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5 calciatori che hanno iniziato bene in Premier League
19 nov 2020
19 nov 2020
Ma di cui si parla meno.
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Dominic Calvert-Lewin

di Daniele Manusia

Il fatto stesso che il nome di Dominic Calvert-Lewin possa stare vicino a quello di Salah, Vardy e Son - tutti in cima alla classifica capocannonieri della Premier League con 8 gol - è di per sé stupefacente, ma dovrebbe esserlo ancora di più considerando che la scorsa stagione, prima dell’arrivo di Carlo Ancelotti a dicembre, aveva segnato appena 5 gol in 16 partite. La fiducia dell’allenatore italiano gli ha permesso di accelerare, segnandone altri 8 in 11 gare e cominciando questa stagione con una media superiore a un gol a partita. È ancora presto per dire che la tendenza durerà e un piccolo rallentamento sembra già avvenuto rispetto alle prime partite: dopo aver segnato 4 gol nelle prime 2 - 7 nelle prime 5 - ne ha realizzato appena 1 nelle ultime tre; ma è abbastanza per dire che si tratta di uno dei giocatori da tenere d’occhio da qui in avanti, anche solo per capire la sua reale dimensione.

Calvert-Lewin è relativamente giovane e in corsa per un posto da titolare in Nazionale. Southgate lo ha convocato per la prima volta lo scorso ottobre, ma con la maglia inglese ha già vinto il Mondiale Under 20 nel 2017, segnando il gol decisivo in finale con il Venezuela. Se si guarda quel gol di tre anni fa ci si può ritrovare concentrato tutto Calvert-Lewin: prima il duello aereo vinto su una palla lunga calciata un po’ a caso verso l’area, poi da solo davanti al portiere gli calcia addosso (anche se il portiere ha un bel riflesso nella parata) e su ribattuta alla fine segna di sinistro, il suo piede debole. Si può ritrovare, cioè, un giocatore forte fisicamente, che usa il proprio corpo come strumento principale per ricavare le occasioni da gol e che con la palla ha un rapporto di non strettissima confidenza, diciamo così.

Parliamo pur sempre di un attaccante alto quasi un metro e novanta, che per il momento ha segnato la metà dei suoi gol di testa e che basa la maggior parte del proprio gioco sui duelli aerei (ne ha vinti meno solo di Oliver McBride tra gli attaccanti in Premier). D’altra parte gioca anche in una squadra in cui i principali rifinitori sono Digne, James Rodriguez e Sigurdsson, ovvero tre dei migliori crossatori del campionato, capaci di esaltare il talento di Calvert-Lewin per il colpo di testa. Che comprende anche la capacità di arrivare col passo giusto in area, prendere posizione tenendo il marcatore a distanza, e poi staccare e colpire dando forza a palloni che spesso arrivano svuotati, come palloncini mezzi sgonfi, sulla sua testa. Non basta essere alti e la palla non entra da sola in porta. Contro il Liverpool ha segnato il gol del 2-2 finale, a dieci minuti dalla fine, schiacciando sul secondo palo un cross lunghissimo di Digne, saltando alle spalle di Matip (un metro e novantacinque) e controllando Robertson che provava a spostarlo, prendendo la mira e incrociando sul palo più lontano da Adrian. Tutte cose che fa con la sicurezza e la semplicità di uno smash a rete. Ma nei gol di Calvert-Lewin si vede sempre la sua straordinaria capacità di restare in aria una frazione di secondo in più dei suoi marcatori, e la lucidità nell’indirizzare la palla nel posto giusto (e, per dire, gli 8 gol segnati finora sono nati da un totale di 5.1 xG).

Anche con i piedi, giocando a pochi tocchi, è capace anche di gesti tecnici non semplicissimi. Senza grande sensibilità sembra comunque in grado di usare il proprio piede, come qualsiasi altra parte del proprio corpo, per mandare la palla nella direzione che vuole: verso un compagno vicino, quando fa da riferimento offensivo nella trequarti, verso la porta quando è in area. Oltre a sbattersi per contribuire al gioco di squadra, e ad avere una discreta velocità in campo aperto, è capace anche di intuizioni niente affatto banali dal punto di vista tecnico. Lo scorso febbraio ha segnato il primo gol contro l’Arsenal al primo minuto di gioco (la partita è finita 3-2), con una rovesciata sgraziata ma efficace, colpendo la palla appositamente male, in modo da mandarla quasi di esterno all’angolino lontano.

Calvert-Lewin non è solo un centravanti in grande salute, con una grandissima fiducia nei propri mezzi e una squadra adatta al suo stile di gioco, ma è anche l’ennesimo specialista dei duelli fisici offensivi prodotto dal calcio inglese. Magari non durerà al livello a cui è arrivato ora, il suo nome non resterà troppo a lungo vicino a quello di giocatori come Salah, Vardy, Son - ma anche Harry Kane con cui si gioca un posto in Nazionale - eppure il suo è un mestiere che, quando lo si maneggia per bene, garantisce spesso carriere lunghe e soddisfacenti.

John McGinn - Aston Villa

di Emanuele Atturo

È un grande momento per il calcio scozzese. Celtic e Rangers vivono un discreto momento storico, la Nazionale si è appena qualificata all’Europeo dopo essere mancata dai tornei internazionali dal 1998 e si comincia a vedere qualche talento interessante. Fra loro il più peculiare è senz’altro John McGinn: un nome così anonimo che pare inventato; mascella squadrata, occhi stretti. Il suo soprannome, “McGinniesta”, esprime in modo ironico il tipo di giocatore che è veramente: un centrocampista con ottimi fondamentali tecnici, a suo agio nelle cose semplici del calcio: ricezione del pallone, controllo e conduzione palla. Il suo gioco non raggiunge mai i picchi di estro e tecnica del compagno di squadra Jack Grealish, e non sembra avere le dinamite nei piedi come Ross Barkley. Il suo è un gioco tecnico, eppure poco appariscente. Gioca nei due mediani insieme a Douglas Luiz ma fra i due è lui quello più offensivo. Se quando deve gestire un possesso conservativo può andare in difficoltà, è a suo agio quando deve spezzare il ritmo con una verticalizzazione o una corsa in avanti.

È un maestro dell’uso del corpo, e quindi della resistenza alla pressione; quando riceve palla sa come posizionarsi per mandare fuori tempo il pressing avversario. Il suo controllo non è mai naturalissimo, né troppo tecnico, ma ha forza nelle gambe e sui primi passi riesce a rompere le linee avversarie con un’efficacia sempre un po’ sorprendente. Il suo stile di corsa è pesante e ruvido, dopo ogni tocco di palla sembra doversi ricordare come si mette un piede davanti all’altro, piegato su un lato, ginocchia quasi a terra, eppure è sempre in controllo. Quando è spalle alla porta, pressato, con due tocchi d’interno si gira con una “pelopina”, una “media vuelta”, come un centrocampista del Barcellona formatosi da autodidatta. In fase difensiva è intenso e generoso, il Guardian lo ha descritto come il sogno di un ogni allenatore perché in campo prova a fare semplicemente tutto.

Ha sensibilità nel piede sinistro e visione di gioco. Con la Nazionale gioca dietro le punte e sembra divertirsi a usare di più il gioco spalle alla porta e a giocare negli ultimi metri. È stato un giocatore chiave della promozione dell’Aston Villa - stagione 2018/19, più dribbling, più tiri e più contrasti di tutti i compagni di squadra - ma lo scorso anno è stato frenato da un brutto infortunio alla caviglia. L'Aston Villa è stato costretto a prendere in prestito Drinkwater per sostituirlo, non è stata la stessa cosa. McGinn è uno dei segreti di questo grande inizio di stagione della squadra di Dean Smith. Ha servito 4 assist (solo uno meno di Grealish), 2 passaggi chiave per novanta minuti; ma è anche il centrocampista centrale che dribbla di più di tutto il campionato: 2,6 dribbling tentati per 90’, di cui 1,9 riusciti. La statistica che forse più di tutte riassume il suo stile di gioco fatto di corse in avanti ed elusive resistenze alla pressione. Il suo unico gol stagionale lo ha segnato nell’assurdo 7-2 rifilato al Liverpool, con un coraggioso tiro al volo deviato.

È vice-capitano della Scozia, uno dei calciatori che sarà più divertente seguire ai prossimi Europei.


Ollie Watkins

di Marco D'Ottavi

Ollie Watkins è arrivato in Premier League a 24 anni compiuti, dopo tre significative stagioni in Championship con il Brantford. Al contrario di quello che si può immaginare, non lo ha fatto approfittando della promozione della sua squadra o preso per due soldi come scommessa. L’Aston Villa per strapparlo alla concorrenza famelica di altre squadre del massimo campionato inglese ha speso 28 milioni di sterline, facendone l’acquisto più costoso della sua storia.

Eppure è difficile non rimanere stupiti dall’impatto che Watkins ha avuto con un campionato ostico come la Premier League. L’Aston Villa è il secondo attacco grazie al talento di Grealish e al suo nuovo attaccante. Watkins ha segnato 6 gol in 7 partite, di cui 3 al Liverpool (in uno storico 7-2) e 2 all’Arsenal. Fino a due anni fa giocava come esterno offensivo, prima che le necessità del Brentford lo portassero a essere schierato come centravanti, in una stagione chiusa con 25 gol. Proprio la relativa novità della sua posizione in campo rende difficile stabilire se il brillante avvio in zona gol possa ragionevolmente essere confermato nei prossimi mesi.

Lo stesso attaccante ha sottolineato come debba ancora imparare i trucchi del mestiere «Devo ancora imparare a fare gol di rapina, essendomi scoperto attaccante da poco. Mi piace arrivare in corsa, da dietro, e calciare da fuori area. È un po’ questa la mia forza, ma se sei un attaccante devi imparare anche a fare i tap-in». Tuttavia a oggi in Premier League Watkins ha segnato i suoi 6 gol da un totale di 8 tiri nello specchio della porta, dimostrando una pulizia tecnica sotto porta che sarà difficile mantenere per tutta la stagione. Ha segnato di testa da pochi passi, di sinistro approfittando di un errore del portiere, di destro dopo una grande azione personale. Insomma in poche partite ha mostrato un repertorio offensivo notevole.

Tipo quando ha mandato a spasso Joe Gomez prima di scaricare un bolide all’incrocio dei pali.

Watkins non è però solamente un attaccante d’area di rigore. Con alle spalle tre compagni pronti a inserirsi o a cercarne i tagli, il gioco di Watkins prevede un movimento continuo. Allunga le difese muovendosi in avanti quando Grealish o Barkley ricevono sulla trequarti per fargli spazio, ingaggia duelli aerei con i difensori quando l’Aston Villa ha bisogno della sua fisicità per risalire il campo (pur non altissimo, Watkins prova 9.6 duelli aerei per 90’, vicendone poco meno della metà). Il suo passato da esterno offensivo lo spinge anche a cercare ricezioni sull’esterno, per poi crearsi lo spazio per la conclusione (come nel fantastico secondo gol al Liverpool) o servire gli inserimenti dei compagni.

Questa mole di lavoro è sostenuta da un fisico compatto ed esplosivo, che gli ha permesso di adattarsi rapidamente alle montagne russe della Premier. Pur non essendo molto alto, Watkins infatti non ha problemi nel reggere nei duelli individuali con i difensori o a coprire porzioni di campo molto ampie. Certo tutto il lavoro che fa per l’Aston Villa potrebbe farsi sentire in zona gol. Watikins tira appena 2.6 volte ogni 90’, meno di Grealish e addirittura Barkley, rimanendo ai suoi compagni di squadra. Al momento lo fa con un'efficienza straordinaria, ma il campione statistico è ancora poco rilevante. Se riuscirà a tenere questa lucidità nella finalizzazione, sarà una stagione favolosa per lui e per l’Aston Villa.


Patrick Bamford - Leeds

di Federico Aquè

Patrick Bamford ha 27 anni e prima di incrociare Marcelo Bielsa al Leeds semplicemente non sembrava abbastanza forte per giocare in Premier League. Ci aveva provato con quattro squadre diverse, che in tutto però gli avevano concesso appena 4 partite da titolare e 667 minuti in campo, nei quali aveva segnato un solo gol, con il Middlesbrough alla penultima giornata del campionato 2016/17, concluso con la retrocessione in Championship. Oggi invece Bamford ha giocato da titolare in tutte le prime otto giornate e ha già segnato 7 gol, circa la metà di quelli segnati lo scorso anno (16 in 45 partite), che hanno contribuito alla promozione della squadra di Bielsa in Premier League.

Bamford è al livello dei migliori attaccanti del campionato per la quantità di tiri prodotta: 3,9 per 90 minuti. Tra i giocatori con un minutaggio significativo, solo Kane, Salah e Mitrovic hanno una media migliore. Di questi è l’attaccante che tira meno da fuori area, e anzi, dopo Kane e Calvert-Lewin, in Premier non c’è nessun altro che calcia con maggiore frequenza dall’interno dell’area piccola (0,7 volte p90). A mantenerlo su queste medie è stata allora anche la manovra del Leeds, di cui rappresenta il principale riferimento per finalizzare l’azione. Rodrigo è il compagno che, dopo di lui, ha calciato di più per il Leeds, e ha meno della metà delle sue conclusioni.

Non era scontato che Bamford riuscisse ad avere questo impatto in Premier League e a restare così importante per il Leeds anche dopo l’arrivo di Rodrigo, strappato al Valencia per 30 milioni di euro. Bamford è però uno dei pupilli di Bielsa, che aveva trovato il modo per farli giocare insieme prima che lo spagnolo risultasse positivo al coronavirus. Rodrigo resta più arretrato e si fa trovare sulla trequarti, Bamford è il giocatore più avanzato e partecipa poco all’azione. Non è comunque un attaccante statico e ama entrare in area in corsa, tagliando dopo essersi spostato sulle fasce.

Finora ha segnato in diversi modi, aspettando in area le rifiniture laterali dei compagni, tagliando dalle fasce, da fuori area e dopo essersi costruito un’occasione in uno spazio molto stretto, controllando la palla con l’esterno. È il suo gol più bello, segnato all’Aston Villa in una partita in cui ha realizzato una tripletta.

Anche se ha una buona tecnica quando calcia, soprattutto con il suo piede preferito, il sinistro, Bamford non è però un attaccante freddo e spietato in area di rigore. Anzi, secondo il sito ufficiale della Premier League è il giocatore che ha sbagliato più grandi occasioni (6). Per segnare deve insomma creare molto, e gli va concesso un certo margine di errore per non fargli perdere fiducia. Per sua fortuna è allenato da Bielsa, che lo ritiene indispensabile, ne ha accettato i limiti e gli ha dato finora la fiducia necessaria a farlo esprimere a livelli che non aveva mai toccato prima nella sua carriera.


Tariq Lamptey - Brighton

di Dario Saltari

Quello dei rimpianti del Chelsea per i giocatori su cui non ha avuto il coraggio di puntare è diventato un topos talmente solido del calcio inglese da aver influenzato le stesse scelte del club londinese. Dopo l’addio di Sarri, sulla panchina dei “Blues” è stato messo un ex giocatore molto attento alle giovanili come Frank Lampard, e i giovani del vivaio sono stati inseriti sempre di più nelle rotazioni della prima squadra, almeno fino a quando Abramovich non ha deciso di ricoprire d’oro l’ultima sessione di mercato. Nonostante questo cambio di strategia abbia avuto il risultato di tenere al Chelsea diversi talenti interessanti cresciuti in casa (come Mason Mount, Tammy Abraham, Hudson-Odoi e Reece James), la narrazione però non si è esaurita. E anzi, nell’ultima stagione si è arricchita di due dolorosi capitoli. L’acquisto di Nathan Aké da parte del Manchester City per oltre 45 milioni di euro. E soprattutto l’affermazione di Tariq Lamptey al Brighton come uno dei giovani più eccitanti di questa ultima stagione di Premier League.

C’è da dire che in quest’ultimo caso il Chelsea si può rimproverare solo una parte della responsabilità. Lampard, che nel suo staff ha due degli allenatori di Lamptey nelle giovanili del Chelsea, l’aveva fatto esordire in Premier League contro l’Arsenal alla fine dello scorso anno proprio per provare a convincerlo a rimanere a Londra, ma il giovane terzino inglese ha deciso che era ora di ritagliarsi il suo spazio in un’altra squadra. Quella di Lamptey è stata una decisione coraggiosa ma allo stesso tempo assennata, dato che di fronte all’interesse di squadre come il PSG, il Wolverhampton e il Lille alla fine ha scelto di accasarsi al Brighton - un piccolo club costantemente in lotta per non retrocedere. A convincerlo è stato il suo allenatore, Graham Potter, rinomato per saper far crescere i giovani talenti, ma probabilmente anche la batteria di terzini del Brighton, che non vede grande concorrenza a destra soprattutto dopo la cessione a titolo gratuito alla fine di agosto di quello che per lungo tempo è stato il titolare per il club inglese - l’inossidabile Martin Montoya.

Insomma, aspettarsi di veder giocare Lamptey con continuità in Premier League non era così assurdo, mentre rimane del tutto sorprendente il modo in cui lo ha fatto - soprattutto tenendo a mente la sua età (20 anni appena compiuti). Da quando il calcio è tornato dall’oblio del lockdown, Lamptey ha giocato quasi sempre, e quasi sempre da titolare, mettendo in mostra una superiorità atletica a volte sconcertante per questo livello. Il giovane terzino del Brighton, infatti, è spesso troppo veloce per i suoi avversari e le squadre hanno presto dovuto iniziare a pensare dei piani appositi per arginarlo. Lo ha confermato ad esempio Steve Bruce, allenatore del Newcastle uscito sconfitto 0-3 dal suo St. James’ Park alla seconda giornata, che, nonostante “sapessero cosa aspettarsi da lui”, non ha potuto evitare che al secondo minuto del primo tempo Lamptey ricevesse sull’esterno, aggirasse Saint-Maximin (non proprio il più lento degli attaccanti), entrasse in area e spostasse il pallone con l’esterno proprio nel momento in cui il suo avversario era sicuro di prenderla, costringendolo a un fallo da rigore.

Quello dei falli subiti da avversari sicuri di poter prendere il pallone è un tema ricorrente nelle partite di Lamptey, che sei giorni dopo il rigore procurato contro il Newcastle ha costretto Bruno Fernandes alla stessa sorte di giocatore troppo lento per i riflessi di questa scossa elettrica nel corpo di calciatore. Anche fuori dall’area, comunque, l’unica arma per fermarlo in campo aperto è il fallo tattico e non è un caso in questo senso che Lamptey sia il primo giocatore del Brighton e il secondo tra tutti i difensori della Premier League a subire più falli (2.8 per 90 minuti, dietro solo a Ezri Konsa dell’Aston Villa). Un’altra arma, in realtà, ci sarebbe, ma richiede concentrazione e soprattutto organizzazione di squadra. E cioè costringere Lamptey a giocare in spazi stretti, dove i suoi limiti emergono con maggiore chiarezza. Il terzino del Brighton, infatti, è un giocatore veloce ma senza grande controllo, soprattutto in corsa dove sembra essere troppo veloce persino per la sua tecnica. Lamptey sbaglia 1.7 controlli per 90 minuti (nel Brighton solo Maupay e Connolly fanno peggio, tra i giocatori con almeno 50 minuti di gioco) e riesce a superare l’avversario meno della metà delle volte in cui ci prova (1.4 dribbling vinti per 90 minuti su 3.1 tentati). Quello di Lamptey, insomma, è più un gioco di quantità che di qualità, ma questo non toglie quasi nulla alla pericolosità offensiva del suo talento - devastante soprattutto in un calcio in cui il concetto di transizione è diventato centrale.

Poche settimane fa, contro il Tottenham, è arrivato anche il primo gol in Premier League.

Lamptey è uno di quei terzini che amano venire al centro del campo, sia con la palla che senza, senza però avere una spiccata visione di gioco o propensione a fare il regista. La sua tecnica è evidente soprattutto nei cross in corsa, sempre estremamente taglienti nel colpire lo spazio tra portiere e difesa - il più difficile da difendere per gli avversari. In questo senso, è un tipo di terzino piuttosto tradizionale ma nel corpo di un giocatore iper-contemporaneo alla Alphonso Davies. Questo gli permette spesso di colmare le sue lacune tecniche (per esempio recuperando con la pura velocità i primi controlli sbagliati) e di coprire porzioni di campo gigantesche, finendo per attaccare lo spazio alle spalle della difesa avversaria da seconda punta e un momento dopo ripiegare per riprendere l’avversario nello spazio. Finché il suo atletismo metterà a ferro e fuoco la Premier League sarà un piacere vederlo giocare.




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