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Redazione

40 giovani da seguire nel 2022 – Quarta parte

Samardzic, Cancellieri, Nico Gonzalez e altri giovani da tenere d’occhio quest’anno.

Il nostro viaggio tra i talenti più interessanti da seguire nell’anno che si è appena aperto si conclude con l’ultima decina di nomi. La prima la trovate qui, la seconda qui, la terza qui

 

Matheus Nascimento, 2004, Botafogo (Brasile)

Ha 17 anni, il cognome di Pelè e gioca centravanti. Però ha anche i capelli morbidi come lana, che quando corre danzano all’indietro dandogli un’aria equina; per questo è stato soprannominato “Cavaninho”, oltre che per l’aria slanciata e filiforme. Di lui si parla con entusiasmo cieco sin da quando era così piccolo che in campo si vedevano solo i suoi capelli. È circondato dall’aneddotica del grande calciatore sudamericano. Si racconta abbia giocato sempre sotto età. Si racconta di più di 150 gol nel settore giovanile del Botafogo, di cui è diventato il più giovane esordiente nella storia. Un anno e mezzo fa ha firmato il suo primo contratto professionistico, con dentro una clausola da 50 milioni di euro.

 

Il suo inserimento è stato facilitato dalla storica difficoltà nel calcio brasiliano di trovare centravanti affidabili. Una difficoltà che arriva in Nazionale, ma dopo aver attraversato i problemi strutturali di tutto il movimento.

 

 

Neanche minorenne conta già una quindicina di presenze in prima squadra col Botafogo, e non ha ancora segnato. A livello fisico è ancora un bambino, sembra annegare nella maglia bianconera, e se riesce ad avere comunque già un suo impatto nel calcio professionistico è per una già notevole capacità di smarcarsi e per delle qualità tecniche evidenti. «È raro trovarsi davanti un giovane così talentuoso» ha dichiarato Renato Portaluppi di recente. Nel 2022 lo vedremo sicuramente prendere più confidenza con gli spazi e i tempi del calcio degli adulti. Si parla per lui già di un interessamento del Real Madrid (che ama comprare i talenti brasiliani già nella culla) e dello Shakthar Donetsk (che possiede un canale privilegiato col Brasile).

 

Julio Enciso, 2004, Libertad (Paraguay)

Un attaccante dribblomane di nemmeno 18 anni, che gioca ancora in Paraguay, ma di cui già si parla dall’altra parte del mondo – verrebbe da dire: cosa potrebbe mai andare storto? Julio Enciso ha le orecchie a sventola, i capelli fini e lo sguardo da bambino, ma quando lo si vede giocare è impossibile non pensare al “Kun” Agüero. Non parliamo di talento, ovviamente, ma a quel modo tutto sudamericano di tenere il pallone tra le gambe, di farlo ballare tra un piede e l’altro mentre il bacino oscilla attratto dalla gravità a protezione delle sue danze. Enciso non è ancora una prima punta (come non lo era nemmeno Aguero all’inizio d’altra parte), ma nemmeno del tutto una seconda punta o un’ala: alla fine non è ancora maggiorenne, perché lo volete rinchiudere già in un ruolo definito? Forse perché il suo percorso ha già i connotati cristologici della predestinazione: in Paraguay di lui si parlava quando ancora aveva 11 anni e giocava tra le strade di terra arancione della sua Caaguazú, ed è da quando ne ha 15 che i suoi allenatori lo considerano un fenomeno totale. Il suo 2021 è stato spumeggiante, se consideriamo che è il primo in cui è davvero titolare nella sua squadra, il Club Libertad di Asuncion: 5 assist e soprattutto 8 gol, tra campionato, Copa Sudamericana e Libertadores (quest’ultimo però nella sconfitta per 4-1 contro l’Atletico Nacional). Eppure il gol non sembra essere la cosa che rende speciale Enciso, il cui talento gravita e penso graviterà sempre nella zona del pallone, intorno al fulcro del gioco.

 

Enciso non è particolarmente veloce, non lo sembra nemmeno nel campionato paraguaiano e questo non può che sollevare qualche inquietudine sul suo futuro: come farà se e quando sbarcherà in Europa, anche in campionati più compassati come la Liga o la Serie A? la sua sensibilità con il pallone è però da primo della classe: Enciso la tocca con l’erotismo dei trequartisti argentini, soprattutto con il destro, che utilizza in tutte le sue parti – la suola per attirare l’avversario, l’esterno per liberarsene, l’interno per fintare un tiro o trovare il compagno dentro l’area con un lob che assomiglia a un arcobaleno. Forse la cosa che più può far sperare di continuare a sentirne parlare in futuro è la quantità di cose che sa fare sulla trequarti: Enciso è un giocatore che ama partire da lontano per puntare l’avversario e dribblarlo, ma anche un ottimo creatore di gioco; sa associarsi fuori dall’area ma anche entrarci con movimenti da vera prima punta. E in tutto questo sembra avere anche ottime doti realizzative. Il suo 2022 sarà solo il primo dei molti anni in cui ci chiederemo: dove può arrivare nei prossimi 365 giorni? O almeno lo spero per lui: significherebbe che il suo talento non sarà rimasto solo una speranza.  

 

Nico González, Barcellona, 2002 (Spagna)

Figlio di Fran, leggenda del Deportivo La Coruña nei suoi anni d’oro, Nico Gonzalez non condivide quasi nulla sul campo con il padre, che era un esterno o trequartista velocissimo. Gonzalez invece è un centrocampista di quasi 190 cm dal passo pesante. Il padre, da giocatore, era stato vicinissimo a passare al Real Madrid prima di decidere di rimanere in Galizia e proprio lì voleva far crescere il figlio, che però aveva altre idee e fin da subito ha accettato la corte del Barcellona. Da lì non si è mosso neanche quando a bussare alla porta è arrivato il Manchester City, in cui il padre lavorava nelle giovanili. Coetaneo di Ansu Fati con cui ha fatto la trafila nelle giovanili, l’ha raggiunto in prima squadra in questa stagione di rifondazione per la squadra catalana.

 

Rispetto ad Ansu, Pedri e Gavi, Nico è ancora indietro rispetto a questi mostri di precocità (non è stato ancora convocato in Nazionale maggiore da Luis Enrique, che sembra voler dare sempre un’occasione a chiunque) però non sta giocando meno. Sia con Koeman che con Xavi gli stanno arrivando minuti e occasioni in diversi ruoli del centrocampo – forse anche per capire meglio come svilupparlo dato che tra tutti è quello meno definito come talento. Nelle giovanili giocava mezzala, poi è stato arretrato come centrocampista davanti alla difesa dall’inizio della scorsa stagione nel Barcellona B. Gli è stato messo il macigno in testa di erede di Busquets e con questo peso addosso è stato promosso in prima squadra.

 

 

Ma con Busquets ha in comune solo alcuni aspetti del suo gioco e l’interpretazione del ruolo è diversa, non fosse altro che Nico è più potente fisicamente e il paziente lavoro di posizionamento nelle marcature preventive di Busquets non sembra ancora fatto per un giocatore impetuoso (spesso anche troppo). In comune ha un rapporto col pallone sbilanciato rispetto al fisico da spilungone: Nico controlla il pallone anche nello stretto come un giocatore dal baricentro basso, anche perché questo era prima di crescere tutto insieme un’estate e ritrovarsi con le gambe lunghe e le spalle grosse. Ma anche con la palla Nico è molto più mobile di Busquets ed è solito spezzare le linee non soltanto con i passaggi ma anche con la conduzione palla al piede.

 

Anzi si può dire che il meglio in prima squadra l’ha dato quando è stato schierato come mezzala, con la libertà di inserirsi in avanti fino all’area o partire in conduzione invece che rimanere ancorato alla difesa per dare la continuità alla giocata. Ma non è detto che limando alcune tendenze e lavorando sulle letture non ne esca il centrocampista tecnico e fisico davanti alla difesa che cerca il Barcellona come erede di Busquets. Se c’è un momento storico in cui i blaugrana possono permettersi di aspettare un giocatore dandogli tanti minuti, alla fine, è proprio questo.

 

Noni Madueke, 2002, PSV (Inghilterra)

Se fissate troppo a lungo una foto di Noni Madueke con grande probabilità sentirete l’impulso di abbassare lo sguardo. Tanto sono duri i suoi occhi, tanta personalità ha dimostrato in campo e nelle scelte di carriera, rifiutando il Manchester United e lasciando il settore giovanile del Tottenham per andare in Olanda, al PSV. Dopo un anno e mezzo, nella stagione 2020-21, Madueke è esploso: con 7 gol e 4 assist in 24 presenze si è fatto rinnovare il contratto e ha ottenuto di indossare, per la stagione in corso la maglia numero 10. Proprio sul più bello, però, sono arrivati gli infortuni, già tre quest’anno, tutti muscolari, che gli hanno fatto perdere già due mesi di gioco e che fanno preoccupare Roger Schimdt e i dirigenti del PSV. È paradossale che la sua debolezza stia nel suo punto forte: la forza delle gambe che gli permette di superare gli avversari in velocità, con una potenza nei primi passi mostruosa unita alla capacità tecnica di proteggere il pallone anche in spazi stretti, e che probabilmente è all’origine dei suoi infortuni. 

 

Schimdt si era complimentato con Madueke anche per l’intelligenza tattica, per la capacità di leggere le situazione e posizionarsi. Lo fa giocare a destra, a piede invertito, con libertà di entrare nel mezzo spazio per ricevere spalle alla porta – come detto, grazie alla forza che ha non è un problema se riceve con un avversario alle spalle – o restare largo per puntare in isolamento il terzino avversario. In questo secondo tipo di situazioni, i suoi avversari non hanno scampo: Madueke può rientrare e cercare il tiro o il cross di sinistro, oppure andare velocissimo lungo linea e mettere la palla dentro di destro. È ancora un po’ limitato tecnicamente con il destro e pur essendo molto creativo nel dribbling non lo è altrettanto in fase di rifinitura, ma il più grande punto di domanda riguarda la sua tenuta fisica. Non c’è dubbio che giocando a questo livello, con questa continuità, Madueke crescerà. La sola cosa che possiamo augurargli per il 2022 è che i muscoli lo lascino in pace abbastanza a lungo (e chissà che anche Southgate, a un certo punto, si accorga di lui).

 

Piero Hincapiè, 2002, Bayer Leverkusen (Ecuador)

Piero Hincapié ha un cognome bellissimo, che potremmo tradurre come enfasi. Un cognome che gli si addice, soprattutto nella sfumatura di significato della fraseologia hacer hincapié, che sta per insistere, focalizzarsi su. La bellezza sta tutte nella collimanza tra i concetti di concentrazione e il tipo di presenza che in campo esercita il centrale ecuadoriano.

 

Scovato durante un torneo di calcio in spiaggia, Hincapié è cresciuto in quel fantastico laboratorio di idee e valorizzazione dei giovani che è l’Independiente del Valle. Insieme a Moises Caicedo, altra giovane promessa de La Tri già arrivata in Europa, ha vinto la Libertadores Sub-20, ma proprio come è andata per Caicedo le porte della prima squadra non si sono spalancate come forse avrebbero dovuto. Piero, al quale tutto può mancare tranne che il coraggio, ha deciso allora di trasferirsi in Argentina, dove “el Cacique” Medina lo ha responsabilizzato, sgrezzato, motivato. 

 

La stagione disputata in Argentina, da diciottenne con neppure centocinquanta minuti tra i professionisti, lo ha fatto lievitare, tanto che Gustavo Alfaro, nel suo processo di ricostruzione dell’identità futbolistica ecuadoriana che passa necessariamente per un ringiovanimento della rosa, ha puntato fortissimo su di lui nella scorsa Copa América.

 

Arrivava da debuttante assoluto: ha giocato tutte le partite da titolare, fino in fondo, fin quando agli ottavi, con l’Argentina, non è stato espulso per aver fermato con le cattive una volta “el Fideo” Di Maria. 

 

In quelle quattro partite, però, ha messo in mostra non solo un set di abilità da mastino di prim’ordine, ma anche e soprattutto quella che sembra la sua caratteristica più importante, che meglio lo definisce, vale a dire l’eleganza e la calma in fase di impostazione, l’abilità con i piedi in fase di principio di manovra. Hincapié ha giocato, in Copa América, 89 palloni, più di ogni altro difensore. E lo ha fatto con la naturalezza di chi è cresciuto giocando, come dice lui stesso, da volante creativo, con il 10 sulle spalle.

 

A vederlo in campo sembra un ragazzo con la testa a posto, quadrato, metodico, una specie di riedizione di Lucio a Leverkusen. Lui, di se stesso, dice di essere fatto «de verde y de pescado», che deve essere un modo di dire neppure ecuadoriano, ma proprio di Esmeraldas, il posto da dove viene, e dovrebbe significare che è un tipo semplice. Come semplici sono le sue giocate, sempre intelligenti, tanto in fase di impostazione quanto in fase di rottura. Con il Leverkusen, all’esordio in Europa League, è subito andato a segno. 

 

Con l’Ecuador, a Novembre, con il Venezuela, oltre che una prestazione mostruosa ha collezionato anche il primo gol. Lui, a Leverkusen, si vede soltanto di passaggio. Abituato a bruciare le tappe lo è già, e il gioco asfissiante, a tormenta di neve, che si gioca in Germania non possono che renderlo uno tra i centrali difensivi più interessanti del futuro.

 

Ilya Zabarnyi, 2002, Dynamo Kiev (Ucraina)

Un anno e mezzo fa, all’inizio della stagione 2020-21, la Dynamo Kiev era a corto di centrali difensivi e Lucescu, anziché cercare nel mercato, ha puntato su un diciottenne delle giovanili, Ilya Zabarnyi, lanciandolo in campionato e Champions League. Poco dopo, a ottobre 2020, Schevchenko lo ha convocato con la Nazionale ucraina, facendolo esordire nello sfortunato 7-1 subito dalla Francia. Quella attuale è la seconda stagione da titolare e Zabarnyi a 19 anni ha già quasi 40 partite nella Premier Liga russa (vinta lo scorso anno) e quasi 20 con la Nazionale (compreso l’Europeo giocato in Inghilterra). Di lui si è parlato per il Milan e Napoli ma anche per il Chelsea e in generale non dovrebbe passare molto tempo prima di vederlo in un campionato più ricco di quello russo.

 

Ancora una volta, la migliore qualità per un giovane difensore sembra essere la maturità, sia nelle letture difensive (Zabarnyi tiene la posizione, occupa molto campo col suo metro e novanta e se non è sicuro dell’anticipo preferisce evitare il duello) che nella gestione del pallone. Le sue qualità tecniche gli permettono di lanciare lungo, soprattutto in diagonale verso sinistra, ma anche di dribblare (recentemente, contro il Bayern Monaco, ha saltato la pressione di Leroy Sané con un controllo di tacco), così come non è semplice saltarlo nell’uno contro uno. Resta comunque un po’ rigido nelle rotazioni del bacino, essendo comunque alto un metro e novanta, ma è piuttosto rapido nei primi passi e agile quando c’è da intervenire. Dopo tre minuti della partita di Champions con il Barcellona, Depay ha avuto la palla per calciare all’altezza del dischetto, ma Zabarnyi lo ha murato come un secondo portiere. Questa sensibilità difensiva, e la tranquillità con cui gestisce il pallone, potrebbero fare di Zabarnyi un difensore d’élite, di quelli che le migliore squadre d’Europa si litigano al prezzo di un centravanti. 

 

Matteo Cancellieri, 2002 Hellas Verona (Italia)

Dopo una stupenda stagione in Primavera, con 15 gol e 9 assist in appena 18 partite di dominio assoluto, Matteo Cancellieri era sembrato potersi fare strada nel nuovo Verona di Di Francesco, che stava cercando la sua identità tra mercato e un allenatore molto diverso dal precedente. Contro il Sassuolo, alla prima giornata, era entrato nel secondo tempo, mostrando una vivacità argentea che poteva tornare utile. Schierato esterno destro – con il Verona rimasto in 10 – dopo un minuto e mezzo aveva mandato in porta Zaccagni con un filtrante di quelli che in pochi vedono. Di Francesco l’aveva proposto addirittura titolare contro l’Inter e aveva in più occasioni dimostrato un concreto apprezzamento delle qualità di Cancellieri. Con l’arrivo di Tudor, però, il suo impiego è calato molto, anche se ha giocato da titolare in Coppa Italia contro l’Empoli, segnando il suo primo gol tra i professionisti. 

 

 

Cancellieri arriva dalla scuola calcio della Roma (era lui il raccattapalle spintonato da un giocatore dello Shakhtar negli ottavi di Champions 2017/18), una delle migliori d’Italia, inserito nello scambio che ha portato in giallorosso Kumbulla. È un attaccante molto veloce, sia nello stretto che nel lungo, che ama partire da destra per accentrarsi sul sinistro. Contro l’Irlanda U21 ha segnato dopo una ripartenza dalla sua area di rigore, accelerando tra gli avversari per ricevere nello spazio. Ma è anche un attaccante che vede la porta, che calcia bene da lontano o da fermo, ma può anche inserirsi in area e far valere la sua forza fisica. Avendo giocato poco in prima squadra è difficile capire quanto la sua superiorità sui pari età possa traslarsi a un livello più alto, eppure c’è da essere curiosi: Cancellieri è quel tipo di attaccante che l’Italia sforna molto raramente e la sua crescita potrebbe essere un’ottima notizia sia per il Verona che per il movimento azzurro. 

 

 

Lazar Samardzic, 2002, Udinese (Germania)

Prima dell’inizio del campionato avevamo definito Samardzic come “l’arrivo più intrigante” per l’Udinese: “19 anni, dodici mesi fa, dopo tre presenze in prima squadra con l’Hertha Berlino, era considerato uno dei talenti più raggianti del calcio tedesco. Numero dieci sulle spalle, sinistro dolcissimo, il RB Lipsia gli aveva fatto firmare un contratto lungo cinque anni. Aveva battuto la concorrenza di Chelsea, Barcellona e Bayern Monaco. Un anno e 7 presenze con la prima squadra dopo, Samardzic è finito all’Udinese per tre milioni di euro. A nemmeno vent’anni è impossibile parlare di “declino” o “fallimento” e forse allora si può piuttosto parlare di mistero”. Il mistero è continuato anche in maglia bianconera: meno 150 minuti giocati in campionato interrotti da lampi di talento purissimo. Un assist contro l’Atalanta su calcio d’angolo; soprattutto un gol contro lo Spezia che aveva mostrato tutte le sue qualità: la capacità di associarsi sulla trequarti, l’uso illusionistico della suola e dell’interno per eludere gli avversari, il calcio pulito con quello che teoricamente dovrebbe essere il suo piede debole. Non è solo una questione di bellezza, ma anche di peso: con l’assist e il gol di Samardzic in campionato l’Udinese ha portato a casa quattro punti invece di uno. E allora perché il talento tedesco continua a vedere il campo così poco?

 

 

A metà dicembre Samardzic ha giocato la sua prima partita intera da titolare, contro il Crotone in Coppa Italia, e ancora una volta l’attesa non è stata delusa: spalmata su tutti i 90 minuti l’esperienza di vederlo giocare è diventata esaltante, con un intero repertorio di tunnel, filtranti, controllo tecnico con entrambi i piedi e un nuovo assist su calcio d’angolo. Un buon segno per il 2022 Samardzic o solo una vittoria di Pirro? Il talento tedesco per il nuovo anno deve innanzitutto augurarsi che Cioffi lo tenga in considerazione più di quanto non abbia fatto Gotti. Alla fine chissà che non ne guadagnino tutti.

 

Adam Hlozek, 2002, Sparta Praga (Repubblica Ceca)

È tornato quel momento in cui i giovani della Repubblica Ceca sono tra i più interessanti d’Europa? Adam Hlozek a 20 anni da compiere è sul taccuino di molte grandi squadre, pronte a lasciarsi affascinare dal talento offensivo di un giocatore di 188 centimetri che può giocare esterno o prima punta e che ha già messo in cascina con lo Sparta Praga una stagione da 15 gol e 7 assist (in appena 19 partite, causa infortunio). Forse il campionato ceco non è il più competitivo del mondo, ma vederlo bullizzare i difensori avversari con la facilità di chi si è appena alzato è impressionante. Hlozek è una forza della natura: quando calcia sembra voler far esplodere il pallone, in progressione, pur non essendo un fulmine, per fermarlo bisogna abbatterlo. A tutta questa forza, Hlozek abbina una tecnica assolutamente non banale. In questa stagione, dove sta giocando meno da centravanti, ha già servito 10 assist (il migliore del campionato ceco per distacco). 

 

Forse non la sua miglior giocata, ma guardate la forza con cui vince questo duello aereo e come riesce a trasformarlo in un assist. 

 

Al suo bagaglio aggiunge dribbling, un gusto per la giocata illuminante e un piede educato, insomma non sembra mancargli proprio nulla. Al momento vive tra due anime, quella da centravanti e quella da esterno e forse deve trovare al più presto il suo futuro. Se a 16 anni ha rifiutato le offerte di Bayern Monaco e Arsenal per crescere col suo club d’appartenenza, è arrivato il momento per Hlozek di confrontarsi con un contesto più competitivo (il West Ham, che ha un canale preferenziale con il calcio ceco, pare interessato a prenderlo già a gennaio). Perché se in patria nel giro di poco tempo potrebbe diventare ingiocabile, è con il miglior calcio del mondo che deve confrontarsi per crescere veramente e vedere a che livello potrà arrivare. Le premesse, al momento, sono ottime. 

 

Ryotaro Araki, 2002, Kashima Antlers (Giappone)

I due migliori talenti giapponesi sono cresciuti e giocano già in Europa, entrambi curiosamente di proprietà del Real Madrid: sono Kubo (ora in prestito al Maiorca) e Nakai (ancora nelle giovanili). Ma in Giappone il 2021 è stato l’anno di Araki che a differenza dei due predestinati era praticamente sconosciuto fino al 2020, visto che fino a due anni fa giocava nella squadra del suo liceo. Va detto che il passaggio per le squadre liceali (che hanno comunque organizzazione e strutture di buon livello) è comune in Giappone, pratica mostrata anche nel cartone Holly e Benji dove le squadre delle scuole giocano in stadi stracolmi di tifosi (come succede nella realtà per le finali del torneo nazionale). Araki ha firmato solo una volta maggiorenne con i Kashima Antlers, una delle grandi della J.League, diventando da subito parte integrante della prima squadra.

 

Il primo anno ha collezionato 29 presenze (di cui 8 da titolare), giocando soprattutto come esterno, segnando 2 gol e servendo 4 assist. Nel secondo è esploso: gioca 46 partite, segna 13 gol e serve 8 assist, con la doppia cifra di gol in campionato che per un teenager era un record che teneva dal 1994 in Giappone. Soprattutto lo fa alternandosi nel ruolo di esterno (sia a destra che a sinistra) e di seconda punta nel 4-4-2, finendo però per giocare maggiormente in attacco forse vista la facilità con cui riesce ad arrivare alla conclusione o all’ultimo passaggio.

 

 

A vederlo giocare si nota subito un controllo nello stretto e una facilità di calcio che sono effettivamente un po’ sprecate facendolo partire largo troppo lontano dall’area. Anche perché il tiro è già preciso e vede la porta da ogni zona dell’area. Araki che per struttura fisica potrebbe non reggere l’impatto fisico con i marcatori più arcigni, ha però gambe forti, una tecnica sobria ma efficace nel controllo del pallone e rapidità nei gesti che gli permettono di tenere botta e non spaventarsi davanti al contrasto. Il 2022 sarà l’anno in cui Araki dovrà confermare il suo livello di stella nascente del campionato in un ruolo in cui può anche giocarsi la possibilità di arrivare convocato al prossimo Mondiale. Da lì il trasferimento in Europa sembra una strada già tracciata.

 

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