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5 modi di giocare davanti alla difesa
12 apr 2019
Alcuni tra le migliori interpretazioni del ruolo di centrocampista difensivo.
(articolo)
16 min
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Questo articolo è uscito originariamente sul blog di Wyscout in inglese. Ne riportiamo la traduzione in italiano.

Rodri - Atletico Madrid, di Daniele Manusia

Il centrocampo è una zona di campo mutevole, spesso è troppo grande quando la palla ce l’hanno gli avversari, e diventa troppo piccolo con la palla tra i piedi, con la pressione che può arrivare da ogni direzione. Per questo la maggior parte degli allenatori dedica grande attenzione alla struttura della propria squadra in entrambe le fasi, per non lasciare mai scoperto il centro e non allontanare mai troppo i propri giocatori. Sono rari quei centrocampisti puri che, come Rodrigo Hernandez, o se preferite solo “Rodri”, riescono a rimpicciolire il centro del campo in fase difensiva e ad allargarlo durante quella offensiva.

A ventidue anni, dopo aver fatto cambiare idea all’Atletico Madrid - che prima lo ha ceduto gratis al Villareal, al termine del suo percorso nel settore giovanile, e dopo lo ha riacquistato per 20 milioni - Rodri sta giocando la sua terza stagione di alto livello in Liga ed è ormai considerato all’unanimità tra i migliori giovani centrocampisti al mondo. Se la squadra di Simeone è particolarmente attenta a non perdere la propria struttura, con e senza palla, Rodri è diventato fondamentale sia per garantire equilibrio difensivo che per organizzare la fase d’attacco.

Con il suo metro e novanta e la sua capacità di leggere il gioco Rodri è uno dei migliori “difensori davanti alla difesa” nel panorama europeo, con un QI calcistico superiore alla media, sia quando si tratta di scegliere su quale uomo accorciare in avanti, sia quando deve coprire correndo all’indietro. Le sue doti in fase di recupero sono tanto più eccezionali se si considera che atleticamente non è esplosivo né esprime una velocità pura molta elevata, sono la sua tecnica difensiva pura - la qualità con cui interviene sempre sulla palla in modo pulito - e le lunghe leve - che gli permettono di arrivarci anche quando ce l’ha coperta dal corpo dell’avversario - a fare la differenza.

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Un esempio della straordinaria qualità con cui Rodri difende in porzioni anche molto lunghe di campo, leggendo lo svolgersi dell’azione e facendosi trovare al posto giusto al momento giusto dell’intervento.

Rodri abbina alla stazza dei centrocampisti difensivi più difficili da contrastare nei duelli aerei, e da saltare nell’uno contro uno, il gioco di passaggi razionale e calmo di un classico playmaker. È un facilitatore di gioco, con la testa alta e uno stile pulito nel corto e nel lungo. Non è creativo, né particolarmente sensibile se si tratta di giocare un filtrante in spazi stretti, ma è abbastanza a suo agio anche quando si avvicina alla trequarti avversaria.

Gestisce molti palloni a partita (61.2 in media ogni 90 minuti di gioco) con la più alta precisione di tutto l’Atletico (90.2 %). Nel calcio intenso e iperatletico del “Cholo”, Rodri trova il tempo e il modo per pensare con una fluidità naturale che ci dice anche di un carisma non comune. Insomma, è un giocatore già estremamente maturo e pur essendo arrivato molto in alto, molto giovane, crea grandi aspettative. Il suo futuro dipende da quello della squadra di Simeone, dalla capacità dell’allenatore argentino di rinnovare il suo sistema per assecondare le qualità dei suoi giocatori più tecnici (Lemar, Griezmann, Correa, Saul e anche Rodri), e dal suo posto nell’undici spagnolo (dove c’è molta competizione). Alla domanda: come si gioca nel 2019 davanti alla difesa? Non si può rispondere senza tenere conto del gioco di Rodri.

Miralem Pjanic - Juventus, di Emanuele Atturo

Miralem Pjanic ha 29 anni e solo qualche stagione fa in pochi avrebbero pronosticato un suo futuro da regista. Il bosniaco è uno di quei giocatori cresciuti come trequartisti ma che, per adattarsi alle evoluzioni del calcio, hanno progressivamente abbassato il proprio raggio d’azione. Per giocare sulla trequarti oggi bisogna saper disimpegnarsi ad alti ritmi, in spazi ristretti, lavorando molto spalle alla porta e nei duelli fisici; per questo Pjanic è stato spostato prima come mezzala di possesso nella Roma e poi, arrivato alla Juventus, Allegri lo ha schierato regista.

Nei primi tempi Pjanic sembrava in difficoltà, ma il tecnico era fiducioso - «Sono convinto che presto diventerà uno dei migliori al mondo in quel ruolo» diceva. Oggi Pjanic è effettivamente uno dei migliori registi al mondo, in grado come pochi di condizionare i modi e i tempi dell’attacco della propria. È il giocatore della Serie A - dopo Brozovic, altro trequartista spostato regista - che effettua più passaggi ogni 90 minuti (77): è la stagione in cui Pjanic ne completa di più, a testimonianza di una Juventus che vuole dominare le partite attraverso il pallone. Di converso Pjanic ha abbassato i suoi numeri di produzione offensiva nel corso degli anni - dai 10 gol e 12 assist della sua ultima stagione a Roma, ai 5 gol e 8 assist dello scorso anno.

Davanti la difesa Pjanic può mascherare i propri limiti fisici ed esaltare invece la sua cerebralità. Fra i calciatori davanti la difesa, Pjanic è quello che più ha bisogno di aggirare le proprie carenze atletiche, cercando soprattutto di pensare prima degli altri. Di questa Juventus che ha messo la tecnica al centro del proprio progetto, Pjanic regola tutti i flussi del gioco, aiutando in particolare nell’uscita palla, dove forma un triangolo di costruzione particolarmente battuto con Bonucci e Cancelo. Come spesso accade, la sua importanza è emersa per contrasto, e cioè quando Pjanic è mancato e la Juventus ha dovuto far giocare in quel ruolo Emre Can, non riuscendo più a uscire col pallone con dimestichezza.

Per il suo passato da mezzala Pjanic non ha dei tempi di gioco da regista puro, e non è bravo ad ordinare la sua squadra col possesso. Gli piace giocare la palla usando la sua sensibilità, alternando in maniera creativa gioco lungo e corto, dribbling e scarichi di prima. Pjanic è un buon geometra del centrocampo ma diventa davvero eccezionale quando può concentrarsi sul dare ritmo e fluidità agli attacchi della propria squadra.

Una delle migliori partite della sua carriera Pjanic l’ha giocata qualche settimana fa, nella partita di ritorno allo Juventus Stadium contro l’Atletico Madrid. All’interno di una Juventus estremamente proattiva, Pjanic ha brillato per gli alti ritmi che ha imposto al palleggio bianconero ma anche per una sua qualità sottovalutata, e cioè le sue letture senza palla e la capacità di difendere in avanti, tagliando le linee di passaggio avversarie.

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Contro il Sassuolo, Pjanic resta in marcatura su Locatelli finché non si accorge che Peluso orienta il corpo per cercare una traccia in verticale; a quel punto cambia destinazione della sua corsa, chiude il corridoio centrale e intercetta palla.

Quando si parla di Miralem Pjanic si cita sempre la sensibilità del suo piede destro, e per la sua abilità sui calci di punizione, ma è un giocatore più complesso di così, che riesce a sopravvivere in un calcio ultra-fisico grazie soprattutto alla brillantezza delle sue idee.




Tiemoué Bakayoko - Milan, di Federico Aquè

Dopo la prima partita giocata con il Milan, da subentrato al posto di Lucas Biglia nella sconfitta per 3-2 a Napoli della seconda giornata di Serie A, Tiémoué Bakayoko sembrava semplicemente inadatto a giocare da mediano in un centrocampo a tre. Gennaro Gattuso lo aveva criticato prendendo di mira un aspetto fondamentale per un calciatore: «Deve imparare a ricevere la palla, si deve mettere in modo corretto a livello di postura. Ci stiamo lavorando, non sarà semplice».

Non sorprende quindi che, nei suoi primi mesi al Milan, Bakayoko sia stato una riserva. Ancora a fine ottobre per Gattuso lo scarso impiego del centrocampista francese era innanzitutto una questione tattica: «Non sono ancora riuscito a entrargli in testa a livello tattico, a fargli capire i movimenti». Bakayoko è diventato titolare solo dopo il grave infortunio al polpaccio di Biglia e in poco tempo il suo rendimento è così migliorato che, al termine della partita contro il Parma a inizio dicembre, per elogiarlo Gattuso lo ha paragonato a Desailly, aggiungendo che «forse è pure più bravo tecnicamente».

Desailly era un difensore e al Milan divenne un centrocampista che non si occupava solo di recuperare il pallone, ma che sapeva fare la differenza aprendo gli schieramenti avversari palla al piede. Bakayoko, pur avendo caratteristiche diverse, eccelle negli aspetti che avevano fatto brillare Desailly a centrocampo: è bravo a interrompere la manovra avversaria e quando porta la palla è difficile fermarlo. In campionato tenta in media 4,18 dribbling per 90 minuti e ha una percentuale di riuscita del 74,4%, numeri notevoli per un mediano.

Gattuso inizialmente lo riteneva troppo aggressivo per giocare da vertice basso del centrocampo e Bakayoko ha quindi dovuto imparare a difendere in modo più cerebrale, a leggere le linee di passaggio e a dare stabilità alla struttura difensiva muovendosi per coprire i compagni, limitando le le uscite dalla linea per affrontare l’avversario in possesso. I miglioramenti fatti nella lettura del gioco avversario si possono intuire attraverso i numeri dei suoi intercetti, aumentati in modo sensibile da quando è al Milan.

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L’abilità con cui protegge gli spazi davanti alla difesa ha insomma dato più solidità ai rossoneri senza la palla. Nelle 20 partite che Bakayoko ha giocato da titolare in campionato, il Milan ha subito 15 gol e per 9 volte la porta di Donnarumma è rimasta imbattuta. Bakayoko non è solo difficile da superare se si alza in pressione e affronta l’avversario (anche se soffre i giocatori più agili di lui), ma è bravo nei recuperi all’indietro quando corre verso la sua porta e ha un buon senso della posizione quando scivola verso i lati, che gli permette di recuperare la palla anticipando le mosse avversarie. Inoltre ha aggiunto centimetri e forza fisica in area di rigore, un aspetto importante considerando che il Milan si difende ad altezze piuttosto basse.

In possesso, invece, Bakayoko ricerca spesso il duello con l’avversario scommettendo sulla sua capacità di proteggere la palla e di uscire vincitore dallo scontro fisico. Quando riceve tende a far scorrere il pallone per orientare il controllo verso la porta avversaria e talvolta si espone alla pressione rischiando di perdere la palla in zone pericolose. In conduzione non fa la differenza solo se ha campo in cui correre davanti a lui, si muove con una certa agilità anche in spazi stretti e ha abbastanza qualità da uscire palla al piede da situazioni complicate.

La sua distribuzione della palla non è molto creativa, e soprattutto se è sotto pressione si limita ad allargare il gioco sulle fasce o a scaricare all’indietro. Se ha compagni vicini riesce comunque a partecipare a scambi veloci senza rallentare il ritmo dell’azione. Per trovare passaggi più complessi, che taglino una linea avversaria, ha bisogno di avere spazio e tempo sufficiente per vedere e preparare la giocata, e difficilmente lancia lungo. Non è insomma un mediano dalla tecnica o dalla visione particolarmente raffinata che può essere il fulcro di un gioco fondato sul palleggio, ma è un riferimento per far avanzare il pallone in modo rapido, che riceva a inizio azione o nella trequarti avversaria.

Bakayoko ha costruito il suo stile di gioco attorno alla consapevolezza della sua forza fisica, che gli permette non solo di essere dominante in fase difensiva ma anche di aprire gli schieramenti avversari quando ha il pallone tra i piedi. Al termine della sfida in Coppa Italia vinta 2-0 contro il Napoli, una delle migliori partite giocate in stagione dal centrocampista francese, Gattuso ha trovato un buona sintesi delle sue caratteristiche: «È un vertice basso atipico, ti punta e ti salta sempre. Ha fisicità e ci dà superiorità numerica. All’inizio sbagliava molto in interdizione, oggi si muove in diagonale e chiude le linee di passaggio. È un giocatore molto importante per noi».


Lucas Torreira - Arsenal, di Dario Saltari

Nonostante sia arrivato solo quest’estate, dopo appena un paio di stagioni in Serie A, Lucas Torreira si è già imposto come uno dei cardini del nuovo Arsenal di Unai Emery. Se la sua ascesa è già di per sé sorprendente, soprattutto considerando che il suo esordio in Serie B risale a nemmeno quattro anni fa, è ancora più sorprendente che lo stia facendo da centrocampista difensivo più che propositivo. Jonathan Wilson, ad esempio, lo ha paragonato a Gilberto Silva, mentre i tifosi dell’Arsenal hanno riadattato per lui un coro inizialmente dedicato a Patrick Vieira: “He comes from Uruguay, he’s only five-foot high”.

Basta figurarsi in mente la stazza dei due termini di paragone per capire la straordinarietà dell’impatto di Torreira sulla Premier League, un campionato che, nonostante l’evoluzione tattica degli ultimi anni, è ancora contraddistinto da lunghe fasi di transizioni in spazi lunghi e intensità incontrollata. Eppure, nonostante le leve corte non gli permettano di coprire zone di campo troppo ampie di pura corsa e non sembri avere il fisico per reggere i contrasti più duri, proprio sulle sue qualità difensive ha puntato Emery, e la scommessa ha pagato.

Torreira nell’Arsenal viene impiegato quasi sempre in un centrocampo a due, o nel 3-4-2-1 o nel 4-2-3-1, affiancato da un centrocampista più creativo (come Guendouzi o Xhaka) a cui è affidato il compito di far arrivare il pallone sulla trequarti, e le sue responsabilità sono più evidenti soprattutto quando il possesso è degli avversari, mentre con il pallone si limita molto spesso a scelte conservative. Per gli spettatori italiani, abituati a vederlo gestire il possesso nel maniacale rombo di Giampaolo con continui passaggi corti, è forse una sorpresa ma questo non significa che Torreira si stia adattando ad un ruolo che non gli appartiene. Anzi, il suo talento difensivo è evidente, ed è forse quello che meglio denota la sua cerebralità.

Il regista uruguagliano compensa con la lettura del gioco l’impossibilità di poter macinare metri in pochi secondi, e spesso lo si vede prendere in anticipo gli avversari molto prima che questi possano pensare ad un modo per proteggerlo con il corpo. La sua abilità nelle coperture preventive e nella gestione delle mezze posizioni è fondamentale per la solidità dell’Arsenal nelle fasi in cui le partite si allungano e le energie scemano, con un contributo che però deriva dalla concentrazione e non dalla corsa, e che è quindi molto diverso da quello che danno altri specialisti difensivi del ruolo come Kanté o Casemiro. Torreira è l’uomo che sa sempre dove stare e quando uscire dalla posizione per recuperare il pallone, mentre il resto dei giocatori si sparpaglia sul campo nelle fasi in cui la partita assomiglia più a una battaglia campale.

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In questo caso, Torreira esce dalla posizione sul viaggio del pallone, sorprendendo alle spalle l’avversario e interrompendo sul nascere il contropiede del Burnley.

Sulle abilità di Torreira, e in particolare sulla sua tecnica nella difesa della palla spalle alla porta, si basa anche la resistenza dell’Arsenal alla pressione avversaria. Il regista di Emery ha una grande forza nelle gambe, che pianta a terra per tenere lontano l’avversario, e ha un’incredibile capacità di trovare sempre il modo di frapporre il proprio corpo a difesa della palla, usando il bacino come farebbe un cestista che si sta preparando per il tiro mentre è di spalle al canestro.

Nessuna di queste sfaccettature del talento di Torreira di per sé è nuova, ma il fatto che le stie mettendo in mostra a questi livelli, in un contesto tattico diverso, e in un gioco molto più diretto e verticale di quello a cui era abituato, è un’ulteriore conferma della sua completezza.

Torreira non è un regista creativo, e non romperà mai il ritmo di una partita con una giocata estemporanea. Al contrario, il suo talento, sia con la palla che soprattutto senza, si vede nella ripetizione di un pattern di gioco, nella continuità industriale nel replicare determinate giocate con la stessa precisione. È per questo che sembra essere un tassello imprescindibile nel gioco super-organizzato tipico dei top club contemporanei, che tende sempre più a restringere la libertà del singolo in favore di meccanismi interiorizzati.




Frenkie De Jong - Ajax, di Daniele V. Morrone

Frenkie de Jong ha guadagnato notorietà grazie alle prestazioni europee con l’Ajax, ma anche con la nuova Olanda di Koeman. Eppure de Jong non ha moltissime presenze ad alto livello. Pur venendo da un campionato che non ha paura a far esordire i giovani, de Jong è diventato titolare dell’Ajax solo dalla stagione 2017/18.

Cresciuto per sua scelta fuori dai grandi vivai, quello del Willem II, è passato all’Ajax solo all’età di 18 anni nel 2015, quando aveva già debuttato con la prima squadra del Willem II. Anche il debutto con l’Ajax arriva relativamente tardi per gli standard del campionato, visto che solo dopo un anno pieno in seconda squadra viene fatto esordire nel novembre 2016, in una stagione passata per metà con la seconda squadra e per metà in panchina. È quindi solo dalla scorsa stagione che de Jong è diventato titolare ma la sua ascesa è stata rapidissima: gli è bastato un anno è mezzo per passare al Barcellona per 75 milioni di euro (si trasferirà a fine stagione).

Frenkie de Jong sfugge alle classificazioni dei ruoli a cui siamo abituati in un calcio di specialisti, può ricoprire ogni posizione del campo adattando il suo calcio alle funzioni che devono essere eseguite. Ha giocato davanti alla difesa, come mezzala sia destra che sinistra e anche come difensore centrale con libertà di avanzare sul campo.

Può cambiare anche durante la stessa partita posizione in campo senza risentirne. Longilineo, più rapido che veloce, ha un ottimo controllo del corpo in corsa e capacità di rimanere in equilibrio, che gli permettono quindi di rimanere in conduzione del pallone e uscire illeso dai contrasti. Ha ottimi riflessi che, uniti alle letture senza palla, ne fanno un ottimo recuperatore di palloni. Difende meglio in avanti che all’indietro, aggredendo il pallone dopo la perdita e giocandolo subito dopo. Non è quindi il classico giocatore di posizione davanti alla difesa, ma deve muoversi libero.

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Qui de Jong riceve a centrocampo a difesa schierata e partendo in conduzione spacca in due la squadra prima di creare con un filtrante l’occasione 2 vs 1 con cui l’Ajax segna.

De Jong va lasciato totalmente libero di creare perché altrimenti rischia di generare caos: perché si muove dove pensa che la manovra della squadra debba svilupparsi, per questo i suoi tocchi di palla coprono tutto il campo e i suoi movimenti sono in realtà imprevedibili per chi non ci gioca da tempo insieme. A volte si allontana talmente tanto dal pallone da sembrare disinteressato, altre viene invece incontro alla palla fino a mangiare linee di passaggio ai compagni più vicini.

De Jong in ogni caso trova sempre il modo per far avanzare il pallone, che sia appunto avanzando in conduzione oppure con un filtrante o con un lancio se i compagni si sanno muovere bene. Lo fa tutto nel suo modo poco ortodosso di vedere il ruolo, in cui non gioca ad un tocco ma preferisce tenere il pallone fino a che non trova il passaggio verso l’uomo dietro la linea di pressione. De Jong non resiste solo alla pressione avversaria, piuttosto sembra invitarla per sfruttarla a proprio vantaggio.

Il suo talento nel rompere le linee di pressione avversarie è forse il più appariscente, ma è difficile trovare un fondamentale tecnico per il ruolo in cui non eccelle: a partire dalla capacità di posizionare sempre bene il corpo prima di ricevere e nel controllo orientato, ma anche nel calibrare il passaggio lungo. Se ai centrocampisti contemporanei si chiede principalmente di resistere alla pressione avversaria e di aiutare l’avanzamento del pallone, allora in Frenkie de Jong abbiamo un giocatore speciale in questo senso.




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