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2015: l'anno in cui il calcio cambierà
09 gen 2015
Scenari più o meno possibili per il nuovo anno sportivo.
(articolo)
27 min
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2015: l'anno in cui Mario Balotelli si è trasferito in America.

diFabrizio Gabrelli

L’accordo è giunto sul filo di lana, a ventiquattro ore dalla chiusura della finestra di mercato: alle 22.00 del 30 Gennaio 2015 Mario Balotelli è passato dal Liverpool al Manchester City. Il sogno dei tifosi citizens di tornare a vedere SuperMario, magari in coppia con Agüero, magari già contro il Chelsea di Mourinho, è durato però giusto il tempo di una nottata: sulle colonne del Guardian, il 31 Gennaio, una breve ma efficace intervista a Mino Raiola e un intervento del giornalista statunitense Grant Wahl hanno spiegato perché non si trattava di un romantico ritorno di fiamma mancuniano: «Mario è stato tesserato dal Manchester City solo con lo scopo di girarlo in prestito al New York City Football Club, in MLS. Mario è stato da subito entusiasta, e felice dell’opportunità», racconta il procuratore. «I newyorkesi avevano già i loro due designated players (David Villa e Frank Lampard ndr)», spiega invece Wahl. «Avrebbero potuto comprare il terzo slot, versare una “luxury tax” come previsto dalla Beckham Rule. […] Diciamo piuttosto che Mario è stato, invece, una sorta di regalo con il quale Mansur bin Zayd vuole scusarsi con i tifosi del NYCFC per aver deciso di trattenere Lampard in Premier League fino al termine della stagione». «Con l’arrivo dell’italiano nella MLS, il calcio USA si proietta a pieno titolo nel cuore pulsante di questo sport, guadagnandoci in visibilità, tifosi e autorevolezza », conclude il giornalista di Sports Illustrated. «C’è da giurarci: New York impazzirà. L’America impazzirà».

Mario atterra al JFK il 7 Febbraio. Gli hashtag #welcomeMario e #NYCFC rimangono in vetta ai TT di Twitter per tre giorni. Viene svelato che guadagnerà cinque milioni di dollari («ma sarei stato disposto a ridurmi ulteriormente l’ingaggio, pur di venire qua», risponde a una domanda spavalda di una giornalista del New Yorker; «no, scherzo», ha aggiunto) e che indosserà la maglia celeste numero 46. Dice di essere stupito e divertito dalla maniera newyorkese di pronunciare il suo nome. «Mi aspetto molto», conclude. Qualcuno gli chiede da chi, dal campionato? «Da me stesso. So cosa aspettarmi».

Non è il primo italiano ad abbracciare il soccer dai tempi di Chinaglia, come molti giornalisti yankees enfatizzano: negli anni si sono succeduti Di Vaio, Nesta, Donadel, e Noselli nei Cosmos, in NASL. Il fatto è che Balotelli è il primo italiano che ricorda Chinaglia: ha il suo stesso appeal, la sua ingombrante e imponente presenza scenica, è sexy e ha un’aura da bad boy. Nel promo utilizzato per l’ultimo mese di campagna abbonamenti gira per le strade buie del Bronx con due cuffie giganti alle orecchie, sguardo torvo e puntato sull’orizzonte; intorno a lui si crea un capannello di sostenitori che diventano decine, centinaia, si aggiungono i compagni di squadra: giunto sul cerchio di centrocampo dello Yankee Stadium i riflettori si accendono, apre la zip del giubbotto e spunta un lembo di maglia celeste. Strizza l’occhio, accenna un sorriso presuntuoso. «The King has arrived» recita la voce fuori campo. Sembra più l’accoglienza riservata a Pelé, che a Chinaglia.

Balotelli per la MLS segna l’alba di una nuova era, quella post-Cimitero degli Elefanti™. La pratica di far inscenare ai mostri sacri del calcio europeo una specie di pièce in cattività sembra di colpo lontana decenni, un qualcosa di triste e malinconico in voga soltanto, ormai, in posti come il Qatar o gli Emirati Arabi. È giunto il momento di osare, di puntare forte su un Giovane Di Classe. A Mario non manca proprio niente per diventare il catalizzatore di una nuova forma di dibattito: è il più forte giocatore della MLS di tutti i tempi? Saprà diventarlo? Quale impatto e influenza avrà, sui giovani, l’alone di swag che sprigiona? Personalità strabordante e picaresca attitude funzionano nel processo di creazione di icone pop: ma Balotelli riuscirà a soddisfare calcisticamente i palati ormai avvezzi dei tifosi americani?

Il vine di Supermario che umilia Kakà con un doppio sombrero, nella prima di campionato a Orlando, in Florida, l’8 Marzo, diventa il vine con più visualizzazioni nella storia della MLS. In Italia va a finire sulla colonnina di destra dei quotidiani on line, insieme alle foto delle serate brave di Balotelli nei locali di Soho (per le quali gli americani sembrano tutt’altro che scioccati)(direi anzi ammirati) e a lunghi e dinoccolati editoriali che lo tirano in causa, insieme al Boss delle Torte, i lustrini e l’italoamericanità dei Sopranos in un melange che serve più per preconizzare il suo fallimento finale e definitivo, che per altro.

Dopo dodici partite di Regular Season Mario non è il miglior giocatore della MLS di tutti i tempi. E non sembra possa mai diventarlo. Il suo palmares stagionale segna più di mille minuti giocati (quasi tutti), un goal (nel derby della Big Apple contro i Red Bulls), una manciata di brutti gesti: il più eclatante proprio in occasione del gol nel derby. Un episodio che condensa la teatralità di Mario, quel suo sentirsi «anello di congiunzione tra le divinità e il gioco del calcio» (lo scrivono su 8by8mag), le manifestazioni di superiorità in un tutt’uno grumoso di supponenza.

Cosa è successo? Alla mezz’ora della ripresa della gara contro i Red Bulls David Villa semina tre avversari, disorienta il portiere Robles e appoggia un assist che chiede solo di essere spinto dentro. Balotelli calcia con tutta la potenza che ha nelle gambe: la palla non gonfia la rete, la ingravida. Ci si aspetta che Mario vada ad abbracciare Villa, o che sfoderi finalmente l’esultanza del busto marmoreo. Invece accavalla le gambe, puntando il piede sinistro al fianco di quello destro, saldo al terreno; allunga il braccio sul palo e appoggia la testa al braccio, reclinandola, in atteggiamento meditabondo. Balotelli che scimmiotta l’henrying è un distillato di irrispettosità e alterigia: vorrebbe suonare canzonatorio, finisce per risultare blasfemo. Non riempie il vuoto lasciato dall’addio di Titì: lo amplifica. Nel silenzio surreale, i tifosi dei Red Bulls lo fischiano. Anche i suoi. Più forte ancora.

Quando a giugno inoltrato New York sfida Los Angeles, Balotelli torna a incontrare sul campo Steve Gerrard, che ha tenuto fede alla promessa fatta a inizio anno. «Sembra che gli piaccia ricevere tutte le attenzioni, essere sotto la luce dei riflettori. Ama i social, ama parlare con i tifosi. Ma per poterlo fare deve segnare. Lo capirà. E se non l’ha capito ancora, lo capirà». Parole di Gerrard risalenti ai tempi dell’arrivo di Balo a Liverpool. «Hai cambiato idea su di lui, Steve?», gli hanno chiesto prima che i due incrociassero i tacchetti da rivali sul suolo americano. «Devo confessarvi che se non l’ha capito ancora adesso, forse non lo capirà mai».

Il sito della MLS decide di non mostrare alcuna immagine del calcio violento che Balotelli ha rifilato a Gerrard inaspettatamente, e senza alcun motivo apparente, a metà di una partita noiosa e poco rilevante: «Se solo avessimo deciso di indire una votazione per il peggior promo della MLS di tutti i tempi, allora avremmo mostrato il video. Oscurarlo non cancella quello che è successo, ma speriamo renda al meglio quanto è forte la nostra condanna», è stato il commento ufficiale. Il Corriere dello Sport invece monta un video in cui le immagini di Balotelli che scalcia Gerrard si sovrappongono, con un effetto dissolvenza molto Anni '80, a quelle di Totti che scalcia Balotelli. Gli vengono comminate dodici giornate di squalifica: con i NYCFC già lontani dalla qualificazione ai play-off significa avventura in MLS conclusa, irrimediabilmente. Claudio Reyna lo tiene fuori dalla squadra, anche dagli allenamenti.

Così Mario è tornato a Manchester in una notte di fine luglio, senza preavviso per depistare paparazzi e tifosi. Rilascia un’intervista in cui si dice dispiaciuto, e in cui manifesta la volontà di tornare a giocare in Italia, laddove arrivasse un’offerta interessante. Il presidente Mansour bin Zayd torna in tutta fretta da Nuova Delhi, dove ha appena presenziato allo show per il lancio dei New Delhi Football Club, la sua quarta squadra di proprietà, la decima franchigia della Hero Indian Super League, per rinchiudersi nel suo ufficio e parlargli di persona.

Quando il 15 Agosto, il giorno del sorteggio dei calendari, l’account twitter ufficiale della Hero Indian Super League posta la foto di tutti i marquee player vestiti con le maglie delle rispettive squadre, Balotelli ha una maglia celeste, e appare vicino ad Henry, che indossa la divisa tutta rossa dell’Arsenal Bombay FC, una delle due nuove franchigie nate nel 2015, la nona a entrare a far parte della Indian Super League. Henry sta per compiere trentotto anni; Balotelli ne ha appena compiuti venticinque. Balotelli sorride. Henry no.

2015: l'anno in cui cadrà il tabù dell'omosessualità nel calcio

diDaniele Manusia

Che il calcio facesse parte della società e che bastasse guardarsi attorno per capire l'ipocrisia che regnava all'interno di un sistema arcaico si sapeva anche prima. Così come, in fondo, si sapeva che di calciatori omosessuali o non-etero ce ne dovessero essere più dei pochi conosciuti. Però i precursori che negli anni passati hanno avuto il coraggio di fare comining-out mentre ancora erano in attività non avevano avuto un grande impatto sul movimento generale e sul calcio europeo in particolare, che aveva continuato a dormire sonni tranquilli (con gli occhi coperti, cioè, da quelle mascherine che danno in areo per i voli più lunghi).

Anton Hysén, classe 1990, calciatore svedese del Myrtle Beach, squadra di NPSL, quarta divisione americana: conosciuto in Svezia, ignorato altrove. Robbie Rogers, classe 1987, americano dei Los Angeles Galaxy: “Rogers made history” ha scritto Sports Illustrated, ma era forse troppo lontano perché il suo annuncio facesse tremare le foto di famiglia appese nei salotti per bene del calcio di massimo livello. Niente in confronto al terremoto del 12 gennaio 2015: quando durante la cerimonia di consegna del Pallone d'Oro, il suo secondo consecutivo, il suo terzo in totale, Cristiano Ronaldo ha fatto coming-out, un tabù è andato in pezzi per sempre.

Non c'erano le lacrime dell'edizione precedente, il calciatore egocentrico con l'ossessione di essere il migliore al mondo e i suoi ringraziamenti vuoti avevano lasciato il posto a un discorso che per quanto scioccante è apparso persino umile. Cristiano ha insistito su quanto la sua storia somigliasse a quella di milioni di ragazzi, ha raccontato le difficoltà nel parlare con la propria famiglia e i propri amici, prima ancora del proprio agente, dei compagni e dello staff del Real Madrid. Ha descritto i dubbi che lo hanno tormentato per anni paragonando la competizione con se stesso, per conoscersi davvero, a quella sportiva con Messi che lo ha tenuto impegnato negli ultimi anni. Poi, in quello che forse è stato il momento più forte in assoluto, ha ringraziato Irina Shayk per il sostegno, la pazienza e l'affetto con cui lo ha accompagnato nei mesi più importanti della sua carriera e della sua vita da adulto. “Un piccolo passo per un uomo, un grande salto in avanti per il calcio”, ha titolato L'Equipe e su Twitter messaggi di sostegno sono arrivati da ogni parte del mondo.

Subito dopo però è cominciato quello che Cristiano Ronaldo ha definito “il circo”. Ha rilasciato alcune interviste necessarie per chiarire una confusione che in parte magari aveva contribuito a creare lui stesso. Tanto per cominciare, nel suo discorso non si era definito come omosessuale: aveva detto di aver provato dei sentimenti per altri uomini, e di aver avuto degli amanti. Ma allora, chiedevano i giornalisti, come dovevano definirlo, “gay” o “bisessuale”? E perché aveva baciato Irina sulla bocca una volta tornato in platea? Cristiano si è sforzato di rispondere a domande che, in un contesto più aperto, sarebbero state inutili. No, non si considerava “gay” né “bisessuale”, ma neanche un uomo etero e Irina era la sua compagna in una coppia aperta. “Non posso farci niente se ci sono persone che vogliono restare ignoranti”, era il mantra di quel periodo. Aveva fatto coming-out perché non voleva crescere il proprio figlio nel segreto, alimentando al tempo stesso una cultura maschilista e omofobica. Adesso non voleva neanche essere ridotto a uno stereotipo, rivelare i dettagli della sua sessualità o smentire sciocche voci che mettevano in dubbio la sincerità del suo rapporto con Irina Shayk.

Cristiano non ha perso neanche un endorsment e la sua popolarità è persino aumentata nella fascia di età tra i 6 e i 14 anni. I tifosi avversari, ha detto, lo fischiavano e offendevano anche prima e non gestendo in prima persona i social network era ben protetto dagli effetti peggiori della modernità (anche se va detto che il suo account Twitter è tornato sotto i 100 milioni di follower). Appena ha ripreso a giocare, però, sono cominciate le interviste sul pubblico, sugli avversari, persino sul rapporto con i compagni di squadra. L'intervista a fine partita da migliore in campo era diventata una scusa per chiedergli cosa era cambiato nella sua vita. Le stesse domande venivano rivolte ai suoi compagni di squadra e praticamente a tutti quelli con cui aveva condiviso lo spogliatoio (“Ti senti tradito adesso che Cristiano ha dichiarato di essere attratto dagli uomini?”, ha chiesto un inviato del Sun a Rooney, che forse fraintendendo la domanda ha detto di essere rimasto sorpreso dal coming-out del portoghese). Ma anche a Messi e ad altri campioni del suo calibro che aveva incontrato solo in campo, ai suoi familiari, agli amici e a ogni altra persona che aveva frequentato nella sua vita.

Cristiano Ronaldo è diventato il principale argomento di discussione nei media sportivi di mezzo mondo e la pressione è arrivata al punto che dopo la finale di Champions League (persa contro il Bayern di Monaco, con il Real Madrid fuori anche dalla corsa per la Liga) ha deciso di prendersi un paio di mesi lontano dalle telecamere trasferendosi in Canada.

Non tutti hanno ridotto il discorso dell'omosessualità nel calcio a Cristiano Ronaldo e il suo gesto ha ispirato il coming-out di altri celebri professionisti come David Luiz, Diego Costa, Daniele De Rossi, Charlie Austin, Roberto Firmino, Alexandre Lacazette, David Silva, Ander Iturraspe, Christophe Jallet e Yoann Gourcuff, solo per nominare i più conosciuti tra quelli che per primi hanno seguito il suo esempio. Persino il diciassettenne norvegese Martin Odegaard, acquistato dalla Roma in quello stesso gennaio 2015 (e che in pochi mesi avrebbe preso il posto di Totti in campo) ha detto in una delle sue primissime interviste ufficiali di sentirsi a disagio nel corpo di un uomo.

La Uefa ha cambiato la propria campagna “No to racism” aggiungendo “and homophobia”; la Nike ha rilanciato una campagna di qualche tempo prima: #BeTrue, devolvendo i guadagni alla neonata LGBTQ Footballers Associations (di cui Cristiano è stato eletto presidente onorario). Lo stesso Cristiano Ronaldo è stato felice di partecipare insieme ad altri sportivi non-etero alla campagna #proudtoplay e a quella #stoptheslurs (contro cori omofobici e sessisti).

In Inghilterra è stata definitivamente rivalutata la figura di Justin Fashanu (calciatore dichiaratosi omosessuale negli anni '90, ostracizzato dal mondo del calcio, accusato ingiustamente di molestie sessuali, che ha finito per suicidarsi).

La leggenda del Liverpool Robbie Fowler ha girato le scuole calcio di quasi tutto Regno Unito spingendo migliaia di ragazzi a dichiarare ai propri familiari e amici la propria non-eterosessualità. Fowler si è detto motivato da un episodio del lontano 1999, di cui si era reso protagonista ai danni del calciatore del Chelsea Graeme LeSaux che, anche se sposato con una figlia, era “sospettato” di essere gay perché non corrispondeva allo stereotipo del calciatore, ma era appassionato d'arte e antiquariato (una sorte simile è toccata anni dopo allo svedese dell'Arsenal, appassionato di moda, Freddie Ljungberg). LeSaux sul punto di battuta di un calcio di punizione si era rifiutato di proseguire il gioco con Fowler che in barriera dimenava il proprio sedere in modo provocatorio, l'arbitro ha ammonito LeSaux che più tardi ha colpito Fowler con una gomitata. Fowler ha raccontato a migliaia di bambini il rimorso che provava nel vedere come su Facebook fosse diventato un eroe per i motivi sbagliati, la vergogna che ancora provava per il suo comportamento passato (anche se ai tempi non era considerato un comportamento offensivo), e come tutto questo lo avesse spinto a organizzare quella campagna.

Non tutti, però hanno reagito positivamente. Poche settimane dopo il suo coming-out, David Luiz è finito fuori squadra e nel mercato estivo il PSG di Nasser Al-Khelaifi lo ha svenduto per meno della metà del valore del suo cartellino al Tottenham. Anche Diego Costa ha pubblicamente denunciato un cambio di trattamento da parte di Roman Abramovich, e un aumento dei cori con la parola "travestito" a lui rivolti, il brasiliano/spagnolo però è andato avanti come se niente fosse sostenuto in maniera esplicita dal suo allenatore, Jose Mourinho, che ha cominciato ad allenare con una fascia color arcobaleno al braccio.

Cristiano Ronaldo, ovviamente, è finito nel mirino dell'ISIS mentre l'Iran ha vietato la riproduzione della sua effigie (comprese quindi eventuali pubblicità). La Russia ha richiesto una dichiarazione di “conformità di genere” per i giocatori che ogni Nazionale aveva intenzione di far partecipare al Mondiale del 2018. E mentre la FIFA non ha ancora preso una posizione definitiva al riguardo, le proteste della Piazza Rossa del 22 settembre 2015 sono state represse nel sangue, così come quelle di Place de la Concorde a Parigi del 7 ottobre sono state rovinate dalla morte di due attivisti anti-omofobia uccisi durante gli scontri con i militanti del Front National.

Negli stadi sono cominciate a spuntare mutandine di pizzo e bambole gonfiabili maschili. Kakà e Ribery hanno espresso la loro condanna in nome dei valori delle rispettive religioni e il Real Madrid è stato costretto a cedere James Rodriguez ai rivali del Barcellona. Anche il silenzio di Ibrahimovic, come quello di altri personaggi di spicco del calcio attuale e passato (Tevez, Xavi, Maldini, Cruyff, Pelé e persino Eusebio) è finito per sembrare a un atto di disprezzo più che di codardia. Joey Barton ha dapprima sostenuto la causa di Cristiano Ronaldo, per poi accusarlo di essere solo in cerca di altra pubblicità quando i suoi tweet sono rimasti senza risposta da parte del portoghese. Senza parlare del mare di status, tweet e opinioni di attori e politici che hanno sfruttato l'occasione per farsi notare in negativo; o della storia triste di Vinnie Jones che si è detto “disgustato” dal calcio moderno proprio pochi giorni prima di morire d'infarto mentre, ironia della sorte, si trovava sul set di un film in costume ed era truccato da uomo delle caverne.

In Italia il milanista Alex, che già anni prima, quando era in Francia, aveva dichiarato che Dio aveva fatto “Adamo ed Eva, non Adamo e Ivo”, ha parlato dell'omosessualità del suo compagno Michel Essien prima che quest'ultimo avesse fatto un coming-out pubblico. Persino la Gazzetta, che ha parlato di una ventata di libertà contro la puzza di chiuso del calcio italiano, ha dedicato uno speciale ai calciatori italiani “in aria di coming-out”.

Ma la risposta più desolante è arrivata dalle istituzioni. Il presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, da una parte ha deciso di punire i cori omofobici con il daspo e la squalifica dello stadio, dall'altra ha approvato una legge che richiedeva, a partire dalla stagione 2015-16, la presenza di spogliatoi separati per i calciatori dichiaratamente non-eterosessuali. Soffocando in questo modo i calciatori delle leghe minori che avrebbero potuto fare coming-out e spingendo Daniele De Rossi ad accettare l'offerta dei New York Red Bulls in segno di protesta.

Il mio è un riassunto parziale e non potrei avere l'ambizione di essere completo neanche volendolo per via di quante cose sono successe dopo quel 12 gennaio 2015 che ha fatto tremare il mondo del calcio, e non solo. Tornato dal Canada, Cristiano Ronaldo ha ricominciato a giocare ma il suo nome è lentamente sparito dalle prime pagine dei giornali, anche per via di un calo di rendimento fisiologico dopo anni a livelli sovra-umani. A posteriori, l'impressione è che non tutti erano davvero pronti al cambiamento indotto dal coming-out di Cristiano Ronaldo, forse neanche l'interessato. E che qualcuno probabilmente non lo sarà mai. Il calcio resterà ancora a lungo un mondo a maggioranza maschile, dai valori virili e maschilisti, ma da quel 12 gennaio 2015 l'omosessualità nel calcio non è più stata un tabù.

2015: l'anno in cui lo sport si è allontanato dall’agonismo

diEmanuele Atturo

“Liberté, Egalité, Demi-volée” è uno dei motti più fortunati che hanno accompagnato la rivoluzione che la ITF (International Tennis Federation) sta portando nel mondo del tennis negli ultimi mesi.

L’idea della ITF – che avrebbe chiesto consiglio a personaggi del calibro di Adriano Panatta, Gianni Clerici e Boris Becker - è quella di fermare l’avanzata dello sport ultrafisico che, secondo Clerici, negli ultimi anni stava trasformando il tennis in un incontro pugilistico.

Per questo sono stati vietati tutti i materiali tecnici prodotti dopo il 1979, sono state reintrodotte le racchette in legno dall’ovale “non più grande di un cuore d’alce” (parole del nuovo regolamento) e le corde in budello naturale - e, in tal senso, a niente è valsa l’enorme protesta animalista andata in scena a New York e guidata da Susan Sarandon che ne chiedeva la proibizione.

Quello avvenuto nel 2015 è un ritorno totale al gioco serve&volley, che ha avuto come prima conseguenza il ritiro precoce dall’attività agonistica dei campioni Rafael Nadal, Roger Federer e Novak Djokovic. Se di Nadal non si hanno più notizie pubbliche, Djokovic, dalla poltrona dello show che conduce sulla tv serba (Nole Night Live), ha lanciato diverse accuse al mondo del tennis e a Roger Federer, da poco presidente della ITF: “Anni a pensare che sarebbe stato l’unico di noi a saper giocare con la racchetta di legno e poi appena ci si torna a giocare si ritira”.

Federer si è ritirato a inizio 2015 ma ha messo la faccia su tutti i cambiamenti di regolamento ed è servito per rassicurare il pubblico sulla continuità del gioco. Secondo alcuni è stato grazie al suo lavoro diplomatico che abbiamo potuto apprezzare il ritorno in campo di stelle del passato particolarmente amate come Marat Safin, Stefan Edberg e John McEnroe, a 56 anni il più anziano vincitore degli US Open della storia.

Marat Safin e Tommy Haas fotografati mentre si dirigono al campo d’allenamento interamente vestiti dalla nuova linea adidas.

Dopo una carriera piuttosto anonima, riscattata solo da un vago culto di nicchia, Radek Stepanek è stato il giocatore del circuito ad aver maggiormente beneficiato dei cambiamenti di regolamento. A giugno ha portato a casa la prima vittoria a Wimbledon, e tutto lascia presagire che non sarà l’ultima. Dopo aver battuto in finale Michael Llodra – in una partita che ha registrato il record di quasi 200 discese a rete complessive -, il tennista ceco ha dichiarato: “Era questo che la gente voleva ed è questo il vero tennis: stop volley da metà campo e gioco offensivo, non scambi di 40 tiri a tre metri dalla linea di fondo”. Peraltro l’accorciamento degli scambi ha permesso di limitare il tempo concesso tra un punto e l’altro a un massimo di dieci secondi, eliminando così buona parte del tempo morto che imperversava in una normale partita. Abbiamo perso tutte le micro ritualità fatte da asciugamani, sospiri e calzettoni aggiustati. A beneficiarne la televisività di uno sport che ha visto sbarcare il Roland Garros in diretta su Rai Uno.

E la rivoluzione non sembra finita. Nel prossimo futuro, tra le misure che dovrebbero migliorare la “vendibilità” televisiva, alla ITF stanno pensando di sostituire il terzo set decisivo con un tiebreak giocato con la variante del “pittino”, un gioco da metà campo con battuta dal basso con divieto di schiacciare, utilizzato di solito per allenare la sensibilità e il tocco palla.

Il pittino sta riscontrando sempre più successo e a inizio 2015 è nata la IPF (International Pittino Federation), con sede a Williamsburg, dove la disciplina è diventata un passatempo di culto tra gli hipster. Si ipotizza che presto nascerà un circuito ufficiale di pittino, con campionati indoor da tenere nei mesi invernali, nei quali la stagione tennistica è ferma.

In una recente inchiesta di VICE sulle nuove tendenze giovanili, è emerso che due giovani newyorkesi su tre preferiscono il pittino alla bicicletta a scatto fisso.

Il pittino club di Williamsburg, sponsorizzato e vestito da American Apparel, in una foto dello scorso aprile.

Alcuni sostengono che dietro a questa innaturale evoluzione del gioco ci sia un complotto commerciale. L’età aurea del tennis, segnata dalle rivalità tra Federer, Nadal e Djokovic, stava ormai volgendo al termine e l’arrivo di giocatori dallo scarso carisma come Kei Nishikori o Milos Raonic avrebbe ridotto la ritrovata appetibilità mediatica dello sport. “A nessuno interessano quattro ore di scambi da fondo tra Nishikori e Goffin, questo la ITF lo sapeva e ha pensato bisognasse fare qualcosa. Così ha deciso di standardizzare lo stile di gioco più spettacolare” si scrive in un lungo articolo inchiesta uscito sul Guardian, sul quale si leggono anche inquietanti ipotesi: “la FIFA avrebbe già chiesto consulenza alle stesse persone che hanno curato l’operazione nel tennis per applicarla al calcio”.

Secondo le indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni ci sarebbe l’intenzione di arrestare anche nel calcio la grande esplosione fisica ed agonistica registrata negli ultimi anni. Come nel tennis, anche qui l’idea è quella di modificare il regolamento e il materiale tecnico a disposizione per favorire la standardizzazione di un preciso stile di gioco ritenuto maggiormente spettacolare.

La conferma è arrivata qualche giorno fa quando un collaboratore di Johann Cruijff ha pubblicato su facebook uno scambio di mail tra Blatter e lo stesso Crujff. Nelle mail si profilerebbe il progetto di una standardizzazione radicale del calcio di possesso e di posizione, con alcune regole che lo favorirebbero, tra le quali spicca l’introduzione del pallone a rimbalzo controllato misura 4 (quella finora utilizzato nel futsal).

Il nuovo pallone VenusianRetrò lanciato dalla Nike in estate è un 4 a rimbalzo controllato.

Nel nuovo calcio teorizzato da Cruijff si potrebbe tirare solo da dentro l’area piccola, sarebbe vietato concludere un’azione con meno di cinque passaggi e dopo trenta scambi di palla senza interruzioni si assegnerebbe un gol d’ufficio. Nelle mail sono allegati dei disegni nei quali vengono immaginati complicati torelli improvvisati dalle squadre, tutte raccolte in pochi metri di gioco, con portiere volante.

Nel futuro si ipotizzano altre regole: proibizione quasi totale del contatto fisico; abolizione di pettinature troppo vistose e ripristino del taglio “Johann Neeskens”; divieto per la Nazionale italiana di partecipare a qualsiasi competizione internazionale.

L’intenzione sarebbe quella di introdurre il nuovo regolamento e sperimentarlo per la prima volta in un torneo che si terrà a natale 2015 sui grattacieli di Dubai e a cui, pare, abbiano già confermato la propria partecipazione calciatori come Manuel Neuer, Andrès Iniesta, Zlatan Ibrahimovic, e Leo Messi.

Sul Guardian si scrive che, a partire da queste clamorose indiscrezioni, possiamo interpretare sotto una nuova luce gli strani movimenti di mercato di quest’estate. Nell’articolo si citano, in particolare, l’acquisto da parte del Paris Saint Germain di Sergio Busquets per una cifra vicina ai 120 milioni di euro; quello di Riquelme da parte del Real Madrid per 50 milioni; il ritorno inaspettato all’attività agonistica di giocatori come Paul Scholes e Juan Sebastian Veron; il rinnovo di contratto di Francesco Totti fino al 2020.

Se le indiscrezioni dovessero essere confermate non è difficile immaginare conseguenze anche per altre discipline. A quel punto ricorderemo il 2015 come l’anno zero per lo sport mondiale. L’anno in cui lo sport si è separato da un concetto che lo aveva caratterizzato negli ultimi anni, quello del superamento dei propri limiti fisici, per abbracciare un’idea di purezza estetica commercialmente spendibile.

2015: l'anno in cui Lotito diventerà presidente della FIFA.

diFulvio Paglialunga

Lo stavamo sottovalutando. Con questa storia dell'essere ovunque, le leggiadre prese per il culo, i meme sui social, la giacca dell'Italia impropriamente indossata, le motivazioni spiegate in latino. Ma mentre pensavamo, guardandolo con boria, che fosse alla fine poco più del badante di Carlo Tavecchio innamorato del ruolo di potente ombra del governo del pallone, Claudio Lotito stava andando oltre. Pensavamo, invece, in queste ultime settimane, di goderci un po' del suo silenzio, con l'illusione che avesse finalmente deciso di stare in una posizione più ritirata, silenziosa dopo la sovraesposizione, l'invadenza e – diciamolo – pure le vittorie politiche (perché poi in Lega e Figc ha vinto lui). Lui, invece, ha preparato tutto in modo scientifico, come sempre, e ce ne siamo accorti troppo tardi.

Quando Lotito, nell'ultimo giorno utile da regolamento (il 31 gennaio 2015) ha presentato la sua candidatura come presidente della Fifa, come concorrente di Blatter. Non alleato, ma oppositore, uomo dell'alternativa. Del resto una grossa parte della componente europea della Fifa chiedeva un cambio, cercava un uomo da sospingere e aveva puntato forte su Platini, che però ha deciso di rimanere all'Uefa e ha troppa paura di scottarsi con qualche dossier che Blatter è sempre pronto a tirare fuori per togliere di mezzo avversari. Le Roi ha scelto di aspettare il momento in cui il boss svizzero si ritirerà, ma nel frattempo qualcuno contro gli andava messo.

C'erano tra i papabili Jeffrey Webb, presidente della Confederazione calcistica del Nord, Centro America e Caraibi, il presidente della confederazione asiatica Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa e il segretario della Fifa Jerome Valcke. E di Jerome Champagne nessuno si fidava (non aveva ancora disattivato il sito della sua campagna elettorale, ma sarebbe stata questione di giorni) perché per 11 anni ha lavorato con Blatter e sembrava una testa di ponte. Lotito, come sempre, si è inserito nello spazio vuoto proponendosi come salvatore, prontissimo a quattro mesi di campagna elettorale in discesa.

La strategia è apparsa chiara dal principio: tutto il lavoro diplomatico lo ha fatto Ali bin al-Hussain, principe giordano all'epoca vicepresidente della Fifa che proprio nei primi giorni dell'anno aveva annunciato la sua candidatura, e da conoscitore dell'ambiente è andato in avanscoperta, sondando i suoi elettori per poi fare il gran gesto: puntando tutto sulle manovre oscure fatte intorno al rapporto di Michael Garcia sulla corruzione per l'assegnazione dei Mondiali in Russia e Qatar, al-Hussain ha annunciato che nell'ottica di un rinnovamento radicale della Fifa si sarebbe dovuto pubblicare per intero il rapporto Garcia (cosa di cui il principe giordano era sostenitore da tempo) e riaprire l'assegnazione almeno dei Monidiali 2020. Sopratutto: si sarebbero dovuto candidare chi fino a quel momento non avuto ruoli all'interno del governo mondiale del pallone. Dunque, il nome a sorpresa (ma in realtà nemmeno troppo per gli addetti ai lavori) di Lotito.

E va detto che a parte una gaffe su Garcia (ha perso due settimane cercando un legame tra l'investigatore americano e il tecnico della Roma) Lotito non ha sbagliato un colpo, muovendosi anche con delicatezza per arrivare all'incredibile obiettivo. Persino la disponibilità data da Tavecchio a far sperimentare la tecnologia in campo nel torneo italiano era un modo per dare l'idea di essere la parte che vuol rinnovare il calcio, e che quindi se l'Italia avesse cominciato per prima ad assecondare quel bisogno da più parti manifestato di ridurre al minimo i margini di errori degli arbitri, non poteva che avere poi l'Italia stessa un posto di rilievo nel calcio mondiale.

In realtà Lotito voleva solo entrare nel gotha del pallone: inizialmente non ambiva alla poltrona di capo, ma strada facendo ha capito di potercela fare con lo stesso modello utilizzato in Italia, ovvero presentandosi come l'uomo della provvidenza quando tutto sembra quasi finito, alleandosi con tutte le federazioni piccole che generalmente sono le più scontente o quelle che più facilmente cambiano idea in cambio di promesse non necessariamente grandi. E, soprattutto, trovando un potere forte in grado di sostenerlo fino in fondo.

Se l'operazione Lazio è stata fortemente caldeggiato da forze politiche trasversali, per la Fifa vale lo stesso grande sponsor della Figc: è sempre Infront a decidere il destino. Il colosso svizzero è stato ancora una volta decisivo, perché Philippe Blatter, presidente e amministratore delegato dell'azienda, è ormai in aperto contrasto con lo zio Sepp per via degli ultimi Mondiali in Brasile e di entrate minori del previsto, che il più giovane dei Blatter ha interpretato come errore della Fifa e perché dai mondiali del 2018 e 2022 voleva di più (pur essendo, ad esempio, già esclusivo rappresentante commerciale per la distribuzione dei diritti di trasmissione delle due Coppe del Mondo in Asia, con un accordo che riguarda 26 paesi).

Alla Fifa, però, i soldi di Infront facevano comodo, non avendo nemmeno il tempo per affidarsi nel caso a un altro advisor (e avendo peraltro la stessa Infront già un contratto con la Uefa per i prossimi europei in Francia, ed ecco perché da parte delle federazioni europee c'era una grossa spinta per un nome caro all'azienda svizzera). Dalla faida familiare è spuntato proprio Lotito. Che era ovunque, ma non ancora qui.

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