro di te? All’Italia, va detto, è successo spesso nelle ultime partite.
Un’altra parata di Georgiev al 73’
Perché parliamoci chiaro, Georgiev gioca una partita pazzesca, è il migliore in campo della sua squadra. E Georgiev ha 33 anni e gioca nella squadra quarta in classifica nel campionato bulgaro. Qui fa un’altra parata non trascurabile su un sinistro incrociato di Immobile. L’Italia chiude con 27 tiri verso la porta della Bulgaria, e un solo gol segnato. Mancini comincia a parlare di caso, di una dimensione aleatoria che sta prendendo una strana piega: «C’è stato solo quell'infortunio, Florenzi è scivolato e abbiamo preso il contropiede. È stata l'unica azione che abbiamo concesso e abbiamo pareggiato».
Il gol sbagliato da Berardi al 18’
Tre giorni dopo, stessi problemi. Del resto ci portiamo dietro gli stessi problemi dall’Europeo in avanti, e cioè un’incapacità cronica degli attaccanti italiani di segnare. In generale di trovare una giocata risolutiva negli ultimi metri: una rifinitura fatta bene, un tiro che non finisce su un avversario o che non viene miracolosamente fermato dal portiere. Contro la Svizzera, Chiesa non gioca. Mancini fa così quando vede una partita più complicata e vuole più controllo del pallone, inserisce Berardi per avere un attaccante che gioca meglio tra le linee e che aumenta la capacità di palleggio.
Berardi ci mette circa 18 minuti per far capire a tutti la differenza tra sé e Chiesa, quando viene lanciato solo nella metà campo Svizzera. È solo, davvero solo, contro Yann Sommer - il bravo portiere che siamo riusciti a trasformare in Yashin contro di noi. Berardi, che in Serie A di solito un attaccante prolifico, autore di 100 gol ad appena 27 anni, gli tira sulle mani. Lo sbaglia con l’aria di chi non ci ha creduto nemmeno un secondo, alla possibilità di poter segnare.
Il primo rigore sbagliato da Jorginho
Ed eccoci qui al primo rigore sbagliato da Jorginho. Non c’è un giocatore che incarna meglio l’altalena simbolica dell’Italia, dall’Europeo alle qualificazioni mondiali: rappresentazione del calcio tecnico e della freddezza dell’Italia a capro espiatorio. Spietato dagli undici metri contro la Spagna - con la sua rincorsa passeggiata, che simboleggiava il suo controllo calmo sul gioco - inaffidabile contro la Svizzera. Calcia con una rincorsa un po’ più rapida, e apre questo piattino stitico che sembra un passaggio a Sommer. Pochi rigori sono più brutti, dei rigori sbagliati di Jorginho. La partita finisce zero a zero, l’Italia diventa la Nazionale con la striscia di imbattibilità più lunga della storia: 36 partite. Eppure è un record strano, che non sappiamo bene come leggere, perché comincia a dirci che le cose si stanno complicando per noi. L’Italia entra forse in quella partita con la Svizzera in questo vortice in cui segnare per noi è impossibile mentre segnare per gli altri è facilissimo. Tuttavia, col controllo tattico e tecnico della Nazionale, gli avversari hanno davvero poche occasioni per segnare. Così le partite tendono naturalmente verso lo zero a zero. Comincia a succedere davvero poco nelle partite dell’Italia. Mancini non sa spiegarselo: «È un momento in cui la palla non entra» dice, come se la palla avesse vita propria, e ora il suo scopo fosse rendere gli italiani infelici. Che dire, possibile.
Il gol di Widmer al 10’
In fondo all’Italia basta battere la Svizzera in casa per essere sicura di qualificarsi. La Svizzera, ovvero la squadra che l’Italia all’Olimpico, pochi mesi prima, ha battuto con 3-0 che è stato forse il punto più alto della Nazionale di Mancini - in quanto a leggerezza e brillantezza di gioco. In quel momento non ci eravamo ancora resi conto, di quanto eravamo fragili. Quanto poco bastasse, per avvicinarci al tragico. Al decimo minuto una rimessa laterale a favore diventa un contropiede del giocatore più veloce non della Svizzera, direi della storia della Svizzera, cioè Okafor. La differenza di velocità tra lui col pallone e Jorginho senza fa paura. Jorginho sembra davvero andare al rallentatore. Okafor rallenta, alza la testa, e si accorge dell’inserimento di Silvan Widmer, ex Udinese che oggi gioca al Magonza. Esterno manovale con poche velleità, e un nome di battesimo che però ricorda pericolosamente quello di Wiltord. Widmer, per qualche ragione, calcia di mezzo esterno una palla che finisce perentoria sotto l’incrocio dei pali. Un gol a metà tra la bastonata potente di Totti contro la Juventus e il tiro d’esterno di prima di Carlos Alberto contro l’Italia ai Mondiali del 1970. Va bene, la buona notizia è che abbiamo circa 80 minuti per sistemare la partita.
L’occasione fallita da Barella al 21’
Ok, poi abbiamo pareggiato non molto dopo, quindi magari questo gol sarebbe stato ininfluente, però guardate da che posizione abbiamo sbagliato questo gol.
La parata surreale di Sommer al 75’
Tra le varie occasioni mancate dall’Italia, ognuno avrà la sua preferita. Questa è la mia preferita, perché il nauseante tiro a giro di Insigne incrocia il corpo di un giocatore svizzero. In fondo c’erano davvero molti giocatori svizzeri in area - una deviazione, una spizzata, qualsiasi cosa può provocare un gol. La palla deviata sta entrando, ma mettiamola così: la parte inferiore del corpo di Sommer si oppone, come avesse vita propria, al gol. Guardate il replay, perché dal vivo non si capisce bene, quanto sia stata difficile l’impresa del pallone di non entrare in rete.
Il secondo rigore sbagliato da Jorginho
Berardi guadagna il secondo calcio di rigore in due partite con la Svizzera, è un talento che ha coltivato in anni e anni a danzare nella zona grigia del contatto-non-contatto coi difensori nelle aree italiane. È chiaro: in questa stagione col Chelsea Jorginho ha calciato nove rigori sbagliandone zero. Con la maglia dell’Italia ha calciato due rigori sbagliandone due. Questo lo calcia con una rincorsa frettolosa, come volesse togliersi il dente. Lo calcia in curva, poi guarda per terra, come per dare la colpa a una zolla svizzera. Stavolta nemmeno arrivano i compagni a rincuorarli: un conto è sbagliare un rigore, un conto è sbagliarne due, uno a tre minuti dalla fine, che se fosse entrato a quest’ora il nostro problema più grande sarebbe stato come sostituire l’anguria durante le partite al freddo del mondiale in Qatar. Cosa dice Mancini dopo quella partita? «Noi al Mondiale ci andremo. Di questo sono sicuro». Forse è proprio questo il momento in cui il pensiero magico ha sostituito quello razionale nella testa di Mancini, ed è arrivato il panico.
Il tiro di Barella come quello di Trajkovski
Questa non è una grande occasione, ma contiene una certa carica ironica, visto che Barella calcia dalla stessa identica posizione da cui Trajkovski ci condannerà al dramma. Prova lo stesso identico tiro, che però gli esce strozzato. Nemmeno ce la ricordavamo questa, non era nemmeno un’occasione.
Il gol sbagliato da Berardi al 29’
Prima della partita Mancini ha voluto rassicurarci cambiando il rigorista, non più Jorginho ma Berardi. In carriera un notevole 41 su 48 dal dischetto. È ironico che sul piede sinistro di Berardi, quello buono, sia capitata quest’occasione che pare più facile di un calcio di rigore, e che Berardi l’abbia sbagliata in un modo che ancora oggi fa male a rivederla. Come le unghie sulla lavagna, ci pulsa il cervello a rivederla. Berardi calcia come se la palla fosse bucata, come se per terra ci fosse la colla. Non si capisce, non si spiega. Persino i nostri rimpianti erano più belli nel passato: siamo i tifosi che possono vantare il più bel gol quasi-gol della storia del calcio, quel tiro di Baggio contro la Francia. Oggi invece abbiamo uno dei gol sbagliati più brutti, o quanto meno dei più frustranti.
Il gol sbagliato da Immobile al 38’
Il confine tra fortuna, sfortuna e mancanze dei nostri giocatori è sempre sfumato. Da quella posizione Immobile ha uno specchio molto limitato dalla presenza fisica di tutti quei giocatori macedoni davanti a lui. D’altra parte, però, chi se non lui può fare quel gol? A quale altro giocatore avreste affidato quel pallone, tra i nostri undici, se non a Ciro Immobile, uno dei migliori marcatori della storia del campionato italiano? La mancanza di freddezza sotto porta dell’attaccante della Lazio in Nazionale rimarrà, per sempre, uno dei misteri più insondabili del ciclo di Mancini, e anche di quello di Ventura.
Il gol di Trajkovski, la catastrofe
La verità è che a voler essere minuziosi, si possono trovare innumerevoli dettagli che devono mettersi al loro posto perché una catastrofe accada. Tante piccole particelle di neve che formano la valanga. Nel gol di Trajkovski, il cui nome avrà fatto sorridere qualcuno alla lettura delle formazioni, ci sono tanti dettagli crudeli. Il duello aereo vinto e la palla che finisce un po’ per caso sul taglio preciso di Trajkovski. Jorginho preso in controtempo che si accorge tardi di quello che sta succedendo. Il controllo in corsa fenomenale del centrocampista. Jorginho che invece - e questo è il dettaglio peggiore - alza il braccio per chiamare un tocco di mano inesistente. Alza il braccio e smette di correre, e forse permette all’avversario di tirare. Difficile da dire ma sembra così. Jorginho che quindi era stato esentato dal battere i calci di rigore ma che finisce comunque con la faccia sulla copertina del gol vittoria della Macedonia. Questo tiro secco che taglia il campo e non si capisce - non lo sapremo mai forse - se Donnarumma avrebbe potuto fare qualcosina in più (e nel dubbio si pensa di sì, comunque, perché Donnarumma non sta simpatico a nessuno).
Jorginho protesta per un tocco di mano, l’Italia si ferma e spera. Ormai il pensiero magico è l’unico che ci regge in vita. In quella breve finestra temporale i macedoni esultano abbracciati, mentre noi - tutti divisi - preghiamo che la moviola ci dia ragione. Magari è la riedizione del gol di Arnautovic annullato contro l’Austria. Dal replay si vede che non c’è niente di irregolare: solo un gol straordinariamente pulito dal punto di vista tecnico. Anche quello ci sembra una sfortuna, appena prima che ci stavamo abituando all’idea che l’avremmo vinta ai supplementari.
Nel calcio per Nazionali le partite girano ancor di più attorno a pochi episodi. L’Italia ha sbagliato qualche partita che avrebbe avuto comunque tutte le possibilità di vincere, se le cose si fossero messe per il verso giusto. Tutto ciò che poteva andare male, però, è andato effettivamente male. L’Italia non è una Nazionale scarsa, come qualcuno ama ripetere da ieri sera. Lo dimostra il fatto che, pur giocando piuttosto male, ha dovuto mettere in fila una serie infinita di eventi sfortunati per essere davvero eliminata. La sfortuna e la fortuna, poi, nel calcio non arrivano mai per caso, e questa sfortuna ce la siamo costruita. L’impressione è che stiamo vivendo nell’unica linea temporale in cui l’Italia è stata eliminata dalla Macedonia. Quella in cui non giocherà i Mondiali per la seconda volta di seguito.