Anche quest'anno all'Ultimo Uomo i primi dell'anno li passiamo a raccontare le storie dei giovani talenti che già nel 2022 sembrano lanciati verso un futuro pieno di promesse. È quello che facciamo i primissimi dell'anno, no? Guardare lontano per capire cosa ci riserverà questo nuovo giro. Parliamo di calciatori nati non prima del 2002 che, per talento e/o storia personale, sarà interessante seguire il prossimo anno, anche se magari non sarà ancora quello della consacrazione (e come potrebbe esserlo, d'altra parte, così presto). Questo di fatto esclude tanti nomi già importanti del calcio europeo, che si fermano proprio sulla soglia di questo limite, da Haaland a Vinicius Junior, da Foden a Sancho e Musiala. Non troverete nemmeno giocatori di cui probabilmente già saprete tutto, perché hanno avuto un anno eccezionale per la loro età e giocano già con la continuità dei trentenni, come Pedri, Bellingham o Ansu Fati. Se volete però potete sempre recuperare le vecchie edizioni: 2021, 2020, 2019, 2018.
Buona lettura, e ancora buon anno cari lettori.
Jérémy Doku, 2002, Rennes (Belgio)
La prima palla che ha toccato Jeremy Doku contro l’Italia ha fatto un saltello davanti a Jorginho e lo ha superato mentre quello scivolava, poi ha provato ad allungarsi la palla in velocità alle spalle di Di Lorenzo che di tacco ha intercettato e lo ha chiuso sulla linea del fallo laterale, ma in qualche modo Doku è riuscito a fargli passare la palla dietro la schiena e a girargli intorno e solo a quel punto Bonucci è riuscito a intervenire e togliergli definitivamente la palla. Schierato a sorpresa dall’inizio, largo a sinistra al posto di Eden Hazard che aveva dato tutto contro l’Austria agli ottavi di finale: a diciannove anni compiuti da poco più di un mese è diventato così il più giovane belga ad aver giocato titolare la fase finale di un Europeo. Quella prima azione con tre dribbling tentati era l’annuncio di una partita che, per quanto sfortunata per la sua squadra, Doku ricorderà a lungo, una specie di portfolio delle sue capacità tecniche e atletiche riassunte nel record di otto dribbling riusciti (nessuno ne ha mai fatti tanti in una singola partita agli Europei, dal 1980, o ai Mondiali, dal ‘66).
In ogni caso è dopo quella partita che si è parlato molto di Doku, di come a quindici anni abbia preferito restare all’Anderlecht anziché trasferirsi a Liverpool (dove Klopp lo vedeva come l’erede di Sadio Mané) e del fatto che il Rennes potrebbe avere per le mani un altro potenziale affare dopo Camavinga (diciamo almeno un altro paio, considerando anche Kameldeen Sulemana). Si è parlato, soprattutto, della sua velocità, quasi irreale nei primi passi, anche per come allunga le gambe per scivolare davanti agli avversari o per arrivare su palloni che sembrava essersi allungato troppo. E si è forse trascurata la sua abilità tecnica che gli permette di provare cose difficili, perché una cosa è allungarsi il pallone in campo aperto e correre più veloce dell’avversario, un’altra, come fa lui, accelerare insieme alla palla nello spazio tra due giocatori, e poi girare al lato del secondo mettendo il corpo tra palla e avversario per passare davanti anche a quello. Doku può giocare a sinistra come a destra, andare lungo linea o entrare dentro al campo: in ogni caso quando punta le difese è difficile fermarlo.
https://twitter.com/espnfc/status/1411338959234478084
Dopo l’Europeo si è infortunato prima ai muscoli della coscia e poi ai legamenti del ginocchio (senza bisogno di intervento). È tornato a giocare da poco e sarebbe già bello se usasse la seconda parte di questa stagione per tornare al meglio e migliorare un pochino le proprie scelte, in attesa di fare il salto definitivo, magari, la prossima stagione. In un’intervista video gli hanno chiesto qual è il suo giocatore preferito e lui ha risposto: “Messi, è un dribblatore, fa assist, segna…”. L’intervistatore scherza: “un po’ come te?”, ma Doku non si fa fregare: “Messi è un grande giocatore, non esiste il paragone”. Al momento in Europa solo il 2% delle ali dribbla come Doku, e il 3% porta palla per tante volte, per tanti metri, quanto fa lui (statistiche Statsbomb). Gli mancano però le altre due qualità che ammira in Messi: la capacità di fare assist con costanza e il tiro in porta. Se sarà in grado di migliorare questi due aspetti del suo gioco - e tecnicamente ne ha tutte le possibilità - nel giro di poco ci ritroveremo a parlare di un grande giocatore. Quanto grande? Il bello sarà scoprirlo.
Karim Adeyemi, 2002, Red Bull Salisburgo (Germania)
Una delle caratteristiche più evidenti ed eccezionali di Haaland è la sua capacità di tagliare la linea difensiva come un coltello nel burro con fanno movimenti velocissimi e profondissimi ricevendo in corsa, magari già dietro la linea difensiva avversaria. Quella dei movimenti veloci in profondità è la prima cosa che salta all’occhio anche vedendo i gol di Adeyemi nell’ultimo anno e non è un caso se pare che sia proprio lui il prescelto dal Borussia Dortmund per sostituire Haaland, quando quest'ultimo partirà per altri lidi. D'altra parte, la stessa identica cosa era già successa quando a sostituire Haaland ci aveva dovuto pensare il Red Bull Salisburgo, che probabilmente a fine stagione concretizzerà un'altra cessione al Borussia Dortmund per circa 40 milioni.
Adeyemi da ormai una stagione e mezza è il titolare della squadra austriaca, che l’ha acquistato ancora sedicenne pagando la cifra record di 3 milioni alla squadra bavarese dell’Uterhaching. È nato e cresciuto a Monaco di Baviera da padre nigeriano e madre rumena, da subito riconosciuto da subito come uno dei migliori talenti della zona, e inevitabilmente passato per le giovanili del Bayern. Lì però è stato scartato dopo un paio di anni per non ben chiari motivi disciplinari ed è quindi passato alle giovanili dell’Uterhaching. Il Red Bull Salisburgo ha fiutato l’affare e un anno dopo l’acquisto già lo ha fatto esordire in prima squadra.
Adeyemi ama attaccare l'area di rigore da lontano, e lo fa con grande varietà di scelte e intelligenza. Lo fa puntando l’uomo grazie ad una capacità di dribbling che va oltre la tecnica in velocità, perché possiede anche dribbling di pura fantasia. E anzi proprio la capacità di dribblare l’avversario muovendosi sull’esterno gli permette di occupare qualsiasi ruolo del fronte offensivo. Anche se ovviamente non è stato in grado di replicare le medie realizzative fuori scala di Haaland, in Austria sta avendo ora una stagione della rivelazione con 18 gol in 30 partite, con 3 gol nel girone di Champions League tra cui la doppietta nella vittoria contro il Lille. Proprio alla prima giornata del girone, contro il Siviglia poi è arrivata la partita in cui è finito sulla bocca del grande pubblico quando si è procurato 3 rigori in 35 minuti: uno ricevendo il passaggio al centro, uno alla sinistra e uno alla destra dell’area. Una specie di trailer delle sue capacità offensive, che hanno tenuto sulle spine un'intera linea difensiva. Il film speriamo di vederlo già quest'anno.
Rayan Cherki, 2003, Lione (Francia)
Lo scorso anno avevamo presentato Cherki al suo primo vero anno tra i professionisti, chiedendoci se sarebbe stato subito in grado di avere una presenza più organica nella partita al di là delle giocate ad effetto. Quel momento non è ancora arrivato, ma Cherki ha solo 18 anni e il Lione di Bosz non sembra ancora il contesto adatto in cui crescere. La squadra è tredicesima e in campionato e il franco-algerino non arriva neanche a trecento minuti giocati. Bosz sembra il tipo di allenatore con un calcio troppo codificato per il gioco di Cherki, non proprio il massimo per un giocatore da strada come lui. A novembre, dopo una vittoria per 3-1 sul Brondby in Europa League nella quale Cherki aveva anche segnato una doppietta, il tecnico olandese non ha risparmiato critiche al suo modo di giocare: «Nel primo tempo non si è comportato bene, come il resto della squadra. Soprattutto nel pressing, mi attendevo qualcos’altro. Sono troppo esigente? Può darsi che da allenatore veda anche altre cose. Vuole troppo spesso la palla nei piedi, ma a volte deve chiederla in profondità. Ha un grande potenziale, ma non è quello che mi aspettavo prima della pausa».
Bosz ha le sue ragioni, perché Cherki ha un talento rarissimo nel dribbling e nello stretto e deve metterlo a frutto, ma il Lione non lo aiuta molto non riuscendo a far ricevere i suoi giocatori offensivi in situazione di vantaggio. Cherki, da subentrato, ha giocato soprattutto da ala destra, ricevendo in isolamento ma senza ritmo: non è lento, ma non è neanche un velocista, ha bisogno di spazio per convergere se parte con i piedi sulla fascia. Per giunta, nell’unica partita da titolare, contro il Monaco, ha giocato da falso nove – mancavano tutti gli attaccanti. Il Lione non sapeva creare spazio nella sua zona, lui ha fatto qualche buon appoggio, ma poi, costantemente di spalle e con i centrali incollati, non è stato preciso.
La stagione, insomma, è partita male, ma Cherki può guardare con ottimismo al 2022. Innanzitutto perché lontano dalla Ligue 1 – in Europa League e con l’Under 21 francese – sta accumulando minuti, assist e gol. Contro Brondby e Sparta Praga, in particolare, il ragazzo di Pusignan è stato l’attrazione principale: oltre al solito repertorio di trick, da segnalare un gol con Ronaldo Chop ai danesi e uno splendido filtrante per Slimani contro i cechi. Inoltre, nell’ultima partita prima della sosta, contro il Metz, Cherki ha disputato tutto il secondo tempo ed è stato il migliore dei suoi, una continua minaccia ogni volta che il Lione riusciva a cambiare gioco su di lui. Quella prestazione, magari, servirà a convincere Bosz a farlo giocare di più, anche senza dover chiamare palla in profondità.
Charlie Patino, 2003, Arsenal (Inghilterra)
Invece di chiederci se esiste davvero, un calciatore che si chiama Charlie Patino e gioca nell’Arsenal, dovremmo invece guardare i suoi video, o addirittura una sua partita, se siamo così fortunati da avere a disposizione le partite dell’Arsenal U-23. Magari vi è capitato sotto gli occhi un video di un suo gol contro il Manchester United U-23. Patino che recupera palla correndo all’indietro, poi si gira con l’energia della gioventù e si mette a sciare in mezzo a tutta la difesa avversaria, trovando la calma finale per superare il portiere con un pallonetto che nemmeno lo scavalca, gli passa solo a fianco.
Ma nel 2022 non dovrebbe essere troppo complicato vedere Charlie Patino in campo anche fra i grandi. Qualche settimana fa, in Carabao Cup, si è preso la soddisfazione di segnare il primo gol fra i professionisti, concludendo con un piatto semplice un assist altrettanto semplice di Nicolas Pepé. Patino è diventato il più giovane esordiente a segnare con la maglia dell’Arsenal dal 1963. Anche in questo caso il Sunderland si è ritrovato dal lato sbagliato della storia.
Patino è un centrocampista mancino, una mezzala cresciuta col mito di Iniesta e che porta palla cercando di farsi liquido nei corridoi avversari. È uno di quei centrocampisti che sembrano nati per battere la pressione avversaria, per uscire sani e salvi da mucchi di avversari che li assaltano. Usa quasi solo il sinistro ma ha un controllo notevole in conduzione e quella capacità sempre un po’ misteriosa di ingannare gli avversari che è propria dei grandi dribblatori. Su di lui circola già un’aneddotica fra il clamoroso e il ridicolo. Uno scout che visionò Patino ai tempi del Luton Town lo definì «Il più grande talento che abbia mai visto» aggiungendo: «Ha un’intelligenza e una capacità di leggere gli spazi che non avevo mai visto in nessun altro». Suo padre è spagnolo (eccovi svelato il mistero del suo cognome, se ve lo steste chiedendo), ed è forse il suo DNA a spiegare in parte le sue caratteristiche tecniche - quella di una mezzala che porta palla e crea gioco sulla trequarti partendo da più lontano. Atri profili a cui è stato accostato sono Wilshere e Foden, due centrocampisti inglesi mancini molto tecnici che non sembrano appartenere alla scuola calcistica britannica. Nel 4-2-3-1 di Arteta potrebbe entrare nelle rotazioni al posto di Martin Odegaard.
A proposito del suo esordio tra i grandi, Arteta ha commentato «We have to cook Patino slowly», una frase di cui avrete intuito il senso, ma che non smette comunque di suonare buffa.
Eduardo Camavinga, 2002, Real Madrid (Francia)
Eccoci qui, per l’aggiornamento annuale della carriera di Eduardo Camavinga. Riassunto delle puntate precedenti: dopo avergli messo la 10 e tutto il peso creativo del Rennes sulle spalle, Camavinga ha passato un periodo non brillantissimo in Francia. Deschamps, che lo aveva fatto esordire in prima squadra, lo ha rimandato in Under 21, con cui ha lo scorso marzo ha giocato un pessimo campionato europeo. Titolare solo nella prima partita, la Francia è stata eliminata agli ottavi con una formazione ridicolmente forte (Tchouameni, Gouiri, Caqueret, Ikoné, Koundé, Konaté). Ad agosto avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi (altra brutta figura delle espoirs francesi) ma il Rennes si è rifiutato di lasciarlo andare perché giocava i preliminari di Europa League e iniziava anche la Ligue1. Dopo qualche partita, però, è arrivato il passaggio al Real Madrid.
Quella del Real è sembrata una ripicca al PSG che non ha lasciato andare Mbappé e che puntava Camavinga da tempo. A Camavinga però non è importato molto e nelle prime due presenze con la maglia del Madrid ha segnato un gol e realizzato un assist (quello che ha sbloccato la partita di andata con l’Inter: una corsa senza palla geniale seguita da un tocco di interno sinistro al volo per Rodrygo solo al centro dell’area). Carlo Ancelotti lo fa quasi sempre alzare dalla panchina, come primo cambio a centrocampo, ultimamente lo sta provando soprattutto nel ruolo di Casemiro davanti alla difesa, e al posto del brasiliano squalificato ha giocato la sua prima partita da titolare, appena prima di Natale contro l’Atlhetic Club. In quel ruolo Camavinga può giocarsi le sue carte migliori: la pulizia nel distribuire palla col suo piede sinistro fatato, sul breve come sul lungo (completa quasi il 90% dei passaggi), e le letture difensive, sia sotto forma di pressioni in avanti che di recuperi all’indietro.
Insomma, finalmente sembra in un contesto in cui può crescere senza fretta ma in cui non può neanche adagiarsi troppo sugli allori. A Madrid qualcuno disposto a farti il posto c’è sempre, per cui in campana Eduardo che Modric, Kroos e Casemiro non sono eterni e ti devi far trovare pronto.
Andreas Schjelderup, 2004, Nordsjaelland (Norvegia)
Nonostante abbia compiuto diciassette anni solo lo scorso giugno, Andreas Schjelderup sta già disputando la sua seconda stagione tra i professionisti, quasi sempre da titolare. Norvegese, classe 2004, è cresciuto nelle giovanili del Bodø Glimt, con cui però non ha mai esordito in prima squadra. A luglio 2020, infatti, si trasferisce al Nordsjaelland, dove trascorre qualche mese in Under 19, prima di esordire nella Super League danese a febbraio 2021. Il Nordsjaelland è la squadra più giovane dei trenta principali campionati europei. Appartiene al “Right to Dream Group”, un network di accademie fondate in Ghana da Tom Vernon, un vecchio scout del Manchester United (così si spiegano gli acquisti di talenti ghanesi come Kudus e Sulemana). I danesi hanno prospettato a Schjelderup un ingresso immediato in prima squadra e così hanno battuto la concorrenza di Ajax, PSV, Bayern Monaco, Juventus, Tottenham, Liverpool e Atalanta, con cui aveva avuto dei colloqui.
Il ragazzo di Bodø ha subito stupito tutti. Il suo ingresso tra i professionisti è stato naturale, tanto da essere già diventato uno dei rigoristi del Nordsjaelland – li batte di piatto col saltello, alla Jorginho. In Norvegia, nel pieno dell’ebbrezza per Haaland, i giornali già chiedono al CT della nazionale Solbakken, ex allenatore del Copenaghen ed esperto di calcio danese, se Schjelderup potrà diventare un giocatore da cento milioni di euro nei prossimi anni. Se è ancora presto per parlare di prospettive del genere, è vero che il Nordsjaelland cede subito i suoi migliori talenti, quindi non è difficile immaginarlo in uno dei principali campionati europei il prossimo anno.
Dal punto di vista fisico sembra abbastanza pronto: è alto 1,76 cm e pesa 73 chili, al primo anno in Danimarca ha messo su sei chili e vista l’età potrebbe crescere ancora. Ciò che contraddistingue Schjelderup, però, è la sua notevole pulizia tecnica. Destro naturale, sia da punta in un attacco a due che da ala gli piace occupare il lato sinistro del campo. Ha un ottimo controllo orientato, motivo per cui non si limita a ricevere aperto ma si posiziona spesso tra le linee, nel mezzo spazio. Per girarsi gli basta quasi sempre un tocco, dopo il quale punta la difesa con buona reattività nel dribbling. Fronte alla porta, negli ultimi trenta metri, Schjelderup si distingue per la qualità dei suoi passaggi, sia alle spalle della difesa, sia per i compagni che si smarcano con movimenti incontro. Tra le sue particolarità, il modo in cui usa il collo del piede destro per scavalcare gli avversari con deliziosi scavetti. Insomma, Schjelderup non si limita alla giocata individuale, ma per la continuità con cui si fa vedere tra le linee e per la qualità dei suoi passaggi cerca di influenzare più che può la partita: non è un caso che, nonostante giochi soprattutto in attacco, il suo idolo sia Iniesta, «per la tecnica nello stretto», dice lui. I paragoni con Damsgaard, altro prodotto del Nordsjaelland, sono già iniziati, e chissà che la storia di un giocatore per certi versi simile non lo induca a trasferirsi in Italia.
Mattia Viti, 2002, Empoli (Italia)
Fino a pochi mesi fa non sapevamo chi fosse Mattia Viti, oggi è una presenza che diamo per scontata nelle partite di metà classifica della Serie A. Solo questo basterebbe a raccontare l’andamento delle nostre aspettative per un giocatore che l’anno scorso in Serie B aveva giocato appena 92 minuti e prima ancora nessuno tra i professionisti: stupore, hype, delusione, realismo. Viti non ha nemmeno 20 anni e improvvisamente è diventato titolare di una squadra che ha battuto la Juventus, il Sassuolo, il Napoli. In realtà la sua presenza non è stata costante, così come le sue prestazioni: una buona tecnica in impostazione e in conduzione alternata a diverse incertezze nell’utilizzo del corpo e negli uno contro uno, partite di apparente sicurezza inframmezzate da sbavature piuttosto evidenti. Tutto normale per un percorso di crescita che è appena iniziato se non fosse che siamo in Italia, la patria dove tutti invocano la diagonale come fosse un santo. Nonostante sia molto più eccezionale non farsi notare in Serie A senza aver praticamente mai giocato tra i professionisti, in molti si ricorderanno di lui per l’autogol contro l’Atalanta, in cui si è prima perso Duvan Zapata in area e poi, per recuperare, ha messo la palla nella sua porta con un disperato intervento in scivolata.
Ma Zapata è uno degli attaccanti più dominanti del campionato, mentre Mattia Viti (che comunque aveva fatto una buona partita contro una delle squadre contro cui è più difficile difendere) è un difensore che ancora deve mettere molta esperienza sul suo talento. Quanto sarà in grado di crescere già quest’anno? I giovani difensori di solito non squarciano il firmamento del calcio europeo con partite abbaglianti, ma la loro crescita avviene per lenta accumulazione: di informazioni, capacità, malizia. Difendere è un talento in primo luogo mentale, di previsione e furbizia, e Viti dovrà dimostrarne molta per affermarsi in Serie A. Per il poco che ha fatto vedere fino ad adesso, sembra infatti uno di quei difensori tecnici che cercano di andare sempre per il pallone e che fanno leva soprattutto sul posizionamento in campo, il tempismo e la postura del corpo. Senza qualità atletiche eccezionali, Viti dovrà portare queste caratteristiche a diversi livelli superiori. Nel calcio il tempo passa più velocemente e spesso è difficile ricordarselo ma siamo solo all’inizio.
Kamaldeen Sulemana, 2002, Rennes (Ghana)
Per la qualità e il talento dei suoi giocatori la nazionale del Ghana si è guadagnata il soprannome di "Brasile d’Africa". Certo, non ci sono più fuoriclasse del calibro di Essien e André Ayew non ha rispettato le attese sulla sua carriera. Tuttavia, c’è un giocatore che più di chiunque tiene fede alla fama del calcio ghanese. Per capire come si comporti in campo Kamaldeen Sulemana, basti sapere che su Instagram il suo nome è Kamaldeenho: una vera appropriazione del concetto di brasiliano d’Africa. Se, com’è lecito, pensate che un nickname su Instagram non sia abbastanza, allora sappiate che la garanzia di qualità su Sulemana è il Rennes, che lo ha preso in estate dal Nordsjaelland. Quasi nessuno, in Europa, è più competente del Rennes in materia di ali dribblomani col telaio in fibra di carbonio: prima del ghanese, Ousmane Dembele, Ismaila Sarr e Jeremie Doku. E se ancora non vi fidaste degli scout del Rennes, basterebbe porvi una domanda: quanti giocatori conoscete in grado di umiliare Achraf Hakimi in velocità, magari partendo da fermo? Kamaldeen Sulemana di sicuro, visto che l’ex Inter non è mai riuscito a stargli dietro in un Rennes-PSG di qualche mese fa.
Ma la velocità pura, come accennato, non è neanche il tratto più strabiliante del gioco di Sulemana. È la sua capacità di reazione, anche chiuso da tre avversari, a lasciare a bocca aperta. A velocità normale si fatica a contare le volte in cui Kamaldeenho tocca la palla, con una capacità di alternare sterzate praticamente in qualsiasi condizione. Il tratto più brasiliano del suo gioco, però, è un amore spropositato per i doppi passi. Si sta ancora formando, quindi gioca soprattutto in isolamento, per cui ogni volta che punta un terzino mulina le gambe intorno al pallone più volte che può. Gli avversari cercano sempre di indietreggiare, anche perché è ambidestro in conduzione e può convergere verso il centro partendo da entrambe le fasce. Dopo essere rientrato, pensa soprattutto a calciare, se può dritto per dritto verso il secondo palo; è destro, ma non disdegna l’uso del mancino.
Vi sfido a non restare con le mani nei capelli dopo questo gol, culminato in una citazione del miglior Antonio Cassano
La Ligue 1 è il campionato dei dribblatori, e in Francia tra i giocatori con almeno dieci presenze Sulemana è quinto per dribbling riusciti ogni 90’ (2,9 a fronte di 2,1 sbagliati). Sono pochi i giovani più eccitanti da osservare del ghanese.
Destiny Udogie, 2002, Udinese (Italia)
Udogie si era presentato all’Udinese quest’anno in pompa magna. Pierpaolo Marino, ds dei friulani, si era spinto in una dichiarazione ai confini tra fantascienza e cringe «Tra poco dovrà cambiare nome, perché Destiny è troppo poco per lui». Un talento più grande del destino? Udogie non ha nemmeno vent’anni, è un terzino e in un campionato in cui il rischio è scacciato come satana, non c’era niente di scontato nel fatto che potesse trovare spazio da titolare.
Un po’ per il 3-5-2 che comunque gli assicura copertura alle spalle, un po’ per la capacità di Gotti di mettere i giovani a proprio agio, per Udogie è stato tutto più semplice e veloce del previsto. Non che sia andato tutto liscio. Dall’inizio della stagione ha commesso diversi errori: a volte stacca la testa dalla partita, è troppo leggero quando si tratta di difendere, o di non commettere errori. Ma le sue sbavature non gli sono mai davvero costate il posto, soprattutto per quello che poi Udogie aggiunge all’Udinese col pallone tra i piedi. «Il mio ruolo è terzino sinistro. Sono cresciuto giocando arretrato a sinistra e lì mi sento a mio agio. Conosco i miei pregi e cerco di valorizzarli». Con la palla tra i piedi, Udogie è un esterno completo: sa portare palla, dribblare, associarsi con i compagni, creare sempre qualcosa di pericoloso. Le sue letture col pallone sono forse la sua caratteristica migliore, quella che gli permette di giocare anche davanti alla difesa nell’Under-21 italiana, e che gli permette di essere un esterno contemporaneo, capace di gestire e processare una grande mole cognitiva di informazioni.
Udogie dice di ispirarsi a Marcelo, e se non ha né la sua tecnica né la sua creatività, è chiaro che nell’intraprendenza con cui gioca che vuole influire ed essere determinante sempre col pallone. Non si limita mai al compitino. Le sue statistiche avanzate non sono eccezionali, per quanto riguarda le corse progressive, i dribbling e gli aspetti creativi - ma sono tutti numeri su cui Udogie pare avere promettenti margini di miglioramento. In fondo è la sua prima stagione da titolare in Serie A, e osservare il suo sviluppo sarà entusiasmante.
Zidane Iqbal, 2003, Manchester United (Iraq/Inghilterra)
Iqbal è nato a Manchester da padre pachistano e madre irachena; gioca a centrocampo e potete scegliere quale articolo enfatico preferite sul suo conto:
- “Un video suggerisce che Zidane Iqbal potrebbe essere il nuovo Beckham”.
- “Il Manchester United ha letteralmente il proprio Zidane”.
Personalmente apprezzo l’umorismo del secondo, ma sono attratto in modo stregonesco dal primo. È come se qualcuno fosse entrato casualmente in possesso di una videocassetta segreta, e da questa videocassetta si capisse che qualcosa di inaudito sta succedendo nell’academy del Manchester United. Il video a cui si fa riferimento è uno in cui Iqbal segna su punizione facendo passare la palla sopra la barriera con un effetto che la fa finire all’incrocio dei pali. Cresciuto nel Sale Manchester (sì: esiste davvero una squadra con questo nome), uno dei suoi primi allenatori, Stewart Hamer, ha raccontato che nelle partitelle da ragazzini dovevano metterlo in porta per evitare che il suo eccessivo talento provocasse danni.
Il suo bagaglio tecnico è, in effetti, ancora oggi piuttosto incredibile. Primo controllo di velluto, abilità di calcio con entrambi i piedi, baricentro basso, gioco nello stretto da giocatore catalano o argentino. Può giocare mezzala, trequartista, esterno offensivo. L’impressione è che abbia un rapporto tra atletismo e tecnica un po’ sbilanciato per giocare in Premier League. L’ultimo giocatore uscito dal Manchester United con una tecnica tanto esasperata, Adnan Januzaj, ha bruciato in fretta e non fa che ricordarci Macaulay Culkin, anche per una vaga somiglianza fisica. Iqbal ha firmato il primo contratto da professionista a 17 anni e contro lo Young Boys, a dicembre, ha esordito in prima squadra. L’arrivo di Rangnick potrebbe aiutarlo a inserirsi anche in una macchina brucia-talento come il Manchester United, ma anche non dovesse farcela, Iqbal promette di diventare un centrocampista di culto per i prossimi anni.