Anche quest’anno all’Ultimo Uomo i primi dell’anno sono dedicati ad esplorare giovani talenti che già nel 2022 sembrano lanciati verso un futuro pieno di promesse. È quello che facciamo i primissimi dell’anno, no? Guardare lontano per capire cosa ci riserverà questo nuovo anno. Parliamo di calciatori nati non prima del 2003 che sarà interessante seguire il prossimo anno anche se magari non sarà ancora quello della consacrazione (e come potrebbe esserlo, d’altra parte, così presto). Questa lista però è fatta anche per scoprire, quindi non troverete giocatori di cui probabilmente già saprete tutto - come Musiala, Bellingham, Gavi - oppure altri di cui abbiamo già parlato, come Endrick.
Se volete però potete sempre recuperare le vecchie edizioni: 2022, 2021, 2020, 2019, 2018.
Arda Güler, 2005, Fenerbahçe (Turchia)
Non ci siamo ancora ripresi dalla cotta finita male per Emre Mor che già la Turchia sforna un altro fantasista brevilineo destinato a farci impazzire. Mancino, baricentro basso, fenomenale nel dribbling, a 17 anni Guler ha già 5 gol in nemmeno 20 presenze con la maglia del Fenerbahce che, ci mancherebbe, gli ha già affidato la numero 10. Ha già iniziato a riempire le sue serate d’Europa League di giocate d’alta scuola, di dribbling e tocchi di suola in mezzo agli energumeni che la competizione propone. I canali social del torneo lo omaggiano con una compilation tutti i venerdì. Un po’ perché il riscontro dei tifosi turchi è troppo invitante, e un po’ perché Guler è uno di quei giocatori capaci di disseminare highlights ogni volta che scende in campo.
Gioca a destra, a piede invertito, e può scannerizzare il campo in verticale e diagonale in tutto lo spettro, per poi usare la delicatezza del suo mancino per pescare compagni nel breve e nel lungo. A suo agio con l’uomo addosso nonostante la scarsa fisicità, è forte sulle gambe e in spazi stretti è di quei giocatori capaci di far passare la palla ovunque. Ha già mostrato una notevole confidenza con la porta avversaria, soprattutto perché calcia in porta con rara precisione, ma è già stato abbassato nel ruolo di ala di tocco e possesso. Una posizione in cui ha decisamente più prospettive di alto livello. Non è ancora del tutto titolare del Fenerbahce, gioca persino meno di Emre Mor, ma nel 2023 dovrebbe riuscire a prendersi tutto.
Yassine Khalifi, 2005, Union Touarga Sportif (Marocco)
Durante questo Mondiale abbiamo imparato a conoscere l’accademia Mohammed IV, voluta dal re del Marocco per seguire lo sviluppo dei giovani calciatori con la cura e l’attenzione dei centri federali esistenti anche in altri Paesi. Dall’accademia Mohammed IV sono stati formati alcuni dei protagonisti dell’ultimo Mondiale in Qatar: En-Nesiry, Aguerd, Ounahi. Quindi, cosa propone di nuovo il movimento marocchino?
Per una volta non un trequartista dal gioco fiorito, appassionato di dribbling e tocchi di suola, bensì un centrocampista ordinatissimo. Khalifi gioca davanti alla difesa e regola il possesso palla con una tecnica sobria e notevole visione di gioco. Sa giocare bei filtranti a tagliare le linee avversarie, che sono forse la sua migliore caratteristica. Gioca sempre a testa alta, preferendo passaggi dal raggio medio-lungo, ma non è disordinato nelle scelte. Se volete farvi un’idea, qui lo vede in azione contro l’Under 20 algerina - decisamente sotto età.
È ancora tutto da verificare il suo impatto fisico. Stiamo parlando di un giocatore che ha appena iniziato a frequentare il campionato marocchino.
Facundo Buonanotte, 2004, Brighton (Argentina)
Il Brighton Hove & Albion, come si fa con le case al mare, arricchisce ogni anno l’ambiente con un nuovo dettaglio esteticamente pregevole: due anni fa ha portato in East Sussex Alexis MacAllister, la scorsa stagione l’ecuadoriano Moises Caicedo e ora il gioiellino appena diciottenne cresciuto nel Rosario Central, Facundo Buonanotte. Scommettere, insomma, è un po’ nel dna dei “Seagulls”; e gli riesce piuttosto bene, forse per osmosi con il presidente Tony Bloom, che alla fine è un giocatore di poker.
Se il cognome Buonanotte non evoca vibes particolarmente positive (Diego è stata l’ennesima infiorescenza di talento mai realmente sbocciato), al contrario l’argentinissimo nome Facundo suscita qualche suggestione: letteralmente significa eloquente. Facundo Buonanotte, eloquente, lo è sul serio. Lanciato neppure un anno fa in prima squadra da “Kily” González, questo enganche capace anche di destreggiarsi da esterno d’attacco ha subito messo in mostra, innanzitutto, sicurezza nei suoi mezzi: in una gara di Copa Argentina che poteva segnare una clamorosa eliminazione del Rosario Central, contro il club di terza categoria Sol de Mayo, si è preso la responsabilità di calciare, e segnare, il rigore decisivo.
Il momento più alto dell’esperienza di Carlitos Tévez sulla panchina dei canallas sarà probabilmente ricordato come quello in cui ha deciso di bloccare il suo trasferimento: Facundo lo ha ripagato con pisaditas, tunnel, giocate che hanno portato Tévez a paragonare la sua capacità di alternare pause ad accelerazioni a quella di un altro rosarino mancino.
Nel gioco di Buonanotte, però, non c’è solamente la scaltrezza giocoliera del calciatore da potrero, ma un’intelligenza nella visione del gioco, un amore per il possesso palla, per l’ibernazione del gioco attraverso la pausa, per l'esplosività attraverso lo scatto, che rendono piuttosto facile l’accostamento con il primo Lo Celso (peraltro, dopo il Clásico vinto contro il Newell’s Old Boys, Buonanotte si è fatto intervistare indossando una canottiera su cui era stampata una foto di lui undicenne al fianco di Lo Celso).
Il primo gol in Superliga l’ha segnato neppure un semestre fa: al termine del campionato sarebbero stati 4, affiancati da due assist. Oltre a Lo Celso, ricorda un po’ Franco Cervi. Speriamo, come dire, non anche nella parabola che saprà disegnare la sua carriera in Europa.
Cesare Casadei, 2003, Chelsea (Italia)
Di Cesare Casadei se n’è parlato tantissimo in estate, anche più di quanto sarebbe stato giusto. Infilato in diverse trattative di mercato dall’Inter come contropartita, il giudizio su di lui si è diviso tra chi lo considera un pacco buono per le plusvalenze e chi invece un patrimonio che l’Inter non doveva cedere. Alla fine Casadei è andato al Chelsea, che lo ha pagato 15 milioni più 5 di bonus, tanti per un giovane con ancora zero presenze tra i professionisti anche per la Premier, una cifra che quindi fa capire quanto il club inglese punti su di lui.
Il limite più grande per Casadei è proprio questo, il fatto che, a 19 anni, la sua carriera si sia svolta tutta a livello giovanile, nonostante abbia dimostrato di dominare tra i pari età (l’ultimo anno con la Primavera dell’Inter ha segnato 17 gol da centrocampista). Anche al Chelsea, che ha una delle migliori accademie di calcio al mondo, ma anche una delle più piene, Casadei ha finora giocato solo con la seconda squadra, mentre tanti giovani come lui o più giovani presenti in questa lista hanno già decine e decine di partite tra i professionisti. Casadei è centrocampista con un fisico già formato, che ama partire da dietro per inserirsi in area di rigore, con un istinto per la porta davvero notevole, soprattutto con il colpo di testa, con cui ha segnato tantissimi gol a livello giovanile. In qualche modo un centrocampista che una volta chiamavamo box-to-box e che il calcio inglese ha molto amato.
Cosa aspettarsi dal 2023 di Casadei? La speranza, da italiani a cui un calciatore del genere farebbe molto bene per poter puntare almeno al Mondiale del 2026, è che riesca a emanciparsi dal calcio giovanile, trovare al più presto una squadra che possa dargli minuti, fargli assaggiare il calcio dei grandi.
Mathys Tel, 2005, Bayern Monaco (Francia)
Ormai la tendenza l’abbiamo capita: i vecchi club dell'élite europea cercano di mettere le mani sui migliori giovani al mondo appena possono. Anche svenandosi con cifre esagerate, anche rischiando tutto. L’idea è che è meglio prendere Vinicius Jr. appena maggiorenne a 45 milioni che cinque anni dopo a più del doppio. Battere subito la concorrenza di tutti, ma soprattutto dei soldi del golfo, anche pagando salato.
Il Bayern Monaco ha rapito Mathys Tel mentre era ancora nel nido del Rennes. Vi risparmio quanti record di precocità aveva già battuto il giovane Mathys ma insomma, per farla breve, era considerato la stella più lucente del movimento calcistico più lucente al momento, quello francese. Arrivato al Rennes come difensore centrale, è stato via via avanzato per il campo. Il suo primo allenatore, di quando era ancora imberbe, dice che la sua grande polivalenza rischia per paradosso di limitarlo. Bisogna trovargli una posizione, che sia offensiva, e oggi quella che pare calzargli meglio - dice sempre il tecnico - è quella alle spalle di un terminale offensivo.
Ha già segnato 3 gol col Bayern Monaco, nonostante fosse arrivato con il seguente curriculum: meno di un’ora giocata tra i professionisti. A vederlo si fa fatica a credere che abbia iniziato la sua carriera da difensore centrale. Tel è una persona che fa le cose semplicemente a una velocità diversa. Parte da sinistra e ha un vasto armamentario di finte. I suoi movimenti secchi a rientrare, sebbene prevedibili, non sono facili da fermare. Calcia molto bene il pallone, davvero molto bene. I suoi tiri di interno sul secondo palo non sono dolci come quelli di un numero 10, hanno una violenza speciale. Ha giocato ancora troppo poco tra i professionisti per farci un’idea più precisa della carriera a cui potrà aspirare Mathys Tel, ma il Bayern Monaco di Nagelsmann sembra essere il luogo ideale per un giovane talento offensivo.
Andrey Santos, 2004, Vasco da Gama (Brasile)
Quando in Brasile ti danno il soprannome “mostro” mentre non sei ancora maggiorenne c’è qualcosa di strano intorno a te. Se poi a soprannominarti così è Juninho Pernambucano, uno dei calciatori più iconici è la storia recente del Brasile, uno vuole sapere tutto su Andrey Santos. Juninho ha detto di non aver mai visto un giocatore così pronto a 18 anni; Edmundo, che lavora nel Vasco, lo ha definito “un pilastro”.
Gioca con la 5, la maglia tipica del “volante”, nel centrocampo del Vasco da Gama e delle giovanili del Brasile. Ha una forza impressionante sui primi passi, usa il corpo bene per eludere la pressione. Non ha certo uno stile minimale. Ama portare palla, accelerare per i corridoi centrali, provare anche dribbling rischiosi per la posizione in cui gioca. In fase difensiva ha un gioco altrettanto appariscente, fatto di recuperi in scivolata, tackle a tutto campo. Il suo dinamismo, questo stile di gioco anfetaminico, sembra fatto apposta per la Premier League, e infatti è lì che giocherà nella prossima stagione. Era richiesto da un po’ tutti, ma alla fine è stato il Chelsea a trovare un accordo negli ultimi giorni del 2022.
Valentin Carboni, 2005, Inter (Argentina)
Nella più perfetta e compiuta smentita dell’adagio latino qualis pater, talis filius, Valentin Carboni (e per certi versi Franco, suo fratello di due anni più grande) non ricorda proprio sotto nessun aspetto, calcisticamente parlando, Ezequiel Kely Carboni, il mediano roccioso e un po’ scorbutico che una decina d’anni fa tagliava legna nel centrocampo del Catania del Cholo Simeone. Cresciuti nel Lanús, ai tempi in cui il padre era direttore tecnico del Granate, i piccoli Carboni si sono trasferiti poi a Catania, al seguito della ricerca del tempo perduto di Ezequiel. Poi il Catania è fallito, e per i due talentuosi fratelli si sono aperte le porte dell’Inter, che li ha accolti nella Primavera di Chivu con cui hanno vinto il campionato 2021-2022.
Valentin è un trequartista-seconda punta molto elegante, ma non di quell’eleganza apatica e indolente del "Flaco" Pastore o di Ricky Álvarez, quanto più di quella tecnicamente ineccepibile e austera, più muscolare e atletica del "Tucu" Correa. Non disdegna le dimostrazioni stilistiche da arte per l’arte, ma in generale c’è sempre una linearità, una verticalità euclidea nel suo gioco.
Ha già esordito in Champions League e in Serie A; in Youth League ha collezionato due goal in tre partite, ma soprattutto è stato convocato da Lionel Scaloni, nel marzo scorso. La AFA, da circa un anno, rastrella argentini sparsi per il mondo, specie se con doppia nazionalità (e i Carboni hanno passaporto italiano) per convincerli che l’Albiceleste sia la maglia giusta per loro. Ora sarà più facile, ovvio: la responsabilità di dimostrare di meritarla è tutta a Valentin, che intanto a Gennaio sarà nell’Under 20 di Mascherano che si giocherà il Sudamericano, a mettersi in luce con la nuova generazione di aspiranti alla Selección.
Benjamin Sesko, 2003, RB Salisburgo (Slovenia)
Molto in breve: Benjamin Sesko potrebbe essere il prossimo Erling Braut Haaland. Come tutte le descrizioni (troppo) brevi, anche questa è per forza di cose parziale e limitata. Ma è così che si è parlato di Sesko, praticamente da quando si parla di Sesko. Anzitutto perché è un giocatore del Red Bull Salisburgo, che nell’anno in cui Haaland è passato al Borussia Dortmund ha segnato 21 gol in 29 partite con la squadra riserve (FC Liefering) nella seconda divisione austriaca - di cui 13 gol nello spazio di appena 6 partite. Qualche anno prima, ai tempi in cui faceva l’Under 15 in Slovenia, aveva segnato 59 gol in 23 partite; a diciotto anni esatti, il giorno del suo compleanno per la precisione, ha esordito con la Slovenia diventando il più giovane di sempre a vestire quella maglia. Con statistiche così e caratteristiche fisiche come le sue - oltre il metro e novanta ma comunque molto veloce - il paragone con Haaland era praticamente inevitabile.
Ma Sesko, per quanto un “freak” piuttosto precoce, è un giocatore molto diverso, che forse ha anche bisogno di più tempo per svilupparsi pienamente. Guardare il numero dei gol nel suo caso potrebbe rivelarsi oltre che una delusione (da quando è in prima squadra a Salisburgo, in una stagione e mezza cioè, ne ha segnati 18 tra campionato e coppe) ma anche fuorviante. Sesko è un centravanti che gioca per la squadra, che alterna movimenti in profondità e pressioni in avanti (da scuola Red Bull) a movimenti incontro e momenti in cui si allarga per cucire il gioco sfruttando la sua più grande dote, a dispetto dei centimetri: i piedi (sia il destro che il sinistro). Sesko è uno spilungone tecnico e creativo, con un gioco spalle alla porta sorprendente che rivela - praticamente ogni volta che può - una visione di gioco da numero dieci.
Resta un attaccante, però. E infatti si parla di lui soprattutto quando usa la sua creatività e la tecnica per segnare grandi gol. Come quello contro la Norvegia (lo scorso settembre): controllo di petto, palleggio di ginocchio e tiro al volo di destro, da trenta-trentacinque metri, che rimbalza come un sasso piatto sul pelo dell’acqua fino all’angolo basso più lontano inarrivabile per il portiere. O il gol di sinistro con la Svezia (tre giorni dopo quello con la Norvegia) paragonato a quello di Totti con la Samp o a quello di Van Basten all’URSS in finale dell’Europeo del 1988. Insomma, riferimenti altissimi per un talento che appare non solo unico ma potenzialmente devastante.
In ogni caso sta crescendo - paradossalmente la cosa che deve ancora migliorare è una gestione più “economica” del pallone, usando ancora di più il fisico per proteggere palla - e se lo scorso anno partiva quasi sempre dalla panchina in questa stagione con il Salisburgo ha cominciato da titolare 12 partite su 16 (a discapito di uno tra Adamu e Okafor). Oggi si parla di lui per colmare il vuoto lasciato dal mancato arrivo di Gakpo allo United, oppure al Chelsea o al Napoli (nel caso in cui Osimhen partisse), ma a turno il suo nome è accostato alle migliori squadre europee. Insomma, a breve dovremmo vederlo alle prese con un nuovo salto di livello.
Garang Kuol, 2004, Central Coast Mariners (Australia)
Forse vi ricorderete di Kuol per la palla avuta a disposizione per mandare l’Argentina ai supplementari con l’Australia negli ottavi di finale dello scorso Mondiale. Un’altra grande parata del "Dibu" Martinez che in uscita ha bloccato il tiro sul primo palo con il braccio, ma è un po’ inosservato il grande controllo di Kuol che ha preso posizione appoggiandosi su Tagliafico e ha messo giù un cross con il sinistro, girando su se stesso e arrivando al tiro con un angolo molto stretto (e il "Dibu" addosso, appunto). Kuol è andato a un passo dal rovinare il Mondiale di Messi ma sarebbe stato troppo chiederglielo considerando che ha da poco compiuto diciotto anni e che ha giocato appena una ventina di partite nel campionato australiano (quasi tutte partendo dalla panchina, oltretutto).
Nonostante l’età e la scarsa esperienza Kuol è stato acquistato dal Newcastle lo scorso settembre (per un cifra che rischia di sembrare ridicola tra pochissimo tempo, sotto il milione) e dopo essere stato lasciato qualche mese in prestito ai Central Coast Mariners che lo hanno formato, la squadra inglese ha deciso di farlo venire già questo gennaio in Premier League. Durante la sua ultima partita in Australia, al momento della sostituzione, il pubblico gli ha dedicato una standing ovation e il commentatore australiano gli ha augurato di mostrare tutto il proprio incredibile potenziale.
All’esordio in Australia (Kuol è nato in un campo per rifugiati in Egitto da genitori del Sud Sudan, ma sono subito emigrati in Australia) ci ha messo sette minuti a segnare il primo gol, e ne ha fatti 4 nelle sue prime 7 presenze. Dopo l’amichevole tra l’All Star Team del campionato australiano e il Barcellona, in cui ha seminato il panico nella difesa blaugrana, Xavi lo ha definito un talento “incredibile”. Nella stagione in corsa non ha segnato con simile facilità (solo una doppietta in dieci partite) ma il suo talento fisico abbinato alle qualità tecniche e al coraggio palla al piede lascia presagire bene, specie nel campionato inglese dove troverà praterie in cui correre. Arriva, oltretutto, nel Newcastle secondo in classifica, che sta puntando sui giovani e sulla gestione di Eddie Howe per salire di livello e arrivare nel giro di qualche anno nell’élite europea. I presupposti sono quelli buoni.
Wisdom Amey, 2005, Bologna (Italia)
Magari ve lo siete perso, ma un paio d’anni fa Wisdom Amey è diventato il più giovane esordiente della storia della Serie A, battendo Pietro Pellegri e Amedeo Amadei. Rispetto a loro però fa un mestiere diverso, quello del difensore. Ci vuole stomaco per far esordire un quindicenne al centro della difesa del Bologna. Mihajilovic lo ha lanciato come aveva già lanciato Donnarumma ancora minorenne. Lo scorso maggio, all’ultima giornata contro il Genoa, in una partita che nessuno ha avuto il coraggio di guardare davvero, Amey ha fatto il suo esordio da titolare.
La sua presenza pare un po’ sullo sfondo tra i nomi che circolano attorno all’Italia del futuro. Eppure è uno di quelli che dovrebbe venirci più facilmente in mente, vista la carenza strutturale di difensori centrali che produce il nostro movimento. Il fatto è che non essendo ancora maggiorenne, ed essendo nato da genitori extra-comunitari (padre togolese, madre nigeriana) non ha ancora la cittadinanza, quindi non è stato coinvolto nella classica trafila di nazionali giovanili, e non lo sarà almeno fino alla maggiore età.
A 17 anni Amey è già molto formato fisicamente. Le misurazioni ufficiali lo danno leggermente al di sotto del metro e novanta, ma sembra più alto, a vederlo comandare la difesa del Bologna primavera con la fascia da capitano. È un difensore molto molto fisico, aggressivo, che mette pressione all’attaccante ben prima che riceva il pallone. In fase di possesso però ha un gioco calmo ed elegante, ed è sempre sicuro nell’impostazione. Bisognerà vedere ai piani più alti, ma con la sua velocità in primavera è ingiocabile nei recuperi. Non c’è attaccante che può batterlo per rapidità, almeno quel livello. Siamo sicuri che nel 2023 comincerà a giocare con più continuità con Thiago Motta.